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Autore: La_Spynn    23/05/2005    3 recensioni
Non avete mai sognato di "cadere" in un FF, giocandoci? Vivere nuove avventure, conoscere i personaggi che aforate... E se potesse accadere davvero? Ahahah! Ecco qua, è una fic un po’ strana, scritta in pochissimo tempo! Mi E’ uscita proprio di getto! Non so, se vi piace magari potrei fare altri capitoli, perché mi sono divertita molto a scriverla!
Genere: Avventura, Azione, Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love…

Spira’s Life – It’s not so easy

The Cold, Cold Gagazet

 

Ahahah! Ecco qua, è una fic un po’ strana, scritta in pochissimo tempo! Mi E’ uscita proprio di getto!

Non so, se vi piace magari potrei fare altri capitoli, perché mi sono divertita molto a scriverla!

Ah… io AMO Rin ^_^’’

 

Annik si appoggiò al bancone, sbadigliando sonoramente. La sera prima non sarebbe dovuta uscire, lo sapeva. E adesso, per punizione, avrebbe avuto sonno per tutto il giorno. E, se non era un problema per un qualunque altro ragazzo avere sonno la domenica, per lei lo era, eccome se lo era.

<< Non mi sembri attenta! >> commentò Rin, spuntando dal retro del negozio, dove si era ritirato a contare i suoi guil parecchio tempo prima. << Potrebbe arrivare un ladro e tu neppure lo vedresti! >>

La ragazza scrutò le persone che chiacchieravano nel cortile recintato del negozio. Molti erano viaggiatori, venuti nella piana per scommettere e divertirsi, grazie ai giochi di Azzurro e Argento Co. Altri erano clienti abituali. C’erano un paio di addestratori di Chocobo che lavoravano al “Ranch di Clasko” dall’altra parte della Piana. Tutti ammiravano le armi esposte con desiderio, discutevano sui prezzi delle pozioni curative e, ogni tanto, venivano a chiederle informazioni o a comprare qualcosa. Nessuno, però, sembrava un ladro.

<< Sono attenta, puoi fidarti >> soffocò uno sbadiglio dietro ad una mano << E’ solo che ieri ho fatto un po’ tardi, tutti qui >> A volte Rin gli sembrava un po’ troppo apprensivo. Oh, non certo verso di lei, ma verso i suoi guil. Neanche non ne avesse, era il commerciante e forse l’uomo più ricco di Spira, soprattutto grazie alla sua ultima trovata, lo Sferatiro. Lei sinceramente preferiva il Blitzball, ma non lo aveva mia detto al troppo permaloso capo. Era però una brava persona, magari gli piacevano un po’ troppo le cose pacchiane e aveva la strana tendenza a gioire delle disgrazie altrui – soprattutto se con “altrui” si intendeva dei suoi concorrenti – ma in fondo nessuno è perfetto. E, da quando era finita su Spira, era proprio grazie a lui che poteva tirar su un centinaio di guil la settimana. Non che le servissero veramente, dopotutto tornava sempre a casa la sera, per non fare insospettire i suoi. Ma è meglio raccontare tutto dall’inizio no?

Annie O’Shey, sedici anni, aveva sempre adorato giocare ai vari Final Fantasy. Piangeva quando i personaggi erano tristi, rideva delle loro battute, si commuoveva quando si innamoravano e faceva di tutto per non mandarli mai “KO”. In molti le avevano detto di essersi fissata troppo. Era solo un gioco, dopotutto.

Solo un gioco?

