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Autore: moira78    14/08/2022    1 recensioni
C'è un filo rosso che unisce Candy e Albert. Da sempre. In ogni luogo. In ogni momento. Questa storia nasce come contributo al Festival del Hilo Rojo del Destino.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1909, Londra (Albert 21 anni, Candy 16 anni, Terence 17 anni)

"Pensi di fissarlo ancora a lungo?". La voce stizzita di Terence e lo sbuffo di fumo che quasi le soffiò in faccia la precipitarono nella realtà con la forza di un pugno.
Si era imbambolata a guardare le sue spalle. Anzi, l'intera schiena. La sua schiena larga da uomo avvolta in una giacca nera. E i capelli biondi che sembravano brillare, in contrasto col colore scuro, quasi fossero raggi di sole in piena notte. Era certa che, se si fosse voltato e le avesse piantato addosso i cieli tersi dei suoi occhi, sarebbe stata persa.

Persa in via definitiva.

"Non dire sciocchezze. È che in questo posto c'è tanta confusione che non sono ancora riuscita a congratularmi con lui per la sua laurea", disse in imbarazzo, voltando il capo nella sala decorata con fiori, tende di seta e tavoli imbanditi. "E tu non dovresti fumare qui dentro", lo redarguì cercando di afferrare la sigaretta tra le sue dita.

"E chi lo dice? Non siamo a scuola, ma in una sala privata dove si stanno tenendo dei festeggiamenti e non vedo nessuna suora tra gli invitati". Terence portò indietro la mano perché non la raggiungesse, con quel suo sorriso sbilenco che poteva essere affascinante e irritante al contempo.

Candy si morse il labbro inferiore, cogliendo con la coda dell'occhio il momento in cui una ragazza, compagna di corso di Albert e appena laureata a sua volta, gli si aggrappava al braccio con una certa confidenza: il cuore si bloccò, sfarfallò e salì in gola. Come aveva potuto illudersi che il ragazzino che aveva incontrato nei boschi di Lakewood e da cui il destino l'aveva riportata di nuovo poco meno di due anni prima le fosse indifferente?

Terence e Albert erano come il giorno e la notte: il primo celava dentro di sé una sofferenza che si manifestava con sguardi persi, silenzi e arroganza; il secondo era un mistero nella stessa famiglia che l'aveva adottata, svelato da poco. Eppure, da quando era giunta alla Saint Paul School, aveva tracciato una sorta di linea di divisione fra i due.
Ora si rendeva conto del perché.

Albert non era solo Albert, il ragazzino che sembrava un folletto con una puzzola, fuggito per i boschi di Lakewood lo stesso giorno in cui lo aveva fatto lei. Era anche William Ardlay, il futuro patriarca della famiglia che aspettava di prendere le redini delle aziende.

Mentre Terry...

Terry la stava prendendo sottobraccio quasi a rivendicarne il possesso, emulando il gesto della ragazza che però il suo amico biondo non sembrava voler assecondare.  Anzi, si era appena scostato per ridere e parlare con un altro compagno di corso che aveva alzato il calice come in un brindisi.

E si stava voltando per cogliere il momento esatto in cui Terence la stringeva più forte. E, d'improvviso, loro tre erano soli in quella grande sala: il lago placido incontrò l'oceano in tempesta. Il giorno e la notte. Il mistero calmo e il passato impetuoso. Candy si sentiva al centro di due correnti uguali e opposte che la respingevano e l'attraevano al contempo.

Ma no, non era neanche corretto. Terence l'aveva attratta, oh, sì! Nel suo tormento straziante, nella sua rabbia quando aveva scoperto che era il figlio illegittimo di Eleanor Baker, Candy aveva scorto il ragazzo bisognoso di amore e di tenerezza e lo aveva accolto nonostante i suoi difetti e il suo continuo chiamarla 'Tarzan Tuttelentiggini'.
Non voleva pensare di essersi avvicinata a lui solo perché Albert le sembrava

irraggiungibile

troppo grande e se ne sarebbe andato prima di lei.

