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Autore: Nao Yoshikawa    26/07/2022    1 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo sei: Il cambiamento

Intermezzo
Tamago
 
 
Anche se le cose vanno male per Tamago, è contenta di essersi trovata un nuovo amico. Garou le ha fatto promettere di non dire a nessuno di lui, ma non le ha spiegato perché e d’altronde lei non fa domande. È sempre contenta di farsi nuovi amici, l’aiuta a non pensare alla sua condizione.
«La carta degli Amanti vuol dire che ti innamorerai di qualcuno. Lo sai? Io ho un amico che secondo me starebbe benissimo in coppia con te. Te lo posso presentare?»
Garou non si sarebbe mai avvicinato a Tamago se non avesse saputo del suo potere. Lei non è molto propensa a parlarne
«Lascia perdere, non è l’amore che cerco» la zittisce lui. «Cosa sai dirmi del tuo potere?»
A Tamago cadono i tarocchi di mano e rimane lì a fissarli.
«Che non mi piace, è spaventoso. Mi fa venire il mal di testa. Voglio tanto guarire, ma non sa come fare.»
Per una bambina forse non è niente di che, ma la capacità di viaggiare nel tempo farebbe comodo a chiunque, a lui soprattutto. Ecco perché vuole saperne di più.
«Tsk, il tuo è un dono.»
«Non è vero. Sei cattivo, Garou. A me non piace. Sento il tempo in modo diverso. Come se fosse un cerchio e io mi spostassi da un punto all’altro.  Posso finire ovunque, mi è successo, ma non è mai stato per troppo tempo. Ho paura di sparire e non tornare più e i miei papà sarebbero così tristi!»
Garou fa una smorfia. Un potere del genere gli darebbe infinite possibilità. Lo renderebbero più simili a un dio. Allora s’inginocchia e la guarda.
«Allora lascia usare a me il tuo potere.»
Lo dice in un modo che Tamago quasi si spaventa. Ma sa che non deve, perché Garou è suo amico. Nessuno vuole farle del male.
«Ma non si può! E comunque adesso me ne devo andare. Vedi, è buio. Ma se vuoi ci vediamo domani, eh.»
Sembra una valle incantata, con le farfalle e gli alberi, il luogo in cui lei e Garou s’incontrano. Lui non la trattiene, aspetterà ancora.
 
Genos è preoccupato. Non gli è mai piaciuto che Tamago se ne andasse da sola nella valle. Ha solo cinque anni! Soprattutto non gli piace adesso che è così instabile e potrebbe sparire da un momento all’altro.
«Ora vado giù a cercarla» dice.
«Starà già tornando. Siamo meno di cento in questo posto e ci conosciamo tutti, che vuoi che le succeda?» domanda Saitama. Genos però sa essere molto convincente alle volte. Saitama non direbbe che lo teme, ma meglio non metterselo contro in certi casi.
«Va bene, d’accordo. Non guardarmi così, vado a cercarla io.»
Ma non fa in tempo a dirlo che Tamago entra, sbattendo la porta.
«Sono tornata!» si annuncia sempre così. Genos si avvicina e la stringe tra le braccia così forte che Tamago geme.
«Ti ho detto che quando fa buio devi essere a casa.»
«Sono a casa. N-non respiro. La valle per ora è piena di farfalle.»
Per il momento è un periodo tranquillo. Tamago non ha crisi, è piuttosto allegra e vispa, ma non per questo possono fingere che vada tutto bene. Saitama li guarda e li riguarda. Vede in Tamago e Genos il motivo per lottare. Per essere più forte.

