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Autore: Fanny Jumping Sparrow    26/07/2022    0 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve ciurma (o  quel che ne resta).
Questi lunghissimi mesi trascorsi dall'ultimo aggiornamento sono stati davvero difficili per me dal punto di vita emotivo e pregni di impegni importanti cui dare priorità, così purtroppo, ancora una volta non sono stata capace di trovare la serenità e lucidità mentale per scrivere.
Ma non ho mai dimenticato questa travagliata ff cui tengo molto a dare un finale, a discapito di come la sto trattando.
Perciò, non mi dilungo oltre con le scuse e le spiegazioni e lascio a voi questo nuovo capitolo, con l'augurio di poter sfruttare le vacanze per dedicarmi ancora alla scrittura.
Ringrazio chi mi ha mandato messaggi, chi si è preso la briga di leggere o rileggere nell'attesa e chi semplicemente aprirà la storia.
Buona estate e al prossimo approdo!)


XXXVII – HOSTAGES

Assenza di suoni. Buio.
Perdita del senso dell’orientamento, della cognizione dello spazio e del tempo.
Si sentiva fluttuare dolcemente in qualcosa d’impalpabile, inodore, insapore.
Leggera, senza peso, come se la gravità avesse cessato incomprensibilmente di esistere, come se la propria mente si fosse distaccata ed errasse placida e libera in un’estensione indefinita, incapace e incurante di ricongiungersi al proprio corpo.
Non aveva paura. Era una sensazione conosciuta, anelata, rassicurante. Di tepore.
Piena e appagante. Era come essere tornata finalmente laddove era nata. Anche se la solitudine di quel luogo ora sembrava immensa, incolmabile, devastante.
D’un tratto un lieve brusio cominciò a propagarsi attraverso quel vuoto denso e rarefatto, una variazione di pressione sempre più forte, piccole onde concentriche riflesse sulla pelle, più numerose, più insistenti, solleticavano il padiglione auricolare, facevano vibrare i timpani, attutite, appena percettibili ma impossibili da ignorare.
Quel rumore di fondo, ritmico, ripetitivo continuava a riverberarsi, a spandersi tutto intorno, sempre meno inconsistente, simile ad un rintocco, ad un istigamento a reagire.
A ridestarsi.
Bulma aprì le palpebre. C’era come una sottile patina a velarle, le immagini davanti a sé le apparvero sfocate, sbiadite, distorte, i colori sfumati, tremolanti, mescolati, eppure in quei contorni deformati fu capace di distinguere due figure, due volti freddi e spigolosi dai connotati essenzialmente identici che la osservavano.
Intuì dal loro modo di interagire che stavano discutendo, ma il loro parlottio era stranamente inudibile, la loro voce le arrivava lontana, frammentata, ovattata.
O per meglio dire, annacquata.
Determinata ad avere la loro attenzione, schiuse la bocca, ma un ostacolo invisibile le impedì di emettere alcun suono diverso da un gorgoglio, composto di bolle e bollicine, le uscirono copiosamente anche dal naso, inondandole in breve tutto il campo visivo.
Con un deciso colpo di coda tentò di riemergere, ma non si mosse di molto. Riuscì a malapena a sporgersi per tossicchiare la gran quantità d’acqua salata ingerita e riprendere a respirare a pieni polmoni.
- Hai visto, sorella? Che ti dicevo? Non era affogata – esclamò uno dei due sequestratori, un ragazzo, a giudicare dal timbro maschile ma adolescenziale, continuando a picchiettare in maniera snervante sulla superficie di vetro – Adesso sgancia i miei due scellini.
La sodale accanto a lui gli rifilò un colpetto di gomito sul fianco, lasciandogli cadere sul palmo aperto un paio di monete, poi avanzò di qualche passo, puntandole contro il bagliore dorato di un lucernino d’ottone: - Era ora che ti svegliassi, donna pesce – la dileggiò, esibendo lo stesso sorrisetto sghembo con cui le si era presentata la prima volta.