"Congratulazioni, amico. Quindi ora te ne andrai in Africa?", stava dicendo Terence senza lasciarla andare, allungando verso di lui l'altra mano.

Albert sorrise e gliela strinse: "Sì, mi prenderò un anno sabbatico, o forse due. Poi... deciderò cosa fare della mia vita".

E quegli occhi, che avevano il raro potere di riportarle la calma fin da quando lo aveva visto la prima volta da bambina, incontrarono brevemente i suoi. Lei sapeva cosa Albert avrebbe fatto della sua vita, glielo aveva confessato fidandosi di lei, condividendo con la ragazzina del suo passato un segreto che era certa non avesse mai condiviso con nessuno.

Terence non l'ha fatto, invece. Il suo segreto l'ho scoperto per caso e lui era così arrabbiato...

Albert aveva un percorso obbligato e sarebbe stato a capo della sua famiglia adottiva: cosa sarebbe diventato? Un cugino? Uno zio? No, che sciocca, lo era già, ma non ufficialmente. E lei era una stupida illusa ad aver pensato che quelle sere che avevano condiviso in cima a un albero del giardino della scuola, dopo essere fuggiti di nascosto, potessero significare qualcosa.

Lui era l'adulto e lei la ragazza che aveva appena cominciato gli studi, seppur riluttante, per diventare una signora.

"Bene, mandaci qualche cartolina dalla savana, mentre noi saremo qui chini sui libri in attesa di guadagnarci l'uscita di prigione", scherzò Terence intrecciando la mano con la propria.

Candy se ne liberò, facendo un passo verso di lui: "Cerca di essere prudente, ti prego. So che ami molto gli animali, ma quello è un luogo selvaggio e io...".

E io impazzirei se ti succedesse qualcosa. Perché ora l'ho capito, Albert: è te che ho sempre desiderato rivedere, fin da quando ho incontrato quel folletto gentile a Lakewood. Una forza misteriosa ci ha fatti rivedere qui... o forse era ovvio, visto che siamo parte della stessa famiglia. Eppure, ora che sono cresciuta, sento che c'è un legame indissolubile fra noi. Qualcosa che non si spezzerà anche se tu sposassi quella ragazza che ti guarda con occhi innamorati e io restassi con Terence. Perché nessuno mi fa sentire come te...

Per anni, Albert era rimasto una sorta di creatura di fantasia che aveva idealizzato nella sua memoria di bambina. Dopo l'ennesimo dispetto di Eliza e Neil, si era ripromessa di essere forte per Anthony, Archie e Stair. Ma al contempo sperava di trovare un altro amico nel ragazzino biondo con i pantaloni strappati che sembrava ammaestrare la sua puzzola da compagnia.

Sì, doveva ammettere che non avendolo più incontrato era stato naturale affezionarsi ad Anthony, che tra l'altro gli somigliava così tanto! Ma quando lui era morto, cadendo da cavallo durante una caccia alla volpe, Archie e Stair, con la loro tenera vicinanza, non erano stati sufficienti a farla uscire dal proprio dolore.

"Stai tranquilla, piccola Candy, non mi farò sbranare da un leone prima di averti vista realizzare i tuoi sogni". Lo aveva detto con tenerezza, Albert, dedicandole un'occhiata quasi fraterna. O almeno era così che voleva vederla. Era così che si era imposta di vederlo. Un fratello maggiore che la proteggeva e che la consolava.

Quegli anni, quegli interminabili dieci anni non erano mai passati. Albert poteva essere cresciuto e cambiato, ma si erano riconosciuti subito.

Il destino... questo strano destino...

"Ciao, piccola ninfa dei boschi", l'aveva salutata due anni prima, incrociandola nel corridoio, molto meno sorpreso di lei. Ninfa? Davvero aveva pensato a lei come a una ninfa quando aveva solo sei anni?

"Tu sei... lo gnomo, il folletto incantatore di...".

