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Autore: Martin Eden    07/08/2022    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Thranduil

 

Quei suoi pianti disperati mi facevano impazzire. Correva come un ossesso per tutta la reggia, mandando in frantumi i miei piani e qualche vaso; correva e gridava che voleva sua madre, che ero un padre cattivo, che non gliela volevo far vedere.

Non sapevo gestire una personalità come Legolas, rigoglioso come un virgulto e irruento come solo i bambini sanno essere. Oramai nessuno, tanto meno io, riuscivamo a tenergli testa.

Tutto era precipitato nel momento in cui avevo dovuto togliere del tutto le bende e mi ero mostrato a lui per quello che ero: un relitto. Sulle prime, non mi aveva nemmeno riconosciuto. Il dolore più grande, per me, era stato quando mi aveva strillato contro:

- Tu sei un mostro!-

Per lungo tempo non aveva voluto vedermi. Se ne stava asserragliato nelle sue stanze, come una creatura selvatica nella sua tana. Non voleva mangiare, non dormiva nemmeno. I servitori lo sentivano urlare e prendere a pugni il muro a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Di me non ne voleva sapere.

Soffrivo in silenzio mentre aspettavo che tutto quel dolore finisse, inconsapevole che invece sarebbe durato per sempre. Pensavo fosse un castigo che spettasse solo a me, non a mio figlio. Non sono stato un migliore genitore rispetto a essere un migliore marito.

Ma ero pur sempre suo padre, e avrei continuato a esserlo qualsiasi cosa fosse successa. Qualsiasi cosa si fosse frapposta tra noi. Io ero suo padre.

Ero tutto ciò che gli rimaneva.

 

Vederlo adesso, dopo centinaia di anni, sembrava magia. Lui non poteva saperlo, ma era uguale a sua madre. Rivedevo in lui le nostre parti migliori, in particolare quelle di lei.

Ne andavo fiero. Come può un padre non essere orgoglioso del proprio figlio, quando questo figlio è Legolas? Sapevo che non mi avrebbe mai deluso, anche se ogni tanto ci provava. Ma io ero sempre disposto a perdonarglielo.

Riabbracciai con la mente i campi di battaglia di Angmar. Prima di tornare a Bosco Atro non avevo potuto evitare di andare a vedere con i miei occhi quella che per me era stata una disfatta.

Come c’era da aspettarsi, non era rimasto niente sulle nude pietre. Altre creature – Nani, Uomini – cercavano al suolo qualcosa che appartenesse ai loro compagni d’armi, senza troppe speranze.

Mentre passavo, alzavano a malapena la testa: un accenno di saluto, neanche una deferenza, al massimo mi lasciavano campo libero. Stanchi, mesti, insoddisfatti della vittoria. Come me.

Anche io cercavo ancora qualcosa tra quelle rovine.

Ero certo che avrei riconosciuto il corpo di mia moglie dalla lucentezza con cui avrebbe brillato in mezzo agli altri, per alcune rare pietre che solo noi Elfi Silvani potevamo saper riconoscere. Le portava sempre addosso, vicino al cuore, incastonate in una bardatura di cuoio: le gemme di Lasgalen, mio dono di nozze.

Erano l’unico oggetto che poteva aprire la mia strada verso la sua sorte, che mi avrebbe dato un minimo conforto. Le rivolevo perché erano mie come mia era lei, e non era giusto marcissero lì: entrambi quei gioielli dovevano avere giusta sepoltura, per mano mia e non di altri.

Cercai e cercai. Mi aiutarono, ma nessuno vide niente. Mi sembrò strano. Non c’era stata via d’uscita per gli oppositori, schiacciati dal nostro trionfo: giacevano tutti morti sul campo, insieme alla mia Guardia Elfica. Mia moglie avrebbe sicuramente combattuto fino alla morte per non cederle, e piuttosto si sarebbe buttata da un dirupo affinchè non le toccasse nessuno.

Quindi dovevano essere lì, da qualche parte.

Mi riscoprivo preda di sentimenti contrastanti. Da un lato pensavo che mia moglie potesse essere ancora viva, da qualche parte, magari catturata, e si impegnava a custodire quelle gemme gelosamente; al contrario, poteva essere morta lontano da occhi indiscreti, e in tal caso potevo ritrovarla e portarla a casa.

Non sapevo in quale ipotesi sperare.

Guardandomi attorno, tuttavia, realizzai che i Nani superstiti stavano frugando quei luoghi da molto prima di me, e loro erano esperti in fatto di gioielli: se ci fosse stato qualcosa, l’avrebbero scovato e se ne sarebbero di certo appropriati indebitamente, come era sovente accaduto nei secoli dei secoli.