Beh, non proprio. Un giorno, giocando a Final Fantasy X- 2, era comparsa una strana scritta sullo schermo. Una strana scritta molto in piccolo. Istintivamente si era alzata dal divano su cui si spaparanzava ogni volta che prendeva il controller in mano per avvicinarvisi. Non aveva capito una parola. Pensando che fosse uno scherzo, o che magari la TV fosse rotta, aveva istintivamente premuto la “X”, che nel linguaggio per Playstation equivale ad un Ok. Magari sarebbe scomparsa da sola. Il messaggio era scomparso. Poi il controller aveva preso a vibrare. Una luce l’aveva accecata. E lei si era ritrovata seduta in mezzo all’erba della Piana della Bonaccia. Sapeva che, in questi casi, la prima reazione del protagonista di un gioco, un libro o un film era il terrore, la paura dell’ignoto… ma lei non aveva provato nulla di simile. Insomma, conosceva Spira come le sue tasche e, in fondo al cuore, aveva sempre desiderato farci un giro, magari conoscere Yuna, Tidus e Rikku, visitare i templi, vedere il tramonto dalla via Mihen… questo genere di cose, insomma. E, in quel momento, il suo sogno si era avverato. Nella tasca dei jeans che in quel momento portava aveva trovato una strana pietra, bianca da un lato, nera dall’altro. Ora era la parte bianca a brillare, come un piccolo sole, grazie ad una lancetta che, incastonata proprio nel centro, la indicava. Spostandola verso la parte nera, ne era certa, sarebbe tornata a casa. Sarebbe tornata ad essere Annie O’Shey, una ragazzina fissata con Final Fantasy e considerata da tutti piatta e noiosa. Ma lì, su Spira, poteva essere chi voleva… ed ecco cos’era diventata: Annik, commessa della Casa del Viante della Piana della Bonaccia. Non si era mai mossa dalla grande pianura, primo perché le mancavano i soldi, secondo poiché, in fondo, le piaceva quel modo di passare le giornate, con il caldo sole che le abbronzava la pelle, i clienti che le parlavano e chiedevano delle cose e degli strumenti più strani e dei bonari rimbrotti di Rin che, nonostante facesse tanto il difficile, la considerava ormai il suo braccio destro. Quando aveva lanciato lo Sferatiro l’aveva anche portata a Luka e lei era rimasta lì, come un’ebete, a guardare il pub dentro al quale gli Albhed avevano rapito Yuna in FFX, oppure la statua dove l’invocatrice e Tidus avevano parlato, i moli, i giocatori di Blitzball che, non essendo ancora iniziata la stagione del Blitz, si riposavano al caldo sole tra i fan…

Ed era stato bellissimo.

Tornava su Spira ogni volta che poteva, tanto che i suoi genitori avevano anche cominciato a preoccuparsi. Dove andava la loro bambina, in quei lunghi pomeriggi? E perché, ormai, tutti i sabato notti non tornava mai a casa ma dormiva fuori da “un’amica”? In effetti dormiva sì fuori, ma da Clasko che le stava dando lezioni sui Chocobo, oppure da Rishe, un’Albhed un po’ pazza, che le aveva anche prestato dei vestito “adatti” a Spira. Ma c’erano anche Aysha e Miken, della Azzurro Co, la prima che le faceva fare gratis i viaggi in Aeronave per spostarsi da una parte all’altra della piana, il secondo che le aveva proposto più volte di giocare ad uno dei numerosi intrattenimenti che gestiva. Lei aveva sempre rifiutato, anche perché se Rin avesse scoperto che spendeva guil in quel modo l’avrebbe minimo scannata.

 << Nik >> chiamò Rin. Ahia. Quando la chiamava Nik era perché voleva qualcosa. E, di solito, qualcosa di faticoso da fare. Si spostò con un movimento rapido una ciocca di capelli castani dal volto, preparandosi al peggio. Che cosa avrebbe chiesto, quella volta, il suo fin troppo esigente capo? << Ci sarebbe una cosa… che dovresti fare… >> se faceva così il gentile era un extra. Anche perché di solito si limitava ad ordinare.

<< Ehila gente! >> esclamò qualcuno. Una voce famigliare. Il “Boss” contrasse il volto in un’espressione di incredulità, mentre Annik sorrideva, felice di essersi, per ora, salvata. << Come sta il mio commerciante preferito? >> Cid passò un braccio intorno alle spalle di Rin, con fare amichevole.

<< Che c’è Cid? >> domandò al capo degli Albhed che, accompagnato dal figlio maggiore, Fratello, e dal migliore amico di questo, Compagno, era sbarcato con un’Aeronave rossa fiammante poco distante dalla Casa del Viante. << Non dirmi che hai di nuovo bisogno di pezzi di ricambio per l’Aeronave…?>> 

L’espressione dell’Albhed cambiò. Ora era stranamente seria. << E’ una cosa molto importante. Te la dico in privato >> lanciò uno sguardo ad Annik << Nik >> Lui invece la chiamava così abitualmente << Dà un’occhiata a quei due, non mi fido troppo a lasciarli soli! >> la ragazza sorrise. Fratello e Compagno confabulavano tranquilli. I clienti, che avevano osservato incuriositi la scena, distolsero lo sguardo, trovando qualcos’altro su cui concentrare la loro attenzione. L’amico del figlio di Cid le si avvicinò.