Bulma riconobbe la bionda e glaciale piratessa che, insieme al suo complice, pochi attimi prima che potesse agguantare l’ultima sfera l’aveva trascinata via dai frenetici combattimenti in corso al fastoso Palazzo di Pilaf.
Estenuata dalla vana lotta contro i loro soprusi, indebolita dalla trasformazione causata dalla luna, aveva perso i sensi, e adesso le mancava un pezzo di quella serata per ricostruire cosa fosse accaduto esattamente dopo quella fuga rocambolesca.
E perché fosse rinvenuta ritrovandosi immersa in quella grande vasca cubica ricolma fino all’orlo, i polsi chiusi da grezzi anelli di metallo arrugginiti da cui si dipartivano delle catene agganciate al basso soffitto di un locale piuttosto buio e angusto.
Si domandò per quale crimine dovesse pagare. Non ricordava di aver commesso nulla di così condannabile!
- Chi siete voi? Dove mi trovo? Perché mi tenete qui? – si dimenò inviperita, così facendo procurandosi uno spiacevole strattone alle braccia, tese e bloccate al di sopra della testa.
- Calma, non ricominciare a strillare, o ti rificco quel bavaglio in bocca – la redarguì con fare sardonico e annoiato il giovane furfante dal caschetto bruno, accomodandosi con indolenza su una cassa di legno. – Capitan Freezer non tollera la gente che starnazza.
A quell’appellativo Bulma ebbe un sonoro singulto: - Capitan Freezer? Volete dire che … - bisbigliò scossa da un brivido, guizzando una serie di occhiate frenetiche alle stranianti ombre di quello sconosciuto ambiente per tentare di raccapezzarsi.
Rammentava di essere stata sbatacchiata su una scialuppa e che avevano remato a lungo tra le nebbiose calette dell’isola, portandosi sul versante opposto rispetto a quello da cui erano arrivati lei e gli altri, ma la sua contezza di quanto le fosse accaduto in seguito si interrompeva lì.
Il lugubre cigolio di una porta, finora rimasta nascosta alla sua percezione, le provocò un altro fremito lungo la spina dorsale, inducendola a trattenere il fiato e poi a dilatare gli occhi, ancora più confusa e trasognata quando il provvido spiraglio luminoso che penetrò le permise di mettere a fuoco il soggetto che si era palesato sulla soglia.
Era l’aitante gentiluomo ammantato di bianco che aveva incontrato alla festa e di cui aveva creduto di aver suscitato l’apprezzamento. Peccato che, in mezzo a tutto quel trambusto, avesse dimenticato perfino se le avesse rivelato quale fosse il suo nome.
Entrando posò brevemente le iridi bronzee su di lei, sul volto un’espressione superba, lanciando poi un mazzo di chiavi ai suoi carcerieri: - Voi due. Tiratela subito fuori di lì. Il Capitano desidera conoscerla.
L’azzurra trasalì un'altra volta, mentre le sue speranze andavano in frantumi: - Come?! Che disdetta! – sbottò avvilita. Il suo pressoché infallibile potere seduttivo non aveva riscosso alcun successo. Con quel bel tipo aveva sciaguratamente preso un granchio! A quanto pareva era anche lui uno dei cattivi.
I due giovani pirati intanto si adoperarono svogliatamente a eseguire le disposizioni loro impartite dal nuovo arrivato, che seguiva ogni loro mossa squadrandoli con occhio critico.
- Ogni tanto il nostro potente Capitano potrebbe anche scomodarsi di persona … – bofonchiò dispregiativo Diciassette, facendo salire la sorella cavalcioni sulle sue spalle per aiutarla a raggiungere il chiavistello imbullonato sul tetto.
- Bada a come parli, mocciosetto! – gli ingiunse con disdegno Zarbon – Ci metto un attimo a convincere Freezer a lasciarvi crepare di stenti sul primo putrido sputo di terra che avvistiamo!
