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Autore: Batckas    10/08/2022    1 recensioni
Una normale seduta da un'estetista si trasforma in qualcosa di molto più sinistro. Tratto da una storia vera.
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto seduto, mi tengo la gamba alzata, una goccia di sudore mi cola sul naso e poi in bocca, non posso cedere, l’estetista mi sta strappando il tesoro che si era accumulato tra l’unghia e la carne del piede, mi fa un male cane, ogni tanto contraggo le dita dal dolore, ma non dirò di smettere. Il dolore posso anche sopportarlo, ma tenere la gamba alzata no, non ce la faccio, voglio finisca, smetta. Non posso neanche guardare il mio piede perché è all’altezza del seno, è una bella donna, incinta e proprio per questo la scollatura è ancora più evidente. Mi guardo le mani, da bambino, ho anche dimenticato l’orologio. Fuori piove, ma non si sente. Mi vergogno, ho fatto lavorare una poveretta incinta solo perché avevo dolore all’unghia, sono un mostro?
Sono cinque minuti che non parliamo, sembra brutto? Forse dovrei dire qualcosa, forse dovrei sembrare interessante, insomma le sto impedendo di riposarsi, almeno potrei essere intrattenente. Cosa dovrei dire? Ho terminato i topic di conversazione nella categoria “quattro chiacchiere con gli sconosciuti” almeno dieci minuti fa. È mia sorella che la conosce, non io. Cazzo. Va bene, mi posso inventare qualcosa.
“Il clima è proprio strano.”
Ottimo, parlare del meteo, funziona sempre, lamentarsi continuamente, ancora meglio. Le persone hanno sempre qualcosa di cui lamentarsi e se inizi tu si sentiranno a loro agio a condividere con te altre cose di cui sentono il bisogno di sfogarsi. Infatti, mi sta rispondendo. Un sorriso gentile, la guardo negli occhi, non vederti il piede. Dio che dolore!
Un rumore.
Non è la pioggia.
Si è alzata. Oddio finalmente posso far riposare la gamba, vorrei massaggiarla, ma non servirebbe a niente, almeno posso restare un po’ fermo, mando un messaggio alla mia fidanzata, ne approfitto.
“Qui è l’inferno, ti amo, mi sta torturando per avere informazioni, ma io non parlerò.”
Sì, va bene, è abbastanza melodrammatico, ma anche divertente e autoironico.
Urla.
Oh merda che cazzo è.
Diamine.
Ci sta lei che arretra lentamente guardando qualcosa che si trova nella stanza dove il mio sguardo non arriva, è terrorizzata, potrebbe sbattere contro qualcosa. Non posso lasciarla sola, c’è chiaramente qualcuno, è in pericolo, ma che devo fare?
Mi alzo. Sento dei rumori che provengono dalla stanza di fianco, dal corridoio, da dove l’estetista si sta allontanando. Cazzo che dolore di merda il piede, Dio santo… ok, dai, qualche passo.
Ma che cazzo.
Occhi fuori dalle orbite biancastri, pelle olivastra, sangue?
Uno… zombie?
È una signora, l’estetista la chiama per nome, provo a chiamarla anche io, ma quella non ci sente, continua ad avanzare con passo incerto trascinando una gamba, posso vedere l’osso, mi viene da vomitare. Mi metto tra lei e l’estetista, è quello che devo fare, no? È una donna incinta, io sono uomo, certo se la mia fidanzata mi sentisse fare questi ragionamenti sarei morto, o costretto a una ramanzina di svariati minuti, ma lei non c’è, io ho una donna incinta alle mie spalle e un fottuto zombie davanti a me. Zombie, com’è possibile? Non esistono.
Forse è solo drogata
Oh cazzo le è caduta la mascella, come porca vacca è possibile.
Merda, merda, merda, merda.
D’accordo, ci separano due metri.
Non ha più la mandibola, quindi non può mordermi.
Se è davvero uno zombie e Resident Evil e The Walking Dead mi hanno insegnato qualcosa è che posso ucciderlo. Ma ucciderei il mostro o la persona?