<< Posso offrirti qualcosa? >> cinguettò la commessa, sistemando in uno scaffale alcune pozioni dall’aspetto non troppo attraente. Erano un esperimento di Rin. Una volta che ne avevi bevuta una non avevi  bisogno di mangiare per giorni. Solo che avevano un sapore che andava dal fango di palude all’acqua di fogna. Un vero schifo, insomma. Eppure molto, molto utili.

<< Si… una di quelle pozioni… >> balbettò. Sentì Fratello sbuffare da dietro le sue spalle. << E… il tuo cuore! >> esclamò in tono melodrammatico. Annik sorrise.

<< Mi dispiace, sono contraria la traffico d’organi… >> stava per prendere la pozione chiesta dal giovane, quando Rin e Cid uscirono dal retro. Entrambi avevano un’espressione da funerale. Incuriosita si chiese che cosa fosse successo. Che cosa si fossero detti. La curiosità la divorava.

<< Bene… allora faremo come deciso >> borbottò il Capo degli Albhed. << Andiamo, voi due, non abbiamo tempo da perdere! >> Compagno si allontanò tristemente, mentre Fratello rideva, divertito. Cid li guardò e scosse le spalle. Il Boss si voltò verso di lei, con aria interrogativa. La ragazza si limitò a sorridere.

<< Bene… comunque… dovresti portare questo pacco >> e le mostrò un involto di carta azzurra << a Kimahri, il Capo della tribù dei Ronso, sul Gagazet >> fece, già certo della sua risposta. Perché avrebbe dovuto abbandonare il caldo della Piana per recarsi nel luogo più freddo di Spira?

<< Non pensavo che facessimo anche le consegne a domicilio… >> commentò lei, divertita. Ricordava bene quando Tidus e company, in Final Fantasy X si erano arrampicati su per il monte. Però incontrare Kimahri, che gli era sempre piaciuto molto come personaggio, era un motivo più che sufficiente per seguire gli ordini… << Però ve bene, ci sto! Quando parto? >>

<< Adesso. Se per te va bene… >>

Per lei andava bene e, in meno di una mezz’ora in cui si era ben equipaggiata per sfuggire al gelido freddo del Sacro Monte Gagazet, il suo viaggio era cominciato.

 

Attraversare la Piana della Bonaccia non fu un grande problema per Annik, anche perché Aysha le diede un passaggio fino al Ranch di Clasko. Si sarebbe fermata volentieri a salutare l’amico, ma era di fretta. Il capo le aveva detto che in tre giorni avrebbe potuto facilmente raggiungere la cima e che il Capo dei Ronso la aspettava proprio là. Si sistemò i graziosi occhialini da Albhed che Rishe le aveva prestato, e che si combinavano con la T- shirt priva di maniche arancione, sotto alla quale portava un’aderente maglia verde smeraldo. La solita minigonna era stata rimpiazzata da un paio di pantaloni di un rosso cupo, quasi scarlatto. Tre cinture erano legate attorno alla coscia destra, nelle quali teneva le pozioni curative, mentre due erano assicurate attorno alla vita. In una di esse aveva infilato la lunga asta che usava per combattere. A lei, quell’insieme di colori, era parso piuttosto ridicolo, ma Rin e Rishe erano concordi nel dire che, se non fosse stato per gli occhi color nocciola e i capelli bruni, sarebbe stata un’Albhed perfetta. Uscì dalla Piana e subito il clima cambiò. Vide molto turisti dirigersi verso la Grotta dell’Intercessore, dove avrebbero, con una gita guidata, ammirato il vecchio intercessore di Yojimbo, la Lama Vendicatrice. Secondo molti era una gita molto pericolosa poiché tutti ricordavano i tempi in cui un’invocatrice era misteriosamente morta, proprio in quel luogo, cercando di ottenere la grazia dell’eone. Però, dicevano tutti, lì un tempo si era anche allenata la Grande Invocatrice Yocun, miliziana prima, invocatrice poi. E, secondo loro, il suo spirito dall’oltremondo li guardava e li proteggeva. I mostri però continuavano ad esserci e non erano rare le volte in cui qualcuno veniva gravemente ferito. Ma a lei questo non importava. Superati i due ponticelli, arricchiti da bandierine colorate, che portavano al Monte Gagazet, cominciò a sentire il vero freddo, nonostante gli abiti pesanti. Beh, avrebbe sopportato, del resto che altro poteva fare? Alle pendici del monte trovò solo un vecchio Ronso, che guardava sorridendo il vuoto. Non volendo disturbarlo si affrettò a sorpassare quella zona. Gli altri Ronso dovevano essere con il loro Capo- Tribù in cima alla montagna. Cominciò a salire, con il freddo che penetrava nelle ossa, la neve che le aveva ormai infradiciato i piedi, nonostante gli alti stivali neri che, a detta di Rin, erano impermeabili. Il sole aveva smesso di splendere e solo le nubi occupavano il cielo grigio. Ti prego, fa che non nevichi… continuava a ripetersi, inutilmente. Quasi dal nulla comparve un mostro di un rosso porpora, che volava a mezz’aria e che la fissava con occhi cattivi. Un Piros, riconobbe. A questo punto avrebbe mandato Yuna, che avrebbe evocato Shiva, per metterlo KO in pochi istanti. Solo che quello non era il gioco. Ma la realtà. Strinse l’asta fino a farsi sbiancare le nocche.