La mia ferita prese a pulsare prepotentemente. La paura e la rabbia ottenebrarono il mio pensiero, sotto lo sguardo attonito di Gandalf.

Mi bastò poco per perdere di nuovo il controllo. D’un tratto avevo afferrato una spada abbandonata e avevo cominciato a inveire contro il mondo, minacciando i vili Nani con quell’arma. Chiesi a gran voce che mi fosse portato al cospetto il capo di quella marmaglia sgangherata.

Inizialmente perplessi, quelle fetide creature mi portarono il loro comandante, che era ancora vivo. Sempre con la spada in mano, lo attesi con impazienza, mentre i miei occhi scandagliavano incessantemente i dintorni, in cerca di un indizio che mi tirasse fuori da quell’incubo senza fine.

Gandalf tentò senza successo di farmi desistere. Ma non poteva nulla contro il Male che oscurava la mia mente. Mi parlava di Legolas, ma io non ascoltavo. La mia mente era ottusa su quelle gemme.

Con gli occhi infuocati affrontai il capo dei Nani senza neanche offrirgli un giaciglio su cui posare le sue fiacche membra.

 

- Tu sai?- lo aggredii – Un avido cercatore di preziosi come te potrebbe già averle trovate. Parla! Dove sono le gemme di Lasgalen, di fulgida bellezza opalescente, che appartengono alla mia casata?-

Il capo dei Nani mi guardò con evidentemente compatimento, incrociando le braccia davanti al petto e scuotendo la testa. Per tutto il conflitto non ci eravamo guardati in faccia, tanto quel personaggio mi faceva ribrezzo. Dai tempi di re Thingol, dopo la disfatta del regno del Doriath e la razzia che ne era conseguita per mano dei Nani, avevo smesso di provare sentimenti affabili verso quelle creature.

- Io non le ho viste...e se le avessi viste non te le consegnerei, mio Re.- mi prese in giro.

Affannato, presi a passeggiare nervosamente su e giù dal campo di battaglia, sempre più annichilito dagli eventi. Gandalf mi veniva dietro senza riuscire a bloccarmi:

- Dunque confermi le mie parole!- mi inalberai, quasi ruggivo menando la spada – Avido sei, come tutti gli altri della tua razza! Non hai diritto di impadronirti del regalo di nozze di mia moglie. Dimmi dove sono quelle gemme, ORA!-

- Non le ho, mio Re.- replicò il nano – E’ inutile che insisti. Ti propongo un accordo: ti aiuterò a ritrovarle, se in cambio avrò la tua benevolenza. I miei Esploratori sono certamente più abili dei tuoi. Se ci tieni così tanto, parliamo di come si può concludere questo affare.-

- Come osi ricattarmi?- ero sempre più fuori di me – Non ti basta questo scempio: devi mangiare sulle carogne di un popolo intero!-

Gandalf si intromise:

- Mastro Nano!- lo rimproverò – Non hai pietà di questa creatura, che ha vinto con te ma ha perso tutto ciò che aveva di più caro! Dillo a me: dove sono quelle gemme? Sarai ricompensato, ma non aggiungere altro dolore a questa sofferenza! Mi appello al tuo buon cuore.-

Il nano non aveva dato cenno di voler retrocedere. Si sedette faticosamente a terra, esausto, non invitato:

- Gandalf, io non ho niente che vi possa interessare.- ma nei suoi occhi bruciava quella brama. Io la vidi distintamente.

Alzai la spada e feci per gettarmi su di lui:

- Tu MENTI!-

Il nano sobbalzò e stava già per afferrare la sua ascia, mentre io, accecato dalla rabbia, mi buttavo sopra di lui. Gandalf mi balzò addosso, mi fece sbilanciare, cademmo a terra e fui travolto dalla sua magra figura e dal suo bastone, che mi pose di traverso sulla carotide.

Mi mancò l’aria. Mollai l’arma e tentai di liberarmi.

Non facevo Gandalf così energico.

- Basta così!- sibilò il mago, in attesa che mi calmassi.

Allentò un po’ la presa, quel tanto che bastava per farmi respirare. Qualche secondo più tardi, vedendo che ero diventato inoffensivo, si levò dal mio petto e mi aiutò a rialzarmi.

Ero sporco di terra, di sangue, e la mia gota bruciava come se mi avesse appena morso l’inferno. Era un dolore insopportabile, sia quello fuori che quello dentro di me. Non potei fare a meno di toccare la ferita. Al solo sfiorarla, quella si infiammò di più.

Mi accovacciai, vinto dallo strazio, e gemetti.

