Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Flofly    12/08/2022    0 recensioni
Completa. Sequel di "Quel che è Stato, quel che Sarà" Quando hanno deciso di rendere pubblica la loro storia Draco ed Hermione erano pronti ad affrontare lo sdegno dell'opinione pubblica.
Quello che non sanno però è che un pericolo ben più grande di Rita Skeeter sta per travolgere l'intera Hogwarts.
Genere: Avventura, Generale, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Hermione Granger, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Da V libro alternativo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Potentia Par Vis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 TW:: se ( come me ) hai paura degli insetti volanti,  ti avviso che nella parte ambientata a Serpeverde si fa riferimento alle farfalle gotiche da cui prende il titolo questa storia. Niente di grafico perché io stessa ho problemi con gli insetti, ma questa storia mi è nata così sin dall'inizio.


Le fiamme che danzavano ipnotiche nell’oscurità della foresta sembravano chiamarla, raccontandole una storia che conosceva da sempre eppure di cui non riusciva a distinguerne le parole.

Qualunque lingua fosse era dentro la sua testa, una voce fatta di immagini senza tempo che finalmente trovavano una collocazione.

Quando il serpente si levò dai tizzoni l’intera congrega trattenne il respiro, sebbene per poche di loro fosse il primo Imbolc. C’erano state altre celebrazioni, officianti venute appositamente per guidare il rito, ma era la prima volta che quella notte si rivelava in tutta la sua potenza. Potevano quasi sentire il respiro della terra, pronta a risvegliarsi, a far scivolare via l’inverno verso una nuova rinascita.

Si chiese chi fosse sul serio quella strega venuta a gennaio, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima d’ora. Nessuna famiglia, nessun amico, nessun passato. Era come l’oroboro, impossibile distinguere l’inizio della sua storia.

Per un attimo aveva visto il suo sguardo saettare verso il punto lasciato libero tra la Bulstrode e la Snide, era evidente che entrambe sapessero che quello non era solo un posto vuoto. Le aveva fatte distanziare in modo che il cerchio non fosse interrotto, ed era chiaro che lì ci fossero le due persone meno gradite in quel momento. Di cui una natabbabana.

Se le altre avessero scoperto che era stata lei a portarle in quella che poteva essere definita la sera più sacra per l’anno per le serpeverde, probabilmente avrebbero preteso la sua testa. Ed era troppo carina e finalmente troppo intelligente per finire a fare il soprammobile dentro qualche orrenda casa senza gusto, circondata da intrugli puzzolenti.

Per questo quelle due impiastre dovevano davvero sperare che fosse stata solo lei a sentire quel gemito e quel tonfo, seppur attutito dall’erba morbida e dal richiamo lungo e penetrante che era risuonato nella notte.

Rimise il cappuccio ben calato sulla testa mentre passava loro accanto. Avrebbe voluto fermarsi, assicurarsi che la strega più noiosa della sua generazione e la sua amichetta fuori di testa non avessero tirato le cuoia. Meglio per loro che stessero bene: non si affezionava facilmente alle persone e anche se non lo avrebbe mai ammesso iniziava quasi a considerare quelle due come qualcosa di più che uno spreco di spazio malvestito.

A dirla tutta, forse a bassa voce e in una stanza chiusa al mondo, le avrebbe persino definite amiche.

Ma non c’era tempo, mentre il cerchio di giovani streghe si scioglieva e si trasformava in un’ordinata fila che sciamava verso il castello fermarsi avrebbe significato tradirsi.

«Vai pure Pansy, ci penso io qui» le disse la professoressa, mentre dalla sua bacchetta un liquido perlaceo e profumato fluiva sulle braci crepitanti.

«Si, Pansy, vieni con noi. Dobbiamo festeggiare. Come una volta» la Pucey era accanto a lei, prendendola sotto braccio con fare amichevole per vincere la sua inspiegabile resistenza ad allontanarsi. Sebbene si conoscessero da anni e potessero dirsi più che conoscenti, per un attimo la ragazza ebbe un brivido quando lo sguardo le si posò sul pesante medaglione che brillava sul petto di Irma nonostante il buio. Pansy spostò lo sguardo disgustato: odiava quei cadaveri pietrificati per sempre nella resina e di certo non li avrebbe mai portati su di sé. Quando glieli avevano proposti per l’editoriale di moda sui gioielli aveva fatto in mille pezzi le immagini e poi stregatele in modo che inseguissero l’incauto messaggero.

