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Autore: Kimando714    03/08/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 26 - GOOD GOODBYE



 
Giulia si stravaccò sul divano, stanca morta e sudata. Se avesse chiuso gli occhi, lì sul morbido divano del suo salotto, sarebbe finita sicuramente per addormentarsi; si sforzò di non cadere nel sonno tentatore. Doveva fare ancora un sacco di cose, prima di potersi mettere tranquilla: farsi una bella doccia per lavare via il sudore che le imperlava la pelle, scegliere dei vestiti freschi da indossare, ed iniziare a preparare la cena.
Non sapeva esattamente che ore fossero – anche se a giudicare dalla luce solare aranciata che entrava dalla finestra, dovevano essere circa le sei passate-, ma sperava perlomeno le restasse un tempo sufficiente per fare quelle ultime cose che le mancavano all’appello. Auspicava anche che Filippo si sbrigasse a finire la sua doccia: sentiva ancora lo scroscio dell’acqua provenire dal bagno, segno che non aveva ancora finito.
Aveva passato la giornata a riassettare l’appartamento e a studiarsi un menu per la cena di quella sera. Sua sorella Ilaria e Fabio sarebbero giunti lì presto, per una serata unicamente tra fratelli.
Una serata tra fratelli che Giulia sperava andasse bene, e con un intento ben preciso.
Non doveva mancare molto al loro arrivo, e l’acqua della doccia ora aveva smesso di scrosciare, indicando che probabilmente Filippo aveva finito. Nonostante questo, Giulia non riuscì a trovare la forza per alzarsi da lì.
Aveva cominciato giusto da pochi giorni il nuovo lavoro, dopo aver aspettato un po’ di tempo l’esito del colloquio all’agenzia di viaggi. A quanto pareva era andato bene, visto che l’avevano assunta, e adesso, da qualche giorno in quella fine di maggio, poteva finalmente dirsi attiva.
I giorni passati li aveva trascorsi sotto il sole cocente, a camminare per ore e a parlare in inglese a gruppetti di turisti. Alla fine era giunta a quel sabato sera senza sentirsi nemmeno le gambe. La sera prima lei e Filippo avevano festeggiato il loro settimo anniversario in casa, e Giulia non aveva potuto fare a meno di addormentarsi già alle dieci di sera.
In ogni caso, non si era fermata né riposata nemmeno quel giorno, ed era anche per quello che, in quel momento, stesa su quel divano, il sonno stava quasi per sovrastarla. Giulia si ridestò appena in tempo, e quasi rimase sorpresa nel rendersi conto che nemmeno l’ansia per l’arrivo di Fabio ed Ilaria riusciva a mitigare la sua stanchezza fisica.
Sapeva che avrebbe dovuto rallentare un attimo i ritmi, ma le sembrava impossibile: tra il nuovo lavoro, l’imminente laurea di Filippo, e i preparativi del matrimonio tutte le sue energie sembravano essere semplicemente prosciugate.
Si mise a pensare alla sensazione dell’acqua tiepida della doccia che si sarebbe fatta di lì a poco, pregustando già la freschezza e il sollievo temporaneo che le avrebbe donato. Dovette però risvegliarsi piuttosto violentemente da quell’immagine ristoratrice, quando si rese conto che qualcuno aveva appena suonato al citofono.
Giulia afferrò nel panico più totale il cellulare dalla tasca dei jeans: erano già le sette, quando lei era rimasta convinta fino a quel momento che fossero solo le sei e mezza. Aveva perso completamente la cognizione del tempo.
Si alzò di scatto, già immaginandosi le facce divertite di Ilaria e Fabio nel trovare lei e Filippo ancora indietrissimo con i preparativi. Probabilmente lo avrebbero capito sin da quando Giulia avrebbe aperto loro la porta d’ingresso completamente spettinata e sudata, in completo disordine.
Avanzò a lunghi passi, fermandosi davanti al bagno prima di avanzare verso l’ingresso. Aprì la porta di scatto, e ignorò del tutto il fatto che Filippo fosse ancora mezzo nudo:
-Cerca di muoverti, sono già qui e noi siamo in maledetto ritardo!-.
-Già qui? Stai scherzando, spero!- esclamò con voce stridula Filippo, voltandosi verso di lei con occhi sgranati. Giulia aveva già proseguito il suo cammino, senza nemmeno ribattere. Quando si ritrovò nell’ingresso, fece un profondo respiro, prima di sollevare la cornetta del citofono e farsi sfuggire un fintamente allegro “Sì?”.
-Aprici, che qua fuori fa un caldo terribile!-.
Giulia chiuse per un attimo gli occhi, le voci in sincrono di sua sorella e di Fabio che le ronzavano ancora nelle orecchie. Tirò un altro sospiro prolungato: per come era iniziata la serata, non osava immaginare come sarebbe potuta concludersi.
 


