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Autore: Iaiasdream    27/07/2022    0 recensioni
Vincenzo Gargano, ricco novantenne proprietario terriero, muore lasciando tutti i suoi averi al figlio Diomede e ai due nipoti Stefano e Carmine, a patto che a scadenza di un anno dalla sua morte, uno dei due prenda moglie.
Per non rischiare di perdere tutto, poiché Stefano dieci anni addietro tagliò i ponti con l'intera famiglia, Diomede cerca di affrettare i tempi accettando la proposta di sua cugina Rita Ferrara, facendo sposare Carmine con la procugina Marella.
Il giovane, però, è contrario, poiché innamorato di Arianna, figlia adottiva del cugino di suo padre, da tutti chiamata Aria.
Carmine sembra propenso a non voler piegarsi a quel obbligo e decide con la sua amata di scappare insieme, ma il destino sembra essergli avverso e proprio il giorno previsto per il matrimonio, degli imprevisti inaspettati cambieranno i loro progetti.
A complicare la situazione è anche il ritorno di Stefano, il quale porta con sé un segreto che riguarda Arianna e che insieme dovranno scoprire poiché prima di morire, Vincenzo era propenso a rivelare qualcosa di sconvolgente.
Tra misteri, intrighi e passioni, non mancherà il forte sentimento che travolgerà i due giovani.
Tutti i diritti sono riservati
Genere: Erotico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Capitolo 10

Mina si tinse le labbra con un rossetto dal colore rosso fuoco.
Si guardò allo specchio mandando un bacio verso la sua figura riflessa. Si vide bella, a parer suo perfetta e perché non farlo vedere agli altri, ai suoi compagni di scuola? Sicuramente Federico Olivieri, il tipico bulletto bello e dannato, l’avrebbe ricoperta di complimenti.
Sorrise al pensiero, ma non era da lui che voleva essere elogiata. L’oggetto dei suoi pensieri era un altro, molto più bello di quella massa di immaturi che frequentavano il liceo. Ed era stato esclusivamente per lui che si era agghindata in quella maniera.
Aveva indossato un abitino che dava molta libertà all’immaginazione, poi aveva raccolto anche i capelli in una coda alta. Si era abbellita solo per tentare di far colpo su Stefano.
Dopo la partenza di sua sorella con Carmine, a cui il fotografo non aveva degnato nessuno della sua presenza, Mina l’aveva visto uscire dal cancello con una tenuta da jogging e allontanarsi indifferente. A quel punto, si era immaginata cosa sarebbe potuto succedere tra di loro se, al suo ritorno, gli si fosse presentata in tutto il suo splendore. Per questo era corsa in bagno, per prepararsi.
Ogni tanto dava un’occhiata fuori dalla finestra per vedere se il giovane ritornasse, ma quando lo vide comparire davanti al cancello, si stava ancora truccando, così principiò ad accelerare i preparativi.
Cambiò piano; decise che sarebbe andata da lui, entrando direttamente in casa sua.
Purtroppo, quando fu pronta e si incamminò verso la tenuta dei Gargano, non avrebbe mai potuto pensare che nulla di quello che si era pianificata potesse avere seguito, infatti, non appena svoltò l’angolo, dovette fermare i suoi passi in seguito all’uscita fulminea di Arianna.
La vide correre verso il cancello, sembrava avere il diavolo alle calcagna e non volle sbagliarsi, ma era convinta che stesse anche piangendo.
La cosa, però, che la fece imbestialire non fu il vederla uscire dalla casa dei parenti, bensì la comparsa di Stefano che la raggiunse poco dopo, afferrandola per un braccio e voltandola verso di sé.
Mina, prontamente, si nascose dietro al muro, ma li spiò cercando di sentire cosa si stavano dicendo.
Fortuna volle che le loro voci furono udibili.
«Cos’è successo?» le chiese Stefano, tenendola per le spalle, mentre lei si dimenava.
«Lasciami andare! – gli urlò – ti ho detto che non voglio avere più nulla a che fare con voi!»
«Cos’è successo? – replicò il fotografo – è stato mio padre?»
Quell’ultima domanda, Mina non la comprese, vide solo che la ragazza riuscì a liberarsi dalla presa, tirò uno schiaffo al giovane, urlandogli contro di non azzardarsi mai più a toccarla, e poi se ne andò.