Cercò lo sguardo di Daphne poco avanti a lei accanto alla sorella ma entrambe sembravano altrettanto a disagio. L’aria era cambiata attorno a loro, un qualcosa di disgustoso e strisciante sembrava aver preso il posto dell’aria dolce ed aromatica di poco prima. Con suo sommo suo stupore appena rientrate nella sala comune fu praticamente portata di peso nella stanza del Capocasa, ma di Hatton non c’era alcuna traccia. L’ultima volta che era stata in quelle stanze c’erano Nicholas e Arael Malfoy con lei, la sera in cui avevano capito che la maledizione su Narcissa Black era qualcosa di estremamente grave. Mise su la sua migliore faccia di pietra, ricacciando un grumo di commozione al pensiero che quelli che solo poco fa erano due diciassettenni con il mondo davanti erano ormai polvere.

Si strinse nel mantello, cercando di scacciare il freddo pungente che sembrava averle invaso le ossa.

«Che ne dite di creare un po’ di aria? Mi sa che non hai arieggiato bene e c’è un odore strano a dire poco» disse con voce lamentosa storcendo il naso. Un odore metallico, untuoso, con un sentore di animalesco.

Sangue, non c’era dubbio.

Così come lasciava pochi dubbi il colore del liquido nel vaso che la Bulstrode teneva in mano.

«Tutto ciò ha un senso o avete solo deciso di essere disgustose?» chiese Astoria Greengrass incrociando le braccia scocciata «Non vi è il bastato lo scorso anno?»

Il viso da carlino di Millicent Bulstrode si aprì in uno strano sorriso sghembo che aveva quasi un aspetto surreale «Beh, se c’è una cosa che abbiamo imparato dallo scorso anno è il potere del sangue, no? O stai ancora pensando al fatto che il tuo caro Draco Malfoy stava per tirare le cuoia? Mi dispiace, Tori, non hai speranze. Sei troppo purosangue per lui, a quanto pare»

Fin troppo intelligente per la Bulstrode, pensò Pansy. In cinque anni di scuola a malapena le aveva sentito dire qualcosa di più di qualche grugnito e frasi ripetute a pappagallo imparate da quell’idiota di sua madre. Tutta quell’eloquenza era per lo meno sospetta.

«Beh ammetterai che non è stato carino da parte di amici di famiglia, Millie, cercare di dissanguarlo come se fosse stato attaccato dal capo dei vampiri in persona» tubò la Parkinson mettendosi davanti alle Greengrass, che sembravano pronte a tirare fuori la bacchetta «E ora volete dirci perché siamo qui? Vorrei farmi le mie otto ore di sonno di bellezza se non vi dispiace»

La Pucey si accovacciò accanto a Millicent.

«Sedetevi in cerchio per favore. Sempre che siate ancora delle purosangue serpeverde. O volete forse dichiarare una volta per tutte di essere delle sporche traditrici delle vostre radici?» la voce di Irma era suadente, quasi ipnotica.

«Di chi è quel sangue?» chiese Pansy prendendo tempo. Se in quel momento avesse preso la porta e se ne fosse andata sarebbe stata ostracizzata per sempre, molto più di quanto avessero fatto dopo la morte di suo padre. E lei non poteva permetterselo. Essere isolati significava essere deboli, e c’erano troppe persone, inclusa sua madre, pronte a saltarle alla gola per approfittarne.

«Che importanza ha? Ora da brava siediti. Non te lo ripeterò una seconda volta» ghignò la Bulstrode, levandosi un anello dalle dita tozze e lasciandolo cadere nella caraffa d’argento davanti a lei.

Pansy scambiò una breve occhiata con Daphne, poi lentamente sia lei che le sorelle presero il loro posto una accanto all’altra, stringendo le mani con le vicine. La presa di Heather Thatcham, settimo anno, accanto a lei era fredda e gelida come una morsa di ghiaccio.

Quando anche le ultime due mani si furono strette davanti a loro il tappeto di morbido filato scuro messo di traverso a formare un rombo si trasformò in una superficie perfettamente liscia, tanto da riflettere le loro stesse immagini.

Sempre con quel ghigno quasi diabolico Millicent prese la brocca e iniziò a far scorrere il liquido vischioso sulla superficie argentea, lasciando che si spargesse lentamente, in tutte le direzioni con una lentezza esasperante mentre l’odore nella stanza diventava sempre più forte, unito a quello troppo dolce di fiori marcescenti.

