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Autore: moira78    14/08/2022    1 recensioni
C'è un filo rosso che unisce Candy e Albert. Da sempre. In ogni luogo. In ogni momento. Questa storia nasce come contributo al Festival del Hilo Rojo del Destino.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1915, Italia (Albert 27 anni, Candy 22 anni)

L'infermiera stava tornando, lo sentiva.

Alle narici gli arrivava già quel profumo di fiori che sembrava coprire del tutto il puzzo della polvere da sparo, del sangue e dei fluidi umani che permeavano la tenda. Albert, come lo chiamava lei, finse di dormire per potersi beare del tocco fresco della mano morbida sulla fronte, mentre controllava la temperatura, di sicuro incerta se provargli il termometro o meno; o mentre le sue mani gli scivolavano ai lati del capo per controllare le ferite coperte dalle bende; o, ancora, mentre sentiva il suo respiro così vicino che, se solo avesse potuto, l'avrebbe attirata a sé annullando la distanza. Baciandola finché fossero rimasti tutti e due senza fiato.

Come era stato possibile risvegliarsi in quel campo senza memoria e passare dalla disperazione alla perdizione nel giro di pochi giorni? Lei era bella, su questo non aveva alcun dubbio: tutti i soldati che potevano ancora permettersi di fare qualche battuta lanciavano di continuo apprezzamenti, alcuni al limite della decenza.
Lui stesso si sentiva sospeso in quel limite, quando la sognava, ma nel suo cuore stava anche sbocciando un sentimento così tenero che non poteva certo essere scambiato per mera attrazione fisica.

"Guarda che mi sono accorta che non stai dormendo!". La sua voce, così fresca e decisa, gli fece spalancare gli occhi con una fitta di senso di colpa. Sperava che non sapesse anche leggere nel pensiero o era certo che lo avrebbe picchiato.

"In realtà mi sono svegliato solo ora, ma ero molto stanco...".

Candy sospirò e sedette accanto al letto su una sedia sghemba che cigolò quando la mosse: "Albert, questa tua stanchezza poteva essere normale nei primi giorni, ma capisci bene che adesso dovresti cercare di alzarti, camminare e soprattutto mangiare di più. Non è deprimendoti e dormendo tutto il giorno che la memoria tornerà, sai?".

Albert pensò che non era solo la malinconia a tenerlo fermo in quel letto, ma anche la consapevolezza che lei sarebbe tornata. Per prendersi cura di lui. Per toccarlo. Per parlargli. E si sentì egoista davanti alla sofferenza del soldato cui era stata amputata la gamba, a quella dell'uomo con una profonda ferita all'addome, a quella del vicino di letto con un'infezione che lo faceva delirare di febbre da giorni.

Sì, sapeva che Candy teneva a lui ma era in grado di scindere la gravità delle situazioni dedicandosi prima ai feriti più urgenti. E tuttavia...

"Ti chiedo scusa, ti prometto che ora cercherò di alzarmi", disse cominciando a farlo di buona lena. E seguì quell'intenzione in maniera così repentina che la testa gli girò e un'ombra scura gli offuscò la vista. Era già con un piede fuori dal letto, il busto proteso. Candy lo afferrò con le mani sulle spalle nel momento in cui barcollò e un brivido elettrico gli attraversò la pelle quando alzò gli occhi per incontrare i suoi.

Verdi, come quelli di una strega gentile, di certo poco più giovane di lui, che lo avesse imbrigliato in un delizioso incantesimo. Era certo che nella loro vecchia vita fossero stati innamorati. O che almeno lui lo fosse non meno di quanto lo era adesso. Al momento, anche se non si ricordava di lei con la mente, il suo cuore correva, anzi, galoppava verso la direzione giusta. Il cuore già la ricordava.

"Resta seduto qualche istante...", suggerì lei distogliendo lo sguardo e arrossendo. Perché arrossiva? E perché si stava staccando da lui?

Con un gesto deciso ma più gentile che poté, la trattenne cercando di dominare l'impulso di baciarla, baciarla davvero dentro a quella tenda, sul suo letto, in mezzo al puzzo di morte e ai lamenti di dolore che li circondavano. Creando vita in mezzo al dolore. Creando amore.

"Ricordami come ci siamo conosciuti", le mormorò con voce roca e, diamine, era proprio a pochi pollici dalle sue labbra rosse e piene.

Quando lei se le leccò, evidentemente a disagio, fece violenza su se stesso per non seguire quell'impulso e le diede spazio, allentando la presa e lasciando che si sedesse di nuovo: "Ci siamo incontrati al college", esordì intrecciando le dita delle mani in grembo. "Eri più avanti di me, stavi terminando l'università. Lì ho scoperto che facevi parte della famiglia che mi aveva adottata...".