Giulia era finita per fare tutto di corsa, mentre Filippo intratteneva Ilaria e Fabio nel piccolo salotto dell’appartamento. Si era fatta una doccia il più in fretta possibile, e poi si era fiondata a cercare dei vestiti puliti nell’armadio della camera.
Dopo essersi data una pettinata e una leggera passata di trucco, era tornata in cucina, senza ancora idee ben chiare su cosa cucinare. Filippo aveva fatto la spesa giusto il giorno prima, ma si erano completamente dimenticati di comprare ingredienti per piatti particolari.
Alla fine, tutti riuniti al tavolo della cucina dopo il richiamo di Giulia, erano arrivati alla decisione collettiva e democratica di ordinare delle pizze. Giulia, con ancora le gambe gonfie e doloranti, e la schiena a pezzi, non credeva di essere mai stata più felice nello scoprire di non dover passare ulteriore tempo in piedi davanti ai fornelli. Allo stesso tempo aveva evitato di rischiare di far prendere fuoco all’intero palazzo lasciando Filippo a cucinare. Non poteva che dirsi soddisfatta del risultato.
Alle otto erano finalmente arrivate le loro pizze, e la cena aveva avuto ufficialmente inizio. Giulia aveva appena finito la sua ultima fetta di pizza, quando Ilaria aveva iniziato a parlare, dopo alcuni minuti di silenzio:
-Come vanno i preparativi?-.
Al solo sentire parlare del matrimonio, Giulia dovette trattenersi per non roteare gli occhi al cielo.
-Male- iniziò a dire, per venire subito interrotta da un’occhiata fulminante di Filippo, che subito dopo iniziò a parlarle sopra:
-Benissimo! Abbiamo la data del matrimonio: 25 agosto- annunciò, quasi emozionato nel dire a qualcun altro per la prima volta la data prefissata – Molto presto stamperemo e invieremo gli inviti. Poi penseremo anche ai documenti: le pubblicazioni, la richiesta per celebrare il matrimonio a Verona … -.
-Dobbiamo anche confermare il posto per il rinfresco. O meglio, per la cena- aggiunse Giulia. Tirò un sospiro profondo. Elencare quel che rimaneva da fare le metteva un’ansia assurda: le sembrava mancasse pochissimo tempo, ormai, per decidere anche quelle ultime cose.
Almeno per il vestito la questione sembrava essere chiusa. Giulia aveva scovato un negozio ben rifornito a Mestre di abiti da sposa che si potevano affittare a prezzi non esosi, e di lì a qualche giorno avrebbe dovuto passare dal negozio per prendere le ultime misure, e vedere cosa c’era da modificare.
-Vi faremo sapere presto anche per quella- confermò Filippo, sorridente. Giulia sapeva che tutta quella sicurezza era solo una facciata: la realtà era che, tra matrimonio e laurea imminenti, Filippo stava ormai rischiando un esaurimento nervoso.
-Siete molto più preparati di me ed Aurora, e pensare che abbiamo deciso di sposarci prima di voi- rise Fabio, prendendo un sorso di birra dal suo bicchiere.
-È una concorrenza spietata, fratello- annuì Filippo, con aria solenne.
A Giulia venne da ridere: probabilmente Fabio aveva preso quella frase come uno scherzo, ma la realtà era che, in fondo, Filippo aveva seriamente intenzione di organizzare un matrimonio migliore di quello del fratello. Giulia dubitava fortemente della possibilità remota che questo accadesse – non era certo possibile organizzare qualcosa di estremamente grandioso con le loro finanze attuali-, ma per il momento non aveva intenzione di farlo troppo presente a Filippo e spezzare così tutte le sue manie di grandezza.
Pochi minuti dopo Filippo si alzò per buttare via i cartoni vuoti delle pizze, e portare in tavola la torta che lui e Giulia avevano ordinato nella pasticceria vicino casa giusto qualche giorno prima. Una cheesecake ai frutti di bosco, dolce che ormai, irrimediabilmente, Giulia associava alla proposta di matrimonio di Filippo.
-In pratica l’unica cosa che vi rimane da pensare è la questione testimoni- aggiunse Ilaria, dopo che Filippo aveva tagliato e distribuito le varie fette, ed essersi riseduto a tavola.
Lui e Giulia si scambiarono uno sguardo fugace, che probabilmente sfuggì sia ad Ilaria che a Fabio:
-In realtà ci abbiamo pensato- iniziò Giulia, cercando di mantenere la voce calma.
-Esattamente- convenne Filippo, ora meno sorridente rispetto a prima.
Fabio ed Ilaria rivolsero ad entrambi uno sguardo perplesso, come in attesa che uno tra Giulia e Filippo si decidesse a dare ulteriori spiegazioni. Delucidazioni che però non arrivarono.
-Che avete deciso?- cercò di spronarli Fabio, lasciandosi andare ad una risata incerta.
Giulia scoccò un’occhiata veloce a Filippo, come a chiedergli attraverso il solo sguardo se si sentisse pronto per fare il passo successivo. Il problema era che nemmeno lei era del tutto pronta a compierlo.
-Beh, forse a questo punto dovrebbe sorgervi il dubbio- cominciò, dopo essersi rumorosamente schiarita la voce.
Filippo aveva ricambiato il suo sguardo con un impercettibile cenno, a conferma che era giunto il momento di spiegare maggiormente il perché di quella cena tra loro quattro:
-Infatti. Non notate nulla di strano?-.
Fabio ed Ilaria assunsero un’espressione ancor più confusa, guardandosi tra di loro, prima di portare gli occhi disorientati verso Giulia e Filippo.
-Esattamente cosa dovremmo notare?- domandò Fabio, allargando le braccia.
-Che ci siete solo voi due con noi, stasera- rispose subito Filippo, arrossendo. Quell’ulteriore indizio non sembrò sortire alcun effetto, perché né Fabio né Ilaria dissero alto. Calò un silenzio imbarazzato, durante il quale Giulia si sentì ancor più in difficoltà. Fu con un sospiro profondo che prese la parola, cercando di non mangiarsi le parole dall’agitazione:
-Vi abbiamo chiesto di venire qui da soli proprio per la questione dei testimoni- iniziò a spiegare, gesticolando nervosamente – Ci stavamo pensando da tempo, e siamo convenuti sul fatto che … -.
-Che voi due sareste perfetti per l’occasione- concluse Filippo, alzando le spalle come se fosse ovvia come cosa – Insomma, non volevamo fare un torto a nessuno dei nostri amici scegliendo solo alcuni di loro, e poi voi due eravate due candidati ottimi per questo compito-.
-E io che pensavo che i testimoni venissero scelti per l’importanza che ricoprono nella vita degli sposi- lo prese in giro Fabio, prima di allungare una pacca affettuosa sul braccio del fratello minore.
-Era sottinteso- borbottò imbarazzato Filippo, abbassando il viso verso la sua fetta di cheesecake. Giulia si trattenne a stento dal ridere: lei e Filippo avevano provato a pensare a mille modi per poter chiedere ai loro fratelli se volevano fare da testimoni. Alla fine ogni preparativo non era valso a nulla: erano andati completamente a braccio, senza troppe premesse e discorsi complicati. In fin dei conti, era stato meglio così.
-Ma quindi avete scelto solo noi come testimoni? Nessun altro?- domandò ancora Ilaria, il cucchiaino in mano poco distante dalle labbra.
-Già. Tu per me, e Fabio per Filippo. Saremmo davvero molto contenti se accettaste- le rispose Giulia, semplicemente. Lei e Filippo avevano pensato a lungo a chi scegliere: avevano scartato Caterina e Nicola per non doverli costringere ad essere presenti per forza e dover lasciare Francesco dai nonni, se ci fossero stati imprevisti dell’ultimo minuto; Filippo aveva lasciato perdere Pietro nel momento in cui si era reso conto che si sarebbe sentito troppo in colpa verso Nicola per non aver scelto anche lui. Solo per pochi attimi Giulia era rimasta con il pensiero ad Alessio, per poi dirsi che lui non era esattamente l’esempio migliore in fatto di matrimoni e che probabilmente si sarebbe sentito a disagio ad avere un ruolo simile.
-Ovvio che non accettiamo!- esclamò Fabio, rischiando di far soffocare Filippo, che proprio in quel momento stava cercando di bere un sorso di birra – A meno che non ci riserviate una bella fetta di dolce al matrimonio-.
-Molto grande, mi raccomando- convenne Ilaria, ridendo.
Filippo riprese fiato a fatica, e si ritrovò a rispondere con voce roca e il respiro ancora irregolare:
-Credo che potremmo anche fare questo sacrificio-.
-Anche se dovete essere consapevoli che le vostre fette saranno comunque meno belle delle mie- aggiunse Giulia, con fare che non ammetteva alcuna replica.
Fabio annuì accondiscendente:
-Sei la sposa, in questo caso mi pare un accordo onesto-.
Compiaciuta, e finalmente tranquilla, Giulia sorrise sia a Fabio che ad Ilaria. Nelle ultime settimane si era immaginata spesso quel momento: aveva sempre pensato che si sarebbe sentita nervosa, come in effetti era stato, e che per qualunque motivo uno dei due non avrebbe accettato di ricoprire un ruolo così importante. Era stato un tarlo che l’aveva accompagnata fino a quel momento, ma che per una volta si era rivelato infondato.
-Quindi siete i nostri testimoni?- domandò ancora Filippo, come se fosse ancora incredulo delle risposte ricevute.
-Sì, direi di sì- gli rispose gentilmente Ilaria.
Giulia posò delicatamente una mano sul braccio di Filippo, come a tranquillizzare sia lui che se stessa:
-Te l’avevo detto che non servivano discorsi articolati e strappalacrime per chiederlo-.
-Anche perché con tutta questa agitazione non ci sarei mai riuscito- mormorò in tutta risposta lui, roteando gli occhi verso l’alto e prendendo ancora un sorso di birra, svuotando il bicchiere.
Per qualche minuto nessuno disse più nulla. Continuarono a mangiare, l’aria decisamente più distesa rispetto a prima, da quando avevano affrontato il discorso per cui era stata organizzata quella stessa cena. Solo quando Giulia ebbe riposto tutti i piatti sporchi nel lavandino, e dopo essere tornata a sedersi a tavola, Fabio iniziò a parlare un po’ meno svagato:
-A proposito di testimoni- iniziò, la voce un po’ incerta – Anche io volevo chiederti una cosa-.
Fece una pausa, gli occhi puntati su Filippo, che ricambiò lo sguardo con fare confuso e speranzoso allo stesso tempo:
-Tu vuoi essere il mio testimone?-.
Seguì un attimo di stupore generale. Giulia spostò freneticamente gli occhi da Fabio – che guardava il fratello in un misto di speranza ed imbarazzo- a Filippo, che aveva sgranato gli occhi e sembrava ad un passo dal collasso.
-Sul serio?- farfugliò dopo alcuni secondi. Fabio lo guardò come se la cosa fosse abbastanza ovvia e non ci fosse il bisogno di ulteriori conferme:
-Te lo sto chiedendo!-.
Giulia non fece nemmeno in tempo a formulare ulteriori pensieri, che vide Filippo alzarsi di scatto dalla sedia, camminare svelto verso il fratello maggiore, e buttargli le braccia al collo. Fabio protestò solo all’inizio, prima di lasciarsi andare a quell’abbraccio fraterno totalmente inaspettato.
Giulia si lasciò sfuggire un sorriso addolcito dall’immagine di Filippo e Fabio stretti tra di loro, e vide che anche Ilaria la stava osservando sorridendo a sua volta.
Era un’immagine tenera, quella che le si presentava davanti agli occhi, e non avrebbe potuto chiedere di meglio. Giulia prese un sorso di birra, ripensando a quanto lei e Filippo avevano temuto ed aspettato con ansia quella cena, timori che alla fine non avevano attecchito sul serio.
L’arrivederci che ci sarebbe stato a fine serata avrebbe avuto il sapore dolce e carico di promesse tipico delle occasioni riuscite.
 
