Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    15/08/2022    6 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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(This image is from a google search, no copyright infringement intended)

 
Aveva cercato di non pensarci, a quel bacio: e cosa poteva esserci di meglio di passare del tempo con Hanji Zoe, per essere letteralmente travolta dal fiume di parole della scienziata?

«Ecco. Adesso ti ho spiegato come si usano i bisturi. Mi raccomando: resta sempre molto calma e concentrata e procedi lentamente. Mi auguro che quando sarete riusciti a catturare una di quelle orride creature la legherete come un salame, per renderla inoffensiva…dopo averla stordita per bene. Magari puntate su un esemplare piccolino, un Classe 3 o 4 metri al massimo, tanto per iniziare. Ma questo lo saprai meglio di me, immagino.»

Zoe era stata un’allieva modello: aveva ascoltato con estrema attenzione e aveva quasi subito appreso le tecniche chirurgiche più semplici che Meti le aveva mostrato. Il suo entusiasmo genuino, la sua esuberanza e la sua parlantina le ricordarono, seppur con tutte le dovute differenze, la piccola Isabel. La cosa le aveva spento lo sguardo, cosa che l’arguta scienziata notò subito, guardandola con attenzione.

Il ricordo di quella ragazzina le faceva ancora male, la maledetta rassegnazione non si decideva a prendere il sopravvento.

Forse era ancora troppo presto.

Ma non c’era nulla da fare: anche se avevano condiviso pochi giorni, Meti si era affezionata moltissimo ad Isabel. Si erano occupate insieme di Princess, che era stata affidata alla ragazzina mentre la sua padrona doveva restare in consegna presso il suo alloggio. L’anziana micia, considerata una sorta di mascotte, e in più bravissima a cacciar topi e scarafaggi, era abituata a girellare per tutta la caserma, attirandosi coccole e carezze da chiunque, soprattutto dalle soldatesse che la adoravano, ed era solita mangiare nel giardino vicino all’ambulatorio: Isabel si era quindi occupata di spazzolarle il pelo e di darle da mangiare e da bere. E di farla giocare, con pupazzetti e cordicelle, oltre che a nascondino, cosa che divertiva tantissimo sia la ragazzina che la gatta stessa. Tutto questo ovviamente nei ritagli di tempo di Isabel, dato che l’addestramento e le regole della caserma dovevano essere messi al primo posto delle sue priorità. La micia pareva quasi aspettarla, dopo i suoi infiniti pisolini. La sera, poi, Meti si vedeva spuntare Isabel con Princess in braccio, placida e soddisfatta come una regina; anche se Isabel aveva nel frattempo già cenato in refettorio insieme a Levi e Farlan, da Meti ad attenderla c’era sempre della frutta fresca, una fetta di torta, del latte caldo col miele e dei biscotti. La ragazzina era pelle ed ossa, e Meti si era messa in mente di farle prendere peso, a tutti i costi.

Avevano parlato… di tante cose.

Isabel le aveva descritto gli anni dei Sotterranei, buttando qua e là certi particolari che avevano stretto il cuore di Meti in una morsa.

«Tutto bene?» Zoe posò affettuosamente la mano sul braccio del medico.

Forse non erano propriamente amiche per la pelle, ma qualcosa di molto simile. Avevano condiviso molti momenti, si conoscevano ormai da tempo. Del resto, era stata proprio Hanji a salvare Meti, la prima ed unica volta che, come medico soccorritore, avesse partecipato ad una missione esplorativa, non appena entrata nel Corpo di Ricerca.

Mentre era intenta a bloccare un’emorragia alla gamba di una soldatessa, era stata calciata via da un Gigante, uno di quelli piccoli: troppo piccolo per sbranarsela, ma sufficientemente grosso per ucciderla con estrema facilità. Il mostro stava per ghermirla mentre era stesa esanime, quando sopraggiunse Zoe, che lo decapitò di netto con una sciabolata. La conseguenza del terribile calcio, che l’aveva fatta sbalzare di alcuni metri per poi rovinare a terra come un vaso di vetro, fu una brutta frattura all’anca, che la immobilizzò a letto per settimane e che non si rinsaldò mai perfettamente, lasciandole l’ossatura del bacino vulnerabile e una leggerissima forma di zoppia, che si accentuava quando era stanca… e che le aveva impedito, per il futuro, di partecipare alle ricognizioni. La fragilità del suo bacino le proibì, per tutta la vita, di cavalcare ancora e di utilizzare il movimento tridimensionale. Da allora, rimaneva ad attendere i feriti al rientro delle missioni, all’ospedale militare.

