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Autore: eeuphoria    11/08/2022    0 recensioni
[semishira]
Kenjiro non ha mai odiato tanto la primavera.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa piccola os è un po' il frutto dell'ansia per la fine del liceo, l'entusiasmo per l'università e la paura per il futuro.
Visto che anche io come Eita sto per intraprendere un percorso un po' artistico (e lui è uno dei miei comfort character per eccellenza) ho scritto questa storia nel corso dell'ultimo anno, man mano che la scuola procedeva e ora che è finita finalmente la pubblico.

 





«Effimero deriva dal greco antico. È un composto della parola ‘emera’, che vuol dire ‘giorno’. Letteralmente significa ‘che dura un giorno soltanto’»

Dalla finestra aperta entra una brezza gentile che profuma di fiori, è l’odore dolciastro di metà marzo. I ciliegi nel cortile su cui si affaccia il dormitorio sono un esercito dalla corteccia candida e la chioma rosata, dipingono una macchia d’ombra sul prato. Alcuni studenti si sono riuniti fuori per godersi il sole del pomeriggio, nonostante le uniformi siano ancora quelle invernali; deboli raggi baciano la pelle punta dal freddo. Da qualche parte la banda sta facendo le prove per la cerimonia di domani: fiati, corde e percussioni cantano l’inno della scuola.

È uno di quei giorni con un cielo talmente azzurro che fa sembrare il mondo un posto meraviglioso. Kenjiro non ha mai odiato tanto la primavera.

Siede vicino alla finestra e guarda il petalo di ciliegio che il vento ha posato come un dono sul suo ginocchio. Un rosa delicato, una sfumatura di bianco. Effimero, che dura un giorno soltanto. Domani non ci sarà più.

Kenjiro si chiede se la sua caducità renda il petalo un regalo senza valore.

La stanza è spoglia, i poster e le foto sono stati staccati dalle pareti, ai letti mancano coperte e lenzuola. Non è più la camera che conosce, anche se non è mai stata la sua, ma dopo tutte le cose che sono successe tra le quattro mura stuccate di bianco vederla all’improvviso così vuota è come guardare qualcuno buttar via un ricordo.

Era un ricordo importante, questo. Uno a cui Kenjiro teneva.

Ora gli rimane il retrogusto amaro in bocca e un buco nel petto, la consapevolezza che tutto è destinato a finire e lui non può farci niente.

«Odio fare i bagagli» borbotta Semi mentre armeggia con la cerniera della valigia. Kenjiro neanche si chiede se lo abbia ascoltato -parlava per parlare, infondo, perché questa stanza non è mai stata tanto silenziosa e ormai il silenzio non lo sopporta più.

Le valigie e le scatole di Reon sono già pronte, disposte con ordine vicino alla porta. Eita non è altrettanto organizzato e le sue cose sono divise tra gli scatoloni ancora aperti e il pavimento e un po’ dovunque.

«Se piegassi decentemente la tua roba forse sarebbe più facile»

Semi sbuffa. «Infatti quando ho chiesto il tuo aiuto intendevo ‘aiutami a piegare la mia roba’ e non ‘per favore sommergimi di commenti ironici ogni volta che respiro’»

Kenjiro non risponde, appoggia il mento sul palmo della mano e osserva il senpai che si alza e fa due passi come per scaricare la tensione.

«Siediti sulla valigia» dice Semi.

«No»

«E allora di preciso che aiuto mi stai dando?»

«Forza, Semi-san, puoi farcela»

«Potresti almeno metterci più convinzione»

«E tu potresti imparare a piegare i vestiti, alla veneranda età di diciott’anni»

Semi fa scorrere le mani tra i capelli, le dita spostano indietro ciocche che nella luce di primavera si tingono d’oro e d’argento, le più corte ricadono sulla fronte lucida. Un raggio di sole si riflette nelle iridi scure e le fa brillare con il colore del bronzo. Per un attimo Kenjiro smette di respirare.

Poi Semi tira un calcio alla valigia e la magia si interrompe. «Odio fare i bagagli»

«L’hai già detto, almeno trenta volte»

«Sono sicuro che lo odi tanto quanto me»

«Io so piegare le mie magliette»

L’occhiata che gli arriva è fulminante, più significativa di qualsiasi parola. Il turbamento che stava cercando di tenere nascosto, mascherandolo con quella sua ironia impertinente, lui l’ha notato. E forse non è mai stato nascosto in primo luogo; Eita lo conosce, niente di Kenjiro può sfuggirgli, neanche il più piccolo dettaglio.

«Piantala. Sto parlando di questo. Questo odio» Semi spalanca le braccia, indicando tutto ciò che ha attorno.

Questo. La stanza vuota, la primavera, la banda che si prepara alla cerimonia del diploma di domani. E Kenjiro la pensa esattamente come lui, ma ormai ha deciso che deve fare il bastian contrario e non può proprio dargliela vinta. «Mmh» borbotta.