Diciotto lo scrutò di sottecchi, balzando giù con un salto aggraziato e passando al gemello un capo delle catene, intimandogli con un’occhiata carica di disapprovazione di astenersi dal ribattere con altre battutine di scherno. Dovevano soltanto stringere i denti e pazientare un altro po’, prima di potersi guadagnare la tanto agognata libertà.
Issarono la sventurata prigioniera fuori dalla sua gabbia di vetro, senza curarsi né di fare piano, né degli schizzi: - Disgraziati! Non avete un minimo di accortezza! Guardate che sono comunque una delicata fanciulla, io! – protestò vibratamente l’azzurra, stordita e indolenzita dalla brutta caduta sulle dure assi di legno del pavimento.
Il luogotenente di Freezer arretrò con un mugugno di disgusto dalla pozza d’acqua che si era formata: - E fate che non vada sgocciolando, quando la porterete dal nostro Capitano. Sapete che ci tiene alla pulizia – si accomiatò difilato, facendo risuonare gli stivaloni al suo stizzoso allontanarsi.
Bulma si osservò, scoppiando in dei bassi singhiozzi: il suo splendido abito da sera di seta e d’organza era ridotto in uno stato pietoso, le calze erano tutte sfilacciate, aveva perso le scarpe e i gioielli, e molto probabilmente doveva avere il viso tutto impiastricciato dal trucco sbavato, considerò affranta, strofinandosi un avambraccio sulle guance bagnate e intirizzite.
Abbandonatasi a quegli attimi di sconforto e autocommiserazione, sussultò violentemente quando si sentì afferrare per i capelli.
- Penso potrai camminare da sola, visto che sei senza pinne … Non ho nessuna intenzione di spaccarmi la schiena … - le premise l’efebico rapitore, con quel suo solito accento denigratorio.
La piratessa dagli occhi di ghiaccio le gettò addosso un grezzo panno di tela, e, con premura inaspettata, la aiutò affinché si asciugasse un po’, intimandole in uno scontroso sussurro: - Tieni la bocca cucita, fino a che non te lo chiederà lui.
Bulma avrebbe voluto rispondere a tono ad entrambi, ma si sentiva ancora strana e confusa, quasi anestetizzata. Aveva di nuovo i piedi, perciò voleva dire che il sole era già sorto. Doveva essere stata diluita qualche sostanza soporifera in quella salamoia in cui l’avevano messa a marinare, qualche sostanza che l’aveva narcotizzata, e ciò aumentò la sua preoccupazione. Voleva essere lucida e cosciente, senza forze e senza la sua impareggiabile loquela sarebbe stata alla completa mercé di quegli aguzzini.
La tortuosa risalita verso il ponte di comando le permise di avere una rapida ricognizione del cupo luogo che la ospitava.
Doveva aver perso conoscenza per parecchie ore se non serbava alcun ricordo del momento in cui era salita a bordo del vascello del temuto pirata noto col soprannome di “Terrore degli Oceani”, proprio per la sua propensione a non lasciare testimoni né a fare prigionieri durante le sue nefande scorribande, condite da torture, omicidi e devastazioni.
Eppure lei, a discapito di ogni peggiore previsione, era ancora viva. Anche se non poteva sapere per quanto ancora lo sarebbe rimasta.
L’avevano tenuta in ostaggio dentro quella specie di acquario, che dubitava potessero aver costruito apposta per lei, considerato che nessuno in giro conosceva il suo segreto; doveva essere già stato usato per qualcos’altro o per qualcun altro, in precedenza ...
La sua brillante mente razionale non ne poteva più di essere vessata da quel turbinio di incongruenze!
Una luce fioca e sulfurea danzava nelle lanterne pendenti dalle scrostate pareti in legno d’acero di quei corridoi cunicolari, contribuendo ad attanagliarle il petto in una morsa di angoscia, tensione e impotenza quasi insopportabili.