*
 
I know what I want
But it feels like I'm paralyzed
I don't lose, I don't win

If I'm wrong, then I'm halfway right [1]
 
Faceva un caldo assurdo, in quella giornata. Cercava di intercettare qualsiasi ombra degli edifici proiettata sul marciapiede, ma nonostante quell’accorgimento, Alessio stava cominciando a sudare davvero troppo. Nulla di strano, in ogni caso: era il 28 di maggio, ed era ovvio che doveva cominciare a riabituarsi a quelle temperature, in vista dell’estate. Immaginava che, una volta arrivato alla segreteria studenti, si sarebbe ritrovato sudato come non mai: quello era l’unico finale possibile, dopo aver camminato per mezza Venezia alle due del pomeriggio.
Nonostante cominciasse a sentirsi stanco, oltre che accaldato, non decelerò, né tanto meno si fermò a prendere fiato. Era già abbastanza in ritardo, e non aveva la minima intenzione di arrivare troppo tardi e trovare la segreteria deserta, e quindi di dover rimandare all’indomani.
Arrivò circa dopo quindici minuti, attraversando il ponte elegante che allacciava San Polo a Dorsoduro. Subito sulla sinistra si ergeva la murata che separava gli edifici amministrativi dell’università dal resto della calle; Alessio si ritrovò ad infilarsi subito sotto l’arco d’entrata, che recitava a caratteri antichi il nome dell’università, per poi ritrovarsi bloccato il secondo dopo, non appena resosi conto delle due persone di fronte all’entrata dell’edificio.
Anche a quella distanza aveva pochi dubbi di aver appena riconosciuto Pietro e, in piedi di fronte a lui, Giulia. Si ritrovò ad imprecare a mezza voce, ancora fermo nel punto in cui si trovava. Non si preoccupava troppo per Giulia – la vedeva praticamente tutti i giorni, da quando abitava nel palazzo accanto al suo, e ormai ci aveva fatto l’abitudine-, quanto per Pietro.
Non ricordava nemmeno bene quando era stata l’ultima volta che l’aveva visto. Erano passati quasi tre mesi da quando avevano avuto la loro ultima litigata a casa di lui, ed Alessio era sicuro che quello fosse stato solo un ulteriore motivo per Pietro per allontanarsi da lui. Ormai non lo vedeva nemmeno più all’università, se non poche volte. Si sforzò di ricordare quando era stata l’ultima volta che si erano parlati – o meglio, l’ultima volta che si erano ritrovati nella stessa stanza per un motivo ben preciso. Non dovevano essere comunque passate più di due settimane: capitava ancora di trovarsi con gli altri del gruppo, era inevitabile. In quelle occasioni, nell’ultimo mese, Alessio si era sforzato di sembrare il più naturale possibile, cercando perfino di rivolgersi a Pietro. Forse era il sottile senso di colpa che aveva provato dopo il loro ultimo litigio sulla sua convivenza con Giada – o forse era solo la mancanza che cominciava a provare nei suoi confronti- a spingerlo a provare ad avere di nuovo conversazioni civili con lui, o forse era un tentativo di evitare domande strane da parte dei loro amici a proposito di quel loro distacco. Rimaneva il fatto che, quei loro ultimi incontri, erano stati conditi dai suoi timidi tentativi di approccio, e dai rifiuti nemmeno troppo velati da parte di Pietro di dargli corda.
Sembrava del tutto intenzionato a non accordargli alcuna tregua, nemmeno dopo tutto quel tempo. E in fin dei conti, Alessio non se la sentiva molto di biasimarlo.
Anche in quel momento si sentiva piuttosto combattuto sul proseguire, o magari aspettare che lui e Giulia entrassero o se ne andassero. Nel primo caso avrebbe potuto direttamente evitarli, ma nel secondo sarebbe finito inevitabilmente per doverli almeno salutare.
Alessio si ritrovò a sbuffare: stava sudando come non mai, lì sotto il sole, e continuava a fissare Pietro e Giulia, intenti a parlare di chissà cosa. Non poteva aspettare dei secoli, prima di avviarsi.
Il primo passo fu il più incerto, ma già al secondo andò meglio. Fu durante quel breve tragitto che ricordò dove lui e Pietro si erano visti l’ultima volta: era stata proprio all’università, una delle rare volte in cui si erano incrociati negli ultimi mesi, davanti al distributore automatico. A Pietro si era incastrata una bottiglietta d’acqua, e lui si era offerto di comprarne un’altra per far cadere a sua volta la sua.
Alla fine si era ritrovato con un euro di meno in tasca, una bottiglietta che non gli serviva, e un “grazie” masticato seccamente da parte di Pietro.
-Oddio, anche tu qui, Raggio di sole?-.
Giulia gli sorrise non appena Alessio si ritrovò a distanza di qualche metro da loro. Pietro, che gli dava le spalle, si voltò quasi di scatto verso di lui, un’espressione sorpresa stampata in faccia.
Alessio rimase stupito, nel notare di non essere stato squadrato da capo a piedi da lui. Lo prese come un buon segno, e sebbene ancora in parte esitante, abbandonò l’idea di salutare velocemente entrambi e scappare verso l’interno dell’edificio. Si avvicinò, arrivando di fianco a Giulia, e mantenendo un po’ più di spazio libero tra sé e Pietro:
-Non pensavo di trovare qui anche voi- mormorò Alessio, senza troppo entusiasmo. Si sentiva troppo accaldato e troppo sotto esame, lì di fianco a Pietro, per riuscire a fingere un’allegria che non gli apparteneva.
-Io dovevo firmare delle scartoffie per il congelamento degli esami- spiegò Giulia, con nonchalance. Pietro non rispose, e Alessio non ci badò nemmeno, rivolgendosi ancora a lei:
-A proposito, come sono andati i primi giorni di lavoro?-.
Aveva saputo dalla stessa Giulia che aveva iniziato a lavorare per l’agenzia di viaggi a metà della settimana prima, ma ancora non aveva trovato occasione per chiederle come era andato l’inizio del nuovo lavoro.
-Estenuanti, oserei dire- Giulia alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente – Ma credo mi ci abituerò. O almeno, ci spero vivamente-.
-Non ti sei ancora beccata un colpo di sole?- intervenne per la prima volta Pietro, ghignando.
-No, ma se succederà ora so chi mi avrà portato sfiga- lo rimbrottò Giulia, lanciandogli un’occhiataccia, che ebbe il solo risultato di far ridere sia Alessio che Pietro.
-In ogni caso- riprese lei, tornando a rivolgersi ad Alessio – Come mai da queste parti?-.
-Scartoffie per la laurea- rispose semplicemente lui, alzando le spalle.
-Allora siete qui per lo stesso motivo- Giulia spostò gli occhi da Alessio a Pietro, annuendo – Quanto manca al giorno della proclamazione?-.
-Un mese praticamente esatto, direi- Pietro sbuffò, in un certo qual senso sfiduciato. Alessio vi lesse parecchia ansia, in quella frase e nel suo tono di voce teso. Si domandava solamente se fosse dovuta solamente alla laurea imminente o alla sua presenza.
-Ormai il tempo stringe- replicò Giulia, facendo un passo lontano da loro – E stringe anche per me. Devo lasciarvi qui soli soletti, per vostra sfortuna-.
-Il lavoro che incombe?- Alessio cercò di risultare calmo nel parlare. In realtà non aveva previsto di rimanere solo con Pietro. Non riusciva ad immaginarsi quale sarebbe potuta essere la reazione di Pietro nel ritrovarsi inaspettatamente solo con lui. Forse si sarebbe inventato una scusa per allontanarsi a sua volta il prima possibile.