Non poteva fare altrimenti.

Se non era stata congedata dall’esercito lo doveva al suo titolo di medico, che la rendeva comunque molto utile, oltre alla intercessione del capo medico Ron Hervert. Anche per questo, da allora, Meti non era più stata convocata da Shadis nelle riunioni, dato che, per il Comandante, Meti non era più un vero militare, ma solo un medico.

«Sì… grazie. Tutto bene.»

Hanji la scrutava, ormai la conosceva troppo bene. Non che non si vedesse chiaramente che fosse turbata, ma aveva subito capito che ci fosse qualcosa sotto.

«Stavi pensando a quella ragazzina pel di carota… com’è che si chiamava? Aveva un bel nome…» borbottò la scienziata, massaggiandosi il mento.

«Isabel Magnolia.» precisò Meti, compunta.

«Ecco, sì, proprio lei. Le volevi bene. Ma io credo che ci sia dell’altro, oltre al dispiacere per quella poverina, vero?»

Meti aggrottò la fronte. «No, non c’è altro, Hanji. Davvero»

«Davvero un corno. Scommetto che c’entra Sopracciglia, eh?»

Meti arrossì violentemente, cosa che le impedì di negare l’innegabile.

Accidenti all’intuito di Hanji Zoe: come cavolo faceva a centrare sempre il punto? Rimase in un imbarazzato silenzio, cosa che fece scatenare Zoe.

«Ecco, lo sapevo, lo sapevo!» batté le mani, tutta giuliva. «D’altronde, è da un bel po’ che ti ronza intorno come fa un moscone sopra un bel vassoio di carne trita!»

Uh, che bella immagine, davvero poetica, un altro po’ e al posto della carne ci metteva del letame di mucca, magari!

«Non dirmi che non lo avevi capito! Che ti ha fatto, eh?»

«…Ma niente, non mi ha fatto proprio nulla… non ti immaginare chissà quali romanzi, suvvia! Dì la verità, che la tua vera ambizione è quella di fare la pronuba, nella vita, combinando matrimoni! E così ti immagini cose che non esistono, per assecondare la tua nascosta vena romantica, altro che missioni militari e dissezioni di Giganti!»

Ma il tentativo di Meti di buttarla sullo scherzo, per distogliere l’attenzione di Hanji Zoe, fallì miseramente.

«Pronu… che? A volte dici delle cose davvero strambe. Ma cosa vi insegnano alla Capitale?» Hanji fece spallucce, mentre Meti alzò gli occhi al cielo. «Guarda che mica me la bevo…Tzè, figurati! Quello ti ha baciata, o chissà cos’altro, dì la verità!»

Meti sobbalzò leggermente: oddio, ma li aveva visti, forse?

«Lo sapevo, lo sapevo!» ripeté, l’altra, esultante, battendo le mani.

«Ti prego non urlare, o qualcuno ti potrebbe sentire…» Meti avrebbe voluto sotterrarsi.

«E dimmi, dimmi: lui com’è?» continuò Zoe, imperterrita, con una luce birichina nello sguardo.

Meti ripose con cura i bisturi nel fodero doppiato, che poi arrotolò e allacciò, per porgerlo all’amica, che se lo posò a fianco sulla panca.

«Ecco… quasi non mi sono resa conto… mi ha dato un bacio leggero, a fior di labbra… poi ha girato i tacchi e se n’è andato…»

Zoe balzò in piedi, si rinforcò gli occhiali sul naso, con un sorriso a trentadue denti.

«Ti sta lavorando ai fianchi per benino! Tipico di Sopracciglia

«Oh smettila di chiamarlo così… va bene, le ha un po’ folte, ma non gli stanno male…»

«Un po’ folte! Non gli stanno male!» chiocciò, facendole il verso «Ahahahahaha, sei cotta come una pera!» Hanji si teneva la pancia dal gran ridere.

«Ma cosa dici, è che in generale non amo gli sfottò sulle caratteristiche fisiche di una persona, non è carino, dài. E finiscila di ridere!»

Hanji si ricompose, per poi guardare Meti con tenerezza.