Il luogotenente Zarbon, che li aveva scortati, bussò sull’uscio della cabina del comandante, ossequiandolo, mentre i due giovani malfattori attendevano di ricevere il suo benestare per entrare. Ricevuta una stringata risposta affermativa dall’interno, le diedero uno strattone affinché accelerasse il passo, scostarono discretamente la pesante porta e, non indugiando oltre il dovuto, scaricarono la prigioniera in malo modo su un tappeto, sfilandole le catene con cui l’avevano trascinata fin lì, ma lasciandole ai polsi un paio di ceppi che, bloccati dietro la schiena, la costringevano in una postura che accresceva lo sgradito sentore di essere pressoché inerme.
Per alcuni interminabili secondi Bulma ebbe la nitida impressione di essere osservata da una presenza invisibile, sembrava ovunque e in nessun punto in particolare di quella austera stanza, sommersa in un’infida e funerea penombra cui i suoi occhi, appannati da incipienti lacrime, stentavano ad adattarsi.
- Che cosa volete da me? – balbettò cercando di contenere i tremiti che la scuotevano, auspicando di non apparire sin troppo spaurita di fronte al suo imperscrutabile carnefice.
Con un fulmineo fruscio un individuo paludato si manifestò sotto il barlume incerto delle candele, approssimandosi a lei con incedere lento e silenzioso. Le strisciò intorno per un paio di volte, con fare inquisitorio e giudicante, un misto di supponenza e alterigia impresso sul volto pallido e scarno, ombreggiato dalla larga tesa del cappello.
La sua voce bassa, viscida e acrimoniosa la investì come una folata di schegge di vetro:
- Questa mi giunge nuova. Da quando in qua le sirene possono farsi crescere le gambe? Allora è così che vi nascondevate tra gli uomini. Oppure si tratta di un subdolo inganno … - presunse continuando a scrutarla circospetto – Che cosa sei tu?
A scapito di ogni prudenza, Bulma ricacciò il persistente groppo che le occludeva la gola, sbottando: - Potrei farvi la stessa domanda! Dicevano tutti che foste morto. Morto ammazzato, per la precisione – spuntò il mento, sfacciatamente e pericolosamente diretta.
Capitan Freezer ridacchiò, un risolino dispettoso, sardonico, intimamente divertito, che si spense di colpo: - È stato lui a raccontartelo? – le sputò contro astruso, mirando a irritarla e farle comprendere che sapeva parecchie cose sul suo conto.
- Mi avete già derubato della settima sfera! A quale scopo rapirmi? – fu la replica insolentita dell’ostinata prigioniera, che si dibatté come un pesce in debito di ossigeno.
Quell’aberrante donna dalla lingua assai tagliente e dall’appariscente chioma acquamarina, sebbene minuta e dotata di una misera capacità offensiva, pareva possedere uno spirito fiero e indocile, restio a farsi prendere gioco da qualcuno o a piegarsi ad una altrui volontà. E ciò lo intrigava molto, specialmente avendo avuto prova che lei e il suo ex pupillo, il cui carattere era altrettanto irascibile e impetuoso, avessero imprevedibilmente stretto un qualche tipo di accordo o tacita tregua, tanto da non essersi ammazzati.
Gli occhi ferrigni del redivivo Capitano della Ice Lord sovrastarono con derisione il suo strenuo e patetico tentativo di rialzarsi: - E dimmi, il caro Vegeta ti ha raccontato anche del suo maleficio? Ti ha detto che deve uccidere una creatura azzurra e cibarsi delle sue carni per liberarsene? – sibilò impietoso, in un pungente afflato al vetriolo.
La sirena smise di divincolarsi, restando distesa su un fianco: - Come …?
