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Autore: sakusadokja    15/08/2022    4 recensioni
[bokuaka, 2285 parole]
Bokuto-san disteso tra l’erba tiepida di mezzogiorno non ha nulla da invidiare al Sole. Le mani intrecciate dietro al capo e le braccia che anche se così piegate restano grandi e lunghe, sono tutti i raggi intorno. Gli occhi pieni d’ambra, aperti e spavaldi a sfidare la luce lassù, ne emettono una altrettanto forte: non intendono cedere e chiudersi. Il petto largo, si gonfia e sgonfia in silenzio di respiro e del vento che docile soffia intanto sopra di loro e che lui ogni tanto inala.
“Bokuto-san, hai deciso cosa farai dopo il diploma?”
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Allora, chi sa dirmi che cos’è il Sole?”

Akaashi deve avere all’incirca dieci anni quando sente per la prima volta parlare dell’universo, delle galassie, dei pianeti e del Sole, che pianeta non è - scopre. 

Con un pennarello blu intenso, profondo, colora tutto il foglio che ha sotto: è una distesa immensa senza confini, impossibile azzardarsi a buttarci un puntino lì in mezzo. Sarebbe l’inizio di una fatica enorme. Non renderebbe mai l’idea. Intanto immagina la distesa celeste, la ammira e ci si perde, ma non osa replicarla.

Il bambino seduto accanto a lui, invece, non sembra affatto scoraggiato dalla lezione e continua a testa bassa, lingua stretta tra i denti e mani impiastrate di carboncino, il suo disegno. Sul suo di foglio sotto c’è un prato, due cespugli e un albero, una casa con il camino che fuma e la porta. Sullo sfondo un cielo azzurro, limpido, eccetto che per alcune nuvolette buffe, stilizzate. Poi c’è il Sole, grande, nell’angolo in alto a sinistra. E’ di un giallo vivo e sorride, ha due occhi enormi, anche questi buffi, stilizzati. Non c’entra niente con la foto sul libro di testo, con quella palla che arde d’arancio e di rosso, di materia infuocata. Ma allora quel bambino non ha ascoltato proprio nulla di quello che ha detto la maestra? Akaashi vorrebbe…

Ma Akaashi si sveglia di soprassalto, è nel suo letto e ha diciassette anni. Stanotte ha fatto un sogno strano. O forse era un ricordo, molto vago, probabilmente sbagliato e forse solo un sogno. 

Il Sole è la stella più vicina a noi e più importante per la nostra esistenza. La sua luce e il suo calore sono indispensabili per la vita della Terra, e la regolarità del suo movimento è uno strumento per misurare il trascorrere del tempo e una metafora per il ciclo dell’esistenza. Albe e tramonti scandiscono la nostra esistenza e regolano i processi biologici; dall’inclinazione dell’orbita terrestre, invece, dipendono le stagioni

Bokuto-san disteso tra l’erba tiepida di mezzogiorno non ha nulla da invidiare al Sole. Le mani intrecciate dietro al capo e le braccia che anche se così piegate restano grandi e lunghe, sono tutti i raggi intorno. Gli occhi pieni d’ambra, aperti e spavaldi a sfidare la luce lassù, ne emettono una altrettanto forte: non intendono cedere e chiudersi. Il petto largo, si gonfia e sgonfia in silenzio di respiro e del vento che docile soffia intanto sopra di loro e che lui ogni tanto inala.

“Bokuto-san, hai deciso cosa farai dopo il diploma?”

Kotaro ruota il capo e guarda l’altro per qualche secondo: Akaashi-kun seduto tra l’erba tiepida di mezzogiorno non ha nulla da invidiare alle stelle, i pianeti - Terra compresa -, all’intera volta celeste. Se ne sta lì accanto, placido e obliquo, più in alto: una mano a fargli d’appoggio e le gambe lunghe a disegnare la curva attorno al corpo di Bokuto - lo accolgono o coprono, questo dipende dai punti di vista. Il busto inclinato ha la forma sinuosa di qualche galassia, la camicia bianca della divisa suggerisce quella lattea. Gli occhi lunghi e pazienti attendono i capricci del Sole, nel frattempo lo scrutano sereni come il cielo sgombro sopra di loro. 