 
Age Masu Torisaru, Jikan Jikan, tutto toglie e tutto dà. E chi mai lo fermerà? -
 
Erano passate quasi due settimane da quando Genos aveva accettato di provare a tenersi quel corpo pseudo umano con annesse conseguenze. E doveva ammettere che la sua relazione con Saitama ne stava beneficiando parecchio. C’era il sesso, che era bellissimo e di cui non potevano fare a meno. Saitama sapeva essere così passionale e Genos non era da meno. E certe volte non riuscivano proprio a togliergli le mani – e le labbra – di dosso. Ma c’era ancora altro di altrettanto piacevole. Tipo i baci, gli abbracci, le carezze l’uno all’altro. Non solo, anche dormire insieme e godere del calore reciproco. Tutte cose che Genos conosceva ma di cui si era scordato. Saitama si sentiva abbastanza stupido e, anche se non aveva mai provato droghe in vita sua, era sicuro che la sensazione fosse simile a quella che stava vivendo. La sua apatia sembrava essersi sopita, un po’ come se avesse trovato una motivazione per andare avanti. Erano state due settimane piene, in cui avevano fatto di tutto.
«Genos, sai. Tu sei diverso»
Saitama glielo sussurrò sulle labbra dopo l’ennesima volta in cui si erano amati e voluti. Genos ansimava (adesso si stancava, ma a questo poteva sopravvivere). Erano ancora appiccicati l’uno all’altro, quando Genos lo guardò.
«Certo che lo sono. Guarda il mio corpo.»
«No, non dicevo quello. Intendo proprio che tu… sembri tutto luminoso. Come se avessi una lampadina accesa dentro. Non è che è qualche tua funzionalità?»
A Genos venne da ridere.
«No, non credo. Ho sentito dire che quando si è innamorati, si cambia. Forse per questo.»
«Ed è anche per questo che non riesci a staccarti da me? Giuro che non pensavo fossi così voglioso. Ma la cosa non mi dispiace mica.»
Genos arrossì. A certe cose non si abituava mai.
«Ho scoperto qualcosa che mi piace. Però ora è ora di pranzo, ho fame.»
Saiatama alzò gli occhi al cielo.
«E hai anche riscoperto il piacere del cibo.»
«Emh. Sì. Non so, da quando ho questo corpo ho sempre fame.»
«Lo so, Genos. La settimana scorsa siamo stati al ristorante di sushi. Ti è costato un patrimonio, per fortuna non ho pagato io» borbottò Saitama stringendo il cuscino. Guardò Genos che si alzava. Era davvero bellissimo e particolare. Sì, era circondato da un’aura strana, non avrebbe saputo spiegarlo. Anche Genos si sentiva diverso. Piuttosto felice. E oramai le previsioni che Maga Tamago aveva fatto non lo spaventavano. Certo, ci aveva azzeccato per quanto riguardava l’amore e il trauma. Forse anche per la nascita. Forse intendeva la nascita della storia tra lui e Saitama.
Fu colto da un forte senso di nausea e da un capogiro. Saitama se ne accorse e gli parve strano, ma dopotutto era anche normale adesso che Genos era anche umano.
«Stai bene? Non sono abituato a vederti così. Oh. Adesso puoi ammalarti anche tu» si rese conto. Lui non era preoccupato, figurarsi. Voleva solo sapere come stava. Genos fece un gesto con la mano, come a voler minimizzare.
«Non è niente di che, ma ammetto che questo è uno dei motivi per cui l’umanità non mi piace. Posso ammalarmi.»
«Forse hai mangiato troppo» suggerì Saitama. «Anche a me succede.»
Genos si ritrovò ad arrossire (oramai succedeva fin troppo spesso) e poi si alzò.
«Ho un incontro all’Associazione eroi» disse ad un tratto. Probabilmente avrebbero parlato dei mostri che avevano catturato e studiato. Saitama allora si alzò.
«Vengo anche io» decise. Genos lo guardò, guardò tutto il suo corpo e poi distolse lo sguardo.
«Non è necessario.»
«Non lo faccio perché necessario, ma perché voglio. Oramai per te è difficile liberarti di me.»
Genos sorrise. Liberarsi di lui? E perché avrebbe voluto? Adesso aveva tutto quello che aveva sempre voluto.
E anche qualcosa in più.
 