Si sentì la rabbia fiottargli nel cervello. Come si era permessa quella bastarda di alzare le mani verso quel giovane? Si chiese, ma soprattutto: che cosa ci faceva in quella casa e con lui?
L’istinto le consigliò di raggiungere Stefano, il quale se ne stava fermo lì a guardarla mentre si allontanava, e chiedergli spiegazioni, ma non appena accennò un passo, il fotografo si incamminò prendendo la stessa direzione di Arianna.
Mina era furiosa.
Strinse i pugni, affondando i denti sul labbro inferiore e, pestato un piede sul ciottolato, ritornò a casa sua.
Entrò furibonda nel boudoir di sua madre che se ne stava seduta sulla poltrona a sfogliare un giornale di moda, e si sdraiò sul triclinio, incrociando le braccia al petto e imprecando verso Arianna.
Rita, che l’aveva vista entrare, ma aveva subito rivolto lo sguardo verso il giornale, le chiese che cos’avesse senza però darle troppa importanza, conosceva a memoria i capricci di sua figlia e, di sentirla lamentarsi ogni santa volta di tutto ciò che la circondava o riguardava, non ne aveva voglia.
«Quella maledetta bastarda!» sbraitò a quel punto la ragazzina, per non farsi scappare l’occasione.
«Che cosa ti ha fatto, questa volta?» ribatté la madre dopo aver sospirato e dopo aver compreso con chi ce l’avesse.
«Entra ed esce dalla casa di tuo cugino come se fosse la padrona!»
A quelle parole, la pagina che Rita stava girando, scricchiolò tra le sue dita. La donna si alzò di scatto, in seguito al ricordo della sera precedente, lasciando che il giornale cadesse sul pavimento e, lanciando un sguardo truce verso la figlia, la intimò a ripetere ciò che aveva detto.
Lì per lì, Mina fu spaventata dall’improvviso atteggiamento di sua madre e le parole le morirono in gola, ma sapendo di non poter contraddire la donna, l’accontentò e ribadì ciò che aveva detto pocanzi.
Rita non le permise di finire la frase che, digrignando i denti e maledicendo la figliastra di suo fratello, uscì dal boudoir sbattendo la porta e lasciando sua figlia impietrita e confusa alla quale, malgrado tutto, bastarono una manciata di secondi per metabolizzare la situazione, così si alzò e seguì sua madre.
 
***
 
Quando Rita fece irruzione nello studio di suo cugino, quest’ultimo era davanti al lungo specchio a fissarsi la parte del collo che precedentemente Arianna gli aveva puntato col tagliacarte, minacciando insicura di affondarglielo nella carne, e ora se ne poteva scorgere un piccolo segno rosso.
L’uomo, ancora immerso nei suoi infimi e maliziosi pensieri rivolti alla ragazza, non fece nemmeno caso alla donna che continuava a urlargli alle spalle, fino a quando non la vide riflessa nello specchio, la quale tentava di avvicinarsi per farlo voltare.
Non le diede modo di toccarlo, che si volse di scatto, guardandola con freddezza.
«Che cosa non ti fu chiaro di quello che ti dissi ieri sera?!» urlò, forse ripetendo quello che Diomede non aveva ascoltato. Di fatti, egli, volgendo le sue sfere di ghiaccio verso la scrivania, sorpassò sua cugina con noncuranza.
A quell’atteggiamento, la donna ebbe la sua isterica reazione: riuscì appena ad afferrargli un lembo della manica della camicia, e le unghie ben curate gliela strapparono nel movimento, ma non per questo provò dispiacere e nemmeno l’occhiata truce che le scoccò il cugino riuscì a scalfirla. Continuava a fissarlo come a voler pretendere da lui il maggior rispetto perché, come aveva detto la sera precedente, lo teneva in pugno, almeno lei ne era convinta, ma non aveva calcolato la quantità di furbizia che riempiva la mente di Diomede Gargano, il quale, nonostante stesse perdendo la pazienza e vedesse ormai sua cugina come un gingillo inutile da scartare, sapeva che accontentandola sessualmente, sarebbe riuscito a tenerla a bada, così, invece di incavolarsi per quell’atteggiamento, tramutò espressione sorridendole con sensualità.
