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Autore: Zyadad_Kalonharysh    15/08/2022    0 recensioni
[KilluGon]
Gon Freecss è quasi morto. Ed è ormai prossimo ai quindici. La sua avventura con il suo inseparabile gruppo di amici è finita ormai da un anno e mezzo. Non ha contatti con Killua dalla separazione mentre Kurapika e Leorio non ci sono quasi mai. Ha assimilato la solitudine e si è concentrato su altro, ma sa di non stare bene. Il ragazzino esuberante che parlava troppo e agiva in modo impulsivo con il suo volto puro e sorridente sembra ormai un lontano ricordo. Oggi fa più fatica a parlare, balbetta, tende ad essere riflessivo, si chiude a riccio e non esce mai di casa. Ogni notte ha un incubo, si sveglia piangendo e passa la giornata a studiare. Questo è ormai un ciclo continuo, le sue giornate sono tutte così. La vita monotona di Gon continua finché delle vecchie insolite conoscenze non interverranno per invertire questo trend.
In questa dramedy avremo a che fare con le sfide personali di Gon prossimo alla vita adulta, sfide quotidiane molto meno avvincenti di quelle di un tempo. Molte di queste riguarderanno il suo rapporto con Killua post-separazione.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gon Freecss, Jin Freecss, Killua Zaoldyeck, Kurapika, Leorio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tuttx!
Volevo innanzitutto ringraziarvi se avete deciso di proseguire la storia dopo il primo capitolo. Ho deciso di pubblicare i primi due insieme.
Vi chiarisco qualche dubbio: come introdotto nella vecchia FF, il mondo Hunter e il mondo nostro coesistono. Cioè, il nostro mondo di cinque continenti è un continente sullo stesso pianeta di quello di HxH. Per questo si parla di York Shin City che di New York come due città diverse lontane 200mila km l'una dall'altra. E così via.
Ho scritto tutto al presente e in prima persona per l'ovvia ispirazione dai romanzi di Sophie Kinsella. Per concludere, volevo darvi qualcosa da ascoltare durante il capitolo o semplicemente condividere con voi le canzoni e i temi musicali che hanno ispirato la scrittura di questa storia. Grazie a Sex & The City (che non vi negherò, da tre anni influenza tutte le storie che scrivo) ho scoperto il musicista Gunnar Madsen. Trovo che le sue composizioni siano mozzafiato e che si sposino perfettamente come temi per i personaggi.
 
Se volete qualcosa da ascoltare durante la lettura:
 

Capitolo 2

L’arrivo dei nuovi amici di Gon sconvolge casa Freecss. Gon si apre su suo padre.

Le buone maniere

Quando zia Mito rientra in casa, si sorprende nel vedermi a un tavolo del locale in compagnia di una ragazza palesemente non del posto e dai modi decisamente diversi dai nostri.
«Zia Mito! Lei è Graziina.» le annuncio, ancora preso dall’emozione per questa sorpresa.
«Buonasera a lei. Le chiedo scusa per il disturbo in tarda serata.» Graziina accenna un inchino e fa un sorriso sobrio ed elegante. «Stavo dicendo a Gon che avete una casa molto carina.»
«Tu devi essere la ragazza del gattino di ceramica che Gon cerca disperatamente di appendere alla porta dell’ingresso! È un pensiero molto carino. Comunque, io sono Mito, la zia di Gon.» Sembra essere in soggezione per il modo di fare di Graziina, al quale decisamente non è abituata.
«E cosa ci fa una ragazza bella e perbene come te qui nella sperduta campagna?» La nonna è rientrata in casa, attratta dalle voci, contenta di vedere qualche faccia nuova.
«Ci siamo conosciuti due anni fa, per una missione in cui Gon ci ha aiutato molto.» spiega Graziina, per poi voltarsi verso di me e sorridermi. Un po’ arrossisco.
«E allora benvenuta! Ti prego di darmi del tu e fare come se fossi a casa tua.» zia Mito sorride come poche volte ho visto negli ultimi mesi. «Gon, puoi venire un attimo dietro al bancone?»
Annuisco e la seguo, dandole una mano a preparare il caffè. «Se me lo avessi detto prima avrei preparato qualcosa di dolce. Hai un’ospite ed è una ragazza bellissima ed estremamente perbene.» le sembra esplodere la testa tra la felicità e l’emozione.
«Non preoccupatevi,» Graziina, che l’ha sentita, si avvicina sorridente. «Ho portato una Sachertorte accompagnata da meringhe al limone e dei piccoli dolcetti di pasta génoise al rum.». Zia Mito sta per avere un infarto mentre Graziina con nonchalance tira fuori dai cartoni dei dolci che sembrano provenire direttamente dal paradiso. «Li ho fatti io. Quindi sono un tantino nervosa!» le scappa una risatina isterica.
 