Come medico sapeva essere brava e capace, pur non avendo ancora tutta l’esperienza trentennale di Hervert, ma riusciva a intervenire tempestivamente e con molto sangue freddo. Una volta aveva ricacciato a forza gli intestini dentro il corpo di un soldato, con il braccio affondato fino al gomito: il ragazzo, dopo una lunga convalescenza, era stato congedato, lesionato ma vivo, ed era ritornato a casa sua. Ma l’essere rimasta vedova in ancora giovane età l’aveva resa, nel corso degli anni, un po’ chiusa e introversa, specialmente con l’altro sesso. Non si accorgeva neppure di qualche fugace sguardo che qualcuno le rivolgesse, ammirato. Meti era molto graziosa e femminile: senza essere di una bellezza troppo appariscente, una volta notata la si guardava con piacere. Neppure l’andatura appena claudicante la penalizzava.

Certo: non era più una ragazzina, ed alla sua età le donne erano bell’e sposate e con una nidiata di marmocchi.

Non le aveva mai chiesto del defunto marito: persino l’esuberante Hanji Zoe sapeva autocensurarsi ed evitare domande troppo indelicate. La perdita di Basil Narses – una delle pochissime cose di sua conoscenza del primo amore dell’amica era, appunto, il suo nome – era una ferita ancora bruciante per Meti, glielo si poteva leggere in fondo agli occhi.

«Non potrai tenerlo a distanza a lungo. Prima o poi dovrai prendere una decisione e dirgli di o di no. Semplice. Come ho detto prima, io lo avevo capito eccome che interessi a Smith: no, no, tranquilla» Zoe sorrise, scuotendo il capo, nel vedere l’espressione imbarazzata e allarmata di Meti «nessun altro ci ha fatto caso, sono tutti concentrati su loro stessi qua, e sulla fifa del domani. Mica osservano gli altri, a meno che la cosa non sia conclamata e sbattuta in faccia, eh. Niente pettegolezzi da caserma… almeno per ora. Smith è molto discreto, è un drittone, quello là. Ma ho notato come ti guarda, anche se si tratta di frazioni di secondo. I suoi occhi diventano, se possibile, ancora più accesi. Diventa persino bello, toh»

Meti non disse nulla. Cosa avrebbe potuto dirle, del resto? Una volta perduto il suo Basil, il “capitolo uomini”, per lei, si era chiuso per sempre, vivendo in assoluta castità. Lo aveva amato con tutto il cuore e, con la sua morte, una parte di lei se n’era andata per sempre. Era capitato che suscitasse simpatia o interesse in qualcuno, nel corso degli anni, ma lei aveva fatto orecchi da mercante, per dedicarsi anima e corpo alla medicina e alla vita militare. Si era sforzata di diventare un soldato quanto meno dignitoso, pur non essendo particolarmente atletica o forte e pur non essendo più una ragazzina. Nella Scuola di Addestramento, ove aveva appreso, già adulta, prematuramente vedova e con il titolo di medico, le tecniche di lotta, le strategie militari e, soprattutto, il movimento tridimensionale, aveva conosciuto Hanji Zoe e Mike Zacharias, più giovani di lei, che non di rado l’avevano incoraggiata e supportata, essendo ben più portati di lei per quel genere di vita. Altri allievi l’avevano invece soprannominata, con malcelato disprezzo, “sacco di patate”, data la sua scarsa agilità.

Non era di certo rientrata nei primi dieci allievi, alla fine della scuola, e la Legione Esplorativa aveva costituito, per lei, l’unica possibilità di scelta, dato che, visti i suoi modesti risultati come soldato, non avrebbe potuto aspirare all’élite dell’Esercito. Poco male: lei era felice di poter aiutare, nei limiti delle sue possibilità, i soldati dalla vita ben più difficile e travagliata del Corpo di Ricerca. Il duro lavoro non la spaventava di certo, e il sentirsi utile rappresentava per lei il riscatto da una vita ormai passata di rampolla viziata e privilegiata.

«Adesso devo andare.» mormorò, congedandosi da Zoe.

«Va bene, però pensa a quello che ti ho detto» chiosò l’altra, sorridendole con dolcezza.

****

Bussò piano alla porta di Smith.

Voleva chiudere il discorso, una volta per tutte. Avrebbe risposto alle domande, se possibile e per ciò che gli potesse essere utile. Se poi Smith avesse tentato nuovamente un approccio romantico o roba simile, lo avrebbe rimesso al suo posto, ricordandogli che le relazioni sentimentali tra militari erano proibite da Codice Militare.

Fine della storia.

Se invece Smith se ne fosse rimasto sulle sue, avrebbe archiviato il bacio come uno strano sogno fatto ad occhi aperti, e nulla di concreto e reale. Il bacio se lo era solo immaginato, ecco.