«Che ti prende?» le chiese poi, atteggiandosi a scettico.
«Non prendermi per il culo, Diomede! – rispose quella incrociando le braccia al petto – te lo dissi anche ieri. Che cazzo ci faceva quella puttana, qua dentro?»
«Chi?»
«Ti ho detto che non mi devi prendere per il culo! – ora, la voce della donna era incrinata e un angolo delle labbra tremava in un fastidioso tic – rispondimi!»
L’uomo, inscenando un atteggiamento calmo e comprensivo, le si avvicinò per poi accarezzarle la guancia e tranquillizzarla dicendo: «Ho un piano per il nostro futuro. Non farmi altre domande, ma soprattutto non essere gelosa.»
Rita conosceva benissimo il carattere di Diomede e sapeva che a ogni altra domanda che avesse posto, lui non avrebbe risposto, così, mordendosi il labbro inferiore, volle anch’ella inscenare qualcosa solo per il gusto di vedersi coccolata, così si rese ancora più gelosa e scansò bruscamente il gesto dell’uomo e si allontanò.
Quella carezza le aveva destato voglie peccaminose e tirarsela un po’ prima di arrivare al dunque la eccitava.
«Quella puttana! – urlò da brava attrice – vuole rovinarmi la vita! Ecco cosa vuole! E tu l’acconsenti!» e blaterando le scappò anche qualche lacrima, al ché, Diomede accettò il copione, le si riavvicinò abbracciandola, le sue mani scesero fino ai glutei e glieli strinsero strappandole un gridolino di sorpresa, poi la voltò di spalle insinuandole una mano nella gonna per raggiungere il monte di Venere e prima di concederle la sua virilità, la vide che ghignava soddisfatta riflessa nello specchio.
 
***
 
Non era del tutto convinta di aver compreso la discussione tra sua madre e Diomede. Nonostante questo, aveva sentito alla perfezione le parole di lei.
“Quella puttana! Vuole rovinarmi la vita!”
Certo, l’udito non l’aveva ingannata, e sapeva che quelle parole erano rivolte ad Arianna. Anche se non era sicura di aver capito il perché sua madre si fosse agitata in quel modo, la sola ragione per la quale quell’orfana metteva in subbuglio la vita dei parenti, a Mina bastava e avanzava per tentare con tutte le sue forze di fargliela pagare.
Che sua madre si fosse infuriata per lo stesso suo motivo, o per un altro accese, nella mente della ragazzina, la voglia di fargliela pagare.
Dopo quella frase e dopo il silenzio che ne seguì, Mina, per non farsi scoprire, si allontanò dalla porta dello studio e uscì dalla tenuta dei Gargano con passi che parevano voler crepare il pavimento. Nemmeno i forti raggi del sole la scalfirono quando si ritrovò in giardino. Sembrava avvolta da un’unica lingua di fuoco, talmente fiottava rabbia.
Si fermò per qualche istante a guardarsi intorno e, per sua sfortuna, non si accorse che dal cancello giungeva Stefano con passo lento. Quest’ultimo aveva le mani infilate nelle tasche e gli occhi puntati sul sentiero di ciottolato.
Aveva inseguito Aria, era riuscito a fermarla per farsi dire la verità, perché voleva la certezza dei suoi dubbi e cioè che suo padre le aveva messo le mani addosso. Ne era sicuro, d’altronde lo conosceva, ma lei non lo aveva aiutato, anzi, si era voltata bruscamente e per l’ennesima volta gli aveva intimato di lasciarla in pace.
Si erano fissati per poco, ma a lui era bastato quel lasso di tempo per leggere nei suoi occhi color nocciola la paura mischiata alla rabbia che le tingevano l’anima, quasi a volerla soffocare sotto forma di lacrime.
Ancora adesso si chiedeva perché non l’aveva fatto? Perché, malgrado avesse sentito il bisogno di abbracciarla e consolarla, non l’aveva fatto.
Ma poi, quando ormai lei era lontana, si era chiesto che cosa avrebbe realmente fatto se lei gli avesse dato la risposta che voleva?
Di certo avrebbe affrontato Diomede. Sì, ma poi?