Keiji scrolla il capo, perchè lo fissa tanto? Kotaro di rimando a questa e quell’altra domanda gli fa una linguaccia, poi chiude gli occhi e torna a lasciarsi baciare dalla luce di mezzogiorno.

“Bokuto-san, il diploma-”

“Il diploma è fra un paio di settimane, lo so, Akaashi-kun. Dieci giorni per l’esattezza, visto che lo so? Per caso hai fretta che io me ne vada?”

Affatto.

Non ricevendo alcuna risposta, Kotaro alza di soppiatto una palpebra e lo sbircia in segreto. C’è una nuvola dietro alla testa di Keiji, d’un tratto il cielo si è coperto.

La vera peculiarità del Sole è la sua vicinanza alla Terra, che riceve dall’astro – sotto forma di radiazione elettromagnetica – buona parte dell’energia indispensabile per i suoi processi vitali. Per andare dalla Terra al Sole spostandosi alla velocità della luce – la massima possibile – bastano infatti 8 minuti, mentre per raggiungere Alpha Centauri, l’altra stella a noi più vicina, servono più di 4 anni. 

“Osaka, allora, huh?”

“Sì, coach. Dicono si terranno lì le selezioni. Mi hanno contattato un paio di squadre della prefettura.”

“Quindi niente università?”

“Niente università, non penso faccia per me… Quelli come Akaashi ci sono più portati. E comunque il tempo libero vorrei lasciarmelo per tornare qui al liceo. A giocare con voi. Ogni tanto.” La figura enorme da ragazzone che si fa minuscola. “Se posso…”

Il coach si lascia andare ad una risata di pancia e di gusto, “Certo che puoi,  ragazzo, non dire sciocchezze”. “Bokuto, però tra qui e Osaka ci saranno almeno 500 km…” aggiunge poi con il piglio dell’adulto in apprensione.

“Lo so, lo so, coach. Lo so… Ma al giorno d’oggi gli shinkansen vanno alla velocità della luce. Sarò qui in un batter d’occhio!”

Kotaro ha nello sguardo una scintilla abbagliante, la sicurezza di quello che dice, e il vecchio ne resta quasi stordito. Preso alla sprovvista gli si fa vicino d’istinto: “Conservalo sempre quest’ottimismo, figliolo, non lasciartelo rubare da nessuno.” Tutto d’un fiato, è bisbiglio amaro, quasi una profezia. “Scappa se devi.”

“Non accadrà, signore. Ma nel caso, sì, corro.”

“Ah, ascolta un’ultima cosa.” Gli posa una mano sulla spalla. Salda, lo tiene fermo, come se ne temesse la fuga, come se dovesse mettersi a correre proprio ora, i chilometri ad alta velocità di uno shinkansen. “A proposito di Akaashi… Sei sicuro?”

“Sì.” Non c’era bisogno di placcarlo o tenerlo al suo posto, su questo Bokuto è sicurissimo, fermissimo. “Il posto da capitano è sempre stato suo. Gli spetta di diritto. Dopotutto io ero bravo solo a giocare, lo sappiamo entrambi. Le redini, anche le mie, le ha sempre tenute lui… Non saprei immaginarmi nessun altro in quel ruolo. I ragazzi nemmeno se ne accorgeranno, gliel’ho già detto, é sempre stato suo.”

Il suono liquido e pieno di una singola goccia che atterra rimbomba lontana ma come gli fosse appena piombata di fronte, li fa voltare entrambi verso un angolo remoto del campo. Ma forse è l’eco di un rubinetto che perde negli spogliatoi o, più plausibilmente, veniva da fuori. In fondo sta piovendo a dirotto e lì, sulla destra, c’è solo il carrello dei palloni. Almeno in apparenza. Dietro, accovacciato, un ragazzo se ne era rimasto nascosto tutto il tempo, dopo aver trovato rifugio lì in quella palestra quasi per sbaglio. La divisa e il volto zuppo, la pelle calda e lo sguardo languido: anche dentro pare stia diluviando. 