L’estetista si è appoggiata ad un mobile, è in iperventilazione.
E va bene, come la uccido? Siamo in cucina. Torno dentro, l’estetista grida, crede che voglia scappare.
“Dove tieni i coltelli?”
“Primo cassetto!”
Me lo indica. È paradossale, lo zombie va lentissimo, potrei dire all’estetista di venire qui per essere più al sicuro, ma non guarda me, tiene gli occhi fissi su quella che un tempo era una signora. Sento i miei pensieri come in un anime.
Merda! Il piede mi fa malissimo quando lo poggio.
E dai dove cazzo sei coltello di merda, siamo in una fottuta cucina non è possibile che… ecco!
La lama è abbastanza lunga.
Ok.
Non ho mai fatto a botte con nessuno, tranne una volta quando ero molto piccolo e le ho prese, ma ora devo… DEVO uccidere quella cosa. Non per me, cioè anche per me, ma soprattutto per l’estetista, io potrei tranquillamente scappare. Sicuro? Mi afferrerebbe con le sue braccia.
Merda. Mamma, papà? Stavano a casa, spero restino a casa. Diavolo se è una roba alla Raccoon City siamo fottuti. Vaffanculo.
Non ha senso aspettare. Mi dispiace, signora, ma lei mi mette in pericolo e credo che tornerò a respirare solo quando le avrò ficcato questo pugnale in testa.
Con quanta forza dovrò premere? Cazzo nei videogiochi e nei film la fanno facile. Forse dovrei piantarglielo in gola? O forse sarebbe meglio qualcosa di contundente?
Porca merda ormai è vicina, devo agire.
Il piede mi fa male.
Sono a un passo dallo zombie. Ok, fai come nei film, ti avvicini e SBAM coltellata nel cervello.
Ci siamo, ci siamo, lo faccio. Mi sento come quando devo uccidere un insetto, di solito faccio le prove con la scopa da qualche altra parte per cercare di prevedere i suoi movimenti. Dai cazzo, concentrati.
Allungo una mano, quella senza coltello, quasi per prendere la mira, lo zombie muove la testa verso di me come se volesse mordermi, ma ormai non ha la mandibola, dai. Ce la puoi fare, dai Marco, dai, dai!
Il coltello le si conficca in un occhio, io ho mirato al cranio, ma non importa, lo zombie cade a terra in un rantolio, all’improvviso tutto sembra silenzioso, come se per tutto questo tempo nella stanza ci fosse stato un motore d’aereo.
Sto tremando. È adrenalina, mi sento euforico, non mi sento il corpo, cazzo. Attendo qualche istante, ma credo che lo zombie sia andato.
L’estetista sta piangendo, non me ne sono accorto al momento, ma quando ho pugnalato lo zombie ha emesso un grido acuto e terribile. Mi avvicino, la faccio appoggiare a me e la porto al divano dove qualche attimo prima mi stava torturando con la complicità dell’unghia incarnita. Cazzo l’adrenalina non mi fa sentire manco il dolore al piede. Avverto i suoi seni sul mio braccio, nel farla accomodare mi passano avanti come frutti proibiti. Ma che minchia che sto dicendo. ZOMBIE CAZZO!
“Era… era…”, farfuglia. “La signora… doveva fare la ceretta.”
Una pozza di sangue si allarga sotto lo zombie, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è che mi sento meno in colpa di averla fatta lavorare, voglio dire, non sono stato l’unico!
Si tiene una mano sulla pancia.
“È uno zombie.”, dico come se avessi appena visto una zanzara.
“Come nei film?!”
“Credo di sì.”
Non ne ho idea, ma si comportava da zombie, è morta da zombie. E se avessi ucciso una persona? No, si sarebbe fermata quando vedeva il coltello e poi camminava senza mandibola, è uno zombie sicuro. Sono contento che le sue fattezze siano tanto grottesche da non sembrare umana. Davanti agli occhi di Dio ho ucciso una persona?
