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Autore: Niijika    29/07/2022    0 recensioni
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[youtube][youtube][youtube]Filippo è un ragazzo napoletano dal passato turbolento ma un gran talento musicale. Tra una storia d'amore e l'altra, scrive di Napoli, della sua vita e di quella di chi gli sta intorno, finchè un giorno viene cooptato sotto il nickname "LIBERATO" in un misterioso progetto che si rivela più grande di quanto si aspettasse.
NDA: La storia intreccia temi maturi, ma con linguaggio stemperato per quanto possibile. Ci sono molti riferimenti a Napoli città e al dialetto napoletano, ma limitati spero il giusto per rendere la lettura scorrevole e piacevole anche ai non-Campani. Buona lettura!
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Poi venne il mio fottuto 18esimo compleanno, due giorni più tardi. Mi fu organizzata una delle feste a sorpresa meno gradita della storia del mondo, visto che tutto mi andava di fare fuorchè festeggiare, e quindi non ho nulla da riportare a riguardo se non il mio infinito scazzo.

Le uniche cose belle della giornata furono due dei regali che ricevetti, Adobe Audition e nientemeno che una tastiera elettronica Roland JD-XA. Rimasi a guardarla per giorni senza crederci, rigorosamente toccandola il meno possibile perchè il solo fatto di respirargli vicino mi sembrava potesse rischiare di romperla.

Era il premio da parte di mio padre per il fatto che avessi superato la fase “figlio degenere” e, dato che volevo andare al conservatorio, sarei potuto diventare il figlio “artista eclettico” che magari aveva sempre voluto. Mi accorsi che anche mia madre aveva timore reverenziale e ammirato per la mia nuova tastiera, sembrava che per lei rappresentasse il fatto che adesso avevo qualcosa di meglio su cui buttare il mio tempo. In realtà mi aveva detto che era molto orgogliosa del fatto che volessi studiare musica e mi era sembrata veramente sincera.

Venne quindi il fatidico momento della maturità, che a pensarci oggi al fatto che abbia questo nome viene da ridere. L'unica cosa che la mia memoria fu capace di immagazzinare dalla tesina sul tardo '800, che scrissi senza troppa attenzione, fu il disastro causato dai coloni che portarono i conigli in Australia. Comunque raccattai un dignitoso 78 perchè feci una gran figura con la prova orale d'inglese, paradossalmente grazie al fatto di essere stato in carcere con ragazzi stranieri per tutto l'anno precedente. Teresa, come tutti si aspettavano, uscì con 100 e già lanciatissima verso giurisprudenza. Carmine continuò a faticare alla pizzeria dove lavorava sua madre tale e quale a prima, anche dopo il diploma alberghiero.

Nel frattempo io avevo iniziato al bancone del bar di Via Toledo del lontano conoscente di mamma, un 60enne con una panza esagerata che mi sembrava sfidasse letteralmente le leggi della fisica per mantenersi in piedi. Era tutto sommato simpatico, anche se braccino corto, e con la scusa di imparare ad usare la macchinetta potevo farmi tutti i caffè aggratis che volevo (e che mi facevano tirare a campare per tutto il tempo che non potevo fumare).

Facevo anche una gran figura, per cui il proprietario continuava a complimentarsi con mia madre ogni volta, perchè riuscivo a parlicchiare con tutti i clienti turisti in francese ed inglese. Piano piano stavo imparando pure lo spagnolo a furia di quanti ne venivano da Barcellona. Questo, purtroppo, non comportò alcun aumento in busta paga perchè si sa che gli imprenditori leggono solo quegli studi che dimostrano che gli impiegati hanno solo bisogno di più sorrisi e pacche sulla spalla per lavorare meglio.

I dipendenti dei negozi circostanti venivano regolarmente a prendersi il caffè da noi, se non già dalla mattina almeno dopo pranzo, e mi ero fatto delle amicizie interessanti. Anche se avevo deciso di non avere storie per un po', dopo il dramma con Erica, c'erano tre commesse del negozio di Carpisa di fronte a noi che mi lasciavano abbondanti mance e occhiatine maliziose ogni volta che passavano a fare aperitivo dopo il turno. A dire la verità non avevo fatto caso nemmeno a che faccia avessero finchè una di loro, un caldo pomeriggio di fine luglio, non prese a litigare animatamente con il proprietario che stava alla cassa. Il motivo era che i prezzi scritti sul menù stampato non erano stati aggiornati da quando “formalmente” avevano subito un aumento di 50 centesimi. Ora lei andava giustamente trovando di pagare quanto aveva letto nel menù al tavolo invece che quanto le era stato chiesto alla cassa.