Non mi ero ancora fermato da quando mi ero rimesso in piedi, dopo la battaglia di Fornost.

- Un guaritore!- urlò Gandalf – Un guaritore, presto!-

Qualcuno mi afferrò per le spalle e mi girò supino; poi altre mani affondarono nei miei vestiti e mi sollevarono dalla polvere alla quale avrei voluto assomigliare. Ormai i miei occhi non vedevano quasi più nulla, tanto ero annebbiato dall’orrore.

Ma lo sguardo di quel nano, lo ricordo. Come se fosse ieri. Sogghignava del mio tormento, dei miei guai. Teneva qualcosa in mano, qualcosa di lucente.

Forse fu solo un’allucinazione - non posso dire di aver visto bene cosa fosse. Ma il pensiero mi balenò per la mente.

E da quel momento fu odio.

 

Stetti male, quella notte. Non bastarono né gli unguenti, né le magie di Gandalf. Qualcosa dentro di me continuava ad urlare.

Al dolore per la perdita di mia moglie e delle gemme si aggiunsero i terribili ricordi della caduta dei miei antenati a Menegroth per mano dei Nani, che non fecero altro che esacerbare il mio rancore.

Avevo a lungo taciuto questi dettagli a Legolas, per non turbarlo ulteriormente. Nel mio regno non si parlava di quelle piccole creature delle montagne: nemmeno ero certo che Legolas ne avesse mai visto uno.

Ma l’avevo sottovalutato. Mio figlio era molto più sveglio di quanto non lo fossi io alla sua età: aveva studiato, aveva viaggiato, spesso a mia insaputa, fuori dai confini del regno, aveva parlato con stranieri, si era fatto conoscere e aveva conosciuto i limiti della nostra cultura, superandoli.

Non avrebbe dovuto sorprendermi eccessivamente, quindi, la sua naturale predisposizione al compromesso e alla tolleranza, che avevo potuto constatare quando quella strampalata compagnia di Nani, guidati da Thorin Scudodiquercia, era giunta alla mia porta.

Legolas era così diverso da me. Lui non aveva vissuto abbastanza, lui non poteva saperlo. Lui aveva insegnato a me cosa significava speranza e benedizione. Non potevo che essergli grato, anche se mai avrei potuto essere d’accordo.

Se solo avesse saputo! Mi avrebbe sicuramente compreso. Ma ormai era troppo tardi persino per parlare. La sua e la mia vita erano andate avanti ed era mia intenzione continuare su quel sentiero. Non aveva senso rivangare.

Avevo passato tutta la mia esperienza di genitore a distrarlo dal vero Male, quello che non ti lascia scampo; mi ero fatto scudo contro quei pensieri, ricacciandoli ogni volta che si presentavano.

Man mano che passava il tempo, era quasi diventata un’abitudine. Mi ero sostituito a tutto, finché Legolas non aveva più sentito così grande la mancanza di sua madre. Ma lei era sempre nel suo cuore. Era una consapevolezza solo rimandata, lo sapevo.

In verità, l’avevo fatto più per proteggere me che per proteggere lui. Forse avevo sbagliato, ma in buona fede. La mia fiducia in quella piccola oncia di futuro aveva dato i suoi frutti.

Ora lo guardavo come si ammira l’immagine di sé nella propria migliore versione.

Non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta e mi auguravo potesse capitare ancora a lungo, che io potessi vivere talmente tanto da vedere la sua grandezza – o vederlo salpare per il mondo migliore, se lo avesse voluto, per il mondo dei Valar, mentre io non sentivo il bisogno di andarmene.

La nostra separazione, in un modo o nell’altro, sarebbe comunque avvenuta. Cercavo di abituarmi quanto più presto a quell’idea. Del resto, non avevo messo al mondo mio figlio perchè vivesse come una suppellettile.

Per ora, potevo solo sperare di godermi ancora un po' la sua compagnia.






***NDA***
Ciaooo!! Questo capitolo è dedicato a un flusso di coscienza di Thranduil, qualcosa che forse nei precedenti era mancato!
Ho deciso di dare spazio e voce ai sentimenti di questo personaggio (ne sentivamo il bisogno), nella vana speranza di renderlo "più umano" (ahahaah): è un lavoro che mi ha divertito e spero aiuti ad avere una visione più completa degli eventi (adoro comporre puzzle! E questa storia lo è stato dall'inizio alla fine....con immensa fatica :P )
Ho lasciato qualcosa indietro per i prossimi capitoli! Quindi vi invito a continuare a leggere e a commentare :)
Grazie, alla prossima

  
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