Tom era ancora profondamente addormentato
nel suo caldo lettino a castello, nonostante fosse ormai mattina e il sole
novembrino brillasse piuttosto vivace nel cielo.
All’improvviso Billy, lo scoiattolino che
dormiva sotto di lui, si arrampicò sulle scalette del letto e scosse Tom per le
spalle.
“Tom, Tom! Svegliati!”
“Mhmm…”
Il tanuki si girò verso il muro e
continuò a dormire.
“Dai, Tom! Oggi arriva un nuovo bambino!”
Quelle parole instillarono una scintilla
di curiosità nel cucciolo dal pelo castano, così aprì gli occhi e si
stiracchiò.
“Davvero? Chi l’ha detto?” domandò.
“La signorina
Susan. La direttrice Laura ha detto che fra un’ora sarà qui.”
Dopo essersi lavato, vestito e aver fatto
colazione, Tom si recò insieme agli altri ospiti dell’orfanotrofio nel salone
principale dell’edificio, in attesa che arrivasse il nuovo compagno.
C’era un notevole fermento tra i
ragazzini, con tentativi di indovinare la specie e l’età del nuovo arrivato, e
anche aspettative sugli sport da praticare assieme a lui.
Dopo qualche minuto, si udì un suono di
tacchi e i trenta ospiti del Raggio di Sole si acquietarono istantaneamente.
Laura aveva un’aria sorridente, e come
sempre era impeccabile nel suo tailleur blu notte e l’ombretto lilla.
Dietro di lei c’era Susan, la quale
teneva per la zampa un cucciolotto arancione dall’aria vispa.
Laura si pose dietro al microfono
dell’aula riunioni, e cominciò a parlare:
“Cari ragazzi, oggi siamo qui riuniti per
accogliere tra di noi il qui presente Volpolo. Lui viene da Citadelle, ha otto
anni e spera di diventare vostro amico. Per favore, fate del vostro meglio per
aiutarlo a inserirsi. Le lezioni riprenderanno dopo pranzo. Buona giornata a
tutti!”
Tom si focalizzò su Volpolo: era un
kitsune dall’aria sorprendentemente angelica, il ché era piuttosto singolare,
dato che nei libri di fiabe che aveva letto i kitsune erano volpi dai ghigni
malefici e il pelo arruffato. Volpolo non era niente di tutto questo: aveva due
graziose orecchie color crema, gli occhi stretti e neri, il musino appuntito. Indossava
una maglia a maniche lunghe nera e un paio di jeans. Sembrava talmente piccolo
e indifeso da far venire voglia di abbracciarlo.
Dopo un po’, la
folla si disperse e i ragazzi si dedicarono a sistemare le loro stanze, mentre
Susan aiutava Volpolo a sistemarsi, in una camera vicina a quella di Tom e
Billy.
Il giorno dopo, agli alunni delle
elementari venne chiesto di rappresentare un cartellone con un albero dai
colori autunnali.
Vennero fatti spostare i banchi, e la
maestra stese a terra un cartellone bianco, sopra il quale aveva tracciato a
matita un grande albero con la chioma che andava gradualmente a perdere foglie.
Alla spicciolata, i dieci alunni dai sei
agli undici anni si disposero attorno al cartellone, ognuno con diversi fogli
bianchi, sopra i quali avrebbero disegnato e colorato le foglie da incollare
sull’albero.
Tom aveva già iniziato a disegnare,
quando si sentì toccare la spalla:
“Scusami, mi presteresti la gomma?”
Era Volpolo, il bambino nuovo.
“Oh… Certo.”
“Grazie.”
Il ragazzino dal pelo arancione cancellò
alcune nervature, e Tom ne approfittò per osservare la sua foglia: era veramente
bravo, preciso per essere un bambino di soli otto anni, il ché gli diede da
pensare che potesse amare il disegno.
“Sei bravo!” gli disse infatti, e Volpolo
sorrise.
“Grazie, mi è sempre piaciuto molto
disegnare.”
Il cane procione
gli sorrise di rimando ed i due ripresero con il loro lavoro.
Dopo due giorni di impegno, l’albero
autunnale fu terminato e collocato sopra una parete all’ingresso del Raggio di
Sole.