E poi ce n’era un altro, nascosto in fondo che però colpi Pansy come un pugno, un sentore stantio di sangue secco e whiskey di bassa lega che riusciva a farle voltare lo stomaco ogni volta che lo sentiva. Lo stesso che portava Carrow quel pomeriggio in cui le avevano fatto firmare l’impegno al fidanzamento.

La Bulstrode intanto mentre con una mano continuava a reggere la brocca incrinata, con l’altra aveva iniziato a tracciare segni con le dita, l’argento dello specchio che si intravedeva appena dietro il color rubino. Spirali e segni, volute e linee dritte dal basso verso l’alto.

Il tonfo sordo e appiccicaticcio dell’anello la riportò alla realtà, costringendola a focalizzare la sua attenzione sulla pietra. Il senso di nausea aumentò esponenzialmente, quando vide che così come per la Pucey anche in questo caso la resina tratteneva un animale morto.

O almeno che avrebbe dovuto essere morto, visto che, con suo crescente terrore, la creatura iniziò a sbattere le ali, prima impercettibilmente e poi con sempre maggior foga, fino a crepare il suo prezioso involucro.

Con un rumore secco il guscio si spezzò e quella che era indubbiamente una falena iniziò a volare per la stanza, le ali e le zampe ancora sporche di sangue e lei si ritrovò nuovamente in quella stanza, prigioniera di un futuro che volevano imporle.

Come se l’anno passato non ci fosse mai stato.

Quell’insetto orribile sembrava beffarsi di lei, con quelle disgustose ali troppo carnose con disegni che anche a quella distanza sembravano dei teschi.

Mentre sentiva il terrore salirle dalla bocca dello stomaco in un fiotto acido Pansy staccò di scatto le mani e corse fuori, insensibile a qualsiasi critica o preoccupazione che non fosse mettere più distanza possibile tra lei e il suo passato, seguita a breve dalle Greengrass.

Millicent Bulstrode sorrise mentre la falena le si posava sul dorso di quella mano così forte da poter schiacciare le noci facilmente e che finora le aveva provocato solo prese in giro.

Ma le cose stavano per cambiare.

Finalmente stavano per prendersi Hogwarts.

E poi il mondo magico sarebbe stato loro.

 

***

 

Acqua. Sete. Acqua.

Acqua. Tutto quello a cui riusciva a pensare oltre il dolore martellante alla testa che non le dava tregua era un’arsura terribile che pervadeva ogni fibra del suo essere, dai pensieri sino alla gola riarsa.

A fatica si tirò su, schermandosi gli occhi contro la seppur flebile luce che filtrava dalle finestre opportunamente schermate da pesanti tende di broccato color ocra.

Quello non era il suo dormitorio.

Né tantomeno quello di serpeverde, vista la quantità di luce e soprattutto di piante che la circondavano. 

Quando riconobbe la pianta carnivora che sembrava guardarla schioccando le sue presunte mascelle vegetali capì dov’era ancora prima di sentire la voce.

«Oh guarda Gin, la tua amica si è finalmente svegliata. Come stai Hermione?» chiosò Tonks passandole un grande bicchiere con un liquido violetto così invitante che in quel momento l’avrebbe barattato anche con la pietra filosofale se necessario.

«Non hai una bella cera, sai?».

Dalla voce Ginny sembrava essere in gran forma, ma davvero non sapeva come fosse possibile. Eppure se la ricordava bene solo poche ore prima quando era diventata più pallida di ogni fantasma avesse mai visto e si era accasciata al suolo, trascinandola.

Poi a dire il vero non ricordava più nulla. Ma pareva che l’unica a portarne le conseguenze fosse lei, pensò massaggiandosi la testa dolorante.

Il tempo di vuotarlo e il bicchiere si era di nuovo magicamente riempito. Anche i suoi pensieri sembravano finalmente più lineari, e si concesse di studiarne il contenuto.

«Non preoccuparti è acqua di lavanda, limone e rosmarino. Un toccasana a sentire mia madre. Anche se lei la consiglia soprattutto per l’hangover…e per Tosca Tassorosso Hermione se non sembra che tu abbia appena preso la peggiore sbronza della tua vita» - rise l’Auror sedendosi accanto e accarezzandole i ricci delicatamente.