-I preparativi del matrimonio. Ho un vestito da provare, e devo correre a Mestre il prima possibile- Giulia cominciava già ad avviarsi verso il portone d’uscita, ed alzò la voce per riuscire a farsi sentire da Alessio e Pietro.
-Cerca di non ingrassare nei prossimi mesi, o rischi di rendere vane le misure che prenderai oggi!- le urlò dietro Pietro, ricevendo in tutta risposta un dito medio da Giulia, che si stava allontanando sempre di più.
Alessio la osservò passare sotto l’arco del portone, e girare subito a destra verso il ponte che lui stesso aveva attraversato pochi minuti prima. In pochi attimi Giulia scomparve alla vista.
Alessio si prese qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo dalla direzione dove lei se ne era andata: di colpo tornava a sentirsi a disagio, con Pietro lì accanto. Non era più molto abituato a rimanere solo con lui: negli ultimi due mesi era capitato solo rare volte, ed erano tutte durate pochissimo.
Si girò lentamente qualche attimo dopo, non sorprendendosi nel notare che Pietro aveva preso a puntare lo sguardo altrove, le braccia contro il petto, sulle spine.
-Devo andare anche io, qui in segreteria ho già sbrigato tutto quello che dovevo fare- borbottò infine, dopo che Alessio aveva vagliato mentalmente qualsiasi tentativo per poter rompere il ghiaccio, senza risultati utili.
Fissò Pietro, leggermente deluso. Sapeva che non poteva considerarsi innocente, e che se erano arrivati al punto in cui non riuscivano nemmeno a guardarsi in faccia era anche colpa sua, ma cominciava a detestare quella situazione. In un certo senso, Pietro gli mancava terribilmente.
-Hai già pensato a come organizzarti per il giorno della proclamazione?- Alessio finse di non aver nemmeno sentito quello che Pietro gli aveva appena detto, chiedendogli la prima cosa che gli era passata per la testa. Non era una grande domanda, ma magari l’avrebbe costretto a rimanere lì almeno qualche altro minuto.
-Intendi per il rinfresco?- Pietro rispose senza mostrare troppo interesse. Forse era rimasto deluso dal fatto che Alessio non l’aveva lasciato andare come se nulla fosse.
Alessio si ritrovò ad annuire, senza proferire parola: forse sperava che Pietro non si girasse subito da qualche altra parte, e che rimanesse a guardarlo in faccia abbastanza tempo per notare quella sua muta risposta.
-No, direi che non ci ho ancora pensato- rispose dopo qualche secondo, alzando le spalle.
Alessio si lasciò scappare una risata amara, abbassando per qualche attimo gli occhi chiari:
-Immagino che non me lo diresti anche se fosse il contrario-.
Quelle parole ebbero il potere di far girare Pietro verso di lui all’istante, d’un tratto gli occhi scuri fiammeggianti di rabbia. In quel momento Alessio seppe di averlo appena punto sul vivo.
-Non so se te ne sei accorto, ma negli ultimi mesi sono cambiate un po’ di cose- mormorò tagliente Pietro, sporgendosi verso Alessio, che non fece nulla per evitare il contatto visivo:
-Per esempio tu che mi eviti-.
-Per esempio tu che pur di non prenderti responsabilità non mi domandi nemmeno spiegazioni- sbottò l’altro, gesticolando nervosamente con le mani – Oppure, altro esempio, tu che continui a fare il saccente dicendomi cosa è più giusto per me-.
Alessio si strinse nelle spalle. Pietro aveva ragione, in un certo senso, non c’era dubbio. Ci aveva riflettuto parecchio, in quegli ultimi mesi, e di tante cose si era pentito. Si era pentito di averlo trattato troppo aspramente quando aveva saputo della sua convivenza con Giada, ma della prima cosa … Su quello ancora non sapeva pronunciarsi.
-Sai che ti dico?- Alessio rialzò il capo, cercando di non apparire intimorito dall’attacco di Pietro – Forse hai ragione, sono saccente ed egoista, ma sto cercando di riparare le cose-.
Pietro sbuffò, scuotendo il capo e ridendo sarcasticamente:
-Provando a fare conversazione davanti alla segreteria studentesca?-.
-Ammetto che non sia un piano magnifico, ma sì, è un’idea anche quella-.
-Sei un po’ patetico- replicò Pietro, con un tono che sembrava definitivo. Probabilmente riteneva il discorso concluso lì, anche se ad Alessio non lo sembrava per niente.
-Può darsi-.
-Piantala di essere così accondiscende, o finirai per far piovere- Pietro si voltò ancora una volta verso di lui, lanciandogli un’occhiataccia – E poi non sei credibile-.
Alessio si lasciò scappare un sorriso rassegnato, indifeso quanto sincero:
-Non sono accondiscendente, ci sto provando sul serio-.
-E perché dovresti?- parlò velocemente Pietro, una punta di amarezza nella voce. Sembrava comunque meno aggressivo rispetto a prima, come le se parole di Alessio fossero riuscite ad addolcirlo almeno in parte.
Alessio si ritrovò spiazzato da quella sua domanda. Non se l’era aspettata, né aveva mai provato a mettere a parole tutti i motivi per i quali stava cercando di riparare le cose. Certo, sapeva quali erano, ma pronunciarli a voce alta, di fronte a Pietro, era totalmente diverso dal formularli al sicuro nella sua mente.
-Perché sei tu, e … - Alessio si ritrovò a gesticolare, distogliendo gli occhi e sperando di non arrossire di fronte allo sguardo incuriosito dell’altro - Niente, sei tu-.
Pietro lo osservò con un sopracciglio alzato, e per un attimo fugace ad Alessio sembrò quasi divertito:
-E quindi? Non ho capito che intendi dire-.
-Non importa, basta che mi sia capito io- cercò di tagliare corto Alessio, ben consapevole di poter solamente aggravare quella sua figuraccia – Poi troverò anche il modo per farmi capire da te-.
-Tu sei pazzo- Pietro scosse la testa, trattenendo una risata sommessa. Anche ad Alessio venne da sorridere, seppur debolmente: non ricordava l’ultima volta in cui lui e Pietro avevano riso insieme. Quella non era una risata puramente divertita, e quella non era una situazione piacevole, ma era pur sempre qualcosa.
Qualcosa che gli era mancato infinitamente tanto, e che gli dava un calore immenso nel poterlo rivedere.
Alessio fece per aprire bocca di nuovo, senza ancora sapere bene cosa avrebbe fatto bene a rispondere; si bloccò quando, inaspettatamente, sentì qualcuno poggiargli una mano sulla spalla.
Si voltò, e si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo giovane dall’aria orientale, che teneva nell’altra mano un grosso mazzo di rose rosse.
Un vucumprà che si era evidentemente intrufolato perfino in quella zona riservata all’università.
-Volete una rosa?- chiese, con un forte accento, ma in un italiano perfettamente comprensibile.
-No, grazie- Pietro, dietro ad Alessio, aveva risposto ancor prima che il ragazzo avesse finito di parlare, con tono perentorio e definitivo.
-Cinque euro per una rosa- insistette l’altro, ignorando del tutto Pietro, che lo guardò un po’ spazientito:
-No, davvero. Grazie-
-Cinque euro? Sono un’enormità, nessuno te le comprerà mai- intervenne Alessio, per stemperare la tensione. Immaginò, dopo quell’osservazione, quale sarebbe stato il passo successivo:
-Quattro euro per una rosa-.
Prima che Pietro, evidentemente seccato, potesse reagire, Alessio si mise in mezzo:
-Va bene, va bene, stiamo calmi-.
Immaginava non ci fossero altri modi per concludere quella situazione, e in fondo andava bene anche così. Affondò le dita in una delle tasche dei jeans, dove sapeva aveva delle monete.
-Quattro euro per una di quelle rose, ok?-.
Poche volte in vita sua si era dimostrato un buon diplomatico, ma si sentì fortunato quando scoprì che quel giorno sarebbe stata una di quelle. Aveva sborsato quei quattro euro, e il vucumprà si era allontanato subito, lanciando un’occhiata intimorita verso Pietro.
Qualche attimo dopo, Alessio si ritrovava infine con una rosa in mano, pescata a caso dal mazzo, standosene a rigirarsela tra le dita e facendo bene attenzione a non beccare qualche spina.
Non sapeva bene che farsene, e non gli veniva in mente altro se non sbarazzarsene il prima possibile.
-Che te ne fai ora, di quella rosa?- gli chiese Pietro, come se gli avesse appena letto nel pensiero. La stava fissando anche lui, con aria scettica e quanto mai annoiata. Doveva ancora essere infastidito per quell’inframezzo con il vucumprà.
-La butterò da qualche parte- mormorò pensieroso Alessio – Oppure potrei regalarla a qualcuno-.
-Ad Alice?- domandò di nuovo Pietro.
Alessio alzò il viso, smettendo di tenere lo sguardo fisso sul fiore, e incrociando le iridi nere di Pietro. Gli balenò per la mente un’idea di cui si sarebbe sicuramente pentito l’attimo dopo averla attuata, ma gli sembrava allo stesso tempo così folle da non poter lasciarsela scappare. In fin dei conti, non gli rimaneva molto altro da perdere.
Allungò la rosa verso Pietro, parlando in fretta prima di poter cambiare idea:
-Prendila tu-.
Pietro arrossì all’istante, spalancando gli occhi e tenendolo fissato come se avesse appena visto un fantasma. Probabilmente si stava chiedendo se fosse tutto un sogno o se Alessio l’avesse detto sul serio.
-Cosa?-.
Alessio la avvicinò ulteriormente alla sua mano, incoraggiante. Sperava di non essere arrossito a sua volta, ma nutriva ben poche speranze in merito.
-Te la sto regalando. Prendila!-.
-Perché dovresti darla a me?- ripeté Pietro, vagamente isterico. Era abbastanza evidente di come Alessio l’avesse appena preso contropiede.
In realtà nemmeno lui avrebbe saputo rispondere a quella domanda. Era stata una cosa totalmente istintiva, inaspettata persino per lui, non calcolata nemmeno per sbaglio.
Gli era semplicemente venuta quell’idea idiota per sbarazzarsi di quella rosa, ed allo stesso tempo fare un regalo a Pietro. Un regalo decisamente insolito – e ancora doveva capire se aveva passato troppo il segno-, ma pur sempre un piccolo pensiero.
-Non ne ho idea, prendila e basta! Ti devo pregare, per caso?- ripeté Alessio, cercando di parlare con più calma, relegando in un angolo della sua mente il panico per quello che stava facendo. Forse non era appropriato regalare un fiore a qualcuno con cui i rapporti erano così tesi, ma ormai era decisamente troppo tardi per tirarsi indietro.
Cercò di sorridere incoraggiante a Pietro, e l’unica risposta che ebbe fu l’ennesima occhiataccia. Fu di nuovo per istinto che iniziò ad intonare, a bassa voce e porgendogli per l’ennesima volta la rosa:
-I want to be just as close as the Holy Ghost is, and lay you down on bed of roses … -.
-Ok, ok!- un attimo dopo Pietro aveva afferrato velocemente la rosa, facendo una smorfia per essersi punto un polpastrello con una spina – La prendo, a patto che tu la smetta di cantare qui. Ci stanno fissando tutti-.
Pietro era rosso come non mai in viso, e Alessio non dubitava che anche le sue, di guance, fossero nello stesso stato. Lasciò ricadere la mano lungo il fianco, dopo che Pietro ebbe finalmente afferrato a sua volta il gambo della rosa, con fare imbarazzato ed impacciato.
Alessio si guardò attorno, lentamente: di certo qualcuno doveva essersi fermato ad osservarli, a commentare quel gesto – magari anche a deriderlo-, ma in quel momento non notava troppi sguardi indiscreti. Anche lui cominciò a sentirsi a disagio, nonostante tutto: gli faceva strano, dannatamente strano, che qualcuno potesse considerare quel gesto alla stregua di una dimostrazione di galanteria. Sentiva il cuore stringersi, nel temere che qualcuno potesse additare quella rosa come il simbolo d’amore verso Pietro; e a pensarlo si sentiva ancora peggio, perché sapeva che non ci sarebbe stato nulla di male in merito ad un gesto simile tra due uomini, ma che allo stesso tempo non riuscisse ad accettarlo come una cosa possibile specificatamente tra lui e Pietro.
-E lascia che guardino- mormorò infine, senza però troppa convinzione. Pietro doveva essersene accorto: Alessio lo vide guardarlo con fare incerto, come se volesse domandargli solo attraverso gli occhi perché diavolo stava cercando di dire qualcosa che non pensava davvero.
-Scommetto che mai nessuno ti ha regalato una rosa cantandoti Bed of roses- proseguì Alessio, quasi a sviare l’argomento. Si schiarì la gola, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, guardando in qualsiasi direzione tranne che verso il viso dell’altro.
-E spero anche che non ricapiti- ribatté Pietro, la voce decisamente più morbida di quanto non avrebbe fatto supporre una frase del genere.
Ad Alessio venne quasi da ridere:
-Così potrò vantarmi di essere l’unico ad averlo fatto-.
Non si meravigliò dell’occhiata torva che Pietro gli rifilò nuovamente, ma non gliene importò molto. Alla fine poteva dirsi quasi soddisfatto di quel tentativo di conversazione: era rimasto solo con Pietro per molto più tempo di quanto non era accaduto negli ultimi due mesi, e non si erano nemmeno presi a male parole. Era decisamente un passo avanti.
-Devo andare, ora- Pietro sospirò piano, dopo qualche attimo di silenzio – Dovrei ringraziarti per questo tuo regalo?-.
-Se vuoi- alzò le spalle Alessio.
Pietro si rigirò ancora un attimo la rosa tra le mani, osservandola. Fu solo un attimo fugace, e ad Alessio parve quasi di esserselo solo immaginato, ma le labbra di Pietro si erano increspate in quello che poteva essere un sorriso. Forse non sarebbe nemmeno stato corretto definirlo così – le sue labbra avevano semplicemente preso una piega meno rigida e contratta rispetto a prima-, ma ad Alessio era bastato per capire che, in fin dei conti, non si era spinto troppo in là.
-Allora grazie, e … - Pietro rialzò il capo, facendo un cenno ad Alessio, di nuovo nascondendo quella specie di sorriso – Ci si vede in giro-.
-Ci si vede in giro-.
Alessio se ne rimase lì ancora qualche attimo, dopo che Pietro si fu allontanato passo dopo passo, lanciandogli un’ultima occhiata. Sapeva che era in ritardo, che sarebbe dovuto letteralmente scappare in segreteria, ma si prese comunque un attimo per assaporare un’ultima volta quel sorriso appena visibile sul viso di Pietro, e per ripensare a quell’arrivederci che, finalmente, non aveva lo stesso sapore amaro degli addii.
 