Il proprietario era inamovibile. Mi lanciò un'occhiata in lontananza per ordinarmi di fare qualcosa.

Mi avvicinai con poca voglia, finchè non notai il portamento dritto e allenato della figura snella che sbatteva i pugni sulla cassa e, quando si voltò verso di me, due occhi straordinariamente azzurri.

- Posso dare una mano? - chiesi garbatamente.

- Non mi sembri uno che si sa fare bene i conti – rispose lei algida, ma con una punta di scherzosità nel tono.

- Forse quello no, ma io pe' me pigliá a questione ch'e femmene belle tengo nu talento – azzardai, con un mezzo sorriso.

In mezzo secondo di silenzio, il proprietario alzò gli occhi al cielo, non so se perchè scocciato dalla posteggia che mi stavo facendo o dal fatto che questo potesse non risolvere il problema per cui mi aveva chiamato. Le compagne della ragazza iniziarono a ridere convulsamente e scambiarsi timide occhiatine d'intesa.

- Non è lusingandomi che mi farete pagare di più per una cosa che so che costava meno – continuò lei sul piede di guerra. Comunque legittimo, pensai io, aveva ragione.

- Allora senti a me, io mo ti impacchetto un bel babà alla fragola per smaltire l'acidume e non ce lo devi pagare. Così appariamo e stiamo a posto coi conti. - andai proprio così, a manetta, facendo come se il locale fosse il mio e avessi potere decisionale su quello che ci stava dentro. Ma il proprietario non si oppose, quindi la palla passò di nuovo alla tipa.

- In tal caso non me lo stai regalando, lo sto comunque pagando con i soldi in più che mi state chiedendo per la roba del menù – rimbeccò lei, ancora una volta con una logica impeccabile.

- Allora visto che sei una guaglioncella sveglia che sa fare bene i conti ti regalo io il mio tempo questo sabato, così magari insegni pure a me come si battono gli scontrini giusti – a quel punto credevo di essermi menato troppo baldanzoso e, dato che l'avevo vista bella piazzata, mi aspettavo pure una sonora sberla in faccia. Invece lei alzò un sopracciglio e si ammutolì per un secondo. Poi prese un bigliettino dall'angolo della cassa, pescò una penna dalla tasca frontale del suo zaino e mi disse di scriverle il mio nome e numero di cellulare, che poi si sarebbe fatta sentire lei.

Rimasi piacevolmente stupito da quell'interazione così anni '90, la sua dignitosa testardaggine e del modo in cui riusciva ad avere subito il controllo sulle cose. Forse valeva davvero la pena spendere il mio unico giorno libero della settimana con lei.

E fu così che conobbi Elena, anche se ancora non sapevo il suo nome.

 

***

 

Nei giorni seguenti ebbi un leggero sussulto ogni volta che ricevevo un messaggio sul cellulare. Risi di me stesso perchè non immaginavo mi sarei mai ridotto ad avere il batticuore nell'attesa di una ragazza di cui non sapevo neanche il nome, di cui a dire il vero non sapevo niente di niente. Provai più volte a cercarla da lontano con lo sguardo dentro alla bottega di Carpisa, ma non mi sembrò di scorgerla mai, anche se le sue amiche faticavano ogni giorno lì dentro. Ovviamente non avrei mai chiesto a loro dove fosse la compagna, sarebbe sembrata una cosa da sfigati e magari così avrei anche perso per sempre l'occasione di farmi richiamare da lei.

Provai a non pensarci ma mi scoprii malinconico, come se mi servisse una ragazza “nuova” non tanto per dimenticare Erica ma piuttosto per riacquistare fiducia in me stesso, e soprattutto nel genere femminile. Avevo sempre trovato le ragazze col carattere forte molto attraenti, ma con Erica era andata male perchè avevo scambiato la sua vanità e altezzosità per forza di carattere. Mi serviva ben altro per capire cosa volesse davvero dire stare con qualcuna che mi tenesse testa senza essere per forza montata e saccente.