Quei pensieri gli affollarono la mente con presunzione, tant’è che si sentì abbattuto e impotente. Si fermò alzando la testa al cielo sbuffando seccato, poi quando ritornò a guardare d’avanti a sé si accorse della figlia minore di Rita. All’iniziò la ignorò, ma vederla camminare come un soldato armato, lo incuriosì. La seguì con lo sguardo, fino a quando la vide sparire dietro l’angolo.
Non negò l’interesse di sapere dove fosse diretta vestita in quel modo, come dire… eccentrico, troppo esagerato per una ragazzina della sua età. Ma comunque non erano affari che lo riguardavano, così decise di ritornarsene in camera sua e distrarsi con la Reflex.
Da quando si era messo in viaggio da Firenze aveva pensato di fotografare il territorio millenario e raro dell’Alta Murgia, poiché alla sua ripartenza avrebbe voluto portare con sé il fascino della sua terra natia, plasmata di lunghi muri a secco, jazzi, neviere, chiese rupestri e necropoli. Anche se si era allontanato dal suo paese, anche se aveva preso una strada diversa da quella che la famiglia Gargano aveva tracciato per lui da quando era ancora in fasce, Stefano amava quella terra, ed era riuscito a nasconderlo agli altri, ma non a se stesso che aveva anelato il ritorno solo per rivederla.
La sua fermata nei ricordi, a un tratto, fu interrotta da un grido appaiato da un nitrito. Ritornato alla realtà scattò in avanti e raggiunse le scuderie, vide in lontananza il lipizzano bianco di Arianna galoppare via, e Mina stesa sul ciottolato che tentava a stento di rimettersi in piedi, ma le scarpe col tacco che indossava glielo impedivano, inoltre sembrava che si fosse slogata una caviglia.
Senza indugiare le si avvicinò per aiutarla, e non c’è bisogno di descrivere la reazione di lei quando lo vide chinarsi per prenderla in braccio. Se fino a quell’istante, si lamentava dai dolori alla gamba, la sola figura del fotografo le fu da antidolorifico. Gli occhi le si spalancarono dalla sorpresa e se solo Stefano avesse avuto un minimo d’interesse per lei, si sarebbe accorto anche che fremeva e il volto sembrava incendiare di passione. Invece, l’unica cosa di cui il ragazzo s’interessò fu sapere che cosa fosse accaduto e perché quella che doveva essere la giumenta di Arianna fosse scappata via.
Mina non ebbe il tempo di rispondere che al suo posto intervenne Enea, il quale le gridò contro maledicendola per ciò che aveva fatto!
A quel punto, il fotografo la lasciò scendere senza curarsi se riusciva a reggersi o aveva ancora bisogno di una mano e subito si rivolse al cugino chiedendogli di calmarsi e ripetere in italiano ciò che aveva detto, poiché fino a quel momento Enea aveva usato il dialetto stretto.
«Questa scellerata ha fatto scappare Tempesta! L’hai fatto apposta!»
«Non è vero! – si difese la ragazza – quello stupido cavallo mi ha spaventata!»
«Ma se ti ho vista mentre la uscivi dal suo box! Sai che Aria non vuole che si tocchi Tempesta!»
«E allora? Che cosa farà? Non è nemmeno padrona dell’aria che respira! Andasse a farsi fottere!»
A Stefano diedero fastidio le parole e l’atteggiamento di quella mocciosa, ma non volle reagire male, così sentendo che Enea continuava a preoccuparsi per la giumenta e per come l’avrebbe presa sua cugina scoprendo l’accaduto, si allontanò da loro, ignorandoli e s’incamminò alla ricerca di Tempesta seguendo le sue orme ben delineate sul terreno.
 
***
 
Si era lavata di nuovo la faccia con l’acqua della cascatella, e di nuovo il liquido cristallino aveva cancellato tracce della sua frustrazione. La ferita sullo zigomo aveva smesso di sanguinare e ormai si era formata la crosticina. Il dolore, però, non l’era ancora passato; non solo quello dello schiaffo ricevuto.
Aria sentiva come se da quella sera, da quando aveva avuto la consapevolezza di aver perduto per sempre l’uomo della sua vita, fosse stata strappata dalla sua reale esistenza per poi essere sbattuta in una che non sentiva sua. Voleva convincersi che quella che stava vivendo non era la sua vita, che forse si era addormentata ed era rimasta intrappolata in quel disgustoso incubo.