<< Bene >> disse, per farsi coraggio << Ora ti mostro come combatto io! >>

La creatura le si avventò contro, facendola cadere a terra, ma si rialzò in fretta, non era nulla di grave un volo nella neve. Lanciò un Blizzara al nemico, che, inaspettatamente, si ingrandì. Piros? Piros? Piros? Perché si è ingrandito? Cercava nella sua mente la soluzione… sapeva di saperlo… eppure… ce l’aveva sulla punta della lingua ma… oh, al diavolo! Lanciò un secondo Blizzaga e quello si ingrandì ancora. E, dopo un terzo incantesimo divenne ancora più grande. Fu allora che capì. Capì di avere sbagliato a non fuggire. Quando il nemico che le si avvicinò con rapidità e usò la sua tecnica più famosa e distruttiva, Kamikaze. Come aveva fatto tante volte, mentre giocava alla Playstation. Solo che quella volta non era un gioco.

 

Il ragazzo si stava arrampicando sul Monte Gagazet quando sentì l’esplosione. Un urlo. E poi il silenzio. Preoccupato, continuò a salire. Forse c’era qualcuno in pericolo. Anzi, molto probabilmente. Un Piros doveva aver usato la sua tecnica più distruttiva, il Kamikaze, e ben pochi riuscivano a sopportarla.

Ed, in effetti, raggiunto lo spiazzo, vide che una vasta zona era priva di neve, a causa dell’esplosione del mostro di fuoco. Doveva essere stata davvero potente… e al suo centro c’era qualcuno, sdraiato e privo di vita, almeno in apparenza. Un Albhed? No, benché i suoi abiti dicessero il contrario. Non possedeva i biondi capelli Albhed e, immaginò, neppure i suoi occhi erano una spirale verde in cui perdersi.

<< Ehi! Sveglia! >> esclamò, scuotendola. Non aveva ferite gravi, probabilmente aveva solo perso i sensi a causa dell’attacco di fuoco. << Avanti… coraggio! >> No. Magari aveva battuto la testa. Morta non era, sentiva chiaramente il cuore battere nel petto, vivo. Non aveva intenzione di arrendersi alla morte. Sfortunatamente il tempo tramava contro di loro. Un forte vento spirava, un forte vento che, probabilmente, avrebbe portato tempesta e, affrontare una tempesta senza un riparo, sul Gagazet era un puro suicidio.

<< Maledetta la mia cavalleria… >> brontolò, chinandosi a terra e prendendo in braccio la ragazza. Una mano sotto le ginocchia ed una dietro alla schiena, proprio come se fosse una bambina. Una bambina piuttosto graziosa, dovette ammettere. Aveva visto una grotta, lì vicino, si sarebbero potuti riparare lì, in attesa che la “bella addormentata” si svegliasse.

La caverna era buia ed umida, per niente adatta ad un dolce riposo, ma era l’unico riparo che avevano a disposizione. Si sarebbero accontentati. La posò delicatamente a terra e, non osando frugare tra le cose della ragazza, contenute nello zaino che portava sulle spalle e che adesso era abbandonato in un angolo, prese la sua coperta per scaldarla un po’. Avrebbe dovuto accendere un fuoco, ma con cosa?