Mito mi guarda sbalordita mentre mangio i dolci di Graziina senza divorarli come un animale. Graziina, invece, fissa entrambi in attesa di un riscontro.
«Non ho mai mangiato nulla di simile!» sussurra la zia Mito, facendo sospirare di sollievo la ragazza.
«A questo punto, suggerirei un calice di un Château d’Yquem.» suggerisce, aprendo la bottiglia che aveva messo prima sul tavolo. «Si sposa bene con il dessert, ma va bene anche per l’happy hour!»
Dopo un piccolo brindisi, la curiosità di mia zia schizza alle stelle. «Graziina, da dove vieni?»
«Ha presente quel continente di cui si parla tanto da un paio d’anni?» chiede. «Io vengo da New York.»
«È una città stupenda, ma per arrivarci ci vuole un giorno di aereo.» intervengo, ricordando il mio viaggio in quel posto. «A proposito, sei venuta da sola?»
«Sì, io ero libera e quindi sono partita il giorno dopo aver ricevuto la tua lettera. Espedito e gli altri verranno tra qualche giorno. Abbiamo deciso tutti di venire in anticipo per aiutarti ad organizzare la festa!» mi fa lei, tutta concitata, scomponendosi ma solo per pochi istanti.
«Io in verità pensavo a una cosa tranquilla.» le rispondo, un po’ imbarazzato all’idea di dare una festa.   
«Andiamo! È il tuo primo compleanno che puoi festeggiare qui a casa. Non faremo nulla di esagerato, semplicemente un po’ di musica e un bel buffet.» mi rassicura, mentre fruga nella sua borsa.
«Graziina ha ragione.» mi canzona mia zia. «Basta vegetare, hai bisogno di svago. Mi spiace solo che non ci siano Killua e gli altri.»
Ebbene sì. Zia Mito sceglie sempre i momenti meno opportuni per parlare di Killua. Graziina nel sentire quel nome fa una faccia pensierosa, non sa esattamente quali siano i rapporti. Beh, è lo stesso per me.
«Io ho mandato l’invito, poi si vedrà.» Dico. Ora la vedo molto più serena. So che le piacerebbe tantissimo vederli.
«Meno male, vorrei tanto rivedere quel ragazzo.» a quella battuta, ritorna il disagio. Poi si volta verso Graziina. «Senza nulla togliere a te, sei fantastica.» Ancora peggio. «Ad ogni modo, ti ringrazio infinitamente di questo pensiero, anche se il luogo e la compagnia non sono all’altezza.» Ma ha deciso di sparare tutte le frasi peggiori?
«Non lo dica nemmeno per scherzo. Un contesto per essere all’altezza di una degustazione deve essere sereno e familiare. E questo lo è.» Graziina la tranquillizza, mettendo una mano su quella di mia zia. «Questo, per me, è il miglior galateo che ci sia. L’ultima volta che sono stata così serena con un calice di vino in mano, era quando ho fatto il mio primo tour dei vini a Saint-Èmilion.»
Io non so nemmeno cosa sia un tour dei vini. Avrete capito che Graziina è una ragazza che tiene molto alle buone maniere. La prima volta che le ho raccontato di mio padre, a differenza di molti altri, lei si è indignata. Ogni volta che mi sentivo stanco, debole e intorno a me c’era un contesto che ignorava questi sentimenti, lei c’era e mi confortava. Mi ha raccontato molto spesso del galateo. Lei è cresciuta con regole e regole su come si sta a tavola, come ci si presenta alle persone, quale vino scegliere in base al cibo e al tema della serata e come essere ospitale con le persone che invita a cena. Queste regole le ha assimilate in maniera così forte che non riuscirebbe a presentarsi a mani vuote nemmeno a casa di Hisoka. Ma dice anche che queste regole se non accompagnate al calore umano e alla volontà di stare insieme, sono inutili.
 
Finita quella strana pausa dolce con spumante, aiuto zia Mito a sistemare il materasso su cui devo dormire. Il mio letto, ovviamente, l’ho lasciato a Graziina.
«Sono sorpresa.» mi dice mentre metto il cuscino nella federa. «Hai portato a casa una persona così...»
«Sì, l’hai già detto.» sorrido.
«È così fine ed educata.» mormora. «Ma non mi stupisce, tu attiri tante belle persone.»
«Possiamo dire così.»
«Ma è la tua ragazza?» chiede a bruciapelo. «Se è così, allora capisco perché ci hai rimpiazzato Killua.»
«Ma che discorsi ti metti a fare?» mi viene quasi da urlare. «Comunque, no. Non è la mia ragazza e non ci ho rimpiazzato nessuno. Killua non si fa sentire da un anno, lei si è fatta sentire ed ha viaggiato un giorno intero con poco preavviso solo perché ha sentito che avessi bisogno di lei.»
Lei mormora delle scuse e la conversazione muore lì. Proprio non riesco a capire perché debba punzecchiarmi così tanto su quell’argomento, come se la cosa non fosse già pesante di per sé.
 