Ed era scoppiato a ridere, abbassando ogni sua difesa e costringendola a paragonare quella risata fresca e spontanea con quella di Terence, che le aveva già stretto il cuore in una morsa. Si era sentita strana, Candy, che mentre si stava innamorando di Terry aveva sentito il bisogno di conoscere meglio Albert.

E l'occasione non era mancata.

Era bastato sbagliare albero, nel buio, e invece di dirigersi verso la stanza di Archie e Stair si era ritrovata fra le sue braccia. In un primo momento le erano parse simili a quelle di Terry, che solo il pomeriggio prima l'avevano stretta sulla finta Collina di Pony, sconvolgendola. Invece no. Le braccia di Albert erano solide e le avevano impedito di cadere.

"Wow, ora capisco perché il tuo ragazzo ti ha dato quel soprannome! Dove te ne vai a quest'ora?".

Nel presente, con quel ricordo che le riportava la carezza del sussurro della sua voce e il profumo pungente delle fronde di quell'albero, Candy ricambiò il suo sorriso sull'orlo delle lacrime: "Grazie, Albert". No, non doveva piangere, non poteva. Non mentre Terry sembrava emanare gelosia a un pollice dal suo fianco e Albert la fissava con un'intensità tale che avrebbe solo voluto gridargli di portarla con sé in Africa: lì avrebbe realizzato due sogni. Diventare infermiera come desiderava, in barba alla sua famiglia che voleva fare di lei una signora, e rimanere accanto ad Albert.

Ma aveva solo sedici anni e Terence aveva bisogno di lei. Candy gli voleva bene, aveva davvero pensato di amarlo. E tuttavia, le era bastato passare qualche sera a chiacchierare in cima a un albero con Albert, confessandogli i propri sogni e ascoltando i suoi per capire che...

"Non posso dire a nessuno chi sono, Candy. La successione spetta a me e dopo l'università dovrei prendere io le redini della famiglia. Ma non sono pronto a farlo: prima ho bisogno di assaporare ancora una volta la libertà che non avrò più". Il suo profilo, alla luce della luna, le era parso un dipinto soprannaturale. Pareva brillare di luce propria, quell'Albert ligio eppure ribelle, sereno nel suo tormento che teneva sepolto nel cuore. E per il quale non poteva essere di conforto come cercava di esserlo per Terry.

"Io non so se voglio arrivare fino alla fine. Mi dispiace, so che la tua famiglia vuole che diventi una Ardlay degna del mio nome", gli aveva confessato a sua volta, abbracciandosi le ginocchia. "Io... vorrei fare l'infermiera. È una cosa a cui penso ogni volta che alla Casa di Pony vedo un bambino malato e il medico è troppo lontano per visitarlo subito".

In quella sala, dove tutto le sembrava scomparso, Albert le sorrise proprio come quella sera e poté giurare che persino le parole fossero identiche: "Realizza i tuoi sogni a ogni costo". Lo aveva detto davvero, mormorandolo solo per lei? O le sue labbra si erano mosse senza emettere suoni e lei lo aveva solo intuito?
Candy non ebbe modo di appurarlo, perché il tempo riprese a scorrere velocemente, strappandola da quel momento sospeso tra passato e presente. Tra sogno e realtà. Tra desiderio e stabilità.

Terence l'afferrò costringendola a guardarlo: i suoi, di occhi, erano davvero una tempesta nella quale le parve di annegare. Attraenti e pericolosi. L'avevano irretita e lei aveva lasciato che accadesse: "Certo che realizzerà i suoi sogni, Albert. Lei è una ragazza forte che sa quello che vuole. E io l'aiuterò". Due dita sotto al mento le alzarono il viso e Candy non ebbe tempo di protestare: Terence chiuse la distanza baciandola davanti a tutti, dichiarando ai presenti e soprattutto ad Albert che lei era sua.

Dapprima spalancò le palpebre, incredula, quindi le strinse cercando di scostarlo da sé. Terence dovette accorgersi che stava lottando, tuttavia titubò un istante di troppo prima di lasciarla andare.