Il tronco era stato dipinto con della
tempera marrone, mentre le foglie mostravano le trame più disparate: c’era chi
le aveva colorate con un leggero tratto di pastello, chi aveva calcato col
pastello a cera, chi aveva usato i pennarelli, chi gli acquerelli…
I dieci bambini batterono le mani nell’osservare
il loro operato e ricevettero i complimenti anche dai ragazzi più grandi.
“Ottimo lavoro, bambini. Oggi pomeriggio
vi aspetta il club di lettura.” li informò la direttrice Laura, prima di andare
nel suo ufficio.
Tom ricevette di nuovo un colpetto sulla
spalla:
“Siamo stati bravi, vero?”
Il tanuki sorrise, trovandosi davanti di
nuovo quel simpatico volpacchiotto.
“Sì sì,
bravissimi!”
Tom e Volpolo si sedettero vicini mentre
la maestra Jolie, una giovane e gentile antilope, leggeva la fiaba che aveva
tra gli zoccoli.
Avevano fatto amicizia e si sorridevano
spesso, commentando a bassa voce qualche passo del racconto.
Ad un tratto, però, la narrazione prese
una piega inaspettata:
“E
la mamma prese tra le braccia il suo piccolo Echo e gli sussurrò con tenerezza
di non avere paura, che il temporale sarebbe passato presto e sarebbe potuto
tornare a nuotare nel mare assieme agli altri delfini. Echo la guardò con i
suoi occhi cerulei e le lacrime smisero di scorrergli sulle guance. Allora le
diede un piccolo bacio e l’abbracciò stretta.”
“Che cosa vuol dire ceruleo?” aveva chiesto uno degli alunni.
“Significa azzurro come il cielo.” rispose Jolie, con dolcezza.
Tom aveva altri pensieri; lui non aveva
memoria di sua madre, non ricordava il calore del suo abbraccio, il tepore dei
suoi baci, il suono della sua voce.
“Mi sarebbe piaciuto conoscere lei e papà…”
aveva sospirato, facendo dondolare le zampe giù dalla sedia.
Per Volpolo era tutta un’altra storia.
Sentire parlare di una madre amorevole,
per quanto fittizia, era per lui un trauma non indifferente.
La sua era sparita, l’aveva abbandonato
come una scarpa vecchia, e anche quando vivevano insieme i momenti di affetto
madre-figlio erano stati veramente risicati.
Gli era venuto da piangere e Jolie se n’era
accorta.
“Tutto bene, Volpolo? Stai male?” gli
aveva chiesto, alzandosi dalla cattedra per andare a consolarlo.
“La mamma mi ha lasciato da solo! E’
stupida!” aveva gridato, e c’era un tale dolore in quelle parole, una tale
rabbia, da aver fatto restare annichiliti tutti i presenti, maestra compresa.
Jolie l’aveva abbracciato:
“Oh, tesoro, sono sicura che la tua mamma
non avrebbe voluto fare così, ma non ha avuto scelta…”
Le lacrime seguitavano a scendere dagli
occhi del piccolo.
“Ti senti meglio?” gli domandò, con
sincera partecipazione.
Volpolo annuì, e
non poté fare a meno di notare quanto calore in più avesse quella maestra
rispetto alla sua madre scapestrata.
Nel corso delle settimane Volpolo fece
amicizia con vari ospiti dell’orfanotrofio, grazie anche al supporto di Tom.
Gli piaceva giocare a calcio, disegnare e
mostrare le proprie creazioni, ed anche cantare le canzoni in compagnia.
A Tom faceva piacere vederlo così ben
inserito, e anche vedere che la tristezza dovuta all’abbandono della mamma
stava lentamente acquietandosi.
La sera, prima di andare a dormire, a
Volpolo piaceva entrare nella stanza di Tom e Billy a raccontare storie buffe e
divertenti, disegnare loro i ritratti, oppure semplicemente augurare loro la
buonanotte con un abbraccio di gruppo.
Una sera, poco prima della Festa dei
Giocattoli, Billy sorprese entrambi con un annuncio importante:
“Fra una settimana verranno a prendermi.
Avrò una mamma e un papà!”
La felicità riflessa in quel topolino
color menta di cinque anni era tangibile, quasi come se fosse composta di
materia solida.
I due bambini più grandi, seppur
immalinconiti da quella futura partenza, gli accarezzarono i capelli castani:
“Siamo tanto contenti per te!”