"...e che ero anche il fantomatico prozio che ha suggerito agli anziani di prenderti in seno alla famiglia", ribatté lui ricordando il suo primo racconto.

"Sì, anche se non me lo hai confessato subito", disse piano lei, continuando a evitare i suoi occhi. Negandogli gli specchi verdi nei quali voleva solo annegare. Confermandogli che gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa di molto importante.

"Cosa siamo, quindi? Cugini? Zio e nipote? Di certo non parenti di sangue! L'altro giorno volevo saperne di più, ma siamo stati interrotti".

E finalmente, Candy lo guardò: "Ti prometto che avviserò la tua famiglia non appena...".

"Non è la mia famiglia a preoccuparmi! Voglio sapere cosa eravamo noi. Studiavamo nello stesso college di Londra, giusto? Che rapporto avevamo? Perché io mi trovo qui, in un ospedale da campo in Italia, senza memoria, e tu sei una crocerossina?!". Sapeva che stava tirando troppo la corda, affrettando i tempi. Ma c'era un'urgenza che pervadeva il suo intero essere e che lo spingeva a definire subito quel legame profondo che sentiva di avere con quella ragazza. Nel suo sguardo, di colpo gli parve di leggere il panico e, ancora una volta, si sforzò di ricordare. Un viso triste. Due occhi rigati di lacrime. Una supplica.

Lei che lo pregava di aspettarla. Lui che rispondeva qualcosa...

"Poco dopo che sei andato via, io e il mio ragazzo di allora siamo stati attirati in una trappola ed espulsi da scuola", mormorò facendolo indietreggiare quasi avesse gridato.
Dunque era fidanzata? Non era mai stata sua e lui era solo un idiota in preda all'amnesia e agli ormoni? "Me ne sono tornata in America e sono diventata infermiera come ho sempre desiderato. Tu mi scrivevi dall'Africa e ti informavi su cosa facessi io, raccontandomi tutto ciò che tu stavi imparando lì, tanto da restare più di quanto avessi preventivato. Nella tua ultima lettera mi confessavi di avere avuto pressioni per tornare da parte della tua famiglia e io, che quasi desideravo raggiungerti, ho desistito. Poi hanno cominciato a parlare di una possibile guerra e ho perso le tue tracce. Ero terrorizzata, mi sono informata ovunque anche attraverso le ambasciate e so che gli Ardlay ti stavano cercando...".

"Dunque mi stavi cercando? O mi stava cercando la mia famiglia?". Il boato di un aereo che passava sulle loro teste fece trasalire Candy, che si alzò dalla sedia.
Lui la imitò e stavolta la testa non gli girò. Non per la debolezza, perlomeno. Lei gli aveva posato le mani sul torace come per sostenerlo: "Stai bene?".

"Sì. Candy, c'è qualcosa in te che mi ricorda... devo sapere, io devo capire...".

"Aspettami qui", disse in un bisbiglio accorato, fuggendo via e fermandosi solo un istante per chinarsi su un ferito e controllare una fasciatura.

Albert rimase impietrito in piedi, incapace di muoversi, appena conscio del rumore dei motori che li sorvolavano. Gli avevano detto che l'Italia non era ancora entrata ufficialmente in guerra: tuttavia, un campo profughi come quello ospitava soldati di ogni provenienza e lui stesso era stato vittima di un attentato su un treno.

Candy rientrò con un libro stretto al petto e lui avvertì una sorta di brivido lungo la spina dorsale. Si avvicinò, costringendolo a sedere sul letto e facendo lo stesso sulla sedia di poco prima. Aveva il volto arrossato, non seppe se per la corsa o l'imbarazzo: sembrava provarne molto mentre spiegava, con voce incerta: "Il giorno che sei partito per l'Africa... mi hai lasciato questo libro. E mi hai detto di guardare... a pagina trecentosei".

Lo sfogliò in silenzio, mentre lui non osava neanche respirare, e glielo mise in grembo. Albert le scoccò un'occhiata interrogativa, ma si rese conto che lei evitava il contatto visivo. Allora, si mise a leggere e più leggeva, più si rendeva conto che no, la sua sensazione non era sbagliata.

C'era davvero qualcosa di più di una famiglia adottiva a legarli. Qualcosa come un filo rosso del destino, bizzarro e misterioso, che faceva parte di una vecchia leggenda orientale, ma sembrava davvero reale e tangibile.