«Hai un po’ di rametti tra i capelli sai?» ridacchiò lanciandole un incantesimo rinfrescante.

La sua attenzione si rivolse a Ginny «Tu invece sembri appena uscita dal salone di bellezza… sei più luminosa, non so come dire»

La rossa sorrise «Geni Weasley e fratelli maggiori come i gemelli e Bill mi hanno insegnato a resistere a ben di peggio. E poi sono sempre quella che è stata posseduta da Tom Riddle, no? Un po’ di credito»

Ad Hermione si gelò il sangue nelle vene, aveva sentito spesso Ginny parlare con nonchalance di quell’avventura terribile, ma lei ancora rabbrividiva al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se non fosse arrivata Fanny a salvare Harry. E se lui e Ron non avessero salvati tutti loro. Eppure lei ci era arrivata prima…sarebbe bastato così poco perché riuscisse ad avvertirli e forse avrebbero potuto evitare di rischiare di morire anche quell’anno. Anche se, sorrise al pensiero, il merito non era solo suo ma anche di un certo testardo borioso ed irresistibile di sua conoscenza.

«Che ore sono? Come siamo finite qui? L’ultima cosa che ricordo è che tu sei svenuta e io poco dopo ho perso i sensi» chiese cercando di raccapezzarsi e iniziando a frugare nella sua borsa, come sempre magicamente stregata per far entrare il triplo delle cose che sarebbe stato normale portare con sé. Il sole seppur attutito sembrava troppo alto nel cielo perché fosse prima mattina e conoscendo Draco non vedendola a colazione aveva cominciato a dare di matto con Harry e Ron. E quei due non si sarebbero fatti troppo pregare prima di rendergli pan per focaccia. Insomma era probabile che in sala comune si fosse già consumata una tragedia a sua insaputa.

Ampolle, libri, quaderni, piume d’oca, antidoti vari, cerotti magici, cerotti babbani, api frizzole per i cali di zucchero, le lettere dei suoi, le ricerche per il prossimo articolo, centinaia di foglietti colorati ( un colore per ogni materia e uno ancora diverso per ogni attività extrascolastica), rune celtiche, rune nordiche, elastici,  un cerchietto, un cambio per ogni evenienza, e altre mille cianfrusaglie dopo in terra si era creata una catasta di roba che arrivava poco sotto il bordo del divano sul quale era sdraiata. Ma del regalo che le aveva fatto Draco nessuna traccia.

Possibile che l’avesse lasciato nel dormitorio? No, dopo che aveva scoperto che qualcuno aveva rovistato nel suo baule non lasciava nulla di prezioso a portata di mano.

«Cercavi questo per caso?» la prese in giro Ginny sventolando il quadernino di pelle bordeaux profilato in oro, un chiaro quanto inaspettato omaggio alla sua casa di appartenenza. Anche se in prima pagina il suo premuroso e dolce fidanzato aveva scritto Ti amo ma Grifondoro fa schifo.

Tonks diede un’occhiata alla grande pendola a forma di olmo che ornava una delle pareti «Certo che ne sa di parole volgari eh… Anche se devo ammettere che ha un’ottima calligrafia e una capacità di sillabazione invidiabile» rise confermando le sue peggiori paure.

Hermione borbottò il riporto con l’accio e inizio a sfogliarlo velocemente.

Avevano ragione quelle due che la guardavano ridacchiando. C’erano pagine e pagine prima di richieste di contatto e poi di offese a tutti i Grifondoro e Tassorosso che avessero mai calpestato il pavimento di pietra di Hogwarts una volta capito che lei stava bene e Ginny e sua cugina lo stavano prendendo in giro.

«Volgare ma ingegnoso. Lui ne ha uno uguale a quanto ho capito no? Cosi potete comunicare anche a distanza in tempo reale» concesse Tonks con un sorriso «E per rispondere alla tua domanda, se ancora ti interessa, qualcuno ha bussato alla mia porta ma quando ho aperto c’era solo un bigliettino fluttuante nell’aria con disegnata una freccia che puntava in basso, dove sembrava non esserci nessuno. … tanto che senza volerlo… beh credo di aver calpestato la mano di Ginny… Merlino era una vita che non sentivo un tale sfoggio di imprecazioni» 

«Geni Weasley e sei fratelli. Credimi potrei andare avanti per ore» Ginny si alzò facendo volare nuovamente la montagna di oggetti davanti ad Hermione all’interno della borsa. Si chinò appena a recuperare la carta della Forza che era scivolata fuori dal libro «Ma per te i tarocchi non sono stupidaggini?»