Finito di sistemare i letti, vado in camera per parlare con Graziina. Appena mi fa entrare, mi dà un abbraccio e mi ricorda più volte quanto io le sia mancato e che è felice di vedermi. Vedo che ha messo sulla scrivania un bollitore e un barattolo di latta di tè. Mi chiede se ne voglio una tazza, io accetto e subito inizia a parlare a macchinetta sull’assortimento di tè che ha portato, su quale vada preso quando e sulle varie tipologie. Io rido un po’ perché mi mancava passare del tempo insieme a una persona così movimentata.  
«Ti ricordo che mi devi delle spiegazioni che, cito testualmente, “è brutto parlarne al telefono”.» Mi rimprovera, sfregandomi la mano sulla testa.
«Non ho più i miei poteri, ho incontrato mio padre...» mormoro frasi sconnesse, faticando come sempre a parlare, venendo interrotto da un urletto a frequenza altissima.
«Sul serio? E come è stato?» saltella concitata. Mi ero dimenticato di darle questa notizia bomba nelle mie lettere.
«Abbiamo parlato per mezza giornata e dopo non si è fatto più rivedere. Diciamo che è stato un bidone.» dico mentre prendo un sorso.
«Non mi esprimo, sono una donna di classe.» il suo tono di voce si rinsecchisce, anche se dallo sguardo immagino che se lo aspettasse.
«Esprimiti invece, non ci sto capendo nulla.» In realtà sì, ma non ho proprio chiaro il concetto. Solo a ragionarci, sento la testa esplodermi e mi metto le mani nei capelli. Le cose cambiano, questo no.
«Gon, io non so se sarebbe appropriato se io ti dicessi in questo momento come la penso.» nasconde metà del viso prendendo un altro sorso di tè molto lungo.
«I giorni in cui mi si dovevano coprire le orecchie e gli occhi sono finiti.» le sorrido. «Dillo.»
«Il problema è che tu lo hai cercato rischiando la vita un numero vergognoso di volte. Ma il suo problema non era quello di non poter amare e crescere un figlio. Lui non vuole amare te. Cioè… dai, dopo tutto ciò che hai fatto è evidente che tu sappia badare a te stesso e cavartela da solo. Non sei un bambino da crescere e curare, quali responsabilità avrebbe dovuto prendersi? Nessuna, una cosa doveva fare ed era socializzare con te, parlare con te. Se non come padre, come amico almeno. Eppure, non ti ha dato nemmeno queste briciole. Lui ama delle persone. Ama degli amici, ama la sua ipotetica fidanzata, che molto probabilmente è più di una persona, ma non ama te. E mi indigno solo a pensarci, ma penso proprio che tu non gli vada a genio.» Le è venuto in mente troppo in fretta. Dopo l’ultima parola, Graziina si ammutolisce e pensa di aver fatto un danno enorme.
«Non è cambiato niente, sto bene.» la rassicuro mettendole la mano sulla spalla. «Ci ho pensato anche io in tutti questi mesi.»
«Non è una cosa bella. E non è colpa tua.»
«Lo so. O meglio, ora lo so.» scuoto la testa e mi stampo in faccia un sorriso amaro. «Una cosa che non riuscirò mai a spiegarmi è perché.» non riesco a impedire che scenda qualche lacrima.
«L’amore non è democratico, non fartene una croce.»
«Il fatto è che… uhm… fino al momento dell’incontro io non avevo mai visto Ging. Potevo raccontarmi qualunque stronzata. Pensavo mi avesse abbandonato per dei buoni motivi, sai. Ma ero convinto che l’unico problema fosse quello di avere un figlio e doversene prendere la responsabilità. Quando mi sono presentato da lui già bello che cresciuto e indipendente, non andavo bene comunque. Non ci sono responsabilità, non ci sono vincoli. Eppure, lui non ha voluto saperne niente.» le spiego, interrompendomi per i singhiozzi. «Non ha voluto nemmeno chiedermi se volessi viaggiare con lui. È come se avessi fermato uno sconosciuto per strada implorandolo di fare conversazione.»
«È così sconveniente e tremendamente malsano.» lo sguardo di Graziina è indecifrabile. Non ho mai visto tanto orrore negli occhi di una persona.
«Ecco dove ho riposto tutti i sogni di una vita.» tiro su col naso e ripensarci ancora una volta mi rende le cose sempre più chiare. «A cercare l’approvazione di una persona che mi detesta senza motivo. La cosa più buffa è che ho pensato per tantissimo tempo che fosse colpa mia, che io non fossi il figlio giusto. E una parte di me lo pensa ancora.»
«Non puoi essere un pessimo figlio se il genitore in questione non esiste.»
Scoppiamo entrambi a ridere come due bambini. Questa è stupenda, da riutilizzare.
«Ha senso, ora che non ho più i miei poteri, la possibilità che io lo riveda è nulla.» un brivido mi attraversa la schiena. «Possiamo chiuderla dicendo che non esiste. Che è irrilevante. Ging è irrilevante. E io voglio, un giorno, poterlo affermare sul serio.»
«Ci riuscirai. Te lo prometto.» Graziina sembra sicura di ciò che dice. «E con i tuoi amici come va?»
«È un anno che non sento nessuno.» e mi si rompe la voce, fantastico. «Inizialmente mandavo delle e-mail, ma non ricevevo risposta. Ho provato a telefonare, ma anche quello non funzionava. Ho inviato delle lettere, ma non mi è mai arrivata nessuna risposta e alcune delle mie lettere sono pure state mandate indietro.»
«Tutti e tre?» questo l’ha indignata più del discorso di prima.
«Sì. Ti posso confessare una cosa imbarazzante?» Già il pensiero mi sta facendo sciogliere dalla vergogna.
«Non c’è nulla che tu non mi possa dire.»
«Ogni tanto, quando sto particolarmente male, di notte chiamo Leorio al telefono. È l’unico momento della giornata in cui risponde. Se risponde, sento la sua voce e poi riattacco.» aver confessato questa cosa mi fa sentire nudo.
«Non è imbarazzante, è triste. Non è che tu sia triste, è semplicemente il tuo modo di chiedere aiuto.» mi spiega. Anche se, con questo giro di parole, non è che io abbia capito molto.
«Chiedere aiuto?»
«Vuoi ricevere attenzioni. È umano.» mormora, mentre si siede sul letto.
«Ma io non sono mai stato quel tipo di persona.»
«Le cose cambiano. Le persone cambiano.» mi accarezza la guancia e poi mi abbraccia di nuovo. «Adesso andiamo a letto, domani faremo qualcosa di divertente.»
 