"Ma sei impazzito?! Davanti a tutti?".

"Di chi ti preoccupi, di preciso, Candy?!".

Non rispose, ma con la coda dell'occhio si accorse che lui si era già voltato e allontanato. Era tutto sbagliato. Non avrebbe mai dovuto scambiare per amore un'attrazione violenta e il desiderio di redimere un'anima ferita: Terry si meritava la sua amicizia, il suo sostegno... e sì, forse si meritava anche il suo amore. Ma Candy poteva dargli tutto tranne quello. Aveva tentato con tutte le sue forze di farlo divenire tale, lo aveva sul serio scambiato per quel tenero sentimento che aveva provato una volta per il dolce Anthony.

Ma Terry non era Anthony tanto quanto non lo era Albert. E Albert era stato la sua illusione da bambina, la sua costante quando si ritrovava nei boschi e cercava di scorgerlo di nuovo, delusa perché non accadeva. Era stato il primo a cui aveva pensato quando aveva perso Anthony e temeva che il cuore sarebbe rimasto spezzato in due per sempre. Era stato colui a cui aveva pensato quando era fuggita alla Casa di Pony prima che la famiglia Ardlay...

"Io sono il capofamiglia, ho preso alcune decisioni, in questi anni, ma non potevo fare molto come minorenne e prima di terminare gli studi".

Alcune decisioni.

"Candy, non è fantastico? Da oggi vivrai qui! Sei ufficialmente una Ardlay!", le aveva detto un sorridente Anthony dopo il suo rientro precipitoso dal viaggio in Messico che non era mai avvenuto. Perché Georges Villers... il braccio destro e tutore di Albert...

Candy spinse con decisione Terence e si volse per cercare Albert. Ma sembrava essere sparito e la folla le parve di colpo fitta come se si trovasse in una strada del centro e non in una sala addobbata per una festa di laurea. Non si sentiva più sola fra Terry e Albert. Perché non lo era mai stata.

Albert... Albert!

I piedi si mossero contro la sua volontà, non sapeva nemmeno se il suo nome lo stesse gridando o solo pensando. Non sentiva la voce di Terry che la richiamava e i suoi passi frettolosi. Non udiva la musica e le chiacchiere, né i bicchieri che tintinnavano da soli in inutili brindisi visto che il festeggiato si era appena dileguato.

Ma lei sapeva dove trovarlo, così come sapeva che Terry si nascondeva alla finta Collina di Pony per fumare e parlare con lei ogni pomeriggio. Non era ancora sera, ma l'albero più alto del giardino era già la sua meta. Candy si volse per l'ultima volta, cercando Terry con lo sguardo: era fermo vicino alla soglia della grande sala, i pugni stretti, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Una muta conversazione, breve come un battito di ciglia, passò tra loro.

In lui li vide tutti, i sentimenti che provava, poteva scorgerli che si alternavano nei lineamenti del bel viso giovane contratto in un cipiglio: delusione, rabbia, tristezza, gelosia. Non lo avrai mai, te ne rendi conto? Forse, ma non posso farci nulla; non posso darti quello che non ho. E, come se avesse ascoltato una risposta che non aveva dato a una domanda mai formulata, Terence abbassò lo sguardo, sconfitto.

E Candy corse. Corse e si arrampicò, trovandolo lì, bello ed elegante su quel ramo come se fosse il posto giusto da occupare nonostante l'abito: non credeva che lo avrebbe mai immaginato dietro a una scrivania.

"I miei sogni... li realizzerò da sola", ansimò per la corsa e l'arrampicata, guadagnandosi un'occhiata perplessa. "Sei stato tu, vero? Hai chiesto tu che mi adottassero? Ho sentito nominare questo prozio William... ma non avevo collegato le cose. Pensavo fosse un tuo parente più anziano. Invece sei tu, in linea diretta dopo tuo padre". Quella consapevolezza era arrivata in ritardo, ma glielo rendeva ancora più caro.