«Avanti.»

Decisa e compunta, entrò nello studio del Comandante: Keith Shadis era via per una riunione nella Capitale, e aveva dato il permesso a Smith di utilizzare il suo studio, in caso di necessità. Lo sconcerto della donna fu palese, nel vedere che Erwin Smith non si trovasse da solo.

Un Levi dall’espressione vagamente annoiata se ne stava elegantemente seduto su un sofà.

Sempre perfettamente lindo e in ordine, con un candido foulard annodato al collo, il nuovo acquisto della Legione Esplorativa non mosse un solo muscolo, all’ingresso e ai saluti della dottoressa Narses, che si era prontamente ripresa dallo stupore.

«Prego, accomodati pure.»

In silenzio, Meti andò a sedersi sul sofà, al fianco di Levi, il quale ostentò indifferenza, senza muoversi di un millimetro.

Non sapeva se stupirsi o arrabbiarsi. Avrebbe dovuto parlare di argomenti piuttosto delicati e anche personali, e avrebbe preferito che non ci fosse nessun altro, a parte Smith. I pregiudizi che aveva nutrito verso Levi erano ormai roba vecchia, ma non riusciva a capire il motivo della sua presenza.

«Grazie per essere venuta. Ho chiesto a Levi di partecipare, perché credo nelle sue capacità, e credo che il suo apporto possa essere prezioso.»

Perché intendi farne uso, vorrai dire.

«Bene, ti ascoltiamo. Raccontaci quello che sai.»

Smith versò del tè sia a Meti che a Levi, per cercare di rendere l’atmosfera più rilassata, soprattutto vedendo quanto fosse tesa la donna.

Questa sospirò e dopo una lunga pausa cominciò.

«Sono nata a Mitras. Mio padre è il conte Goram Athiassy, mia madre era Nadine Cedris, ed è morta quando ero bambina. Sono figlia unica. Ho avuto un’infanzia serena, ma quando compii diciotto anni mio padre si mise in testa di farmi sposare il pupillo di un Aristo, un ragazzo detestabile.»

«Un Aristo?» chiese Smith, incuriosito.

«Sì. Vedete, i nobili non sono tutti uguali e di pari grado, niente affatto. Ce ne sono in posizione quasi subordinata, come mio padre, e in posizione più potente ed influente, come il duca Nicholas Lovof, per esempio» nel sentire il nome Levi sollevò un sopracciglio senza che nessun altro muscolo del viso o del corpo reagisse. «Gli Aristi sono un piccolo gruppo di nobili. Sono praticamente intoccabili: neppure se venissero colti in flagrante nel commettere un delitto potrebbero essere incriminati e puniti: i giudici questo lo sanno bene, e per quanto si possano indirizzare loro denunce e dispacci, essi finirebbero a bruciare nelle fiamme del caminetto più vicino… come sicuramente sarà stato per il tuo, di dispaccio, mi duole dirtelo.»

Al che si rivolse direttamente a Smith, che non mosse nessun muscolo del bel volto.

«Ma allora perché Lovof mi avrebbe ingaggiato per uccidere Smith e per sottrargli il dispaccio? Quello che dici non ha senso.» fece notare Levi, in tono incolore. In realtà, era parecchio curioso di sentire le storielle del medico, che ora scopriva essere pure una fottuta nobildonna.

«Non posso entrare nella testa di Lovof.» Meti si volse a Levi, il quale si ostinò a guardare davanti a sé. La donna batté le palpebre, un po’ perplessa, per poi continuare. «Ma io credo che il duca volesse semplicemente tagliare le gambe al Corpo di Ricerca, avendo individuato nel Caposquadra Smith qualcuno di potenzialmente molto fastidioso per i poteri forti di Mitras. Il dispaccio è un dettaglio, però non vi nascondo che invidie e rivalità ci sono anche tra gli Aristi: ragion per cui, magari, il duca voleva evitare un fastidio in più, nella malaugurata ipotesi in cui le accuse potessero venir strumentalizzate da altri nobili potenti contro di lui. A meno che…»

«A meno che?» la incalzò Levi, mentre Smith taceva.

«A meno che nel dispaccio di Erwin non vi fosse indicato qualcosa di più di una semplice denuncia dei maneggi e delle corruzioni di Nicholas Lovof… ma a questo mio dubbio solo tu, puoi risponderci, Caposquadra.» Meti inchiodò lo sguardo in quello di Smith, in attesa di risposta.