\\
 
Un altro risveglio. Ore 7:30 del mattino, più tardi del solito. Nonostante la giornata di ieri si sia conclusa felicemente e ho dormito serenamente e senza incubi, mi sento ancora legato al letto. Gli occhi mi fanno male mentre li apro, sento ancora quel senso di vuoto. Quel senso di goffaggine, imbarazzo, panico e dolore che è l’abbandono. Un dolore così squisito da creare dipendenza.
«Buongiorno! Ti ho fatto il macchiato al caramello!» Graziina piomba in camera con un vassoio in mano. Mi volto a guardare il suo letto già rifatto e col piumone che è già stato sbattuto sul balcone. Lei, invece, sembra già pronta per una matinée: camicetta bianca con motivi floreali, una gonna anch’essa bianca che le arriva al ginocchio e i capelli neri e lunghi già puliti e liscissimi tenuti indietro da un cordino bianco usato come fascia. Mi domando come faccia a sembrare costantemente uscita da una pubblicità del detersivo, con quel modo suo grazioso – ma a tratti anche inquietante – di non scomporsi mai, qualunque cosa accada. Anche quello è un tipo di forza che vorrei avere.
«Non dovevi disturbarti!» biascico mangiandomi metà delle sillabe. Io, invece, sono nel solito pigiama – una canotta nera e pantaloncini grigi – impossibilitato a uscire dal letto, con il volto irriconoscibile. In generale, sembro uscito da un film dell’orrore. «Ti avrei aiutato io a trovare le cose…»
«L’ho fatto perché mi andava.» Riesce subito a mettere fine alla discussione. «Ho dato una mano a tua zia con il bucato.»
«Scusa, ma a che ora ti sei svegliata?» Penso sia la domanda più naturale da fare.
«Alle cinque, caro. Necessito di fare un’ora di pilates prima di colazione tutti i giorni. Altrimenti, va a finire che mi sento uno straccio per tutto il giorno. E poi, qui nella campagna sento un sacco di energie positive, è perfetto. Non potevo perdermelo!» spiega, tirandomi un po’ su grazie alla sua parlantina.
Procede a parlarmi di un libro che ha letto sulla routine mattutina e sul benessere personale, nonché della sua istruttrice, delle tisane, di come riesce a stare bene grazie al limone e del perché non fare il digiuno intermittente.
Mentre parla, non riesco a fare a meno di sorridere. Non perché mi interessi quello che dice (perché, parliamoci chiaro, assolutamente no) ma per la convinzione e il trasporto emotivo con cui racconta la sua vita. Riesce a far sembrare tutto divertente e gioioso, trasforma il mondo grigio su cui cammina in un enorme giardino floreale dove i colori sono chiari e tutti sono felici. Nel frattempo, ho finito il mio cappuccino e il dovermi disfare del bicchiere riesce a farmi alzare dal letto.
«Ora ti lascio preparare. Io ti aspetto giù.» mi dice, con quel perenne sorriso stampato in faccia. «E quando vuoi, andiamo a fare shopping. Dobbiamo ravvivare il tuo guardaroba!»
«Ehi!» la fermo prima che vada via. «Come fai ad essere così?»
«Così come?» Immaginavo. Per lei è naturale essere così spensierata. Io ne so qualcosa, mi ricorda qualcuno.
«Felice.» specifico, utilizzando quella parola delicatissima. «Sembra che tu non conosca difficoltà.»
«Non si tratta di essere felici.» chiarisce, facendomi pensare molto. «Io scelgo di affrontare le cose così, mettendo qualche fiore e qualche colore pastello qua e là. Così è più divertente!»
Termino qui le mie domande. Già in passato Espedito mi aveva chiesto di non indagare troppo sulla vita passata di Graziina, evidentemente non molto felice. Lei vuole essere conosciuta così, per quello che è ora e sceglie di essere: la principessa di Park Avenue che dà una tinta rosa in più al mondo.
 
Quando arrivo in cucina, la colazione è pronta in tavola e ci sono i dolcetti appena sfornati di zia Mito, più qualche dolcetto avanzato da ieri. Le due stanno chiacchierando piacevolmente davanti a un caffè.
«…e così siamo andati fino in Provenza per riunire tutta la famiglia, a casa di zia Frieda. In mezzo ai fiori di lavanda… che profumo!» sento già l’ospite concludere uno di quei discorsi lunghissimi.
«Anche qui abbiamo un bel bosco, Gon può portarti a fare un picnic!» le risponde mia zia, chiamandomi in causa. «L’ultima volta che ha portato un ospite, il bosco gli è piaciuto tanto!»
«Zia!» mi scappa mentre divento viola dall’imbarazzo.
«Se si pranza nel bosco, allora c’è da preparare da mangiare!» Graziina scatta subito sull’attenti.
«Ti prego, sta’ ferma!» ride mia zia. «Hai fatto tanto, sei gentilissima. Lascia che ci pensi io.»
 