«Già. Ma questa era in un regalo e mi sembrava brutto buttarla» borbottò Hermione, rimettendola velocemente dentro e chiudendo la cerniera «Sto morendo di fame, andiamo a mangiare qualcosa?»

«Forse prima dovresti evitare che a Malfoy venga un infarto» 

Hermione sbuffò ponderando le opzioni. Era vero che Draco sembrava piuttosto agitato ma un’altra ora scarsa di attesa non gli avrebbe creato grossi problemi. Anche perché se ricordava bene il suo orario lui aveva lezione di divinazione quella mattina.

Mentre lei…

Dannazione, come era stato possibile? Era la prima lezione in vita sua che perdeva.

«Oh, no… avevo Babbanologia stamattina alle prime due ore… devo andare a parlare con la professoressa… Oh Merlino, perché non mi avete svegliato?» si lamentò afferrando la barretta di frutta secca e mirtilli che Tonks le aveva allungato.

Lei e Ginny si scambiarono uno sguardo strano prima che finalmente l’Auror si decidesse a parlare.

«Hermione, siediti. Faccio arrivare qualcosa da mangiare»

«Ti prego, devo andare, devo andarmi a scusare e poi nel pomeriggio ho Pozioni e solo Circe sa se darò a Piton l’occasione di riprendermi»

«Hermione…»

«Tonks, ti ringrazio ma davvero devo scappare»

«Cazzo Hermione, chiudi la bocca e siediti» scattò Ginny «Merlino sei peggio di Percy a volte. Oggi non avevi lezione di babbanologia…e tra l’altro… fattelo dire ma Malfoy ha ragione… sei una babbana per la miseria… cosa segui quella materia a fare lo sai solo tu e probabilmente mio padre...»

Hermione si gelò «In che senso non avevo lezione oggi? Non dirmi che la prof ha accettato quella stupida petizione per cui i natibabbani non dovrebbero frequentare babbanologia … sono certa che è stata quella stupida della Edgecombe a proporlo.... la vedo la faccia che fa quando io so la risposta e lei no. Tonks tu hai frequentato babbanologia vero?»

Capelli indaco. Qualcosa non andava.

«Si, ma ad onor del vero solo perché potevo prendere voti alti senza sbattermi troppo, visto che mio padre è natobabbano e a casa abbiamo sempre avuto tecnologia babbana. E ci facevano giocare a palla prigioniera, a dire il vero. È divertente… specialmente se puoi cambiare aspetto e quindi non sanno più se sei nella loro squadra oppure no» vagheggio la Tassorosso, prima di fare un gesto con la mano, come a dire che non era rilevante «Ma non è questo il punto. Il punto è che non hai lezione perché oggi è sabato»

Sabato.

Ma come…

«Mia madre è venuta a darti un’occhiata ma non sapevamo come spiegare il tuo malessere. Ha detto che può succedere a chi partecipa a Imbolc ... una questione di geni e stupidaggini del genere» rispose evasiva affrettandosi a liberare il tavolino per fare posto al vassoio di sandwiches appetitosi appena portati da un elfo domestico.

Gliene allungò uno mentre lei era ancora pietrificata. Geni… o meglio il suo sangue, ad essere precisi. 

«Ah e non preoccuparti per le lezioni... sei stata giustificata. Anche con Piton» disse per tranquillizzarla.

Hermione lo prese riluttante. Era offesa, ferita e preoccupata. Ma aveva anche una fame della miseria.

«Grazie» borbottò affondando i denti in quel pane bianco e soffice.

«MMM…. deliziosi… comunque non devi ringraziare lei» rispose Ginny afferrandone uno e divorandolo in poco tempo. Dove mettesse quello che mangiava era un mistero anche per una sportiva come lei «La giustificazione te l’ha firmata la Montemorcy. E neanche Piton ha avuto niente da dire, a quanto mi ha detto Pansy. Quei due hanno uno strano rapporto»

 

Fortuna che gli Auror erano allenati anche nel prestare cure di emergenza perché altrimenti quel pezzo di sandwich al tacchino e pomodoro le sarebbe rimasto bloccato nella trachea fino alla sua morte.


***

 

La sera del rituale era successo qualcosa. Non sapeva bene cosa e soprattutto chi l’avesse provocato ma era certa che ci fosse stata una crepa dal quale era strisciato qualcosa di putrido e maligno.