“Mia figlia, era all’asilo!”, l’estetista caccia dalla tasca uno smartphone e inizia a telefonare. Faccio lo stesso.
Chi chiamo prima? Genitori, fidanzata o amici? Ok, priorità.
Recupera broadcast di un anno prima dove ci sono fidanzata e madre, invia messaggio: “Sto bene, ma ci sono mostri in giro, chiudetevi in casa. Mamma sto arrivando.”
La mia ragazza non è fan di me che invio lo stesso messaggio a lei e a mia madre, di solito li divido sempre, ma questa volta non ho tempo.
Però.
“Torna subito qui!”, sento dire al telefono dall’estetista.
Ok, grazie a Dio stanno bene e stanno venendo qui. Ma non posso lasciarla sola. Devo aspettare con lei.
Ma che si fa in queste situazioni?
Devo andare dai miei. La mia fidanzata è a… non so quanti chilometri, ma so che è a cinque ore di treno; quindi, non la potrei raggiungere neanche se volessi. Mi conforta sapere che non vive in città, poi non è detto che stia succedendo ovunque, almeno prego non sia così. Prego? Non lo so, i miei pensieri scorrono talmente veloci che mi sembra di non riuscire ad afferrarli, un ronzio continuo nelle orecchie mi irrita.
Il messaggio è stato inviato.
Cazzo, il mostro è entrato. Devo occuparmi della porta, ma che cazzo di idiota sono. Corro all’ingresso, l’estetista urla di nuovo, segnale che non vuole restare sola. E grazie al cazzo, manco io voglio rimanere da solo con quei mostri. Chiudo la porta, non sembra forzata, forse non l’ho chiusa bene quando sono entrato, merda.
Torno in cucina.
“Ho chiuso la porta.”
“Non andare via.”
“No, resto finché non torna tuo marito.”, rispondo. La voce mi trema e stringo ancora il pugnale, lo ripongo sul tavolo. Poi lo guardo come se fosse un ombrello in una giornata di pioggia. “Non è che posso portarlo con me per tornare a casa? Ho paura ci siano altre di quelle cose lì fuori.”
L’estetista si alza di scatto e va con il massimo della velocità per una donna incinta ad una delle finestre. Non si vede granché, sta piovendo e le strade sembrano deserte. È un segnale positivo.
“Tra quanto arrivano?”, chiedo, ansioso, voglio tornare a casa, i miei hanno bisogno di me.
“Due minuti e sono qui. Ho molta paura, scusami, dovresti rientrare.”
“No, no, resto qui.”, mi secca discutere, è la cosa giusta da fare.
Prendo lo smartphone.
Mia madre sta chiamando, rispondo.
“Ma’.”
“Che sta succedendo?”, sento che trattiene le lacrime.
“Non lo so, io sto ancora qui, aspetto che torna il marito di Marta e torno.”
“Torna ora.”
“Non posso lasciarla da sola.”
“Vengo con l’auto.”
“No, chiudetevi in casa e non aprite a nessuno se non a me. Torno subito. Mamma se mi vieni a cercare è peggio e rischiamo entrambi, ti prego, fidati di me e resta in casa.”
“Resto al telefono.”
“Mi distrarresti.”
Parlotta con mio padre nella stanza, sta piangendo.
Mi rimetto le scarpe.
“Mamma, ci vediamo tra poco, fammi chiamare Cristina.”
“Va bene, ti voglio bene. Andrà tutto bene, d’accordo?”
Lo dice per convincere se stessa, ma le do ragione, le dico che le voglio bene e riattacco.
Altro numero, veloce, veloce.
“Cristina?”
“Che cazzo succede.”
“Non lo so, ho ucciso uno zombie.”
“Ma che cazzo dici.”
“Ti giuro.”
“Cazzo, devi tornare subito a casa e chiamare la polizia.”
Merda, la polizia, perché non ho pensato subito di chiamare la polizia?