Come immaginavo, non ha portato i vestiti adatti a una scampagnata. C’è voluta una buona mezz’ora per convincerla a non presentarsi con i tacchi e con un completo firmato in un bosco pieno di rovi e feroci predatori. Alla fine, zia Mito le ha prestato il suo vecchio grembiule rosa salmone. Porto con me anche la canna da pesca, che non tocco da una vita.
«Quindi è così che tutto è iniziato.» guarda dritta nell’acqua, sorridendo. «Il re del lago…»
Abbiamo pranzato sul lago, poi perlustrato i boschi per almeno tre ore. Nel frattempo, Graziina ha raccolto i fiori più profumati e li ha riposti nel cestino. Vedendo il sole tramontare, decido di attivarmi per accendere un falò.
«Vuoi passare la notte qui?» mi domanda, non molto convinta. Anche se siamo in primavera inoltrata, la temperatura tende a scendere quando passa l’una di notte.
«Il falò basterà a riscaldarci. E poi useremo le nostre giacche per poggiare la testa.» la rassicuro. Lei, dopo averci pensato un attimo, annuisce.
 
Non ci metto molto ad accendere e, a quel punto, ci stendiamo a fissare il cielo stellato. Ho un déjà-vu grosso quanto una casa.
«Ehi, Graziina.» le chiedo. Lei, con la testa sulla giacca del grembiule arrotolata al cestino, si volta verso di me. «Che programmi hai per il futuro?»
«Penso di continuare con la mia carriera. Non c’è molto da programmare, quando hai un lavoro fisso le cose tendono ad essere automatiche.» risponde amareggiata. «Ma vorrei viaggiare. Ci sono tanti posti che vorrei vedere. E tu, che programmi hai?»
«Io non lo so che cosa voglio fare.» le rispondo.
«Non dovevi studiare per farti accreditare l’istruzione? E il tema da centomila parole?»
«Non mi riferivo al futuro immediato.» metto una mano dietro la testa per stare più comodo. «Non so cosa fare dopo, ecco. Dopo aver trovato Ging, non ho altri veri obiettivi.»
Graziina resta in silenzio per qualche attimo. «Perché non vieni a New York con me?» dice poi.
«Sul serio?»
«Sì! Ho una casa grande ed è vuota. Mi saresti molto di compagnia. Immagina: usciremo tutte le sere con Espedito e Maxine alla conquista di Manhattan. Io continuerò con il mio lavoro e tu cercherai qualcosa da fare. Sarà più facile se si è in due.»
Pensavo che il mio cervello avrebbe opposto più resistenza. Ma non me la sento genuinamente di rifiutare.
«Non penso di volermi applicare per recuperare il Nen.» dico. «Quando ho sentito Ging l’ultima volta, mi ha detto che è già tanto se sono ancora vivo e che non dovrei chiedere più di questo. Mi ha detto di approfittarne per riflettere e capire cosa fare della mia vita.»
«Perché non trasformi quel tema in un libro?» se ne esce così, tutt’a un tratto. «Lo porteremo a una casa editrice, farai un tour… cose per tenerti impegnato!»
Con lei, sembra sempre esserci una scappatoia. Una via alternativa per sfuggire al doloroso presente.
«Grazie.» le dico, riuscendo a sorridere con il cuore. «Per me stare in tua compagnia è rigenerante.»
«Amore!» fa lei, con un tono stucchevole e gli occhi che brillano. Per qualche motivo, aspettavo una risposta del tipo “Smettila! Sei imbarazzante”, nonostante non sia minimamente da lei.
«Quest’isola ormai non ha bisogno di me.» le racconto. «Quando me ne sono andato per diventare hunter, non c’è voluto molto affinché ritrovasse il suo equilibrio. E, ora che sono senza i miei poteri, non posso andare a fare missioni. Di conseguenza, non posso vedere i miei amici e quindi mi annoio molto. Tu sei la prima persona che non mi fa sentire inutile.»
«La stessa cosa vale anche per me! Sai, molto spesso vengo giudicata a lavoro o altrove perché voglio essere esuberante ed entusiasta delle cose. Con Espedito sono amica da tanto tempo e ci vogliamo bene – e sai che non bastano le parole per dire quanto gliene voglio. Nonostante ciò, non ho mai conosciuto una persona che avesse il mio stesso modo di vedere le cose. Questo prima di incontrare te, Gon.»
«Oddio!» nel petto sento un gran baccano per quelle parole così lusinghiere. Sta succedendo di nuovo.
«Tu stai bene quando sei con me?» mi domanda.
«Direi proprio di sì.»
«E allora continuiamo a stare insieme! Perché perdere tempo?» mi sorprende. Tutta questa serata mi ha sorpreso. «Andremo alla scoperta dei nuovi locali di Manhattan, frequenteremo i circoli più esclusivi e gireremo per i negozi. Cammineremo in tante di quelle scarpe. Io alla ricerca di qualcosa di nuovo e tu… alla ricerca di qualcosa di nuovo!»
Mi viene da ridere. E penso che quella delle scarpe sia una grande metafora.
 