Niamh chiuse con violenza il grimorio dalla copertina viola sul quale aveva annotato con dovizia di particolari tutti i dettagli della cerimonia, inclusa la presenza di due estranee.

Era stato interessante, a dire la verità, nutrirsi dell’energia di tutte quelle giovani donne e catalizzarla su di sé prima di restituirla alla Signora del Lago attraverso il fuoco purificatore.

Lo stesso che, lo sapeva bene, in quelle stesse ore aveva bruciato anche davanti all’albero sacro. 

Tutta quella magia però aveva rischiato di sopraffarla, un’esplosione di potenza che in molti casi doveva ancora giungere a maturazione ma che presentava in nuce tutte le caratteristiche per essere grande. Ma anche lì c’era qualcosa, un’ombra oscura che si era insinuata in quel mare di energia purissima che solo a Imbolc riusciva a brillare in tutto il suo splendore. Forse le ragazze non l’avevano notato ma il Serpente Sacro aveva fatto fatica ad uscire dalle fiamme, le fauci che schioccavano rabbiose cercando di afferrare e divorare qualcosa. Quel qualcosa, ne era certa.

Quello che lei non aveva capito in tempo e che ormai probabilmente pervadeva il castello, come un fungo pericoloso che si annidava nell’oscurità.

Eppure l’unica conseguenza visibile sembrava essere stata il sonno profondo della Granger. Per un attimo aveva temuto che fosse stata anche lei vittima della maledizione ma si era chinata su di lei nella foresta si era rasserenata.

Non era stata maledetta, semplicemente il rituale aveva prosciugato tutta la sua energia, una magia troppo forte e troppo pura per qualcuno con sangue non magico nelle vene. Ma non era pericoloso e soprattutto non era un male. Era certa che dopo che il suo corpo avesse avuto modo di recuperare le energie sarebbe stata per lei una seconda nascita, capace finalmente di accettare anche quel lato oscuro che continuava continuamente a ricacciare nelle profondità della sua fin troppo razionale mente

Sarebbe stata libera.

Doveva solo accettarsi.

E poi c’erano Ginevra e Pansy, gli altri due poli di quel Triskele non previsto, il segno stesso di quella triplicità che aveva imparato a rispettare sin da bambina.

Rivolse nuovamente lo sguardo alla foresta, sentendo di nuovo quel brivido di disagio che la tormentava da giorni, un pericolo incombente che non riusciva ad indentificare.

«Non sono tutti rotti, quindi?» chiese al piccolo essere squittente che le era apparso accanto, rigirando tra le lunga dita ossute e appuntite una scheggia lucente.

«No miss. Solo sette specchi in tutto il castello. Solo sette e tutti sostituiti la notte stessa. Ecco qui l’elenco» squittì l’esserino salendo veloce sulla balaustra e iniziando a dondolarsi.

Sette specchi erano andati in frantumi la notte di Imbolc.

Sette superfici riflettenti come le acque del lago nelle giornate di primavera nel Reame.

Sette.

Il numero magico per eccellenza.

Uno a Grifondoro

Uno a Serpeverde

Uno a Corvonero

Uno a Tassorosso

Uno nei Bagni del Quarto Piano.

Uno in Infermeria.

E uno dietro una porta chiusa, di cui nessuno avrebbe dovuto sapere l’esistenza.

Perché solo quelli? 

«E i quadri sono inquieti, Miss» mormorò l’esserino a bassa voce con tono cospiratorio, come se stesse rivelando un gran segreto, da non far sentire neanche per sbaglio.

All’espressione interrogativa di Niamh continuò, abbassando ancora il tono tanto che era difficile comprendere le parole «Dicono che c’è un’ombra nascosta»

Niamh fece rotolare una runa da un dito all’altro, avanti e indietro pensierosa, le fasi lunari tatuate sulle falangi che apparivano e sparivano dietro la pietra nera lucidissima.

«Devo avvisare il preside, Miss?» chiese l’elfa sgranando grandi occhi globulosi vedendo la strega scuotere la folta capigliatura color platino.

Silente aveva i suoi piani, quello era ormai evidente.

E non coincidevano con quelli della Dama del Lago, l’unica autorità che aveva imparato a rispettare.