Faccio segno a Marta di chiamarla, ma qualche attimo dopo sento dalla cassa del suo smartphone che non c’è stata risposta.
“Torno a casa tra poco, aspetto che torni il marito.”, lo dico come per giustificarmi, so che è la cosa giusta da fare, ma l’amore che provano nei miei confronti, Dio te ne sono grato, gli fa leggere questo mio atto di… galanteria? Come una condanna a morte.
L’adrenalina sta scemando, mi sento stanco e mi fa male il cazzo di piede.
“Ti amo.”, dice Cristina.
“Ti amo anche io. Starò bene, sono zombie lenti come nei film, devo solo tornare a casa. Tu, piuttosto, dove stai? Sei al sicuro?”
“Siamo tutti a casa per fortuna, ma qui non è successo niente, su internet non dicono niente. Ti prego, sopravvivi e vieni da me, ok? Ti prego.”
“Devo pensare ai miei, cazzo mia sorella è fuori, merda. Devo chiamarla. Ti amo, ok? Aspetta mie notizie. Scaricati tutte le app di messaggistica, se non funziona una usiamo l’altra. E fatti una ricarica telefonica. Ti amo.”
Dio mi si stringe il cuore mi sembra che le stia dicendo addio come la prima volta che un treno ci ha separati per mesi. Mi viene da piangere.
Marta si alza e mi abbraccia.
“Devo chiamare mia sorella.”
Sento la porta di casa che si apre.
Marta corre dal marito e dalla figlia.
Lo guardo, lui mi fa un cenno col capo che riversa nel mio ego un dolce nettare. Non ho tempo.
“Devo andare.”, dico.
Mi ringraziano velocemente, poi iniziano a parlare tra loro sul da farsi. I genitori, i nonni, le loro preoccupazioni mi abbandonano come le voci mentre scendo le scale. Li rivedrò mai? Dio che situazione del cazzo. Prego per loro, che posso fare? Ho la mia famiglia a cui pensare.
Ok, sono fuori, ha smesso di piovere. Il piede mi fa male e io ho dei cazzo di sandali ai piedi. Vaffanculo.
Non vedo persone in giro, un’auto passa a tutta velocità e si allontana. C’è il classico odore della pioggia, sarebbe anche piacevole se non penso che stia stringendo un pugnale. Non posso tenerlo alto, c’è il rischio di incappare in qualcuno, non ho i nervi saldi, non sono addestrato, potrei uccidere una persona per sbaglio. Lo metto tra la cintura e il pantalone, come quando da bambino tenevo i giocattoli.
Devo percorrere un chilometro per tornare a casa, la stessa strada che facevo quando andavo al liceo, niente di così difficile. C’è un silenzio terribile, fastidioso e allarmante, sono finito in un cazzo di film horror e io di solito abbasso sempre il volume per non cacarmi sotto.
Camminare mi viene difficile, sono terrorizzato, ma penso a mamma e papà, a Cristina, a mia sorella!
Prendo lo smartphone. Non è sicuro distrarsi, Cristina mi ha mandato vari messaggi chiedendomi se sto bene, lo stesso mia mamma. Ci sono messaggi anche da Loredana, mia sorella. Meglio, non dovrò chiamarla e perdere tempo. Scrive che da lei non sta succedendo niente, ma che con il fidanzato e gli amici si sono rinchiusi in hotel in attesa che le autorità dicano qualcosa. È in un’altra regione. Forse… se parliamo di un’infezione, forse non è arrivata fin lì, forse è solo nella città, o forse in tutto il mondo del cazzo.
Un tonfo strappa quei pensieri. Sono fuochi d’artificio.
Col cazzo. Sono fottuti spari.
Corro alla fine della strada, mi appoggio al muro, guardo oltre, due carabinieri stanno facendo fuoco contro degli zombie che lentamente camminano verso di loro, mirano al petto.
“Sparateli alla testa!”, grido.