«È un ‘anche io lo odio, mi mancherai tantissimo Semi-san, il mio cuoricino piangerà tutte le notti’

«Siamo nel ventunesimo secolo, esiste il telefono»

«Non è la stessa cosa!»

Lo sa.

Kenjiro non è bravo a mostrare affetto, essere scontroso e pungente gli riesce molto più facile che ammettere i propri sentimenti e questa è la sua prima relazione. Eppure, in qualche modo, sono riusciti a farla funzionare. Forse perché Eita da lui e dal suo gelido sarcasmo non si lascia ingannare, forse perché Kenjiro ha deciso che questa è una di quelle cose per cui vale la pena impegnarsi.

Non è stato facile. Ha imparato che una relazione è una complicità delicata, richiede impegno e cura; ma ama quello che sono riusciti a costruire insieme, non riesce a farne più a meno. E ora si chiede se il filo tessuto un po’ alla volta nel corso degli ultimi mesi potrà resistere alla distanza.

Non vuole che tutto finisca, ma non è sicuro di riuscire a proteggere qualcosa di tanto delicato.

E già sa che Eita gli mancherà come manca l’estate quando è inverno e l’inverno quando è estate.

«Pensavo non vedessi l’ora di farla finita con la scuola» dice invece, cercando di apparire il più disinteressato possibile.

«Non vedo l’ora di finire la scuola» concorda Semi. «Ma non voglio lasciare la Shiratorizawa. La mia squadra, i miei amici, te… la mia vita è tutta qui»

Kenjiro prova a mettersi nei suoi panni, cerca di immaginare cosa proverà tra appena un anno, quando sarà il suo turno di lasciare il liceo. Quella vita che ama -nonostante le notti passate a studiare, gli allenamenti durissimi e le sconfitte brucianti, nonostante i senpai insopportabili e i kohai immaturi- e che all’improvviso si sfalda. Una mattina Kenjiro aprirà gli occhi e sarà tutto finito.

Sente il vuoto nei polmoni, un misto di ansia e adrenalina gli consuma gli organi. «Non hai paura?»

Semi si avvicina piano e non troppo, si siede sulla cornice della finestra e lo guarda con la coda dell’occhio -gli occhi di Eita sono scurissimi e caldi. «In verità sono terrorizzato»

Crescere è un po’ come un salto nel vuoto, pensa Kenjiro.

«Almeno sai cosa vuoi fare. Sai che è qualcosa che ami»

«È vero, ma il futuro… sembra così delicato» Semi cerca il suo sguardo e l’angolo della bocca si piega un po’ verso l’alto, come se non riuscisse a trattenere un sorriso. «Effimero» scandisce piano -e ora Kenjiro sa che lo stava ascoltando. «Ci sono momenti, mentre suono la chitarra e quando scrivo una canzone, in cui penso che ce la farò di sicuro. La mia musica mi sembra potente, qualcosa di artistico, e mi sento imbattibile. Ma poi ci sono momenti di dubbi e di angoscia. Sento una voce simile a quella di mia madre, mi dice che dovrei lasciar perdere le fantasie e pensare a cercare un lavoro o seguire degli studi universitari veri» sputa l’ultima parola come fosse veleno. «Non capisco perché l’arte non possa essere vera»

Rimangono in silenzio -le prove della banda sono finite e ora dal giardino alle loro spalle giunge solo il vociare degli studenti e il tenue fruscio del vento tra le piante. Kenjiro si rigira il petalo di ciliegio tra le dita, studia di soppiatto il profilo di Semi come un pittore davanti al soggetto del suo prossimo quadro e quando i loro occhi si incontrano per caso distoglie lo sguardo più in fretta che può.

«So che detto adesso potrà suonare egoista»  inizia e poi si blocca, un po’ incerto sul dire una cosa del genere in questo momento -ma ormai ha parlato, sente l’attesa di Semi che gli fa formicolare la nuca. «Ma io non so che fare, dopo il liceo»

Si volta a guardarlo giusto in tempo per vederlo inarcare un sopracciglio -quell’espressione tutta sua, adorabile e assolutamente fighissima, per cui Kenjiro si scioglie ogni volta.

«Ma se ti stai già preparando per il test di medicina!»

«Sì… però…» sospira, perché non sa proprio come spiegare ciò che sente e si sta pendendo di aver tirato fuori l’argomento. «Non lo so, Eita, la musica è qualcosa di tuo, nonostante quello che dicono gli adulti o i dubbi che puoi avere. A volte quando suoni penso che tu sia nato per farlo. Io… mi piacerebbe fare medicina, penso, ma non sono nato per questo»

Nel silenzio che segue Kenjiro ripensa alle parole appena pronunciate e sente le gote bollenti d’imbarazzo. Forse avrebbe fatto meglio a tenere quel pensiero per sé, perché in fondo non è niente più di questo -una considerazione, appena un’impressione, un’idea imprecisa e incapace di prendere forma. E gli sembra di aver preso un momento che doveva essere di Eita e di averlo fatto suo in modo fin troppo egoista, in fondo qui non è di lui che si parla.