Per Tamago era un miracolo riuscire a rimanere per così tanto tempo nello stesso posto. Forse il fatto che fosse un po’ più serena del solito la stava aiutando. Non era un segreto che l’agitazione peggiorava le cose. Quando aveva sentito della riunione tra eroi, si era immobilizzata un attimo e poi d’istinto aveva detto voglio esserci anche io.
Non un’idea saggia. Se avesse visto i Jikan, cosa avrebbe potuto fare? Eliminarli per cambiare il suo futuro, che poi era il suo passato, sarebbe stata la cosa più facile da fare? Ma non aveva le capacità di farlo. Chiedere a qualcuno degli eroi di eliminarli al posto suo? Perché avrebbero dovuto farlo, perché avrebbero dovuto rischiare ancora per una sconosciuta?
E poi, Tamago sapeva che intromettersi nel tempo non era mai una buona idea. Lei si stava già intromettendo troppo, ma che scelta aveva? Cosa aveva da perdere ancora?
«Non ho capito perché lei è dovuta venire con noi, non è neanche un eroe» disse Tatsumaki con una certa diffidenza. Continuava a non fidarsi troppo di Tamago. Era strana. Starle accanto le trasmetteva sensazioni strane.
«Finalmente qualcuno che la pensa come me» borbottò Metal Bat. Stare accanto a Tamago gli faceva arrivare quelli che avrebbe definito ricordi. O visioni. O echi. Non sapeva come chiamarli, ma erano strani e su questo non c’erano dubbi.
«Non siete molto gentili» disse Child Emperor, che alla fin fine l’aveva presa in simpatia, così come Bang del resto.
«Siate pazienti. Quella ragazza mi ricorda qualcuno.»
«Solo per questo dobbiamo farle da baby-sitter o non so che altro?»
Tatsumaki guardò Tamago. Alla riunione erano presenti anche altri eroi come Atomic Samurai e Zombie Man e alcuni di classe A come Sweet Mask, scocciato per quella chiamata improvvisa. Almeno aveva trovato una valida compagnia in Tamago, che gli si rivolgeva come se fosse una sua fan accanita e questo non gli dispiaceva.
«Lo sai? Da piccola mi sarebbe piaciuto entrare a far parte dell’Associazione Eroi. Ma ho dovuto rinunciare abbastanza in fretta.»
«Ma l’Associazione eroi esiste solo da pochi anni» rispose lui con ovvietà. Tamago cambiò allora discorso, disse che gli avrebbe letto i tarocchi se voleva. Sweet Mask stava quasi per dirle sì, quando arrivarono Saitama e Genos, che catalizzarono tutta la sua attenzione.
«Ma tu guarda, anche tu qui?» domandò Saitama, che era sinceramente felice di vederla.
«Vi conoscete?» domandò Fubuki.
Beh sì, ci ha predetto sventure e amore, pensò Genos. Poi si ricordò che nessuno lì sapeva di loro come coppia, e grazie tante, visto che non lo avevano detto a nessuno.
«Sì, siamo amici. Più o meno» disse Tamago, in imbarazzo
«Capisco. Voi due comunque siete strani. Soprattutto tu, Demon Cyborg» disse Tatsumaki.
Oh bene, se n’erano accorti. Saitama guardò Genos. Non gli creava problemi il fatto che loro sapessero. Certo, non sapeva come avrebbero reagito. Se fosse dipeso da Genos, avrebbero spiegato tutto in maniera graduale, ma Saitama fu più veloce a precederlo.
«Sì, allora. Io e Genos ci siamo messi insieme. Quei mostri hanno reso Genos per metà umano. A proposito, possiamo non perdere troppo tempo? Io e Genos non possiamo fare le nostre cose qui.»
Tamago fu l’unica a trattenere le risate. Gli altri avevano avuto reazioni piuttosto diverse. Metal Bat non vedeva, ma sentiva chiaramente. Così si era alzato, agitando la mazza con il rischio di colpire qualcuno in pieno.
«Aaah? Voi due?»
«E in che senso Genos è per metà umano?» domandò Fubuki. Bang invece li guardava come se volesse dire beh, era ora.
Genos desiderò per la prima volta in vita sua colpire Saitama. Un po’ di delicatezza no?
 