Uno di loro si volta verso di me e mi fa cenno di avvicinarmi, avrebbe senso, sono addestrati per proteggermi. Ma cazzo, tutti sappiamo che fine fa la società nel momento di crisi e panico, non posso fidarmi di nessuno. Gli faccio cenno di no con la mano come se stessi rifiutando un piatto di pasta. Gli zombie saranno almeno una decina, cazzo, e sono sulla strada per casa mia. Non voglio passare per la piazza, l’ora non è certo quella della vita notturna, anzi probabilmente tutti i negozi sono chiusi, ma non voglio rischiare ugualmente. E se quel carabiniere decidesse di spararmi?
Cazzo.
Hanno finito le munizioni, rientrano in auto, l’autista ha difficoltà a mettere in moto. Non posso restare qui a guardare come un coglione. Corro quanto più veloce posso fino a superare gli zombie e l’auto. Sono chiatto, non mi alleno da almeno quattro anni e il mio cardio è pessimo, ma corro lo stesso, vorrei una bicicletta. Raggiungo una piazzola, svolto a destra e procedo per duecento metri superando un parcheggio pieno di auto, ma senza nessuno. L’odore della pioggia si è mischiato a quello che credo essere il puzzo di un cadavere in decomposizione, vomito appoggiandomi a un muretto. Sento strusciare alle mie spalle, gli zombie che prima stavano inseguendo i carabinieri ora vengono verso di me, tra l’altro non ho sentito il motore mettersi in moto; quindi, probabilmente quei due disgraziati non sono più tra noi. Conto gli zombie: tredici. Porca troia sono troppi. Vorrei una pistola, non che io la sappia usare, ma forse avrei un vantaggio. Merda, merda. Corro, ma non troppo in fretta. Per fortuna gli zombie non vanno veloci, potrei camminare come cammino di solito per strada e avrei almeno tre metri di vantaggio rispetto a loro, ma vacca minchia mi caco sotto, allo stesso tempo non voglio affrettarmi ed essere imprudente. Penso di prendere lo smartphone per i messaggi, che razza di pensieri mi vengono per la testa mi domando. Svolto all’angolo. Ci sono due signori vicino ad un bar, ai loro piedi ci sono due zombie.
“Ei, giovane, vieni qui.”, grida uno.
“Devo tornare a casa. E voi dovreste andarvene, c’è un gruppo di quei cosi proprio dietro di me.”
“Cazzo.”
Si agitano, poi si riparano nel bar e quello che credo essere il proprietario fa per chiudere la saracinesca.
“Sicuro che non vuoi stare qui?”
“Sì, grazie, ma devo tornare a casa.”, vedo con la coda dell’occhio uno zombie che svolta l’angolo. “Potete darmi dell’acqua?”
Non so perché mi è venuta in mente l’acqua, non ho sete, a casa dovremmo avere delle cassette di scorta, ma cazzo, l’acqua finisce sempre e succede un casino, meglio averne di più.
“Tieni, di più non posso darti.”
Mi porge due bottigliette d’acqua, mi viene da chiedergli quanto devo pagarle, ma mi chiude la saracinesca in faccia, lo zombie è a meno di un metro da me, un metro e poco più in là ci sono i suoi compagni del cazzo. Scappo. Ho il fiatone.
Li sto portando dritti a casa mia, vaffanculo così non va bene. Mi guardo alle spalle un attimo, il gruppo è diventato meno numeroso, qualche zombie si è messo a battere contro la saracinesca del bar. Mi faccio schifo e chiedo perdono a Dio, ma è a mio vantaggio e una parte di me vorrebbe festeggiare. Certo, sono comunque nove i mostri che mi seguono.
E se fosse l’aria? Merda, se fosse l’aria già infetta e tra qualche minuto anche io diventerò uno zombie? Ma non può essere, nel senso, cazzo! Davanti a me vedo una coppia fuggire a gambe levate. Al liceo li conoscevo di vista, una di quelle situazioni in cui io sapevo chi erano loro e loro non avevano idea di chi fossi io anche se due anni prima avevamo fatto parte di uno stesso progetto. Forse gli stavo semplicemente sul cazzo, ma lei ha sempre avuto un bel culo.