Smith si alzò per avvicinarsi ai suoi ospiti. Niente da dire sull’intuito di Meti: la dottoressa non era di certo una sciocca.

«Il Re… non è il Re.» dichiarò, in tono piano.

Levi strinse gli occhi a fessura: tutti quei discorsi astrusi cominciavano a irritarlo.

Ancora cazzate su quei maiali della capitale, e se ne sarebbe andato, fanculo!

Meti sobbalzò. Come accidenti lo aveva scoperto? Questo segreto il padre l’aveva scongiurata di non rivelarlo a nessuno, quando glielo aveva rivelato durante una delle loro ultime discussioni, diversi anni addietro.

«Come… come lo hai scoperto?» balbettò.

«Ho fatto eseguire delle ricerche investigative, con l’aiuto di Dot Pixis e dei suoi agenti segreti. Siamo venuti a scoprire che Lovof, insieme a pochi altri, mantiene sul trono un impostore. Il sovrano non appartiene a nessuna dinastia reale. Sono riusciti a mettere sul trono un semplice gentiluomo, facendolo passare per un discendente di Re Fritz. Grazie alla scarsa circolazione delle notizie provenienti dalla Capitale, il popolo ha ricevuto solo comunicazioni sporadiche sulla corte reale, e il sovrano non viene quasi mai mostrato, al massimo sempre da lontano e di sfuggita… così si accresce il suo mito, ed egli diventa una sorta di idolo lontano ed intoccabile.»

«E fasullo». finì col dire Levi, accigliato. «Fatemi capire: le persone vivono segregate come topi in gabbia, soprattutto nei Sotterranei, dove si crepa dalla fame e dalle malattie… si fanno leggi idiote da rispettare, come anche qui nell’esercito, dato che ci mandano all’esterno per rischiare la pelle, e tutto questo per un cazzo di re che non è neppure il re?» quasi urlò, balzando in piedi e fronteggiando Smith.

«Esatto.» Erwin non batté ciglio. «La cosa ti turba?»

Levi gli scoccò un’occhiataccia.

«A me non frega un cazzo di re, nobili, potenti: tutti ricchi maiali della capitale, buoni solo a calpestare la povera gente come si fa con gli scarafaggi! Ma quanti poveri stronzi si fanno ammazzare, per il Re e per la sua fottuta cricca?» al che si ributtò a sedere, sbuffando.

Smith si volse a fissare Meti «Te lo ha rivelato tuo padre, vero? Del resto, lui è uno dei burattinai di Corte che tira le fila del sovrano-marionetta.»

Meti sentì un colpo al cuore, a quelle dure parole.

«Sì… lo fece durante una delle nostre ultime discussioni, anni fa… ne rimasi talmente sconvolta che lasciai casa mia e mi iscrissi alla Scuola di Medicina. Da allora, non ho più rivisto mio padre…»

«Tsk, la contessina ribelle che abbandona il babbo ricco… ma per favore! Come cazzo hai fatto poi a mantenerti, eh? Una bamboccia viziata che lavora… figurati.» sibilò Levi, in tono sardonico. Tutta quella manfrina stava cominciando a nausearlo, pur non avendocela sul serio con lei.

Meti strinse le labbra, piccata. Cercava di essere indulgente e comprensiva con Levi, visti i suoi trascorsi. Ma lui non l’aiutava, accidenti! Non aveva ancora abbandonato del tutto l’atteggiamento indisponente e poco garbato dei primi tempi. Si impose di rispondergli con tutta la calma possibile. Respirò a fondo.

«Semplice. Impiegai la dote che mi aveva lasciato in eredità mia madre: invece di spenderla per un matrimonio prestigioso, la investii negli studi. Ho lavorato sodo, Levi. Studiavo notte e giorno. E non sono più tornata a casa. Mi sono costruita una vita solo mia, a prescindere dal nome e dal titolo.» cercò, invano, un contatto visivo con il giovane uomo. «Non ho nulla di cui vergognarmi.» L’interpellato non mosse un solo muscolo del viso. «Nessuno è colpevole delle proprie origini. Va giudicato solo come si decide di impiegare la propria vita.» concluse la donna, in tono piano.

Smith assistette, in silenzio e a braccia conserte, a tale schermaglia tra i suoi ospiti.

Non appena il clima si fu un attimo placato, riprese a parlare.

«Ho bisogno del vostro aiuto. Di tutti e due.»
  
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