Una domenica pomeriggio di un paio di settimane dopo, mentre riguardavo per l'ennesima volta le repliche di How I Met Your Mother su Italia1, una chiamata da un numero che non tenevo salvato raggiunse finalmente il mio cellulare. Fissai lo schermo in trepidazione per qualche secondo, poi ebbi paura di non fare in tempo a prendere la telefonata quindi mi affrettai a premere il pulsante verde. Dissi “Pronto?” con un po' di esitazione. Se la domanda fosse stata rivolta a me probabilmente avrei detto di no.

- Sei Filippo? - chiese la voce all'altro capo della linea.

Risposi di sì, riconoscendo la voce della ragazza incazzosa del bar.

- Ti ho chiamato per essere sicura che mi avessi dato veramente il numero tuo e non di qualcun altro stronzo – dichiarò con tono solenne.

Oltre ad essere un'attaccabrighe era pure una detective provetta. La cosa mi fece ridere. Era veramente sveglia e interessante.

- Sono io, non avrei avuto motivo di prenderti per il culo. Tanto sai dove lavoro e mi avresti ritrovato lo stesso – rimbeccai, senza pensare troppo alle giustificazioni che stavo adducendo senza motivo.

- Ah solo per questo? - rise lei, un po' nervosamente. Non so se ci aveva creduto, in realtà non volevo essere cattivo, avevo solo dato una risposta di getto. - Comunque non ti ho potuto chiamare prima, ma sono ancora interessata a darti ripetizioni di economia e commercio – scherzò.

Potevo avvertire un brillio nei miei occhi senza neanche guardarmi allo specchio e mi sentii un cazzone. Mi tornò in mente la sua schiena larga, i capelli lisci castani così lunghi che arrivavano quasi a sfiorare la mezza chiappa soda lasciata scoperta dal pantaloncino cortissimo.

Deglutii nervosamente, ci stavo mettendo troppo a rispondere. - Quando vuoi tu allora – arronzai, giusto per dire qualcosa. Lei sembrò avere un'improvvisa fretta di chiudere la discussione.

- Va bene, ti mando un messaggio più tardi – tagliò corto.

Improvvisamente mi ricordai di non sapere neanche il suo nome e mi affrettai a chiederglielo prima che mi attaccasse il telefono in faccia. Lei sembrò colpita dalla domanda, la sentii ridere con un po' di timidezza e sollievo nella voce. - Salvati questo numero, sono Elena -.

 

***

 

Mi arrivò un messaggio su Whatsapp poco dopo. Mi diceva che potevamo vederci il sabato successivo per andare a mare alla Gaiola visto che teneva troppo caldo per stare in giro in città. Mi sembrò ragionevole, che oramai era quasi Agosto ed il centro storico era diventato tipo Marte, ma mi sembrò anche una mossa audace andare al mare insieme al primo appuntamento, quasi quasi non ci eravamo neanche mai visti coi vestiti addossi.

Bene così.

Passai il resto della settimana a raccogliere informazioni su di lei. Grazie alla ricerca del numero di telefono online avevo trovato il suo profilo Facebook e mi ero messo a scorrere le foto e le info pubbliche. Dieci anni fa sarebbe sembrata una cosa da stalker, forse, ma oggi sarebbe strano se ti interessa una persona e non lo fai... no?

A quanto pare era veramente appena uscita dal liceo scientifico (brava in matematica!), abitava in zona Montesanto vicino al Parco Ventaglieri, sognava di diventare la nuova Federica Pellegrini, e sua madre era proprietaria del punto vendita Carpisa a via Toledo ma lei non ci lavorava dentro. Quindi quel giorno era venuta al bar con le commesse del negozio e l'avevo scambiata per una di loro, ma per questo poi non l'avevo più adocchiata nei paraggi.

Ebbi paura che questa novità mi distogliesse dallo studio preparatorio per l'ammissione al conservatorio, ma mamma fece di tutto per evitarmi lo sbandamento grazie al fatto che si accordò con papà per portarmi una sera a settimana a casa di un cristo che doveva essere un padre eterno del pianoforte 40 anni fa e che adesso dava lezioni private a me in uno studio a Riviera di Chiaia.