E io posso stare senza te
Ma non senza il tuo sorriso
Che come una cometa cancella il buio dal mio viso
E sono stato senza te
Ma tu c'eri sempre [2]
 
*
 
-Non è che mi stai portando in un posto isolato per farmi fuori, vero?-.
A quell’ennesima domanda – una raffica di domande che prevedevano scenari sempre più tragici- Pietro si limitò a scuotere la testa, soffocando a stento una risata.
-No, non è ancora giunta la tua ora- rassicurò Fernando, lanciandogli un’occhiata d’intesa – Ma se continui a fare domande potrei cambiare idea-.
-Tan susceptible, tío- borbottò tra sé e sé l’altro, ma quell’ultima minaccia sembrò sortire l’effetto voluto, perché Fernando non insistette oltre con le sue domande.
Era iniziato tutto quando, alle sei di sera del 14 giugno, Pietro si era presentato come pattuito sotto casa sua. Gli aveva già fatto gli auguri di compleanno per messaggio quella mattina, quindi era andato subito al sodo e gli aveva detto che per andare nella pizzeria in cui aveva prenotato avrebbero dovuto recuperare l’auto di Fernando. Non gli aveva detto nient’altro, anche se a giudicare dalle indicazioni stradali che gli stava fornendo, Fernando doveva aver intuito che si stessero spostando verso Padova. La prima domanda che gli aveva fatto era stata inevitabilmente come mai dovessero andarsene così distanti per mangiarsi una misera pizza, ma Pietro aveva taciuto anche in quel frangente. Si stava rendendo conto sempre di più, quando alla fine del viaggio ormai mancava poco, che fare delle sorprese a Fernando e tenere tutto segreto era un’impresa ciclopica.
-Ok, gira di qua adesso- lo avvertì Pietro. Avevano varcato il confine della città da non molto, ed ora si trattava solo di orientarsi tra le strade di periferia padovane senza perdersi. Pietro era sufficientemente fiducioso nella sua memoria da non affidarsi a qualche navigatore.
-Sicuro che non finiremo nel Piovego?- gli chiese ancora Fernando, un po’ diffidente.
-Magari poi ti ci butto- lo minacciò ancora una volta Pietro, stavolta non riuscendo a trattenere una risata immaginandosi la scena che aveva appena evocato.
Fernando borbottò qualcos’altro in spagnolo, ma seguì ancora una volta le indicazioni. Una decina di minuti più tardi avevano finalmente parcheggiato di fronte a quella che era la loro meta.
-Eccoci qui- Pietro scese dall’auto richiudendo subito la portiera, e indicando il locale di fronte a loro dall’altro lato della strada – Questo è il tuo regalo di compleanno-.
Fernando lo raggiunse, affiancandoglisi e guardandolo perplesso:
-Il regalo sarebbe una pizza offerta da te?-.
Pietro lo guardò sghignazzando.
“Aspetta e vedrai”.
-Non solo-.
Andò dietro Fernando, posandogli le mani su entrambe le spalle, come se stesse per illustrargli un segreto incredibilmente peculiare sulla pizzeria – esteriormente totalmente anonima- che avevano di fronte.
-Non è una semplice pizzeria. È una pizzeria con karaoke-.
Fernando si girò verso di lui alla velocità della luce:
-Che?-.
-Sì, hanno delle salette sul retro per il karaoke. Stile coreano, da quel che ho capito- spiegò Pietro, sorridendo soddisfatto per l’espressione ora stupefatta che Fernando aveva dipinta in viso. Aveva passato almeno due settimane per trovare un posto simile – o perlomeno un luogo dove ci fosse un karaoke, in modo che Fernando potesse sfogare le sue manie canore da qualche parte-, fino a quando non aveva trovato quello che cercava. Ovvero, quella pizzeria in una zona tranquilla di Padova, che aveva ricreato delle salette da karaoke come i noraebang coreani [3]. O almeno, così gli sembrava di aver capito.
-È un posto strano- mormorò – Quindi adatto per festeggiarci il tuo compleanno-.
-Adesso capisco tutta la segretezza- replicò Fernando – Andiamo, adesso sono curioso-.
 