L’aver affrontato a testa alta quell’uomo viscido l’aveva resa orgogliosa per qualche istante, soprattutto di aver scoperto che, senza Carmine o suo padre, da sola era capace di far fuoriuscire quel coraggio che pareva non aver mai fatto parte del suo carattere. Ma non poteva negare la paura che continuava a sciorinare potere su di lei ogni volta che si trovava d’avanti Diomede, soprattutto dopo quello che aveva tentato ancora di farle.
E poi c’era Stefano.
Che ruolo aveva quel ragazzo in quel nuovo capitolo della sua vita? In quel capitolo che pareva lontano dal suo contesto.
Che cosa le aveva riservato il futuro? Non voleva porsi altre domande e per aiutarsi, chiuse gli occhi e si stese sul prato, purtroppo il buio non l’aiutò poiché il solo scroscio dell’acqua la riportò al ricordo di quell’amore che ormai pareva un fuoco fatuo.
Trattenne il respiro, si morse il labbro che intanto aveva iniziato a tremolare per il pianto che voleva ancora provare a fare la sua parte. Alla fine, stanca di quei sentimenti, riaprì gli occhi scattando in piedi.
Perché disperarsi così? Carmine non c’era e non ci sarebbe più stato per lei. Era inutile girarsi intorno alla ricerca della sua presenza, anche se si fosse buttata in acqua, lui non l’avrebbe raggiunta. Perché continuare a piangersi addosso?
Si passò il dorso della mano sugli occhi per cacciare le lacrime e, anche se ancora frustrata, prese una decisione: non sarebbe più andata alla cascatella.
Così facendo, avrebbe cancellato l’ultimo ricordo astratto che la legava a Carmine, ma non voleva più soffrire, giacché lui non aveva avuto problemi a lasciarla senza neanche una spiegazione.
Ma se fino a quel momento si stava quasi convincendo di essersi, se non del tutto almeno un po’, ripresa, quando tornò alle scuderie il suo cuore fu messo ancora una volta a dura prova.
Enea le raccontò della fuga improvvisa di Tempesta, però, per non mettere zizzania tra cugine, non le raccontò com’erano realmente andate le cose, si limitò solo a dirle che la giumenta era scappata.
Aria, che ci teneva molto all’animale, si ritrovò a precipitare nel baratro dell’ansia.
Iniziò a camminare avanti e indietro facendo domande alla rinfusa, alle quali il gemello non aveva tempo di rispondere che subito si sentiva chiedere altro, poi la ragazza, senza pensarci due volte, si avvicinò velocemente al box di Phobos e chiese a suo cugino di aiutarla a sellarlo.
Quando Enea tentò di dirle che non doveva preoccuparsi perché Stefano si era prodigato per cercarla, un nitrito e il rumore degli zoccoli invasero la stalla, catturando l’attenzione di entrambi i cugini.
Il lipizzano bianco attraversò il corridoio a testa alta, guidato da Stefano e si andò a fermare proprio davanti a loro.
Aria e il fotografo si fissarono negli occhi per qualche istante, mentre Enea tentava di spezzare quel pesante silenzio ringraziando il Cielo e Stefano, ma la giovane non fu contenta come suo cugino e, allontanatasi dal cancelletto del box, afferrò bruscamente le redini della giumenta e le strattonò per farle mollare dal fotografo, ignorando l’agitazione che iniziò a pervadere Tempesta.
«Scendi immediatamente!» strillò e la voce le tremava, tant’è che suo cugino Enea indietreggiò allibito, guardando ora lei, ora Stefano. Quest’ultimo sembrava impassibile, ma non se lo fece ripetere due volte e scese da cavallo mettendosi di fronte alla ragazza, la quale non esitò a mollargli un sonoro schiaffo sul viso, sorprendendo Enea che si portò una mano sulla sua guancia, forse intuendo il dolore che avrebbe dovuto sentire il giovane.