Il sabato successivo pregai Carmine di prestarmi la sua vespa per andare a mare con Elena. Dovetti promettergli mari e monti, forse anche per finta, giusto per pazziare, ma alla fine accettò.

Arrivai da lei con mezz'ora di anticipo, e c'era da aspettarselo dato che mi ero addirittura alzato all'alba per fare letteralmente meno di 10 minuti di strada da casa mia alla sua. Decisi di sfruttare il tempo per prendere della roba al bar per colazione, invece che stare impalato sotto al portone come il testa di cazzo che ero. Iniziai a sfondarmi di caffè al bancone per conto mio prima di prendere quello da asporto, poi mi piazzai un quarto d'ora davanti alle sfoglie per viaggiare con l'immaginazione e cercare di scegliere la cosa giusta che avrebbe potuto piacerle. Ma siccome non ne avevo veramente la più pallida idea alla fine presi due sfogliatelle frolle e due riccie, che non si sa mai.

Lei quando venne giù e le vide scoppiò in una risata imbarazzante.

- Ma secondo te con questo caldo mi metto a mangiare sfogliatelle a colazione prima di andare a mare? - esclamò.

Farfugliai qualcosa che non ricordo in mia difesa, ovviamente mi sentivo già un cazzone da quando mi ero alzato dal letto quella mattina e questo ennesimo errore non aiutava. Comunque avrei dovuto aspettarmi il fatto che una sportiva avesse un regime alimentare tutto suo.

Sembrò tuttavia apprezzare il caffè e la vespa, che trascurai di puntualizzare non fosse mia, e così ci avviammo verso la Gaiola.

Lei aveva indossato un vestito corto semitrasparente, che lasciava vedere il bikini verde sottostante. Mi accorsi finalmente di quanto fosse bassina, poiché portava ai piedi delle ciabatte da mare con una zeppa altissima e a stento mi arrivava al mento così.

Mentre si stringeva a me sul retro della vespa, il suo seno piccolo ma sodo mi premeva dietro la schiena ed ebbi il serio timore di farmi il durello prima ancora di poter iniziare la giornata. Ma visto che stavo già depresso da tutte le cazzate che avevo impilato dalla mattina, che mi avevano reso ancora più teso di quanto fossi mai stato ad un primo appuntamento, avevo troppi pensieri bui in testa per potermi eccitare. In più era da un anno che non guidavo e c'avevo l'ansia di buttarci entrambi sotto una macchina alla prima curva di un vicoletto troppo stretto.

Arrivati sulla spiaggia c'era ovviamente un manicomio di gente, bambini che correvano ovunque, noi ci eravamo prima persi vicino agli scavi archeologici ed eravamo stati scacciati malamente da una specie di guardiano vecchissimo con un accento strano, vestito come se stesse a farsi un safari in Africa.

Ci piazziamo con le tovaglie sotto al sole cocente, visto che non c'era un centimetro di ombra neanche a pagarla, e chiaramente non avevamo un ombrellone. Lei aveva degli occhiali da sole da star di Hollywood, decisamente troppo grandi per il suo visetto affusolato, ma che le davano un'aria molto accattivante.

- Il mare è il mio elemento! - urlò prima di togliersi tutto e iniziare a correre velocissimo verso le onde, per non bruciarsi i piedi con la sabbia rovente.

In motorino mi aveva parlato degli allenamenti di nuoto intensi che aveva dovuto fare nelle ultime settimane, ragione per cui non aveva potuto chiamarmi prima, ma mi confidò anche che il pensiero di potermi vedere dopo l'aveva motivata a fare ancora meglio. Mi sembrò una cosa fin troppo carina da dire a qualcuno che neanche conosci, ma mi fece tenerezza e forse anche arrossire.

La raggiunsi con calma, cercando prima di arroccare tutte le nostre cose in modo visibile dal mare così che potessi controllare che nessun guaglioncello ci rubasse niente.

L'acqua era bollente e le onde basse, con il solito leggero strato di monnezza bianca spumosa sulla superficie, non ero del tutto convinto di voler davvero fare il bagno ma lei mi prese a sorpresa un piede da sotto all'acqua e mi fece perdere l'equilibrio, cadendo fragorosamente a pochi metri dal bagnasciuga. Mentre cercavo di rialzarmi mi si mise cavalcioni addosso, prese con decisione le mie mani e se le posò sui fianchi. Aveva un sorriso furbo sulla faccia.