-Stiamo facendo pena- affermò Pietro con discreta certezza, osservando il punteggio che aveva appena accumulato dopo l’ennesima performance dimenticabile. Si era impegnato per cantare Tiny Dancer perlomeno decentemente, ma ormai era piuttosto ovvio che non avrebbe mai avuto un futuro come cantante.
-Siamo qui per divertirci, mica per fare una gara canora. Non siamo mica a Sanremo- Fernando gli rifilò una pacca su una spalla, ridendo – E poi non ci sente nessuno-.
“E meno male” pensò Pietro. Almeno qualcuno si stava salvando le orecchie.
Avevano finito di cenare mezz’ora prima. La pizza era buona, e non avevano nemmeno speso tanto – o meglio: Pietro non aveva speso tanto, visto che aveva offerto lui-, e poi la curiosità aveva prevalso su qualsiasi altra cosa e appena finito si erano fiondati sul retro del locale, dove c’erano le salette da karaoke esattamente come Pietro aveva letto nelle descrizioni del locale che aveva trovato su internet. Dentro ad ognuna c’era tutto quello che serviva: un divanetto, dei microfoni collegati allo schermo dove si leggevano i testi a tempo, e dei grossi libroni con tutti i titoli delle canzoni tra cui scegliere. Il primo round era stato un duetto a dir poco fallimentare di Total eclipse of the heart, durante il quale avevano più riso che cantato. Non erano rimasti sorpresi quando al termine avevano letto il punteggio misero che avevano racimolato.
-È la prima volta che ti cimenti nel karaoke?- gli chiese Fernando di punto in bianco. Si era seduto sul divanetto, sfogliando uno dei grossi libri probabilmente per individuare la sua prossima scelta.
Pietro scosse il capo, armeggiando con il microfono che aveva in mano:
-Una volta ho dovuto cantare al karaoke davanti a tutto il ristorante dove eravamo- disse, senza accennare chi comprendeva quell’“eravamo”.
Fernando alzò il viso con sguardo impressionato:
-Davvero? Cantavi da solo?-.
Pietro si strinse nelle spalle:
-Ero con Alessio-.
Evitò di aggiungere anche il fatto che quella sera, inconsapevolmente, avevano cantato anche di fronte a Giulia e Filippo, e che lo avevano scoperto solo alla fine. Erano anni che non ripensava a quella serata: era stata un’improvvisata totale, ma all’epoca aveva significato tanto, forse fin troppo, per lui. Si chiese se ogni tanto non ci ripensasse anche Alessio, a quella serata e più in generale a quell’estate di cinque anni prima, durante la quale le cose avevano cominciato a cambiare in modo irreversibile.
-Oh. Ti ha regalato qualche rosa anche all’epoca?-.
Era evidente dalla sua espressione che Fernando stava cercando a stento di trattenersi dal ridere. Pietro non si tirò indietro dal lanciargli un’occhiataccia:
-Quanto andrai avanti ancora con questa storia?- Pietro roteò gli occhi al cielo, piuttosto incerto se strozzarlo e altrettanto pentitosi di avergli raccontato di quello che era successo tra lui ed Alessio alcune settimane prima. Era da quando lo aveva fatto che Fernando non la smetteva più di stuzzicarlo.
-È che avete un rapporto così strano. Fa quasi ridere come situazione- disse lui come giustificazione, continuando a ridere imperterrito – I vostri amici hanno notato nulla?-.
Pietro alzò le spalle:
-Probabilmente sì, ma non hanno chiesto niente. Meglio così-.
Ed era davvero meglio così, perché non avrebbe saputo come spiegare quale fosse la causa del suo distacco da Alessio. Probabilmente erano giunti alla conclusione che ci fosse stato l’ennesimo litigio tra di loro, e che nessuno di loro due volesse farlo sapere al resto del gruppo. Dubitava altamente qualcuno di loro avesse provato a chiedere spiegazioni ad Alessio, anche se doveva ammettere che sarebbe stato molto curioso di sapere cosa si sarebbe potuto inventare in quel caso.
Pietro si lasciò sprofondare in un angolo del divanetto. A parte le prese in giro di Fernando che gli ricordavano immancabilmente di quella maledetta rosa, non si era soffermato molto a pensare ad Alessio e a quel suo regalo improvvisato: preferiva non darci troppo peso, non illudersi ulteriormente per qualcosa che si sarebbe dimostrata l’ennesima occasione mancata.
Doveva semplicemente lasciare perdere.
-Oddio, c’è Dancing Queen!-.
Pietro quasi sobbalzò quando Fernando quasi urlò dall’entusiasmo.
-Questa la canto-.
-Non avevo dubbi- borbottò Pietro, scuotendo il capo e osservando l’altro alzarsi per prepararsi all’ennesima performance – Stai scegliendo tutte canzoni con la parola queen nel titolo?-.
La prima scelta di Fernando era stata Killer Queen. Era molto probabile che Freddie Mercury si fosse rigirato nella tomba nell’ascoltare una delle sue canzoni così brutalmente storpiata. Era piuttosto certo che la stessa fine l’avrebbe fatta anche la canzone degli ABBA.
-Perché io sono una queen- replicò Fernando, con così tanta convinzione e serietà che Pietro non potè fare altro che scoppiare a ridere – Filmami, così poi lo mando a Giulia-.
Fernando gli allungò il suo cellulare, e Pietro lo afferrò, puntando la fotocamera verso l’altro:
-Vuoi farti ridere dietro?-.
Fernando gli lanciò un’occhiata fulminante.
-Ti chiederà se stai avendo qualche appuntamento galante- proseguì Pietro, come se nulla fosse.
Fernando scosse la testa:
-No. Lo sa già che sono con te-.
Per un attimo Pietro non capì quello che Fernando gli aveva appena comunicato, ma il secondo dopo si ritrovò a sgranare gli occhi e a sentire il proprio respiro accelerare.
-Cosa?-.
Di fronte a quella domanda fatta con voce strozzata, trovò quasi offensivo che Fernando si mettesse a ridere di gusto.
-Guarda che lei e Filippo sanno già da parecchio che usciamo insieme. Come amici, s’intende- spiegò, e a quelle parole Pietro non si tranquillizzò affatto – Stai tranquillo, non è che tutti i miei amici sono gay. Ho anche amici etero … Pochi, ma ne ho. Sono un tipo socievole-.
Pietro tacque, un po’ più tranquillo anche se non del tutto. Non aveva mai messo in conto l’idea che Giulia e Filippo venissero a scoprire della sua neonata amicizia con Fernando, ma era altrettanto vero che si sarebbe dovuto aspettare, in tutti quei mesi, che in un modo o nell’altro venissero a saperlo. E, in fondo, forse non aveva davvero nulla da temere.
Si rilassò un po’ di più, osservando Fernando mentre armeggiava con il telecomando e il display: stava probabilmente cercando di selezionare la sua prossima canzone da cantare, la fronte aggrottata per la concentrazione. E fu in quello stesso momento, un po’ trasportato dall’ultima frase di Fernando, che Pietro si lasciò sfuggire una domanda che gli ronzava in testa da un po’ di tempo:
-Non ti vedi con nessuno, romanticamente parlando?-.
Fernando non reagì subito: per i primi secondi continuò a fare quel che stava facendo come se nulla fosse, ma poi si girò verso di lui con sguardo enigmatico, a tratti cauto.
-Perché me lo chiedi ora?-.
Pietro alzò le spalle:
-Non lo so, così. Mi è sorta la curiosità - disse vago – È che non ne parli mai-.
Fernando era piuttosto aperto su qualsiasi genere di argomento, meno che quello. O almeno, quella era l’impressione che Pietro aveva avuto in tutti quei mesi: spesso si raccontavano l’un l’altro episodi vissuti con i rispettivi amici, ma Fernando non aveva mai accennato a qualcuno con cui ci fosse qualcosa di più. Pietro si era domandato diverse volte se stesse semplicemente evitando di parlarne, o non ci fosse davvero nessuno.
-Non frequento nessuno- tagliò corto Fernando – Direi che le avventure da una notte non sono conteggiate come appuntamenti galanti-.
Pietro annuì. Forse era stata una sua impressione, ma gli parve che Fernando non avesse detto tutto quel che c’era da dire. Non insistette, però: era evidente che, sempre che avesse taciuto sul serio, doveva avere i suoi motivi.
Lo osservò ancora una volta in silenzio, mentre si lasciava andare ad una esclamazione felice sottovoce, quando finalmente trovò quel che stava cercando.
-E adesso fammi cantare- mormorò Fernando.
Impugnò il microfono saldamente, e la canzone partì.
-You can dance, you can jive, having the time of your life- Fernando accennò qualche passo di danza, e Pietro non riuscì a trattenersi oltre dallo scoppiare a ridere – See that girl, watch that scene, digging the dancing queen-.
Sembrava felice mentre cantava, lanciandogli ogni tanto occhiate divertite – con tanto di occhiolino. E anche Pietro si sentiva allo stesso modo: sereno come poche altre volte poteva dire di essere.
 