«È successo tutto in fretta» disse Genos, che sapeva benissimo che come spiegazione non bastava di certo. Tamago era tutta concitata. Poi le venne in mente qualcosa.
«Oggi che giorno è?»
«Il ventuno marzo, perché?» domandò Saitama.
Il ventuno marzo, l’equinozio di primavera. Allora lei esisteva già, lì. Da pochissimo, era praticamente invisibile, però c’era. Afferrò Genos per le spalle e lui sussultò.
«Oggi la tua vita cambierà. Farai una scoperta che metterà tutto in discussione.»
Come mai non aveva usato le carte per fare quella previsione? Se fosse stato così, forse Genos avrebbe avuto meno timore? Invece Tamago l’aveva guardata negli occhi e gli aveva fatto una previsione. E fino a quel momento non aveva sbagliato.
«Che vuol dire? Cosa devo scoprire?»
Tamago indietreggiò, tremante.
«Il tuo inconscio lo sa già. Emh, ora scusate. Devo andare un attimo al bagno delle signore.»
In realtà era palese che quella fosse una scusa per allontanarsi. Genos fu subito colto da una sensazione di terrore e angoscia, sensazione che aveva già sperimentato.
«Va bene, lo ammetto. Quella ragazza mi piace, ma è parecchio strana» disse Saitama.
«Io è da quando l’ho incontrata che lo dico» aggiunse Metal Bat. «Dice cose strane. E poi è da quando l’ho incontrata che non riesco a togliermi dalla testa una filastrocca strana. Fa tipo Jikan Jikan, tutto toglie tutto dà e poi chissà cosa.» Saitama non badò a Genos, visibilmente scosso. Metal Bat aveva catturato la sua attenzione.
«Cos’hai detto?»
Saitama a volte assumeva espressioni così serie da far paura. Metal Bat non lo vedeva, però poteva percepirlo.
«Eh… niente. È una sciocchezza. Quella ci farà uscire tutti fuori di testa.»
Saitama non era certo tipo da impazzire facilmente. Né lui né Genos lo erano, ma aveva l’impressione che ci fossero molto vicini.
 
 
Tamago era scesa lungo una scala a chiocciola piuttosto instabile. Non sapeva perché lo stava facendo, proprio come quindici anni prima. Ma ai tempi era stata una bambina, non poteva sapere cosa le avrebbe riservato il futuro. Adesso era adulta e sapeva ancora meno. Scese e scese ancora giù nell’oscurità. Se fosse stata fortunata, non avrebbe trovato nessuno a impedirle di entrare. E proprio come quindici anni prima, era stata fortunata e nessuno le aveva sbarrato la strada, niente le avrebbe impedito di entrare. I due Jikan sembravano galleggiare a mezz’aria oltre il vetro, i tentacoli lunghi e che si muovevano in modo quasi ipnotico.
Si avvicinò, tesa ma non impaurita, perché dopotutto cosa aveva da perdere?
 
«I due esemplari alieni che avete catturato, sono stati studiati e analizzati. Non sappiamo da quale pianeta arrivino, ma li abbiamo denominati Jikan.»
Saitama fissò Metal Bat per qualche attimo e, anche se lui non lo guardava, di sicuro stavano pensando la stessa cosa.
«Non sembrano ostili nel senso che non attaccano o uccidono il prossimo. Ma chiunque venga a contatto con loro – e questo lo avete visto da voi – subisce cambiamenti. Il contatto con queste creature vi cambia. Vi muta. Sia dentro che fuori.»
 
Tamago poggiò la mano sul vetro. Sembravano esseri così pacifici, loro. E in fondo lo erano, non fosse stato per quel piccolo problema.
«Ci rivediamo, eh? Se solo fossi in grado eliminarvi, sarebbe tutto risolto. Ma non so come fare. E non so questo a cosa potrebbe portare. Mi sono intromessa così tanto che forse ho già rovinato tutto.»
 
«Non sappiamo in base a cosa agiscono, se seguono uno schema o se sia tutto casuale. I Jikan sono intelligenti, ma non comunicano come noi. Hanno un loro linguaggio.»
Metal Bat batté una mano sul tavolo.
«Beh, che volete? Devo chiederglielo io il perché mi è stato fatto? Che sia difficile farli fuori o meno non me ne importa, lasciatemelo fare.»
Genos gemette. Avvertì qualcosa di strano, Tutto stava iniziando a girare e sentiva qualcosa. Che non era dolore, ma che risucchiava via tutte le energie. Saitama se ne accorse.
«Va tutto bene?»
 
Tamago batté un pugno sul vetro.
«Perché è toccato a me? Perché questo? Nessuno mi può dare una risposta. Non sono stata una bambina, poi una ragazza e ora una donna felice. È stato questo che mi ha strappato alla mia famiglia. Riprendetevi questo potere, io non lo voglio. Non è un dono, è una maledizione»
Tamago passò in fretta dalla rabbia alle lacrime. Era sempre stata una bambina, una ragazza e poi una donna molto emotiva. Chiunque lo sarebbe stato al pensiero di non avere controllo su niente. Come lei.
Poggiò la fronte contro il vetro e chiuse gli occhi, una lacrima le rigava il viso.
Poi si sentì stanca e scomparve. In chissà quale parte del tempo. E che importanza aveva? Il tempo non è una linea dritta, ma un cerchio. Percepisco tutto e tutto insieme.
 