Stefano rimase col volto piegato a un lato, a guardare il cavallo di suo fratello e non ebbe alcuna reazione. A quel punto, Aria sbroccò: «Ti avevo detto di non avvicinarti mai più alla mia Tempesta! Che intenzioni avevi? Se volevi farti una passeggiata ci sono tanti altri cavalli!»
«Aria aspetta…» cercò di intervenire Enea per spiegarle il malinteso, ma il giovane accusato lo fermò dicendogli che non ce n’era bisogno e senza aggiungere nient’altro, volse i suoi occhi azzurri verso la ragazza e uscì dalle scuderie.
Aria lo vide allontanarsi. Aveva un groppo in gola e la mano che aveva usato per colpirlo le bruciava. Malgrado la sua rabbia si sentì in colpa per quello che aveva fatto, ma non volle sentir ragioni, nemmeno quando suo cugino riprese a parlarle deciso a dirle la verità.
 Rinchiuse Tempesta e uscì senza dire una parola, lasciando Enea amareggiato.
 
***
 
Se Diomede pensava che tenere a bada sua cugina bastasse solo appagarla sessualmente, non aveva fatto i conti con la sua furbizia, e come si sol dire a Murgella quando una persona “cammina con i vermi”, quelli di Rita erano lunghi abbastanza da farle mettere in moto quella mente che a parer di suo cugino era limitata.
Dopo aver avuto quel approccio consolatore, l’uomo si era recato in camera sua per lavarsi e aveva lasciato la donna sola nel suo studio. Al ché, la furba, si era subito data da fare per cercare tra le scartoffie del padrone di casa qualcosa per aggiornarsi sulle sue mosse, l’unica cosa che aveva catturato la sua attenzione era stato il cellulare che l’uomo aveva, forse sbadatamente, lasciato sulla scrivania ed era acceso per avvisare la notifica di una chiamata persa da parte del notaio Dedonno.
Una lampadina le si accese nella mente e, convinta di sfruttarla, uscì dallo studio con un sorriso sghembo stampato sulle labbra.
Quando entrò nel suo boudoir, non poté mettersi all’opera, poiché l’irruzione di sua figlia la distolse dai suoi pensieri.
Da quando Mina era nata, Rita non l’aveva mai vista in quelle condizioni: sporca di sterco, di paglia, con i capelli arruffati, e si chiese come si fosse ridotta in quella maniera soprattutto perché indossava ancora, quegli abiti alquanto succinti. Ma si era capito il suo disinteresse nel modo in cui vestiva sua figlia, ignorò finanche che zoppicava e che sicuramente avrebbe avuto bisogno di una fasciatura, anzi, per la seconda volta in quella giornata diede ascolto alle sue imprecazioni che coi nervi a fior di pelle era entrata scalciando ciò che restava delle sue scarpe col tacco. Malediceva dei cavalli, ingiuriava i suoi cugini e infine offese con parole volgari Arianna, mentre entrava in bagno. Al ché, Rita decise di seguirla e farsi spiegare che cosa stesse succedendo, poiché non era passata nemmeno un’ora dalla sua prima sfuriata.
«Non lo vedi?!» urlò la figlia quando glielo chiese, e dal gesto che fece col braccio innalzò un odore nauseabondo, tale da far indietreggiare sua madre. «Tutta colpa di quella maledetta puttana! Al diavolo lei e il suo cavallo!»
«È stata lei a conciarti in questa maniera?» chiese ancora Rita consapevole di chi stava parlando.
«È ovvio! – strillò furiosa sua figlia che a poco a poco tramutò la sua rabbia in pianto disperato non appena si accorse di sanguinare dalle mani – Guarda, mamma! Guarda che mi ha fatto! Voleva travolgermi col suo cavallo!»
Rita, conscia dell’esagerazione di sua figlia, non volle continuare le domande, con smielato affetto che si limitò a esprimere a voce, assicurò sua figlia che questa volta Arianna non l’avrebbe passata liscia e che avrebbe fatto di tutto per fargliela pagare.
Prima di uscire dal bagno e da casa sua, ordinò a Mina di lavarsi per bene e di far bruciare gli indumenti.
A malincuore Mina dovette dire addio al suo vestitino preferito.