L’aria della notte era meno afosa, più sopportabile per poter camminare senza rischiare di sudare subito. Pietro si guardò intorno: quella zona di Padova, appena fuori dal centro, a quell’ora della tarda sera era già quasi deserta. Non c’era il solito nugolo di gente ancora in giro per bar e locali, né biciclette che sfrecciavano in ogni dove.
Erano usciti da una quindicina di minuti dalla pizzeria dove avevano trascorso le ultime ore, sia lui che Fernando con la gola irritata per il troppo cantare – o per il troppo storpiare canzoni cult, avrebbe detto Pietro. Era stata un’idea praticamente automatica fermarsi ad una gelateria lì vicino per comprare un gelato fresco, prima di ritornare verso Venezia.
-È stata una bella serata-.
Fernando lo aveva mormorato quasi sovrappensiero, mentre affondava il cucchiaino nella sua coppetta di amarena e fragola. Si era fatto un po’ più silenzioso da quando avevano finito con il karaoke, ma Pietro non si era posto troppe domande: probabilmente era solo stanchezza.
-Soddisfatto della mia sorpresa?- replicò, un po’ curioso nonostante potesse già aspettarsi quale sarebbe stata la risposta.
Fernando ridacchiò sommessamente:
-Sì, direi di sì- disse, un sorriso stampato sulle labbra – Potremmo tornarci in quel posto, ogni tanto-.
Pietro annuì:
-Sì, ogni tanto-.
Proseguirono ancora per un po’, senza una meta particolare, nella notte illuminata solamente dai lampioni lungo i marciapiedi. Era solo questione di pochi minuti prima che giungesse il momento di tornare all’auto.
-Ti sei seriamente impegnato per stasera- proseguì Fernando, dopo diversi minuti in cui era rimasto in silenzio – Ma ti sei dimenticato di una cosa-.
Pietro si girò di scatto verso di lui, la fronte aggrottata:
-Cioè?-.
-È pur sempre una festa di compleanno- iniziò a dire Fernando, ridendo sotto i baffi – Non vuoi cantarmi la canzoncina giusta per farmi gli auguri?-.
A quelle parole Pietro scoppiò a ridere, scuotendo il capo incredulo. Per un attimo aveva seriamente temuto che Fernando fosse serio e lui si fosse scordato di qualcosa di importante.
-Se è per questo manca anche la candelina da spegnere- gli fece notare, occhieggiando quel che rimaneva del suo gelato.
-Una mancanza imperdonabile-.
Fernando rise sommessamente, prendendo con il cucchiaino di plastica l’ultimo boccone di gelato. Gettò la coppetta ormai vuota nel cestino che superarono dopo pochi metri, e fu in quel momento, con un sospiro profondo e teatrale, che Pietro parlò di nuovo:
-Ti faccio gli auguri decentemente, ma niente canzoncina-.
In effetti glieli aveva fatti solamente via messaggio: poteva essersi impegnato di più, sotto quel punto di vista.
-Pusillanime- lo prese in giro Fernando, fermandosi dal camminare e rimanendogli di fronte.
Pietro lo ignorò e si fece più vicino, pronto a scoccargli un bacio per guancia come da tradizione:
-Ecco, tanti auguri e … -.
Il resto della frasi gli morì in gola, il respiro arrestato per la sorpresa e per la consapevolezza che, in realtà, quel che era appena successo non era stato propriamente calcolato. Era stata una misera frazione di secondo, il lasso di tempo in cui, mentre spostava la testa verso la guancia sinistra di Fernando, si era reso conto che avevano preso entrambi la stessa direzione. Erano finiti così vicini che non avevano fatto in tempo a frenarsi.
Pietro si staccò appena, ancora non del tutto consapevole del bacio accidentale che c’era stato. Era stato solo un bacio a stampo, così breve da essere durato quanto un respiro, ma la vicinanza minima tra loro c’era ancora. Osservò Fernando: era anche lui sorpreso? Si sentiva a disagio? Pietro non riusciva a capirlo. C’erano alcuni momenti, non molti, in cui gli occhi di Fernando sembravano indecifrabili, ed ora era uno di quelli.
Avrebbe fatto meglio ad allontanarsi, si ritrovò a pensare senza però agire di conseguenza, ma quando qualche secondo dopo Fernando gli si avvicinò nuovamente, lento per lasciargli forse il tempo di scostarsi, Pietro lasciò che lo baciasse. Stavolta non era stato accidentale, e forse non era nemmeno paragonabile alla sorta di esperimento che avevano fatto a gennaio, la prima sera in cui si erano ritrovati da soli. Pietro avvertì il peso leggero delle sue labbra, il sapore dell’amarena e della fragola lasciato dal gelato insieme alla freschezza, e si ritrovò a chiudere gli occhi.
Non ripensò ad Alessio, stavolta.
Per una frazione di secondo ebbe l’impressione che quel bacio fosse persino giusto, una naturale evoluzione della loro amicizia. Forse fu per questo che, quando Fernando si allontanò, gli sorrise esitante. Era un modo molto più semplice per dirgli che era tutto a posto.
Fernando gli sorrise di rimando, timidamente:
-Meglio tornare alla macchina. Si sta facendo tardi-.
E al contrario del bacio che c’era stato con Alessio mesi prima, Pietro non provò il bisogno di aggiungere e chiarire nient’altro. Sapeva che, quando si sarebbero salutati quella sera, una volta giunti a Venezia, le cose tra loro sarebbero rimaste immutate. Semplici come lo erano sempre state.
 
 



 
[1] Linkin Park – “Halfway Right”
[2] Ermal Meta – “Voodoo Love”
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e ai loro autori
[3] letteralmente le sale karaoke estremamente popolari e tipiche della Corea del Sud
 
NOTE DELLE AUTRICI
Nuova settimana, nuovo capitolo... E nuovo lavoro! Ebbene sì! Alla fine il colloquio della nostra Giulia è andato più che bene e così un nuovo capitolo della sua vita ha inizio. Una vita che appare alquanto piena e frenetica. Infatti tra lauree, matrimoni e impegni vari cosa potrebbe mai andare storto? Ora lei e Filippo hanno pure dei testimoni, e contro ogni previsione, Filippo stesso farà da testimone al fratello Fabio. Quando si suol dire "tutto è bene quel che finisce bene"!
Ma veniamo ora al tasto dolente 😂
Qualche giorno dopo, e con un cambio di pov, ci ritroviamo a seguire Alessio e i suoi dissidi interiori, soprattutto quando si ritrova a tu per tu con Pietro inaspettatamente.
Alessio, a suo modo, un modo diversamente deciso, cerca di rimediare agli errori commessi in passato. Queste azioni blande avranno delle conseguenze, magari positive, oppure nulla cambierà tra di loro?
Prima di scoprirlo ci imbattiamo nell'uscita di Pietro con Fernando. Pietro ha infatti organizzato una bella sorpresa per lo spagnolo per il suo compleanno. La location è inedita tra queste righe (e allo stesso modo lo è anche nella realtà, visto che si tratta di locale inventato).
E tra una cosa e l’altra siamo infine giunti al termine. Beh, finale con il botto... O per meglio dire, con il bacio 👀 si è infatti conclusa così la serata del compleanno di Fernando, coronata da un bacio molto tenero tra lui e Pietro.
Dopo una bella sessione di karaoke pazzo, e qualche scoperta (tipo che Giulia e Filippo sanno dell'amicizia di questo nuovo duo), siamo anche giunti alla conclusione di questo capitolo. Che conseguenze avranno tutti questi avvenimenti, soprattutto calcolando questo secondo bacio tra Fernando e Pietro?
Magari lo scopriremo già nel prossimo capitolo, che pubblicheremo mercoledì 17 agosto (perché noi non andiamo in vacanza manco quest’anno 😂) !
Kiara & Greyjoy
 
   
 
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