- Mi hai cercato su Facebook dopo che hai avuto il mio numero? - chiese con tono finto inquisitorio.

Cercai di sviare la domanda chiedendone il perchè. Lei spiegò che aveva visto il mio profilo tra i consigliati di “Persone che potresti conoscere” il giorno dopo, e questo significava che l'algoritmo aveva rintracciato un contatto tra i nostri profili.

Non so se fosse vera questa cosa ma mi fece ridere il fatto che le avevo dato della detective giorni prima, e questo continuava a rinsaldare quest'immagine di lei nella mia testa.

Ma questo non riuscì a distrarmi abbastanza da quanto era liscia la pelle dei suoi fianchi, e dal fatto che avevo le mani a pochi millimetri dai fiocchetti che le tenevano il pezzo di sotto del costume allacciato addosso. Quando avvertii qualcosa di grosso in arrivo la spostai di peso e mi allontanai di mezzo metro, evitandomi un'altra bella figura di merda.

Per deviare i pensieri le dissi che avevo portato le casse bluetooth e mi informai sui suoi gusti musicali. Per il resto della mattinata parlammo tantissimo di musica, più che altro perchè mi aveva confidato di non essere ferratissima ed io per qualche motivo avevo azzeccato a parlarle di tutto quello che stavo ascoltando di recente e di come mi stavo preparando al conservatorio.

Lei non sembrò scocciata, anzi, mi fece molte domande interessate e la cosa mi mise finalmente a mio agio.

Per pranzo aveva portato delle grosse fette di frittata di pasta fatte da sua madre, buonissime. Continuammo a parlare molto di viaggi, che ne faceva tanti per gli allenamenti e i campionati, e si era sorpresa di venire a sapere che parlicchiavo diverse lingue pur senza mai aver messo un piede fuori dall'Italia e che comunque non avevo fatto né il linguistico né volevo andare all'Orientale. Scherzammo su questo perchè per farmi bello le cantai il ritornello della sigla di Evangelion in giapponese, a memoria, senza sapere ovviamente un cazzo di cosa significassero le parole, ma feci comunque bella figura e le strappai qualche risata. C'erano tante sigle di cartoni giapponesi che conoscevo a memoria perchè ne guardavo a chili con mia madre quando ero piccolo. Uno dei pregi di avere una mamma giovane, immagino.

Prendemmo il sole ascoltando R&B americano e poi la portai a guardare il tramonto sulle terrazze al Virgiliano. Quando fummo entrambi completamente drenati di energie da sole e sale la riaccompagnai a casa per ora di cena.

Prima di salutarci sotto al portone, la vidi combattuta su quanto concedermi e concedersi. Odio questa cosa, e odio che sopravviva persino alla nostra generazione nel cazzo di 2016. Ma se voleva baciarmi doveva farlo lei, perchè se lo avessi fatto io sarebbe sembrato troppo precipitoso e non volevo darle quell'impressione. Pensai che al di là di quanto mi piacesse fisicamente, era anche simpatica e divertente, quindi mi sarebbe piaciuto tenerla anche solo come amica.

- Dietro al bancone del bar sembravi il solito guappo dei quartieri, sempliciotto ma montato, invece sei veramente un bel personaggio – mi disse, con il riflesso del lampione della piazzetta che le faceva brillare l'azzurro degli occhi – Le ragazze del negozio moriranno di gelosia mo che glielo racconto -.

Non seppi bene come rispondere a quella cosa. Da un lato pensai volesse farmi un complimento, ma dall'altro mi chiedevo se avesse accettato di uscire con me più per farsi bella con le amiche che perchè volesse davvero conoscermi. E allora mi domandavo anche se e quando avesse cambiato idea, se adesso mi considerava abbastanza interessante da continuare a frequentarmi o quale fosse stato l'esatto momento durante la giornata in cui questa sua opinione era cambiata.

Completamente imbambolato da tutti questi pensieri, non mi accorsi dell'istante in cui mi prese il braccio per tirarmi piano verso di sé e baciarmi gli angoli della bocca. Così sembrava che mi avesse salutato normalmente, ma c'era il trucco perchè le labbra si erano sfiorate.

- Grazie per oggi, alla prossima – e sparì dentro al palazzo.

   
 
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