Con passo deciso, Rita si recò ancora una volta a casa dei Gargano. Aveva fatto la sua parte per obbligare suo cugino a prendere provvedimenti verso quella opportunista, accettando malvolentieri di dare tempo al tempo, ma senza ragionarci su, convenne che mettere pressione sfruttando quello che era accaduto a sua figlia, l’avrebbe appagata e invece non fece i conti con i nervi tesi di Diomede, il quale se la vide rientrare nello studio come se un’ora prima non fosse accaduto niente tra loro, come se avesse dimenticato il patto che avevano sancito con una scopata.
Quando questo si accorse della sua presenza, mal celò un certo fastidio, ma con voce apparentemente calma chiese che cos’altro volesse.
«Quella puttana, la voglio fuori da casa mia!» rispose Rita senza esitare. A quelle parole Diomede lasciò cadere la biro sulla scrivania e sbatté un pugno facendo sobbalzare il contenuto, poi si volse verso sua cugina che dopo quel gesto aveva indietreggiato, spaventata.
«Mi hai rotto i coglioni! Non sai dire nient’altro? Ne abbiamo parlato poco fa! La tua ossessione mi ha stancato!»
«Non parlarmi in questa maniera, non te lo permetto!»
«E allora se non vuoi che ti parli in questa maniera, piantala una buona volta!»
«Ti avverto Gargano – Rita tentò di essere minacciosa, ma non poté nascondere quel leggero tremolio alla voce per la paura – non trattarmi così, non ti conviene.»
Diomede la interruppe scattando in avanti come un predatore, l’afferrò dal collo e la spinse contro la libreria noncurante di farle male.
Non era passato molto da quando si erano dati alla passione, che in quel momento parve avesse cancellato tutto. «Credi che mi farò minacciare all’infinito?» le sfiatò sul viso che le era diventato paonazzo per la mancanza d’aria.
«La-lasciami…» si sforzò la donna piantandogli dei pugni sulle braccia e tirandogli dei calci sugli stinchi.
«Mi basta stringere ancora un po’ questo tuo sottilissimo collo per farti tacere per sempre» e così dicendo gli diede un assaggio stringendo la presa. Gli occhi di Rita parvero voler uscire dalle orbite, mentre la parte soprastante la presa mortale si illividiva ancor di più e, quando pensò che ormai era tutto finito per lei, Diomede allentò la presa lasciandola cadere sul pavimento.
«Da ora in poi risparmia il fiato con le tue minacce.»
La donna tossiva boccheggiando disperata nel tentativo di riprendere aria. Passarono pochi minuti e quando il respiro ritornò normale, si rialzò a fatica massaggiandosi il collo. Nonostante avesse rischiato grosso, alzò la testa sfoggiando un’aria fiera e inespugnabile, poi si avvicinò lentamente a suo cugino che le dava le spalle e sussurrò con voce rauca: «Ti sei fatto plagiare da una sporca bastarda. Sei una nullità.»
A quell’offesa Diomede si voltò trucidandola con gli occhi, ma la donna non demorse, anzi sfoggiò un sorriso strafottente e con tal tono continuò «È ovvio che te la vuoi scopare. Non sono sciocca. A questo punto fa’ quello che vuoi.», poi si voltò e si incamminò verso la porta.
Malgrado la furia, Diomede sentì un brivido diramarsi lungo la schiena, e in quell’istante i cattivi pensieri s’impossessarono della sua mente.
L’aveva minacciata di morte, ma la conosceva benissimo, sapeva che non si sarebbe arresa e, giacché il sesso non era servito a molto, decise che avrebbe cambiato tattica, così istintivamente la fermò dicendo: «Se la vuoi fuori da qui, non preoccuparti, farò quello che mi dirai di fare.» l’ultima frase gli uscì come un tentativo di supplica, per convincerla delle sue intenzioni.
Rita si fermò e senza voltarsi, chiese: «Sicuro? Mi hai appena minacciata di morte.»
L’uomo sbuffò un sorriso «Sai che non lo avrei mai fatto. Allora, cosa desideri che faccia?»
Lentamente, sua cugina si voltò e guardandolo con occhi iniettati di odio rivelò convinta: «Toglile tutto, a partire dal suo cavallo. La voglio lontana da qui entro la fine del mese.»
Sul volto dell’uomo si delineò un ghigno malefico e senza esitare rispose: «Sarà fatto».
 
 
   
 
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