Merda.
Cazzo, ho poggiato male il piede mi viene da urlare. Sento la carne pulsare.
Non posso rallentare. Voglio zoppicare cazzo, mi fa malissimo. Merda, i miei amici, voglio dire… quelle tre persone che sono emerse dal fango della mia giovinezza e con cui ho ancora rapporti regolari, sono in pericolo anche loro. Una volta a casa dovrò contattarli.
Bramo lo smartphone, voglio controllare che stiano tutti bene, ma non posso, manca poco per casa, inizia a piovere, gocce grandi quanto fottute palline da golf, divento fradicio in mezzo secondo, vaffanculo. I sandali fanno rumore mentre cammino, sembro un clown. Raggiungo la mia vecchia scuola elementare, ho seminato gli zombie, attratti da altro, vedo un gruppo di tre ragazzi e una ragazza che cammina tranquillamente verso il centro città.
“Ragazzi, è pericoloso, ci sono dei cazzo di zombie!”, grido.
Ridono e se ne vanno.
“Sono serio! Vi uccideranno, vi prego, fate attenzione!”, li potrei supplicare, potrei aspettare che lo vedano coi loro occhi e poi scappare insieme, ma non lo farò, non ho tempo, ho provato ad aiutarli. Saranno in grado di evitarli come ho fatto io.
Continuo con la mia corsetta a velocità sostenuta. Alle mie spalle sento un grido, deve provenire da quei ragazzi. Li sento scappare nella mia direzione, uno di quelli mi dà una spallata, involontaria sicuramente, ma non per questo lo considero esente dalle maledizioni che gli tiro appresso.
Continuo verso casa. Se vado dritto passo davanti alla gelateria, a quell’ora sicuramente chiusa, mi domando se l’infezione sia già arrivata in questa parte della città, odo delle grida, ho la mia risposta del cazzo, continua a piovere. Supero bar vuoti e negozi ancora chiusi, svolto l’angolo. Pochi metri e sarò a casa.
Come faremo con papà che ha bisogno di medicine? E con i viveri? Non facciamo la spesa da qualche giorno, merda!
Che situazione del cazzo, non ho nemmeno le chiavi del portone, dovrò aspettare che sia mia madre ad aprirmi. La strada è vuota, alle mie spalle ci sono gli zombie, li sento, ma decido di fare una corsa… no, non posso, cazzo, mi stanno seguendo. Devo affrontarli.
Ma come faccio porca troia, sono in sei quelli che mi stanno dietro, stanno tutti vicini e a differenza del primo che ho ucciso hanno le bocche intatte che aprono e chiudono come se boccheggiassero, mi fanno schifo, guardarli mi fa venire da vomitare, il piede mi fa male e ho il fiatone. Morirò se li affronto. Ma allo stesso tempo… E PORCA TROIA NON POSSO PRENDERE L’ASCENSORE, sta piovendo e tuonando c’è il rischio che l’ascensore si blocchi e non voglio rischiare nel mezzo di un’apocalisse zombie.
E va bene, mostri schifosi del cazzo, devo trovare un modo per uccidervi. Vorrei un’arma più lunga invece di questo coltello di merda. Supero il cancello, posso sentire che mi chiama, che mia madre e mio padre mi aspettano. Cristina si starà mangiando le unghie, non ha mie notizie da quindici minuti. Metto un po’ di distanza tra me e loro, li guardo, non li riconosco, non ho idea di chi siano, ma mi fanno incazzare, non si fermano mai, camminano sempre, li odio. La strada è completamente deserta, le persone si sono già rifugiate in casa, guardo in una delle vetrine e trovo occhi che mi scrutano, si sono rinchiusi e nessuno apre per me. Hanno ragione, anche io farei lo stesso. Per fortuna il negozio dove ho lavorato per quattro anni è chiuso, i miei colleghi non sono in pericolo. MA A COSA PENSO, PORCA MERDA, devo uccidere ‘sti stronzi. È tempo di escogitare un piano. Sono sei, d’accordo, posso uccidere Uno facilmente, è davanti agli altri e li distanzia, ma dovrei essere preciso, anzi di più, cazzo io mi immagino combattere come Daryl Dixon, ma non sono un cazzo e questo non è un film, cazzo, non ho speranze, sono sei, io sono solo. Anche se uccidessi Uno, Due mi sarebbe subito addosso e se mi afferra sono finito. Sono forti? Potrebbero trascinarmi giù? Merda potrei essere mangiato vivo? L’adrenalina si fa di nuovo sentire, il problema è che sussurra cose alla mia mente che non hanno senso, se prima mi vedevo combattere come Daryl Dixon, adesso sono Neo di Matrix che schivo gli zombie con capovolte e salti carpiati mortali.