La giovane mugolò qualcosa che lui non capì. Poi si voltò dall’altra parte, persa nel mondo dei sogni.

Grandioso, sbuffò, sedendosi a terra, con le braccia abbracciate alle ginocchia.

 

Sono morta? No, immagino di no, altrimenti non mi sentirei così male. In effetti, quando Annik riaprì gli occhi, non c’era una sola parte del corpo che non le dolesse. Stupida, come hai fatto a non ricordarti che i Piros esplodono? Ti sei forse bevuta il cervello a colazione? Mugugnando qualche parole, si alzò a sedere, chiedendosi che cosa ci facesse in quella caverna. Lei aveva affrontato il mostro in uno spiazzo aperto, ne era certa. Sentì il vento ululare, al di fuori. Una tempesta? Oh, grandioso. Girò il collo, con fatica, dolore ed una pressante voglia di mettersi ad urlare. Vide un ragazzo addormentato. Beh, se quello era il suo salvatore, Spira doveva essere corto di principi azzurri. Era un ragazzetto dai capelli bruni e piuttosto lunghi, gli abiti semplici, non da Albhed come lei, gli occhi chiusi. Insomma, nulla di speciale. Neppure troppo carino. Beh, un momento, non che fosse proprio da buttare, ma, diciamo, aveva visto di meglio. Si strinse nella coperta. No, un momento. Quella non era la sua coperta! Ok, il ragazzo saliva nella graduatoria. Era stato gentile a prestargli l’unica cosa capace di trasmettere calore, contando il freddo che faceva. Aprendo il suo zaino estrasse una coperta gialla su cui erano disegnati centinaia di Chocobo fatta a mano, un regalo di Clasko, e gliela mise sulle spalle. Uno a uno. Poi, notando che non sembrava esserci un fuoco, raccolse dal suo zaino un paio di riviste ch

e aveva portato da leggere, nel caso si fosse annoiata, e sussurrò un “Fire” di bassa potenza, che avviluppò con fiamme arancio i giornali, spandendo un dolce caldo nell’aria. Due a uno per me! Sorrise, soddisfatta. Non voleva fare la figura della ragazzina incapace di badare a stessa. Non aveva mia adorato le storie di belle principesse che, guarda caso, non appena fanno qualcosa vengono rapite da un  mostro e che l’eroe deve sempre andare a salvare. Preferiva racconti di giovani coraggiose che sapevano guardare al pericolo senza timore. Insomma, non che lei sapesse fare come queste ultime, anzi, molte volte tremava e aveva paura. Ovviamente, passati quei momenti, negava tutto. Dettagli.

Il ragazzo, probabilmente anche grazie al caldo emanato dalle fiamme, aprì due grandi occhi azzurro mare. Molto, molto belli, fu costretta ad ammettere. Sentì di aver collocato, senza neppure rendersene conto, il ragazzo su un gradino superiore, nella sua scala. Doveva smetterla di fare una classifica per tutto e dare voti a destra e a manca. Però, in quel momento, si sarebbe meritato un bel sette. E si sentiva generosa.

<< Sei sveglia…? >>

<< Si nota? >>

Si stiracchiò, alzandosi in piedi. Annik si prese l’appunto mentale di essere più gentile. Dopotutto era grazie a lui che non stava affrontando la tempesta ed era in quella grotta. Un po’ umida, magari.

<< E’ tua? >> le porse la coperta.

<< Già. E’ un regalo. >> specificò, notando lo sguardo critico con cui lui la stava osservando << E questa è tua… vero? >>

<< Si. Io sono Ganz. Ganz O’aka. >>

<< O’aka? O’aka XXIII?>>

<< Suo fratello…>>

<< Oh >> Questo era un problema. Dire che Rin e O’aka erano come il gatto ed il cane sarebbe stato un eufemismo. I due più importanti – forse gli unici – commercianti di Spira, si odiavano dal più profondo del cuore. Il suo Boss lo odiava perché detestava tutti i suoi avversari, O’aka perché l’Albhed lo aveva quasi mandato in rovina a causa del bidone che gli aveva rifilato, vendendogli la Casa del Viante di Macalania, ormai abbandonata da tutti e isolata dal mondo. Se Rin avesse saputo che si era fatta salvare da Ganz come minimo l’avrebbe strozzata. E non poteva neppure fargli notare che senza il suo aiuto sarebbe morta, perché il suo comprensivo capo avrebbe detto che era meglio la morte a quello. Grandioso davvero.