Freezer sogghignò malevolo, beandosi per qualche secondo della sua espressione evidentemente frastornata e disperata; poi si diresse con indifferenza verso un tavolo, servendosi un grappolo d’uva rossa che cominciò a spiluccare:
- Dovresti essermi grata per averti tratto in salvo dalle sue voraci fauci – la provocò indefesso, con scherno mascherato da finta commiserazione.
Bulma si rigirò sulla schiena, scuotendo la testa, per niente disposta ad accettare quella scomoda verità, che pure aveva presentito inconsciamente dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati e i loro respiri sfiorati. Quella fitta allo stomaco che provava in sua presenza era chiaro le stesse comunicando un messaggio inconfutabile per i suoi sensi, che il suo ottuso romanticismo però non aveva saputo ben interpretare o aveva voluto ignorare e negare.
Dopotutto era stato lui stesso a farle quella rivelazione, mentre con uguale bramosia stavano lasciandosi andare alla passione.
Da parte sua non c’era stata vera attrazione. L’aveva soltanto usata.
Eppure l’acredine, la conflittualità, la repulsione reciproca che vi erano state agli inizi tra lei e quell’uomo deprecabile, col passare delle settimane e con l’accumularsi delle leghe marittime si erano mutate in qualcos’altro. Una connessione, un'alchimia. Non avrebbe saputo definire esattamente cosa fosse, o forse semplicemente non era sicura di volergli dare una definizione tanto scontata.
Ad ogni modo, la conquista di quell’ultima sfera se l’era sudata tutta, era stato difficoltoso arrivare a destinazione, e non poteva credere che per tutto il tempo aveva rappresentato soltanto una pedina sacrificabile all’interno della sua opportunistica strategia.
Dovette sforzarsi di impedire a quell’amara delusione di pervaderla e sopraffarla, facendola cedere ad un inopportuno piagnucolio.
- Quindi è questo il vostro piano? Volete usarmi come esca? Beh, state pur certo che Capitan Vegeta non ci cascherà mai! – gli strillò contro con enfatica esasperazione, puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, per risollevarsi e dardeggiare uno sguardo sfrontato su di lui.
Le spalle curve di Freezer ondeggiarono, dalla sua gola uscì un suono stridente che si mutò in una grassa risata, pregna di mefistofelica compiacenza: - Esilarante! Pensi davvero di conoscerlo meglio di me? – sbottò supponente protendendosi verso di lei – Quello non è un uomo, è un abominio. Una belva assassina priva di sentimenti, sospinta unicamente dai suoi istinti primari. È soltanto un sadico e insaziabile assassino. È questa la sua natura – replicò schiumando un malanimo che trasudava del manifesto rancore personale.
Con un sibilo si gettò alle spalle il voluminoso mantello viola che lo copriva, rivelandole il suo corpo deforme e seminudo, sfregiato da molteplici repellenti cicatrici di ustioni e tagli.
La piratessa dovette distogliere le pupille, sconcertata da quei solchi profondi che scavavano la carne viva, quasi come quelle terribili ferite fossero appena state inferte, con disumana e indemoniata brutalità.
- Sei tu la sua preda designata, adesso. Perciò sta pur certa che molto presto verrà a reclamarti – riprese a parlare l’albino, ravvolgendo nella pesante cappa il suo raccapricciante aspetto – Ma io non permetterò che ti uccida, non prima di aver ottenuto tutte le sette sfere e di aver espresso tutti i miei tre desideri. Fino ad allora, mi servirà che tu resti viva. O chissà, magari invece potresti tornarmi utile e deciderò di risparmiarti – sussurrò con ambigua ponderazione, chinandosi su di lei e facendo scorrere un sottile dito unghiato lungo il suo collo.

Era una mattinata assolata e ventosa, ideale per la navigazione in alto mare, che procedeva spedita e senza intoppi sin da quando si erano allontanati dalle acque impervie e stagnanti di quella remota regione insulare. Sulla Speedy Cloud ognuno aveva il suo bel da fare, tra cime da assicurare, vele da tesare, assi da strigliare o riparare, armi da lucidare o da sottoporre a ordinaria manutenzione.