Però, quando Candy disse con voce bassa e chiara: "A Londra non era la prima volta che ti vedevo. Ci eravamo... già incontrati", il cuore gli mancò un battito prima di accelerare di nuovo.

"Cosa hai detto?".

Finalmente, gli occhi verdi lo fissarono, significativi e pieni di un passato che ancora non gli aveva raccontato ma che era lì, pronto da leggere come...beh, come un diario di viaggio dalla copertina polverosa e un po' consunta.

"Quando avevo sei anni ho incontrato un ragazzino più grande nei boschi di Lakewood che sembrava un folletto spettinato". Sorrise e Albert notò le lacrime che brillavano nei suoi occhi. L'emozione di lei lo travolse e divenne la propria. Sì, il suo cuore già sapeva. "Quel folletto era il mio compagno più grande di corso. E qualche tempo dopo mi ha confessato di essere anche il prozio William che aveva deciso la mia adozione con i membri più anziani".

Albert allungò una mano e il senso di dejà-vù divenne un dolore sordo ma meraviglioso al capo, quando le asciugò le lacrime. Mentre tratteneva le proprie. Sconvolto, travolto da un sentimento che non ricordava ma che provava potente come un'esplosione.

"Ci siamo incontrati in un piccolo paese in America. È successo di nuovo al college. Anche se lì mi pare di capire che non fosse poi così strano, visto che facevamo tutti parte della stessa famiglia, vero?". Candy sorrise e annuì. "E ora... questa leggenda che ti consegnai ha fatto sì che io, pur provenendo dall'Africa e trovandomi su un treno qui in Italia, sia finito in un campo profughi dove tu sei stata mandata dall'America per lavorare come crocerossina".

"Inizialmente volevano mandarmi in Francia", spiegò lei con voce rotta, "ma lì c'erano già delle mie colleghe e qui c'era comunque bisogno di una mano, anche se non si combatte attivamente".

Albert deglutì, senza interrompere la lieve carezza sulla guancia che lei non sembrava intenzionata a rifiutare. "Ti rendi conto che questo filo del destino esiste veramente tra noi? Tutto sembra essere stato concepito perché ci ritrovassimo. Grazie a te so chi sono. E grazie a te il mio cuore batte più forte se solo ti sono accanto e la speranza di recuperare la memoria diventa una certezza".

"Albert...".

"Perché me ne sono andato lasciandoti lì? Perché non sono tornato prima? Era per via del tuo ragazzo, vero? Eri innamorata di lui e io non volevo...".
"Era il contrario!", quasi gridò lei, attirandosi un mugugno di protesta dal letto accanto e il borbottio di un uomo che li invitava a uscire o trovarsi un albergo. Come se stessero facendo qualcosa di diverso dal parlare.

"Vieni, Candy, usciamo. Il medico di turno fa il giro fra pochi minuti se non sbaglio, giusto?". Lei parve valutare la situazione con un'occhiata veloce e si accertò che la collega francese fosse presente. Così lo seguì.

Albert la condusse accanto a un albero e sedettero alla base del tronco. Per un solo, assurdo istante, si immaginò con lei sul ramo più alto e si domandò se non fosse anche quella una reminiscenza del passato che non ricordava.

Non ebbe il coraggio di tallonarla, così si limitò a guardarla intensamente, in attesa che confessasse quella verità che anelava come acqua fresca nel deserto. Perché se davvero erano destinati a stare insieme, lei non era rimasta di certo legata all'altro ragazzo.

"Con Terry... beh, non ha funzionato. Non funzionava da tempo. Lui... era tanto caro e io credevo davvero di essermi innamorata di lui. Ma quando ti ho rivisto ero così confusa che... E poi sapevo che non avrei mai potuto competere con il nome degli Ardlay. Sarei sempre stata l'orfana senza passato, la ragazza adottata dalla famiglia senza padre, né madre...".

"Non dire stupidaggini! Non ha importanza", la interruppe e lei lo guardò spalancando gli occhi. "Che c'è, che ho detto?".

"Hai detto le stesse parole di allora!", esclamò portandosi le mani alle labbra. "E hai anche aggiunto che se io ero sicura... tu mi avresti aspettato. Hai anche detto...".

Cos'era quel boato? Un altro aereo? Amico o nemico? No, forse era solo il proprio cuore che rimbombava nelle sue orecchie e fin nelle tempie: "Cos'altro ti ho detto, Candy?". Se avesse potuto accarezzarla anche con la voce lo avrebbe fatto. Non ricordava un accidenti di nulla della sua famiglia, ma lei era come una pietra scolpita nell'animo che non era sparita neanche con l'amnesia. Lo sapeva da quando aveva aperto gli occhi e l'aveva vista.