Merda, merda, merda.
Gli occhi mi fissano ancora, continuo a fare piccoli passi all’indietro con il terrore che uno di quei mostri possa spuntarmi alla schiena, mi guardo sempre attorno, lo facevo anche prima che uno zombie potesse mangiarmi. È rischioso anche stare in mezzo alla strada, un’auto potrebbe arrivare e mettermi sotto. Morto per un incidente stradale durante un’apocalisse zombie, fine di merda.
Non c’è niente che posso fare, devo entrare nel portone e richiudermelo alle spalle pregando che non riescano a sfondarlo, ma potrei dormire, poi? Anzi, chi cazzo dorme oggi. No devo ucciderli per guadagnare qualche minuto di tranquillità per escogitare un piano coi miei. Devo decidermi a combatterli.
Sono a duecento metri dall’ingresso di un parco, all’interno vedo persone che scappano, che si nascondono dagli zombie nelle giostrine e quei mostri che vagano un po’ ovunque.
Basta.
Sono lenti, sono stupidi vaffanculo e muoiono facilmente. Io sono in shorts e sandali, bagnato fradicio.
CAZZO, il cellulare si sarà bagnato, porca troia e se non funziona.
Priorità, porca merda, priorità! Gli zombie davanti a me, poi lo smartphone nella tasca.
Basta. È proprio come quando devo uccidere un insetto, tre ore per infondermi coraggio e mezzo secondo per fallire con il piano audacie e finire comunque per calpestarlo con la suola della ciabatta.
Gli zombie muoiono facilmente e sono lenti, li evito, li uccido, vinco e torno a casa.
Mi viene da piangere, forse dovrei arrendermi, chiamare chi amo e dire loro le mie ultime parole. E se morirò qui? Con mia madre che mi aspetta e Cristina che attende un mio messaggio.
Vaffanculo.
Prendo lo smartphone, messaggio vocale, broadcast.
“Devo combattere un gruppo di zombie; mamma, papà, vi voglio bene; Cristina, ti amo. Perdonate i miei errori, ho cercato di amarvi con tutto me stesso.”
Invia.
Adesso posso lottare senza ripensamenti, senza altre preoccupazioni.
Perché cazzo non ho indossato le scarpe da ginnastica, avrebbero reso tutto più semplice, invece adesso ho i piedi bagnati. Forse potrei sfilarmi la cintura per avere un vantaggio. Non saprei come, però, cazzo, cazzo, cazzo. Dove sta la pillola di Limitless che mi rende mega intelligente e imparo a combattere ricordandomi tutti i film o i giochi violenti che ho consumato nel corso della mia esistenza. CAZZO.
Ora sto pensando a Cristina, perché? Cazzo, mi manca. Penso a lei, alle sue labbra, al suo tocco gentile, alle sue curve.
ADESSO BASTA.
Uno mi è vicino, meno di un metro. Ora basta.
Mi avvicino, lento, come ho ucciso la tipa dall’estetista, Uno si abbocca verso di me per mordermi, lo scanso con estrema facilità e lo accoltello dal mento in su.
È stato facile, cazzo! FACILISSIMO.