Goku si spostava come una trottola da prua a poppa, su drizze e pennoni, coffe e stralli, prestando di buon grado una mano ai compagni anche nelle più piccole incombenze quotidiane, non approfittando mai del suo rango di primo ufficiale per oziare o dettare legge. Ed erano proprio quella sua spiccata umiltà e la mancanza di vanagloria a renderlo tanto benvoluto tra la ciurma, che lo considerava un loro pari.
Anche se quel giorno percepiva che qualcosa fra loro si era incrinato.
Quegli uomini, verso i quali non aveva mai tradito il suo giuramento di protezione e fedeltà, uomini che un tempo non avrebbero minimamente esitato ad affidargli la propria vita, adesso parevano diffidare persino della sua capacità di stringere un semplice nodo d’arresto o della sua perizia nel ripulire la canna di un moschetto.
Tutti lo guardavano con sospetto e disappunto prendendone quasi le distanze da che aveva condotto con sé quel controverso individuo. Aveva pensato che, se la sua vecchia amica di gioventù in qualche modo ci si era alleata, quel criminale non dovesse essere poi tanto intrattabile e incivile. Era sempre stato convinto che con il dialogo e con la correttezza si potesse ottenere molto di più, piuttosto che con una lotta senza quartiere.
Incassato l’ennesimo diniego ad una sua benevola offerta d’aiuto, il giovane tenente Son si rassegnò a rimanere affacciato alla balaustra, facendosi schiaffeggiare la faccia dalla fresca brezza salmastra, finché una voce rasposa non lo chiamò in causa: - Progressi col nostro stimabile prigioniero?
Era stato il Capitano Muten a strapparlo al suo monologo interiore e ora lo stava fissando con le labbra rugose serrate in una smorfia di disapprovazione.
- Stavo giusto per andare a parlargli – si premurò di rassicurarlo con tono deciso e risoluto, mettendosi istintivamente sull’attenti.
- Il tempo stringe – gli rammentò brusco il vecchio comandante, assestandogli un ammonitorio colpetto di bastone sugli stinchi.
Goku soffocò un gridolino di dolore e ubbidendogli si avviò rapidamente al boccaporto, scendendo verso la parte più bassa del vascello.
Alla fine era prevalso il voto di chiedeva che i pirati catturati, dieci in totale, per precauzione fossero trasferiti e rinchiusi nelle prigioni di bordo e guardati a vista da un pari numero di piantoni, per scongiurare possibili rivolte.
Lì sotto gli spazi erano limitati, soffocanti, l’aria umida e stantia impregnata dell’acre odore del sego delle candele, il cui flebile chiarore che si spandeva tra le sbarre rendeva l’atmosfera asfissiante e sonnolenta. Condizione che sicuramente non contribuiva a mitigare il pessimo umore di chi vi era tenuto segregato.
Tuttavia non si udivano lamenti, invettive o proteste, soltanto un sommesso mormorio, intervallato dal rumorio di passi, dallo sgocciolare della cera e dal fischio degli spifferi del vento che s’infiltrava tra le paratie.
Il giovane ufficiale si schiarì la gola, avvicinandosi ai ligi e tesissimi soldati impegnati nel servizio di guardia: - Tutto a posto, ragazzi?
- Affermativo tenente. Tutto sotto controllo – risposero prontamente due di loro, arrestando la ronda e stringendo i fucili al petto.
Goku li pregò di rompere le righe: - Prendetevi pure tutti quanti una pausa. Resto io qui con loro – li invitò consegnando il cinturone con le armi a un secondino.
- Ma signore, il Capitano … – balbettarono unanimemente disorientati, non propendendo a lasciare le loro posizioni.