\\
 
La sveglia di questa mattina è il suono di un elicottero che sembra volersi abbattere proprio sopra la casa. Non è molto comune che un elicottero voli così basso in una zona come questa. Anzi, non succede proprio mai. Zia Mito è già fuori, preoccupata perché quel velivolo sembra star parcheggiando proprio davanti alla nostra casa. Mi metto a pensare a chi possa aver interesse nell’arrivare a noi in quel modo. La polizia? Mafiosi? La Brigata?
Respiriamo.
O forse no. Esco subito fuori, nel dubbio porto la canna da pesca, non si sa mai che io debba darla in testa a qualcuno. È una situazione scocciante da affrontare senza il Nen, non posso nemmeno capire se chi sta arrivando lo utilizzi o meno.
Arrivo da Zia Mito, che è spaventatissima, e la tengo per mano mentre il motore dell’elicottero si spegne. Impugno la canna da pesca e mi metto in posizione da combattimento, mentre la porta si apre.
«Tu questo coso non lo guidi più, quando torniamo a casa ti brucio il patentino. Ma chi te l’ha dato? Ridicola!» si sente urlare da dentro. Zia Mito fa una faccia tra il divertito e l’indignato nell’ascoltare le urla. Quella voce stridula, perennemente isterica e sguaiata la riconoscerei tra mille.  Dall’elicottero scende un ragazzo biondo, che indossa un’enorme pelliccia marrone scuro e delle scarpe alte in pelle lucida. Occhiali da sole all’ultima moda e, immancabile, una sigaretta in mano pronta per essere accesa. «Espedito!» lo chiamo.
«Gon!» lo vedo arrivare verso di me, felice di vedermi. «Scusate per le urla, sono molto stanco. E l’elicottero lo pilotava mia madre.» si scusa, per poi indicare il velivolo. «Va bene tutto, ma il pellicano con gli occhi a cuore no. Sembrava che tu mi stessi invitando a una festa premaman.» Me lo dice, con occhi affettuosi, facendomi ridere a crepapelle nonostante io non sappia cosa sia una festa premaman.
Dall’elicottero escono anche altre persone, barcollanti per un viaggio traumatico. Una ragazzina dai capelli castano chiaro, una fascia sulla testa e la fronte coperta da una frangetta, una donna sulla trentina dai capelli rossi e corti con dei vestiti che sembrano da ufficio e un’altra donna, la meno giovane di tutte, con dei tacchi enormi e dei capelli mossi abbastanza appariscenti.
«Hai detto di portare chi volevo e quindi c’è la banda bassotti che voleva vederti.» mi spiega Espedito, che poi con sguardo imbarazzato si avvicina per sussurrarmi: «Ti ricordi chi sono loro, vero?».
E chi se le scorda. La ragazzina più piccola, quella che ha più o meno la mia età, è Danielle, la sorellastra di Espedito. Lei è la figlia del secondo marito morto della madre Alexandria, la donna meno giovane. Quest’ultima è una doppia vedova. Si definisce così, non lo dico io. Poi c’è Maxine, la più seria, avvocato e presidente dell’ufficio legale della WCS. Per rispondergli annuisco e lui fa un sospiro di sollievo.
«Nessuna di queste persone era menzionata nelle tue lettere.» zia Mito è molto sorpresa che da quell’elicottero non sia uscito qualcuno di quelle persone. Ma è comunque felice di avere compagnia, quindi si presenta a tutti con piacere e si appresta a togliere qualche bibita dal frigo. Entrati in casa, c’è Graziina, si è appena lavata dopo essere tornata dalla sessione di pilates mattutina. Espedito, nel frattempo, corre a presentarsi.
«Buongiorno! Mi scuso per la sveglia, ma non mi piace muovermi con i mezzi pubblici.» esordisce così. Una frase che fa già capire tutto. «Piacere, Espedito Petracelli.»
 
Zia Mito ci fa accomodare tutti a tavola, si è fatta quasi ora di pranzo. È curiosissima di saperne di più su questi personaggi così singolari che ho portato a casa. Io sono un po’ nervoso, ricordo quanto sia stato difficile far adattare queste persone con Kurapika, Killua e Leorio (e, a dirla tutta, non ci sono nemmeno riuscito), non immagino come possa andare a finire qui a casa mia. Confido nella versatilità di Espedito e nell’educazione di Graziina.
«Io ho recitato in diversi film d’autore, ho vinto quattro premi Oscar, due Golden Globes e un Teen Choice Award. Il mio ultimo film so che è andato forte anche qui.» Espedito riesce, come sempre, a monopolizzare l’attenzione su di sé. Vedo che Zia Mito non sappia effettivamente come inquadrarlo, sicuramente le ci vorrà una mano.
«Mi sembrava di averti visto da qualche parte…» risponde. «Se non altro questo spiega perché sono arrivati sulle nostre televisioni dei film a dir poco immorali.» Come da copione, a una secchiata di veleno del genere, Espedito si irrigidisce e sorride diventando una statua di cera.
«Zia!» la sgrido mentre scoppia a ridere.
Arriva il turno di Maxine, posso riprendere a respirare. «Sono un avvocato penalista, ho passato la vita ad occuparmi di omicidi, poi mi sono occupata di diritto internazionale e adesso mi occupo di diritto intercontinentale con aggiunta di elementi magici e soprannaturali. Ma per la gioia di vedere cadaveri questo ed altro.» Lei e il suo sarcasmo da trentenne.
Come non detto. Zia Mito deglutisce e pensa che, forse, Espedito non sia il soggetto più problematico della serata.
Quando vede Danielle, un po’ si ammorbidisce perché è della mia stessa età.
«Frequentavo la scuola di moda a Chicago, poi ho sedotto il mio professore. Così, mi sono trasferita a New York.»
È un incubo. Rimane solo una persona.
«Sono Alexandria, la madre di Espedito. Ho seppellito ben due mariti. In realtà solo il secondo, la salma del primo è finita in un’aspirapolvere.»
Voglio sparire.
A questo punto, zia Mito mi prende in disparte con la scusa di prendere da bere.
«Okay! Vedo che hai invitato qui una grande varietà di personaggi.» mi fa, con un sorriso gelido. «Chi è questa gente, Gon?»
«Il primo amico che ti ho portato qui era un assassino professionista di una nota famiglia di mercenari e te ne sei innamorata. Puoi dare una possibilità a queste persone che almeno non hanno mai ucciso nessuno?» Ironico, perché è la verità.
Con fare arrendevole, mi mette una mano sulla spalla. «Mi fido di te. Torniamo a tavola.»
Zia Mito non viene meno alla promessa e ascolta gli ospiti. Dallo sguardo capisco che inizia a ricredersi. Capisce che quello di Danielle non è il caso di una studentessa moralmente discutibile, bensì di un adescamento, e trova ora ammirevole il suo coraggio nel parlare della cosa e dedicarsi anima e corpo alla moda. Di Maxine, invece, ora ha capito che non è affascinata dalla morte, tutt’altro: è una donna che aveva studiato per diventare avvocato e mossa da un reale interesse; che si è poi ritrovata in una ragnatela di orrori. Di Alexandria, invece, capisce subito il suo grande istinto materno e la profonda solitudine che la accompagna da una vita.
Infine, per quanto riguarda Espedito, il più enigmatico di tutti, capisce subito una cosa che io ho impiegato settimane a vedere quando l’ho conosciuto: la perenne ombra di terrore nel suo sguardo.
«…e così sono andato fino a Milano per una borsa di Valentino. Non ne potevo più di quelle stupide liste d’attesa!» termina un racconto divertente che fa ridere di gusto tutti i commensali, zia Mito inclusa, ma che io non ho ascoltato perché assorto dai pensieri. «Tutto bene?» si gira verso di me.
«S-Sì…» balbetto. Mi domando cosa abbia imparato io dall’amicizia con lui visto che recito ancora come un cane quando devo mentire.
«Il pranzo non è ancora pronto, vogliamo parlare fuori? Il tempo di una sigaretta?» mi chiede gentile, andando temporaneamente fuori dal personaggio. «Per l’esattezza, fumo solo io. Fumare uccide!» Dice, ricordandosi che mia zia fosse con noi. Lei ride di gusto, mentre Espedito si alza e con un cenno indica a Graziina di seguirci.
 