Forse poteva parlarne con Severus. Ma anche lì doveva fare attenzione. Aveva visto come l’unica ossessione di quell’uomo fosse quello di mantenere la promessa fatta tanti anni prima ad un amore mai corrisposto. Una sorta di voto che non sarebbe mai riuscito a mantenere.

E la sua cieca fedeltà lo aveva portato a farsi rigirare dal suo amato preside, diventando anche lui una pedina di un gioco certamente più grande.

No, ancora non poteva confidarsi, c’era troppo da fare e troppo poco tempo. 

Poteva solo attendere con gli occhi aperti




 

***

I capelli di Ginny erano una cascata corposa di fili color rubino su cui non si sarebbe mai stancato di affondare il viso. Avrebbe potuto passare li tutta la vita, a respirare il suo odore, baciare la pelle candida ricoperta di minuscole e deliziose lentiggini.

Odore del vento, dell’erba del campo da Quidditch e uno pungente e aspro, quasi polvere da sparo, se mai fosse esistita nel mondo magico. Gli ricordava una sera d’estate, quando era stato lasciato solo in casa perché i Dursley erano andati a una festa e lui era salito sul tetto e aveva guardato i fuochi d’artificio che illuminavano il cielo. 

Lo stesso della prima volta che i mattoni di Diagon Alley si erano mossi sotto il tocco dell’ombrello rosa di Hagrid.

Del motore della Ford Anglia che schioppettava nel cielo di Londra quando i gemelli e Ron erano venuti a salvarlo.

E anche quello dei quadri di Grimmauld Place che si disintegravano quando lui e Sirius avevano finalmente trovato l’incantesimo giusto.

In poche parole Ginny Weasley aveva l’odore della felicità, poteva dirlo anche senza amortentia.

Sebbene Ron avesse ammesso di aver esagerato ed essersi scusato milioni di volte, lamentando di essere stato come posseduto e che di certo lui non aveva alcuna intenzione di uccidere il suo migliore amico, Harry aveva deciso che per certe effusioni era meglio trovare un posto più appartato.

E se c’era una cosa che generazioni di adolescenti in preda agli ormoni gli avevano insegnato, inclusa Hermione Granger, era che la stanza delle Necessità poteva essere il luogo perfetto.

In effetti forse Tosca Tassorosso non aveva in mente quello quando aveva pensato ad una stanza in cui gli studenti potessero rifugiarsi in caso di bisogno, trovando tutto ciò che necessitavano. E sicuramente lui non aveva pensato a quello quando ci era capitato per caso anni prima.

Ma per Godric Grifondoro, se non era una cosa geniale.

I loro maglioni, entrambi fatti a mano dalla Signora Weasley per l’ultimo Natale, erano già in terra, un miscuglio perfetto di verde come gli occhi di Harry e rosso fuoco Weasley che cingevano uno sull’altro, in un ammasso di lana calda - in quel momento Harry si chiedeva perché non avesse scelto un letto, invece del grande divano dall’aspetto panciuto sul quale in quel momento era sdraiata Ginny solo con la maglietta e le gambe nude che finalmente poteva toccare, stringendola a sé. L’immagine speculare di lui, a torso nudo, con i capelli più indomabili che mai per la frenesia.

Harry si arrischiò a sollevare un poco il bordo della maglia color rubino, arrotolandola appena con le dita, sentendo la pelle fremere sotto il suo tocco.

Non sapeva fin dove si sarebbero spinti ma non voleva saperlo. Non voleva chiederselo: voleva solo godere di come gli occhi di Ginny lo guardavano come solo lei sapeva fare, facendogli bollire il sangue e facendolo sentire tra l’imbarazzato a morte e l’eccitato come mai era stato.

Aprì lentamente gli occhi, quando sentì la grana irregolare della pelle sotto le labbra, incuriosito.

E quello che vide lo lasciò interdetto.

«Perché non mi hai detto che ti sei fatta un tatuaggio?» chiese continuando a passare le dita attorno all’ombelico.

Ginny ridacchio sistemandosi meglio sul divano, togliendogli gli occhiali e attirandolo verso le sue labbra.

«Sei impazzito? Mia madre darebbe di matto. Ed è difficile nasconderlo a casa mia»

Harry si gelò, Ginny non stava scherzando.

Eppure sulla pelle candida e luminosa, li tra un delizioso puntino color rame e uno color cannella c’era indiscutibilmente un tatuaggio.

Un fiore nero per essere esatti.

 

 

 


 
 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Flofly