Il luogotenente però ripeté con assidua serenità: - Andate – al che i marinai si scambiarono delle occhiate incerte per poi decidersi a congedarsi lentamente con un cenno di deferenza, sebbene alcuni di loro rimasero comunque nelle vicinanze, a garanzia di maggiore sicurezza.
Goku si avvicinò alla cella in cui si trovava il prigioniero dalla peggiore nomea, quello che più di tutti gli altri si temeva potesse creare seri problemi durante la detenzione.
Era stato deciso di metterlo ai ferri, ma lui che ci aveva duellato ed era stato testimone in prima persona della sua dirompente forza, capiva benissimo che avrebbe potuto spezzare quei catenacci in qualunque momento se solo avesse voluto.
Nonostante ciò, se ne stava seduto seraficamente su una panca di legno, a braccia e gambe incrociate, un’espressione di inattaccabile superiorità dipinta su quel volto indecifrabile.
- A quanto pare io e te siamo gli ultimi due saiyan esistenti sulla faccia della Terra – lo approcciò vago, non sapendo bene come rompere il ghiaccio, oltre che mosso da una genuina curiosità.
Il pirata non lo degnò neppure di un’occhiata, limitandosi a sbuffare un risentito: - Tsk.
Goku si passò un dito sul setto nasale: - Io l’ho scoperto da poco, sai. Di appartenere alla tua stessa stirpe. Ma sono nato altrove.
Vegeta questa volta gli rivolse l’imitazione di un sorriso: - Tu pensa …
- Tu, invece? Ricordi qualcosa del nostro paese? – incalzò ancora a domandare il giovane ufficiale, provando a portare avanti una chiacchierata come se tra loro non vi fossero barriere e non vi fosse mai stata inimicizia.
- Poco – smozzicò quello evasivo, dando già segno di starsi innervosendo per quell’importuno interrogatorio mascherato da amichevole chiacchierata, soprattutto perché non ne coglieva la finalità.
Ma il suo incauto interlocutore non pareva avere alcun senso della misura nella sua spropositata insulsaggine: - Sei stato allevato da Freezer, vero?
- Vi insegnano a fraternizzare con il nemico, o è soltanto una tua malsana predisposizione? – ribollì a quel punto l’ostaggio, alzandosi di scatto e facendo stridere le catene che gli bloccavano caviglie e polsi.
Goku si ritrovò i suoi occhi di onice appiccati addosso, e in quel momento pensò che il bagliore ardente nel suo sguardo intimidatorio lo rendesse più simile a una fiera che ad un uomo. Tuttavia non riusciva a provare del sano timore.
- Tu conosci bene Capitan Freezer, perciò devi esserti fatto un’idea del perché abbia rapito proprio Bulma – continuò ad argomentare, quasi credendo che la scelta delle parole più neutrali potesse essere un grimaldello per convincerlo ad aprirsi.
- Quella sciocca donna si è semplicemente trovata in mezzo tra lui e la sfera – latrò con sprezzo il filibustiere, voltandogli le spalle. Il sorgere della luna nuova si avvicinava ogni ora di più e lui era terribilmente affamato, tanto che se quel seccante ragazzo avesse continuato a subissarlo con le sue saccenti illazioni, non avrebbe risparmiato di strappargli a morsi qualche arto, anche se era sicuro che sarebbe stato un boccone insipido.
- Beh, allora Freezer avrebbe potuto semplicemente eliminarla, non credi? – insistette a dissentire il cocciuto ufficiale.
Vegeta digrignò la mascella, ma, con suo rammarico, dovette riflettere sulla sensatezza di quella considerazione. Freezer era sempre stato un freddo calcolatore, non lasciava mai niente al caso. E dunque doveva esserci necessariamente una ragione valida e ben precisa dietro la sua volontà di incaricare qualcuno del rapimento di quella detestabile donna.
Che avesse in qualche maniera scoperto il suo segreto? E se così fosse, cosa stava ordendo?