Però no, oh merda, il fottuto coltello non viene via, dai cazzo, strattono, ma non si muove. No, cazzo, merda, vaffanculo. Due si sta avvicinando, dai cazzo, tiro più forte che posso, ma la lama sarà bloccata in un osso o che cazzo ne so io. Diamine, vaffanculo, lascio la presa, mi allontano rapidamente, ora sono disarmato. Merda.
Mi sento come se fossi nudo, lo stomaco mi brucia, le guance mi vanno a fuoco e perché cazzo continuo a pensare alla scollatura dell’estetista! Fanculo, perché non penso a quella di Cristina. Ma perché, soprattutto, penso alle tette mentre sto per essere divorato dagli zombie?
La sto facendo tragica, posso sempre scappare, infatti aggiro gli zombie e torno sui miei passi, anzi, ho un’idea. Entro nel parco, aspetto che gli zombie abbiano varcato l’ingresso di almeno due metri, ignoro le urla di gente disperata dietro di me, faccio il giro attorno ai mostri e chiudo il cancello alle loro spalle. O almeno questo è il fottuto piano, ma ‘ste cazzo di porte non si chiudono, non si muovono proprio, deve esserci una qualche specie di meccanismo o sistema. Vaffanculo sono al punto di partenza con gli zombie che stanno per uscire. Nel parco sono diminuite le urla, forse qualcuno è riuscito a scappare.
O è morto, cazzo.
Sono stanco, sudato, voglio solo andare a casa, voglio solo…
Aspetta un attimo del cazzo.
No, ma vaffanculo, no, porca troia di merda.
Che fine ha fatto l’acqua che ho preso al bar?
Vaffanculo.
Anzi.
Sì. SÌ CAZZO! Zombie di merda.
Vaffanculo.
Svegliati, razza di coglione di merda.

Apro gli occhi, mi manca il respiro, il letto è tutto sudato, il cuore mi batte a mille, ma vaffanculo. Mi rigiro nel letto, controllo l’ora, sono le 2:34, bevo un sorso d’acqua, mi alzo dal letto, non posso dormire senza la ronda per la casa. Ci stanno solo i miei, grazie a Dio mio padre russa, mi affaccio nella camera da letto, il lenzuolo di mia madre si alza e si abbassa, lei è più complicata da controllare, mio padre, invece, con il suo ronfare, rende le cose facili.
Le altre stanze sono fortunatamente vuote, dato che sono tutti in vacanza. Prendo lo smartphone, Cristina dorme, rileggo i messaggi della buonanotte.
Meglio tornare a dormire.

Voglio solo una pistola del cazzo, pezzi di merda.
E via con Inception, stronzi, nella mano destra ho una pistola. Non ho mai usato un’arma prima, ma ore e ore di video su Youtube e ore e ore di giochi con armi da fuoco mi permettono di capirne un po’. Tolgo la sicura, prendo la mira e non spara.
Ma che cazzo.
Neanche quando mi accorgo che è un sogno riesco a vincere.
Due mi si avvicina, sono terrorizzato, urlo senza urlare, vaffanculo.

Apro gli occhi, cazzo avrò gli occhi fissi di Due nella mente per giorni. Incubo dei miei coglioni. Non ho potuto sparare neanche un colpo, che palle.
Non credo di avere più sonno.
Prendo smartphone, infilo le cuffie nelle orecchie, metto su Youtube il video di un gruppo di tizi che parla a caso di qualche argomento, abbasso la luminosità perché Youtube di merda non funziona se blocco lo schermo (col cazzo che ti pago solo per una funzione del genere, Youtube) e appoggio la testa al cuscino.
È il mio video preferito per dormire, da anni, anche se non seguo più nessuno di quelli che ci sono dentro.
Enlarge your penis, purchase viagra! Buonasera, buonasera, buonasera, come va?”
“Sono dentro?”
“Grazie ai Thermos per il raid! Sei dentro e ci stai tutto dentro, zio!”







 
   
 
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