Il ragazzo è Keiji e ha sentito tutto.

Secondo la definizione tradizionale, una stella è un corpo celeste che brilla di luce propria, perché costituito di materia incandescente, a differenza di un pianeta che si limita a riflettere la luce ricevuta dal Sole o da un’altra stella.

E il Sole è considerato ‘la stella’ per eccellenza, ma in realtà, dal punto di vista astronomico, la sua fama è ingiustificata. Si tratta di una nana gialla, una stella poco più grande della media, destinata a splendere per circa 10 miliardi di anni (oggi è già vecchio di 5 miliardi di anni) prima di spegnersi poco alla volta. 

“Forza, scartiamo i biscotti poi tutti a casa che è tardissimo.”

“Agli ordini, Akaashi-san… Kun. Alle volte mi dimentico che sei più piccolo.” 

“Sarà perché tu invece sei ancora un nano, Komi-yan? La cosa ti confonde?” 

“Strozzatici con quel biglietto, Saru!”

Ed effettivamente così accade. Mentre lui e Haruki Komi si spintonano verso la via di casa, Yamato Saruku si è completamente dimenticato che dentro a quel cornetto zuccherino si cela un pezzo di carta - e quello, almeno in teoria, non va mangiato. 

Con la scusa di dargli un paio di cinquine a gratis sulla nuca, il libero però lo aiuta in tempo, l’altro sputa il biglietto e insieme ne leggono i rispettivi contenuti. Criptici come al solito, ma i presagi sembrano buoni.

“Allora tu che hai?”, “Cavolo, perchè a te capitano sempre i biglietti migliori! Non vale!”, “E tu invece? Fa’ vedere!”,“Facciamo cambio??”,“Non si può fare cambio con i biscotti della fortuna! Ma da che pianeta arrivi??”

In coda alla squadra un po’ sparpagliata in mezzo alla strada, Keiji e Kotaro ne chiudono le fila. E’ la stessa formazione di sempre, quella che tengono senza volerlo anche fuori dal campo.

“Kaashi, allora il tuo che dice?” 

Senza di voi, non si conclude nulla.”

Bokuto fa gli occhi grandi e si manda le sopracciglia all’attaccatura dei capelli. “Ah ma allora forse ci azzeccano sul serio! Beh, comunque la cosa non fa per me…” 

Un po’ di fortuna ci vuole sempre, pensa Kotaro, ma lui in verità alla fortuna non ci crede sul serio, preferisce farsela da sé e prima che Keiji possa voltarsi e chiedergli cosa invece reciti il suo, lui ha già inghiottito il biscotto intero, carta e superstizioni comprese. L’involucro di plastica, grazie al cielo, lo aveva scartato con la medesima impazienza appena fuori dal locale: per stasera nessuno dovrà fargli la manovra di Heimlich. 

Però che lo abbia mandato giù con tanta foga per paura di lasciarsi suggestionare o per sincero stoicismo, Akaashi ancora ha da deciderlo. Dopo due anni, stenta talvolta a decifrarlo. O forse è proprio l’altro che ci ha preso gusto a rimescolare sempre le carte in tavola, sa che Keiji si annota di tutto, su di lui poi ha i fogli pieni.

Arrivati ad un bivio, il resto dei giocatori svolta - “Allora noi giriamo di qua! Buonanotte senpai!”, “Grazie ancora per la cena, Bokuto-san!”, “A domani!”, “Bokuto, domani al diploma per piacere annodatela bene la cravatta! Akaashi, dagli un occhio tu!” - e ora la loro tuta bianca e nera, in lontananza, quasi si confonde con la distesa stellata alle loro spalle. 

In realtà da lì, luna grande a parte, nessun astro si distingue un granchè bene - inquinamento luminoso e quelle questioni lì -, il cielo però ha già preso a sfumarsi delle tinte del giorno, è pieno di lentiggini chiare, timide stelle pronte a dare il loro addio. 