Albert annuì, ridacchiando: "Ebbene sì, Candy, non c'è nessun prozio vecchio ed eccentrico. Ci sono solo io, l'unico William rimasto. Ho ricevuto delle lettere, quella volta in cui i Lagan volevano mandarti in Messico e sapevo che ti trattavano...".

Senza lasciarlo terminare e rischiando che precipitassero entrambi, Candy si gettò fra le sue braccia, stringendolo forte, aspirando il suo profumo maschile che sapeva di natura e non di fumo. Sentendosi a casa quasi quanto da Miss Pony e Suor Lane, sulla sua collina o su papà albero. Sentendosi nel posto giusto, quello per cui era destinata da quando era nata.

Lo conosceva da poco e lo conosceva da tanto. Lo aveva visto poche volte ma sapeva di lui da sempre. Era come un incantesimo, un sortilegio iniziato in un bosco incantato, tanti anni prima.

"Grazie, grazie... sono stata davvero felice di poter vivere con Anthony, Archie, Stair... e sono felice di aver conosciuto te". Alzò il viso per guardarlo e Albert alzò una mano per asciugarle gli occhi.

"Credo di avertelo già detto una volta, ragazzina", mormorò lui con una voce roca che non gli aveva mai sentito. "Sei molto più carina quando sorridi che quando piangi".
Stava per baciarla? Stava davvero per farlo? Oh, lo voleva tanto! Ma evidentemente Albert non voleva, né poteva farlo quando solo pochi istanti prima le sue labbra avevano incontrato quelle di Terence. Poteva capirlo: se solo avesse capito prima anche se stessa!

"Dimmi che ci rivedremo!", lo supplicò con nudo bisogno. No, non poteva sbilanciarsi ora, eppure era divisa tra l'esigenza di farsi capire e quella di non precipitare. Quasi fosse appesa a un ramo sottile di quell'albero e non le fosse concesso di dondolare più in fretta di così.

Albert prese un respiro tremulo e il suo tocco divenne una carezza: "Fino ad oggi un filo invisibile ci ha fatti ricongiungere per la seconda volta. Non è detto che non ce ne sia una terza...".

"Se non ci sarà farò in modo che sia così! Io... non voglio rimanere qui". Non voglio rimanere con Terence, so che prima o poi le nostre strade si divideranno. Questo cercò di gridargli con il cuore che non riusciva a esprimersi a parole.

E, forse, riuscì nell'intento di essere chiara solo con quella frase, perché lui spalancò gli occhi per un istante: "Sei sicura di quello che dici?". Era speranza quella che vedeva in lui? Poteva davvero illudersi che uno come lui potesse...

"Mi basterebbe... rimanerti amica. Lo so che siamo due mondi diversi: io sono un'orfana che è stata adottata e tu...".

"Sssst", la interruppe posandole un dito gentile sulle labbra. "Non dire stupidaggini. Non ha importanza. Se tu sei sicura... io ti aspetterò. Non c'è bisogno che tu fugga. Ti scriverò".

Candy sorrise sul suo dito, cogliendo la titubanza di Albert e anche la sua speranza. Sì, anche lui, in fondo, rivedendola cresciuta doveva essersi... doveva considerarla... Quasi smise di respirare quando ritirò l'indice per portarlo sulla propria bocca, in un bacio indiretto che le trasmise un brivido. Il brivido di un desiderio ardente di baciarlo sul serio.

No, prima doveva togliersi dal viso e dal cuore il sapore e il calore di Terry, che nelle loro pur rare dimostrazioni di affetto erano... cosa? Fidanzati? Ragazzini che giocavano agli innamorati? Amici?

"Devo andare". Il tono di Albert era riluttante, quasi sofferente.

"Promettilo! Prometti che mi aspetterai!", quasi gli gridò mentre scendeva dall'albero e lei rimaneva sul ramo più alto, incapace di seguirlo. Perché sapeva che se lo avesse fatto, non l'avrebbe più lasciato andare via. O l'avrebbe davvero seguito.