 
Genos tentò di alzarsi. Si ricordò di quand’era stato umano, della stanchezza che ogni tanto lo assaliva tutto insieme, dell’influenza e della febbre che lo rendevano debole. Ciò che sentiva non era simile a niente di tutto ciò, ma era l’unico metro di paragone che aveva. Cadde e Saitama, che forse doveva averlo percepito, fu abbastanza veloce da afferrarlo. E da preoccuparsi, lui che non si preoccupava mai. Adesso ne aveva motivo, ne avrebbe avuto più di uno.
 
«Ma perché piange tanto?» domanda Saitama.
«È una neonata, non penso possa fare altro» risponde Genos tenendola in braccio, cercando di cullarla, né troppo forte né troppo piano. È un po’ provato, non pensava potesse arrivare ad esserlo.
«Dai, dalla a me, prenditi una pausa» gli dice Saitama. Ma Genos non molla la neonata, quasi mai.
«Perché con me piange sempre? Forse lo percepisce anche lei che a questo non ero pronto.»
«Non ero pronto nemmeno io, se è per questo. Se riesco a trovare il ciuccio, forse smetterà di piangere.»
Genos cerca di consolare la bambina. Si sente incapace, nessuno gli ha insegnato quello, non è stato programmato per quello.
Saitama trova il ciuccio. Lo avvicina alla bambina e glielo lascia. E lei allora si quieta.
«Ecco, ha funzionato. Mi chiedo se funzionerebbe anche per gli adulti» Saitama prova a sdrammatizzare. Genos sospira, ora più calmo. Ci sono momenti in cui sembra impazzito.
«Sono anche un eroe, ma questa… questa è la cosa più difficile di tutti» ammette.
«Non dirlo a me. A me basta un pugno per sconfiggere un nemico. Ma qui la questione è diversa. Tranquillo, ce la caveremo.»
Saitama lo abbraccia, Genos si fa abbracciare. Ora che sono tutti e due più calmi, anche la bambina si è quietata, si addormenta e tra le sue braccia ci dormirà tutta la notte.
 
 
Genos si svegliò all’improvviso e quel sogno svanì quasi subito. Ma gli rimase in testa l’eco di un pianto e quel pianto lo faceva star male, troppo male.
«Ah, ti sei svegliato finalmente!»
La voce di Saitama lo fece sussultare. Giusto, si ricordava di essere svenuto, di aver avvertito un certo malessere. Ma quanto aveva dormito? Per ore? Inoltre, non gli sembrava di essere a casa sua. Al contrario, quello era il laboratorio di Kuseno. Oh, per fortuna! Ora basta, si era detto. Non poteva continuare a rimanere per metà umano, era tutto troppo strano. Doveva tornare un cyborg al cento per cento. Per quanto riguardava la questione sesso, avrebbe trovato una soluzione. Si mise seduto di scatto.
«Eh, è meglio se non ti alzi» suggerì Saitama.
«Dov’è Kuseno? Devo parlare con lui. Questa storia finisce qui, l’umanità è troppo seccante e fragile e io sono un eroe, non posso permettermi di essere fragile» disse deciso. Saitama alzò gli occhi al cielo: davvero testardo!
Genos non ebbe bisogno di cercare Kuseno, perché fu lo scienziato a venire da lui, serio e pallido come se avesse appena visto un fantasma.
«Dottor Kuseno, meno male! Deve aiutarmi, deve ridarmi il mio corpo da cyborg. Se l’ha fatto una volta può rifarlo, vero?» domandò concitato.
«Ragazzo, è meglio se ti siedi. E anche tu» disse a Saitama, il quale si indicò.
«Che ho fatto?» domandò.
«C’è… qualche problema?» chiese Genos, stranito. Kuseno sospirò.
«Non credo sia possibile ridarti il tuo corpo da cyborg. Non per un po’ di tempo, almeno.»
Genos si irrigidì. Maledizione, e ora? Qual era il dannato impedimento?
«Perché no…?»
Un altro sospiro. Perché non glielo diceva e basta.
«Ho trovato qualcosa. Dentro di te, intendo.»
Saitama non capì, ma fu come se il suo inconscio ci fosse arrivato prima di lui.
   
 
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