Akaashi ha ragione, è proprio tardi. E’ così tardi che è prestissimo e nessuno dei due ha ancora intenzione di sapere di preciso che ora si sia fatta, quanto tempo gli resti.

I ragazzi della squadra allo stesso modo non hanno obiettato a quel filate a casa, né si sono dilungati troppo in ulteriori chiacchiere o melodrammi: nessuno voleva rischiare di nuovo di mettersi a piangere in mezzo di strada o di sapere quanto tempo insieme ancora rimanga, che ore si siano fatte prima del diploma o prima dell’alba, prima che la vita venga a bussargli alla porta. 

Intanto Kotaro, invece di proseguire dall’altro lato, ha deciso di voltarsi indietro e tornare sui suoi passi. 

“Bokuto, dove vai? Casa è-”

“Forza, seguimi.”

“Bokuto-san, è quasi l’alba, domani hai il diploma-” inizia a dirgli Keiji, perchè d’istinto lo ha effettivamente seguito, ma comunque un po’ di collaudata ostruzione deve pur sempre fargliela. 

“Appunto, Akaashi. E’ quasi l’alba e domani ho il diploma. Quindi ora zitto e seguimi. Per una volta, per favore, fai come ti dico io.”

L’altro vorrebbe tanto dirgli che in realtà è sempre come dice lui che fanno, ma Kotaro stavolta ha ragione e ha avuto anche la decenza di chiederglielo per favore: è quasi l’alba, domani lui si diploma e questa è la loro ultima notte, l’ultima notte di quella vita insieme che seppur durata solo due anni sembra l’unica che entrambi abbiano mai conosciuto.

Forse questo, o forse che per quanto quasi giorno la luna non sembra voler ancora dare il cambio al sole e Keiji ha l’impressione che si sia fatta notte fonda di nuovo, che fuori ora tutto sia pesto e che nessuno possa vederlo, che Kotaro tornato sui suoi passi abbia cambiato il moto delle sfere celesti, della terra, dei secondi. 

Se ora prende a seguire Bo e correre anche lui come un matto su per quella collinetta sconnessa, potrà sempre far finta sia stato solo un sogno.

Comunque intanto è lì, già a metà salita, che avanza a perdifiato, di fretta, come un invasato. Ha visto l’altro scattare e d’istinto i suoi piedi lo hanno seguito a ruota. Memoria muscolare, forse, perché non è la prima volta che capita, che Kotaro faccia una follia e Keiji, in apprensione e cieco, si ritrovi ad un passo da lui, ma dietro. 

Sono quasi in cima alla vetta e Akaashi crolla sulle ginocchia quando finalmente vede la fine. Poi il cielo si rischiara all’improvviso, si fa giorno: in mezzo c’è Bokuto, in piedi e altissimo, con le mani sui fianchi e i piedi ancorati al bordo del dirupo. 

Lì, al suo vice balena in testa un pensiero sciocco e che probabilmente è vero che l’ora più buia è quella prima dell’alba. Lì, si rende conto che l’universo è pieno di stelle nettamente più grandi - infinite volte più grandi - di Kotaro e del Sole, ma da quel punto preciso per terra, da dove Keiji è accasciato al suolo a riprendere fiato, la linea delle spalle, tutta la schiena del suo capitano è larga anni luce, è infinita. Il suo volto, quando si gira e gli sorride, è un evento celeste senza precedenti. Una nuova alba che gli fa dimenticare che una notte - quella, l’ultima - è appena finita.

“Signora maestra! Signora maestra! Dove va il sole quando fa buio?”

“Da nessuna parte. E’ sempre lì. Attende solo una nuova alba per splendere.”

Akaashi stanotte ha fatto un sogno strano. O forse era un ricordo, molto vago, probabilmente sbagliato e forse solo un sogno. C’era Bokuto, ma piccolo, con le mani e la faccia impiastrate di carboncino giallo: andavano in classe insieme e lui voleva saperne di più sul Sole. 

   
 
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