«Lo so cosa succede.» ridacchia lui, mentre accende la sigaretta. «Stai aspettando loro
Non rispondo.
«Ci hai preso!» osserva Graziina. «Ma non tampinarlo ora, ha bisogno di ambientarsi un attimo. Vero?»
«Ambientarsi? Ma se è a casa sua.» Espedito scoppia a ridere. «Piuttosto io non so come farò ad ambientarmi con sua zia in casa. È inquietante, mi mette in soggezione. E per riuscirci con me ce ne vuole. Non mi spaventava così nemmeno Hisoka!»
«Non ci vorrà molto, quando è venuto qui Kil-» E nel bel mezzo di una frase, mi blocco come un vecchio computer.
«Allerta malware, ha aperto il file sbagliato.» ironizza l’attore mentre mi scuote. Graziina guarda la scena con occhi confusi. «Senti, io non vorrei che si parlasse di questo ora…»
«E infatti ti dispiacerebbe non parlarne?» cerco di chiederglielo con tutta la gentilezza del mondo.
«Ma se ci pensi costantemente!» Mi fa notare. «Se solo il tuo cervello va per sbaglio sull’argomento ti blocchi. Non è da te! Gon, mi conosci, sai che ti dico in faccia le cose perché nessun altro lo fa.»
«Aspettiamo che tua madre e Danielle si sistemino in albergo e dopo lo facciamo sfogare davanti a un bel Margarita.» propone Graziina, facendoci cenno di entrare perché è pronto a tavola.
«Servirà anche a me, dovremo sopportarci le lamentele di mia madre sulla camera. Alloggiamo in una locanda qui vicino, ci sarà da divertirsi.» ridacchia Espedito.
«Come sai che farà così?» gli chiedo.
«Perché io farò la stessa cosa. Sono suo figlio, dopotutto.»
 