- A quanto ne so, il Terrore degli Oceani è un tipo che non si fa scrupoli a trucidare innocenti. Ho sentito storie orribili sul suo conto – continuò ad addurre il loquace marinaio – Tu, piuttosto, perché l’hai rapita?
Il pirata smise subito di tastarsi il braccio da lei medicato: - Mi serviva … Quello che sapeva. Non l’avevo rapita – mormorò tutto d’un fiato, le orecchie che fumavano; quegli invadenti interrogativi stavano mettendo a dura prova il suo già precario autocontrollo.
- Ti serviva per rintracciare le sfere – evinse sorridente Goku, contento di sé per come stava pian piano ottenendo la sua insperata cooperazione.
- Io e Bulma negli ultimi mesi insieme avevamo recuperato tre sfere – s’interpose Yamcha, che da qualche minuto si era spinto sin laggiù ed era rimasto qualche metro indietro ad ascoltare il loro animato diverbio – Andava tutto a gonfie vele, prima che ci impelagassimo con questo bastardo qui – recriminò col dente avvelenato, scoccando al rivale un’occhiata colma di disdegno, interiormente lieto che le loro posizioni si fossero infine capovolte.
- Sì, lo so – esclamò con sicumera il tenente Son, appoggiandosi con la schiena alla parete e facendogli spazio accanto a lui nello stretto corridoio in cui sostava – Avevo nascosto quelle sfere in un posto sicuro – rivelò candidamente.
Il galeotto col volto segnato dalle cicatrici allibì: - Cosa?! Era a te che le aveva affidate? Questo non me lo aveva detto … – si rattristò, umiliato nello scoprirsi inconsapevole vittima di un altro inganno perpetrato dalla donna che credeva di amare.
- Quell’imbrogliona patentata ci ha preso tutti indistintamente per il culo – commentò con causticità il saiyan recluso, accorgendosi di provare tuttavia una strana ammirazione per la sua indiscussa fastidiosa bravura.
- Comunque si sono spostate – affermò con rincrescimento Goku, grattandosi una tempia e assumendo un’espressione meditativa.
Vegeta gli si avvicinò da dietro le sbarre, scrutandolo come se potesse trapassarlo con le sue sclere divenute nerissime: - In che senso “spostate”?
- Credo che qualcuno le abbia trovate – affermò l’altro, stringendo le dita sul magico manufatto che gli pendeva dalla fusciacca – Si avvicinano a noi. Me ne sono già accorto qualche giorno fa.
Yamcha imprecò sottovoce, portandosi una mano alla fronte in un moto di resa e desolazione. La brutta faccenda in cui erano coinvolti continuava maledettamente a complicarsi, ma quello strampalato marinaio d’acqua dolce pareva prendere tutto quanto con sin troppa sbadataggine.
- È palesemente opera di Freezer! Lo sporco codardo non si è neanche degnato di farsi vedere! Ci sta tendendo una trappola! – vomitò come un’onda schiumante di veleno il truce pirata, restando a stento confinato nel ristretto perimetro della cella.
Il paziente secondo di bordo invece non abbandonò l’atteggiamento composto e controllato mantenuto finora: - Sai per caso se ha un covo da queste parti, in cui sia solito mettere la sua nave alla fonda? Oppure pensi che preferirà coinvolgerci in una battaglia?
Vegeta assottigliò lo sguardo; non poteva farsi offuscare dall’istinto omicida, doveva usare oculatezza: - Non mi hai ancora detto cosa ci guadagno – inclinò la testa, osservandolo in modo penetrante dalle punte dei capelli a quelle degli stivali.
- Tu non me lo hai chiesto – ribatté irriflessivamente Goku, capendo troppo tardi che stava per impegnarsi in una promessa che per il bene suo e di altri non avrebbe dovuto accettare.
I lineamenti marcati del filibustiere si distesero, mentre un luccichio diabolico affiorava tra i suoi occhi e i suoi denti: - La tua bussola. E la sua nave.



Sirena-azzurra
   
 
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