Albert alzò verso di lei il viso bello e serio, incatenandola nelle uniche acque in cui sarebbe annegata volentieri: "Stanotte... vai sul nostro albero. Io non ci sarò, sarò già partito. Ma ti lascerò qualcosa. Leggilo. Pagina trecentosei".

"Cos...?".

"A presto, Candy". Con un movimento fluido e agile, tornò su, avvicinandosi tanto che poté udire il suo respiro sul viso. E la baciò sulla fronte, indugiando solo pochi istanti prima di sussurrare così piano che temette di averlo immaginato: "Anche io ti amo".

Ore 23.25

Candy arrivò sul ramo che avevano condiviso tante volte con le lacrime agli occhi: Albert era già partito e lei non aveva potuto salutarlo un'ultima volta. Peggio ancora, le aveva confessato con parole chiare ciò che lei non aveva avuto il coraggio di dire in maniera esplicita. E, almeno per il momento, a quello non c'era rimedio, a meno di non scriverlo in una lettera di risposta.

Non voleva, né poteva concentrarsi sul modo in cui Terry l'aveva ignorata durante il resto della giornata, dopo che era fuggita dalla festa. Avrebbe parlato con lui, glielo doveva. Lo stimava troppo e provava un profondo affetto per quel ragazzo, non meritava nulla di meno di una sua spiegazione con il cuore in mano.

Domani, però.

Ora Candy era appesa a quel ramo frugando tra le fronde e nella piccola rientranza del tronco, in cerca di un libro.

Pagina trecentosei.

E lo trovò, vecchio e con la copertina in pelle consunta. Se lo strinse al petto quasi fosse lo stesso Albert e tornò più silenziosamente possibile nella propria stanza per leggerlo. Si trattava del diario di viaggio di un esploratore in cerca di mete esotiche, come appurò leggendo il titolo e la quarta di copertina, rannicchiata sul proprio letto. Chissà dove lo aveva scovato Albert, di certo l'argomento lo rappresentava appieno: non era forse lui quello che se ne stava per andare in Africa?

E tuttavia, a pagina trecentosei si parlava del Giappone. E di come James Smith, l'autore del libro, si fosse ritrovato a visitare Tokyo alla fine del secolo precedente. Verso metà della pagina citava una leggenda cinese molto conosciuta in Giappone e Candy spalancò gli occhi solo leggendone il nome.

Il filo rosso del destino.

Con un nodo che le stringeva la gola, scorse frenetica le righe nelle quali si citava la storia originale e, infine, il senso profondo della leggenda. Ci sono persone legate da un filo rosso invisibile e non conta quanti giri possa fare o la distanza che s'interpone fra loro: saranno sempre destinate a incontrarsi, ovunque e comunque.

D'istinto, Candy si guardò il mignolo della mano sinistra, dove di certo non avrebbe notato nulla: era da lì che il filo invisibile la legava alla sua anima gemella? Era veramente Albert, che aveva incontrato per caso a Lakewood e scoperto quasi per caso fare parte della stessa famiglia che l'aveva adottata? Anzi, essere stato parte determinante nella richiesta della sua adozione, anche se ancora minorenne. Ma evidentemente abbastanza maturo da sapere che quelle lettere indirizzate al 'vecchio prozio William' erano importanti e lei doveva diventare una Ardlay.

Albert le aveva promesso che l'avrebbe aspettata. Era certo che si sarebbero rivisti, non le aveva detto addio. E aveva confessato di amarla. Se gli orientali potevano credere a una leggenda così romantica e ricca di magia e mistero, non vedeva perché non poteva crederci anche lei! D'altronde, Albert era il ragazzo serio e pragmatico che studiava economia, ma non aveva esitato un attimo a lasciarle quella piccola testimonianza di quanto credesse lui stesso al destino.

Lasciando che le lacrime le scorressero calde e pigre sulle guance, Candy abbracciò di nuovo il libro, certa che un giorno il filo del destino li avrebbe uniti di nuovo.
 
   
 
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