<< E tu che ci fai qui? >> inclinò il capo, guardandola con una certa curiosità.<< Sei vestita da Albhed, ma non lo sei… cioè, non sei bionda e gli occhi non sono a spirale e via dicendo…>>

<< Oh… il mio nome è Annik … >> no, non poteva, non doveva dirglielo! Dirgli che lei lavorava per il nemico numero uno di suo fratello. O forse si? Tanto ormai l’aveva salvata… << E lavoro… alla Casa del Viante… >> abbassò lo sguardo, mordendosi la lingua. Cosa avrebbe detto?

<< Anche tu qui per portare un pacco? >> scherzò, divertito. Tutto qui? Non si era arrabbiato? Niente urla isteriche? Niente ira Fuggi fuggi generale? Aveva scherzato su un problema relativamente serio…

<< Già… >>

<< Evidentemente i mercanti sono tutti uguali! >> rise, divertito, mentre Nik accennò un semplice sorriso, più simile ad una smorfia.

Mmm… quante possibilità c’erano che a lui non importasse davvero niente del lavoro di suo fratello?

A-S-S-U-R-D-O. Avrebbe potuto domandarglielo… ma aveva imparato che, a volte, è meglio stare zitti e tenersi per sé i propri quesiti. Almeno, con Rin bisognava fare così, altrimenti si era fregati, visto che bastava chiedergli “Che ora è?” per sentire una risposta lunga due ore, durante la quale riusciva a parlare di tutto e a non rispondere alla fatidica domanda.

<< Quando finirà la tormenta? >> domandò Annik, con un sospiro. << Odio stare ferma in questo posto… mi mette in ansia e si congela… >>

Lui ridacchiò sommessamente, poi le si avvicinò a carponi e le mise un braccio intorno alle spalle. << E adesso? >> domandò, con un candore tale da lasciarla spiazzata. D’accordo, su Spira si vedeva gente che andava in giro in mutande senza scomporsi troppo, ma abbracciare una ragazza poteva voler dire una sola cosa…o no? Nik, stai fraintendendo tutto come al solito, magari vuole solo fare amicizia… e poi dai, se avesse davvero voluto provarci non avrebbe questa espressione da angelo… cavoli, e io che ridevo quando questo genere di seghe mentali se le facevano i protagonisti del giochi per la Play

<< Va benissimo, grazie… >> fece lei, assumendo un lieve color peperone. Anzi, neppure tanto lieve, in verità.

<< Eh? Perché sei tutta rossa? Ti senti male? >>

<< No, no… >> imbranazione totale. Però le avevano sempre fatto tenerezza questo genere di ragazzi. Così pucciolosi! Sorrise, all’improvviso. Se lui faceva così perché preoccuparsi? Magari era già anche sposato… erano abbastanza precoci su questo continente… però era una situazione ambigua… soli, in una caverna, abbracciati… se Rin l’avesse beccata l’avrebbe uccisa, continuava a ripetersi, ma stranamente la cosa non la toccava più di tanto. Non era più agitata, anzi, si sentiva calma e tranquilla. Appoggiò il capo alla spalla del ragazzo e lo sentì sussultare. Oh, grandioso, ora comincia a fare due più due e a capire che siamo in una posizione pericolosa…

Oh, e chi se ne importa!

Pensarono i due nello stesso instante.

 

L’alba era sorta, il sole illuminava il Sacro Monte Gagazet, i suoi raggi facevano splendere la neve immacolata, come polvere d’argento.

<< E’ così bello… è un peccato dover rovinare tutto calpestandola, vero? >> domandò all’improvviso Ganz, con lo zaino già sulle spalle, un po’ spettinato per la notte passata in quella posizione alquanto scomoda – Annik era riuscita ad addormentarsi sulla sua spalla e lui non aveva avuto cuore di svegliarla – sorridendo.

<< Si, si… >> borbottò lei, ancora assonnata, camminando in modo molto simile a quello di uno zombie.

<< Allora, sei pronta a partire? >> domandò nuovamente il giovane O’Aka, sprizzando energia da tutti i pori.