Candy deglutì più volte e Albert avvicinò impercettibilmente il viso al suo, in attesa, cogliendo il suo respiro tiepido e agitato mentre rispondeva: "Che anche tu mi amavi".
Il sorriso gli rilassò gli angoli della bocca e gli occhi punsero di lacrime: lo sapeva! Sapeva di aver ritrovato qualcosa di prezioso in quel campo sperduto nel nulla! "Quindi perché me ne sono andato, Candy? Perché non sono rimasto con te e non ti ho atteso lì, a Londra?".

"Perché io ero ancora una ragazza minorenne e tu volevi fare questo viaggio! Inoltre io non ti ho mai detto... non ti ho detto... per prima...". Candy abbassò gli occhi e per lui non ebbe più importanza cosa fosse accaduto prima. Il passato era passato. Ora vivevano nel presente e la storia esotica del filo rosso che univa le anime gemelle si era appena avverata.

"Allora dimmelo adesso, Candy, se è vero. Dimmelo così che io possa ripetere la mia risposta", le mormorò costringendola a guardarlo con una mano sul suo viso. Il suo bel viso dalla pelle di porcellana dove piccole lentiggini spiccavano come i baci che non le aveva ancora dato.

Non credeva che lei avrebbe reagito in maniera tanto fervente, quasi attendesse di farlo fin da allora, dai suoi sedici anni: "Ti amo, Albert, ti amo fin da allora. Ti penso da quando ero bambina. E ho intenzione di amarti anche in futuro, qualunque cosa comporti, se tu mi vorrai".

"Ti voglio e ti amo anche io, Candy. Sì, mille volte sì. In ogni tempo, a ogni distanza. Siamo anime gemelle".

Senza più alcun motivo per rimandarlo, col cuore traboccante di gioia, finalmente la baciò. Il tocco fu gentile ma fermo e seppe, dal modo in cui lei lo ricambiò, che non era da quando si era svegliato che lo desiderava. No, di sicuro era dai giorni di Londra, quando aveva riconosciuto la bambina divenuta donna che non era sua cugina o la sua giovane nipote adottiva. Ma la donna destinata a lui. Che a lui era tornata seguendo le svolte di quel filo capriccioso ma puntuale che li aveva appena riuniti.

Albert non sapeva se avesse mai baciato prima, non se lo ricordava. Tuttavia l'emozione fu tale che fu costretto a stringerla a sé per comprendere che sì, Candy era reale, era fra le sue braccia e lui era nato per tenerla in quel modo. Lei era nata per tornare nella sua vita: da bambina, da ragazza, da donna. Nei luoghi più impensati e remoti del mondo.

La voce, forte e secca, fu come un colpo di pistola. Ebbe lo stesso effetto degli aerei, ma era ancora più spaventosa perché era vicina a loro e parlava tedesco, o almeno così gli sembrava dai toni duri e spigolosi delle parole che non comprendeva. Non solo l'uomo interruppe il loro bacio in modo improvviso, ma fece capire ad Albert che forse stavano per morire.

Il fucile puntò verso di loro, poi verso la tenda. L'uomo parlò in fretta, con le mani che tremavano, e Albert capì che non aveva molto tempo. Strinse forte a sé Candy, che sembrava rannicchiarsi e diventare sempre più piccola mentre ripeteva il suo nome quasi a rassicurarsi.

L'uomo sparò un colpo in aria e la frase che disse suonò nello stesso modo. Impetuosa, dura come una roccia, sembrava un ultimatum.

"Non sparare!". Cos'altro poteva dirgli, ammesso che comprendesse l'inglese? Che non erano nemici? Che lui era lì solo perché si trovava sul treno sbagliato al momento sbagliato e la ragazza era solo un'infermiera? Non voleva morire, non poteva morire adesso.

E tuttavia, se fosse accaduto, Albert seppe che era anche il momento giusto.

Perché aveva la donna della sua vita fra le braccia e l'avrebbe protetta a costo della propria. Il filo rosso, forse, avrebbe continuato a esistere. Non era certo quella canna puntata verso di loro che l'avrebbe scisso.

Mai.

"Albert... Albert...".

"Corri, Candy". La prese per mano, voltandosi per correre verso il bosco con lei.

Non rompere il filo rosso, mai.

Ma doveva proteggerla, anche se avesse significato non vederla più. Sentì il cane armarsi e si bloccò. L'avvolse fra le braccia, la schiena di Candy sul suo petto. Il suo calore e il suo profumo.

"Ti amo, ti amerò sempre...", le mormorò all'orecchio mentre un boato copriva il mondo.
 
   
 
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