Mentre gli ospiti trovano tutti sistemazione nella locanda, trovo un po’ di tempo per anticipare dei compiti per la settimana prossima. Penso al mio imminente compleanno, alle solite cose e al fatto che devo fare i conti con la stanchezza che questo nuovo stile di vita mi sta causando. Ho valutato tante possibilità alternative per il mio futuro: perché fare una corsa per riprendere i miei poteri? Forse, tutto questo è una possibilità che mi è stata data per cambiare la rotta. Provare esperienze nuove ma diverse da ciò che avevo immaginato. Ho valutato di iscrivermi seriamente a scuola al termine di quest’anno da privatista. Non mi ci immagino nemmeno in una scuola ogni mattina, dove mi viene detto cosa fare e seguire delle regole. Conoscere altri ragazzi della mia età, socializzare e passare la vita a preoccuparmi di voti, università, cotte e fidanzamenti. Mi chiedo se sarei popolare o più ai margini, quelle dinamiche che fanno vedere in televisione.
Ma è inutile farmi congetture all’infinito senza alcuna testimonianza. Finora, sono stato circondato da persone che non sono andate a scuola e, di conseguenza, non mi sono posto mai nemmeno il dubbio. Non ho un prototipo di quale sia la vita di un “adolescente normale”, perché l’unico modello che ho avuto è me stesso. E, se vogliamo andare larghi, ci sarebbe Killua.
Perciò, decido di parlare con persone che vivono in prima persona questi argomenti.
«Come eravate voi a scuola?» chiedo a bruciapelo.
«Io ero una cheerleader. Bellissimi tempi, tutti i ragazzi mi volevano.» racconta Graziina, sorridendo per il bel ricordo.
«Io invece ero una sfigata bullizzata dalle cheerleaders.» Maxine le fa una smorfia. «Ma ero la prima della classe.»
«Io ero sempre a qualche festa, sia quando ero in Svizzera che a New York. Devo ammettere che mi divertivo da matti.» anche Espedito condivide un bel ricordo. «Perché lo stai chiedendo, Gon?»
«Ecco… stavo valutando nuove possibilità.» mi metto la mano dietro la testa e rido per nervosismo.
I tre si guardano tra loro e poi guardano me con una faccia esterrefatta.
«Oh. Mio. Dio! Ho sentito bene?» esordisce Espedito.
«È un’idea stupenda! Sono fiera di te.» Graziina sembra saltellare dalla gioia.
«Sono d’accordo, è una bella iniziativa.» conclude Maxine.
«Potresti andare a scuola con Danielle. Iniziare da zero non è semplice, è essenziale che tu faccia delle amicizie. Non che per te sia un problema, sai benissimo come farti amare dagli altri, ma sei anche poco sveglio e devi avere qualcuno che ti guidi.» mi spiega l’attore, mettendomi un po’ nel panico.
«Le persone lì non saranno come quelle che hai conosciuto. Ti risulteranno più noiose e troverai molti meno soggetti che meritino davvero la tua fiducia. E ti mentiranno, sempre e comunque.» aggiunge Graziina.
«E come avete fatto voi?» mi lamento, demotivato da quelle parole.
«Abbiamo faticato. Ma dalle nostre parti è diverso, noi non abbiamo scelto di andare a scuola. L’abbiamo fatto per obbligo. E per quanto riguarda la società, siamo stati educati anche per quello.»
Le parole di Espedito mi hanno acceso un’ulteriore riflessione. Chissà com’è svegliarsi ogni mattina fin da piccoli e dover affrontare degli obblighi. Avere una figura genitoriale che ti impedisca di arrenderti quando le cose si fanno difficili. Io non so niente di tutto questo.
«Hai tutto il tempo per decidere.» Graziina mi mette una mano sulla schiena. «Prenditi ogni minuto, non è una scelta facile.»
«La cosa positiva è che hai noi. Possiamo farti accedere a qualunque scuola tu voglia frequentare. New York, Chicago, Boston, Londra, Parigi… e fortunatamente puoi contare sul nostro totale aiuto.» Espedito mi sorride, mentre si accende una sigaretta. «Una scuola prestigiosa ti faciliterà le cose nel caso tu volessi accedere al college.»
Il college. Io non ho mai avuto la parola “college” o “università” nei miei pensieri in tutta la mia vita.
«Sarebbe meglio pensare più in piccolo ed essere realisti.» interviene Maxine, con il suo solito tono pragmatico. «Tu iscriviti, fai qualche anno e se pensi di riuscirci porta a termine gli studi. Indipendentemente da tutto, solo per avere più porte aperte nel tuo futuro. In questo momento non è molto utile pensare già al college.»
«Penso che abbia ragione. Hai tutto il tempo per decidere sul college, quello è tutto un altro mondo.» mi rassicura Graziina.
«Siete tutti e tre laureati, giusto?» dico mentre mi massaggio la testa, sforzandomi di immaginare un futuro del genere per me. «Come avete fatto?»
«Non prenderci ad esempio, siamo cresciuti in famiglie piene di soldi. Io sono andato a Yale, Maxine ad Harvard e Graziina ad Oxford.» spiega Espedito, con gli occhi che si illuminano alla parola ‘Yale’.
«In verità io ad Harvard ero una borsista. Voi avete le famiglie ricche, io no.» puntualizza Maxine.
«Ma dalla missione con la WCS anche tu sei ricca, cosa ti importa? Comunque, non siamo qui per parlare di questo.» le risponde Espedito, con la sua solita smorfia particolare. «Gon, quello che ti serve è una corazza.»
«Che?»
«Un filtro tra te e il mondo. Le tue emozioni sono un tutt’uno con ciò che succede all’esterno. Non va bene!» dice con franchezza.
«E perché?» gli domando, pensando che l’argomento sia ancora la scuola.
«Guarda come stai ora.»
«Diglielo in maniera più delicata!» lo rimprovera Graziina.
«E come?» interviene Maxine. «Gon, devi sviluppare delle difese, servono a proteggerti da sollecitazioni esterne ma anche ad arginare la tua emotività. Non puoi controllarti senza dei limiti noti.»
A questo punto, non riesco a non pensare a Killua e alla sua di corazza. È per questo che non si fida molto degli estranei? È perché ha una sorta di barriera tra lui e il mondo sulla quale ha massimo controllo?
Se è così, ho sbagliato tutto.
Mi passano per la testa tutti i momenti in cui questa capacità mi avrebbe salvato. Quale sia l’ultimo e il più eclatante di questi è una pura ovvietà. Ma è ora di mettere un freno a questo flusso. A volte dobbiamo smettere di analizzare il passato, smettere di pianificare il futuro, smettere di capire esattamente come ci sentiamo, smettere di decidere esattamente cosa vogliamo. Solo vedere cosa succede nel presente.
   
 
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