<< No… ma visto che non ho poi molto tempo per raggiungere la vetta, quindi mi devo sbrigare… >>

<< Lo stesso vale per me e… >> si zittì all’improvviso, fermandosi davanti ad un vecchio cumulo di rocce, coperto dalla neve, ma da cui spuntavano un paio di vecchie picche. Chiuse gli occhi, abbassando il capo.

<< Tutto… tutto bene? >> chiese Annik, avvicinandosi a lui e posandole una mano sulla spalla.

<< Si… sai che questo è un monumento in ricordo degli Invocatori che morirono, cercando di raggiungere la vetta del Monte e Zanarkand… >> sospirò, tristemente. Strano come fosse cambiato il suo umore, in così poco tempo. Prima allegro e ora triste. << Sai, mia sorella era un’Invocatrice… ma morì, proprio cercando di raggiungere la cima del Gagazet… lei e i suoi due guardiani… né io né mio fratello avevamo accettato di seguirla, perché sapevamo di non essere bravi combattenti… >>

A volte, nella vita, si rimane a bocca aperta, fissando chi ti sta davanti, cercando disperatamente qualcosa di intelligente da dire. Quella era una di quelle volte. Cosa avrebbe potuto dire? Sapeva bene della morte e delle distruzioni che Sin portava e davanti ai racconti di esse era sempre rimasta zitta, abbassando gli occhi a terra. Era stupido, ma proprio grazie a questi racconti capiva quanto fosse fortunata ad avere una famiglia che l’amava – e viva – un mondo privo di terribili mostri e nemici assassini pronti ad ucciderla.

Lui improvvisamente sorrise, tristemente, ma sorrise. << Ma perché pensare a queste cose brutte? Andiamo, non abbiamo tempo da perdere, non l’hai detto anche tu? >> E, dopo queste parole, si avviò.

Ci sono certe affermazioni o domande a cui non si sa come rispondere. Abbassò il capo e lo seguì.

Parlarono molto, durante l’ascesa. Era bello e piacevole per entrambi chiacchierare. Annik non gli aveva – ovviamente – detto che quello per lei in realtà era un gioco per Playstation. Però gli aveva raccontato della sua vita, alla Casa del Viante, dei suoi amici, Clasko, Rin… e lui le aveva promesso di insegnarle a pattinare sul ghiaccio, benché, lo ammetteva, non ce ne era più tanto a Macalania, il bosco ghiacciato che, come neve a primavera, si stava lentamente sciogliendo, scomparendo da Spira, forse per sempre.

La cima era sempre più vicina. La cima e la meta del loro viaggio. Le dispiaceva, perché non si era mai sentita così tanto a suo agio con qualcuno da parecchio tempo. Però sapeva che quel viaggio non sarebbe potuto durare per sempre. Quel viaggio con quel ragazzo buffo, ma molto gentile e sempre disponibile a rispondere alle sue curiose domande, molto spesso inopportune.

Poi, infine, il cielo terso e blu del cielo sopra il Gagazet.

Erano finalmente arrivati.

 

I Ronso non amavano parlare, incontrare Kimahri era stato per Annik fantastico, aveva continuato a saltellare sotto i suoi occhi attoniti, chiedendogli di tutto, dal suo numero di scarpe alla sua lancia preferita.

Quando gli avevano portato i pacchi li aveva semplicemente ringraziati con un lieve sorriso, per poi allontanarsi, con il resto della tribù, verso la valle. Aveva commentato che avrebbero fatto meglio ad aspettarlo alla base del monte, perché era pericoloso arrampicarsi, soprattutto con quel tempo.

<< Allora ce l’abbiamo fatta, no? >> sorrise Ganz, quasi dispiaciuto.

<< Già… adesso potremmo tornare alle nostre vite o… >> lei sorrise maliziosa. << Andare a farci un giro in qualche posto romantico! >> rise, battendo le mani, sorridente.

<< Romantico? >>

<< Ehm… Dai, che razza di domande fai, sbrighiamoci, non mi avevi promesso di insegnarmi a pattinare?>>

Ganz sorrise, poggiandole una mano sulla spalla. << E poi Macalania è un posto molto romantico, no? >>

Nik gli gettò le braccia al collo. << Allora corriamoci! >>

 

 

 

 

  
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