(E poi l’ha chiamato per nome, senza neanche accorgersene, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E mentre la vergogna gli fa bruciare la testa sente ancora il sapore di quelle due sillabe sulla punta della lingua. Ei-ta.)

Ma Eita non si scompone, non ha paura di quel tipo di conversazioni, lui -per quando possano essere strane, un po’ filosofiche e un po’ imbarazzanti. Invece si prende il suo tempo, fa propri il pensiero e l’ansia di Kenjiro, riflette e cerca con attenzione una risposta da dare.

«Io avrei fatto musica anche se fossi nato quando la musica ancora non esisteva… sempre che ci sia stata un’epoca senza la musica» ridacchia. «Ma… insomma… ciò che tu fai definisce solo in parte quello che sei. Shirabu Kenjiro non è i voti che prende a scuola o l’università che frequenterà tra due anni o il lavoro che farà da grande, non credi?»

Semi si fa più vicino, finché le loro spalle non arrivano a toccarsi, lo punzecchia con il gomito e un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. «Insomma non mi sarei mai innamorato del tizio che mi ha soffiato il posto da titolare se fosse stato solo ‘il tizio che mi ha soffiato il posto da titolare’»

Kenjiro ha una voglia matta di baciare quel sorriso. «Ancora ti brucia, eh?»

«Tendo l’ha definita enemies to lovers, 400k, slow burn. Anche se non ho idea di cosa significhi»

«Mmh»

«Hey» la sua voce si fa più dolce, il peso contro la spalla di Kenjiro più affettuoso. «Se non ti senti sicuro hai ancora un anno per pensarci»

Kenjiro si volta a guardarlo negli occhi e inarca un sopracciglio come fa sempre lui. «E pensi che un anno sia abbastanza, per decidere della propria vita, senpai?»

Eita ride.

«No. Decisamente no. Di solito. Però a volte basta davvero solo un attimo» si allontana dalla finestra e gli si para davanti. Con delicatezza gli prende le mani e poi, in una riverenza teatrale, si piega su un ginocchio. «Ad esempio io ho appena deciso che voglio passare il resto della mia vita con te. Sposami, Kenjiro»

Kenjiro si sente sul punto di prendere fuoco, quando Semi gli bacia le nocche le labbra sono fresche e morbide contro le sue mani bollenti. «Che cretino! Era una conversazione seria!»

Semi scoppia a ridere e si rimette in piedi a fatica, per poco non inciampa nella valigia ancora aperta ai suoi piedi.

«Be’ a parte lamentarsi non c’è molto che possiamo fare, no? Lamentiamoci pure, ma siamo foglie nel vento, non meno effimeri del nostro futuro. A un certo punto non puoi fare altro che rimboccarti le maniche, stringere i denti e avanzare. E sperare che sia la direzione giusta»

A volte Kenjiro dimentica che Eita è un artista -un poeta, scrive canzoni perché ha qualcosa da dire, le parole tra le sue mani cambiano colore e suono.

In quello che potrebbe essere un improvviso moto dell’animo, un attimo di follia solo temporaneo, Kenjiro si porta una mano al petto.

«Se non lo è?»

«Sai, Bubu, se ti perdi in un bosco di solito cambi direzione e provi a trovare un’altra strada»

«Sì, e poi finisci divorato dagli orsi»

«Sei sempre così positivo!»

«Eita» ripete. Questa volta assapora il modo in cui le vocali gli scivolano fuori dalla bocca, la delicatezza della i, il colpo secco della t… «Grazie»

Lo sguardo di Semi si illumina, Kenjiro può vedere la sua figura in controluce riflessa nelle iridi scure.

«Potresti ringraziarmi in un altro modo» Eita ridacchia e inarca le sopracciglia in maniera fin troppo ammiccante. «Tipo aiutandomi a piegare la mia roba»

Kenjiro non sa neanche se valga la pena prendersela per una battuta del genere, ma intanto è riuscito a staccare il secondo bottone della divisa. Lo lancia con precisione millimetrica, il piccolo cerchio di plastica diventa un proiettile che colpisce Semi dritto in fronte.

«Ahi!» si lamenta, poi si piega a raccoglie il bottone.

«Te lo meriti» borbotta Kenjiro, già sente le guance che si fanno rosse ancora una volta.

Semi guarda il piccolo bottone sul palmo della sua mano.

«Questo è…?» e poi finisce le parole, ma c’è un sorriso spontaneo che gli sta nascendo sulla labbra.

«Te lo meriti» ripete Kenjiro, lascia il petalo sulla cornice della finestra e si siede sul pavimento. Prende una maglietta e inizia a piegarla con un po’ più cura di quanto forse sarebbe necessario.

Senza dire altro Eita gli si siede vicino, ha preso una maglietta anche lui, e inizia a imitare i suoi movimenti.

Il petalo di ciliegio sta già appassendo.

   
 
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