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Autore: Nao Yoshikawa    16/08/2022    0 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo nove: Sogni ( o ricordi dal futuro)
 
Intermezzo
Tamago
 
 
Metal Bat è stato di parola. Ha davvero mantenuto il suo segreto. Tamago non si chiede il perché, per lei è naturale che il suo migliore amico mantenga i suoi segreti. Un segreto che adesso condividono in tre. Metal Bat sa che si è messo nei guai, che non può sperare di tenere nascosta una cosa del genere a Saitama e Genos a lungo. Se a Tamago accadesse qualcosa non glielo perdonerebbero mai e lui non lo perdonerebbe a sé stesso.
Tamago non sa nulla. Sa che loro due si conoscono, ma non sa altro. Metal Bat le ha detto però lui mira a essere un cattivo, non un eroe.
E lei gli ha risposto non è possibile, lui non è una persona cattiva.
Si sentirebbe in colpa a spezzare i suoi sogni innocenti. A Tamago è già stata portata via troppo serenità.
Tamago insegue una farfalla. Alle volte le si poggiano sulle dita come per magia.
«Aspetta, aspetta! Ti prendo!» grida, con le braccia tese in avanti. Allora Metal Bat e Garou rimangono da soli. Garou lo fissa, si ricorda bene di lui, di quando era ancora in grado di vedere. Eppure quell’eroe non ha perso la sua fierezza. Anche se non può vedere, osserva tutto.
«Chiariamo subito una cosa, bastardo. Che cosa vuoi da Tamago?»
«I bambini mi adorano» risponde subito da lui.
«Tsk, non dire cazzate. Scommetto che tu sai del suo potere, non è vero?»
Le pupille di Metal Bat sembrano trasparenti, fatte d’acqua, eppure lo trafiggono.
«Ne so meno di quanto ne sappia tu. Lei non ne parla» dice Garou e poi la guarda. Quella bambina che è riuscita a far posare la farfalla sopra il suo dito.
«Io le voglio bene. Ed è anche mio compito proteggerla. È per questo che sono qui. Perché se solo tu la sfiori con un dito…»
«Non le torcerò un capello. Non mi interessa ucciderla» dice Gaoru. Il che è vero. È più interessato al suo potere che ad ucciderla.
«Ma se solo le fai del male in qualsiasi modo, sappi che ti ucciderò. Lei ha già sofferto troppo. Le è stato dato questo potere, che non sa gestire. È già un bel peso per una bambina così piccola.»
Garou fa una smorfia. È davvero insopportabile il modo in cui tutti gravitano intorno a quella bambina. Il modo in cui lui anche lui ci gravita.
«Non pensavo avessi un cuore così tenero» gli dice Garou, come a prenderlo in giro.
«Avrò un cuore tenero, ma ti rompo il culo se fai qualcosa a Tamago. Mi sfugge il motivo, ma lei ti adora.»
A quel punto lei torna da loro mostrando orgogliosamente la farfalla che tiene su un dito.
«Guardateee! È tutta nera e arancione!» esclama contenta.
Tutto è bello e colorato. Almeno in quei giorni lo è. Almeno in quei giorni può starsene tranquilla.
 
Tamago sentì il muro graffiarle la schiena. Aveva sempre trovato Garou imponente e minaccioso, ma adesso ne aveva davvero paura.
«N-non possiamo parlarne in maniera più tranquilla?» domandò Tamago. Garou non l’avrebbe uccisa. Non poteva farlo! Però qualche dubbio iniziava ad averlo.
«Vieni davvero dal futuro, non è vero? Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava in te.»
Le strinse il braccio e Tamago sibilò. A che serviva nasconderlo oramai?
«Sì, è vero. Vengo dal futuro. Ora però vuoi lasciarmi? Mi fai male!»
Lui allentò un po’ la presa e lei si massaggiò il punto offeso. E adesso che lo sapeva cosa sarebbe cambiato?
«Fammi vedere.»
Tamago abbassò le braccia, era un po’ in soggezione.
«Non si può.»
«Come funziona, allora?»
Si fece piccola piccola.
 
Dammi il tuo potere.
Ma io non so come fare.
Allora fammelo usare. Una marmocchia come te non se ne fa nulla.
Garou, smettila di dire così. Mi fai star male. Cattivo, sei cattivo.
La testa iniziava a girare.
Non agitarti o perderei ancora di più il controllo.
«Non c’è un modo, non lo controllo. Con il tempo non si scherza.»
«Quante chiacchiere inutili. Mostramelo!»
Tamago si sentì debole. Si sentì divenire leggera e trasparente come aria. Ma la stretta di Garou non si era allentata nemmeno un attimo.
 
 
E così la decisione era stata presa. Non si tronava indietro, oramai era andata. Tra qualche mese sarebbero stati in tre e c’era molto, moltissimo a cui pensare. Saitama si era gettato a capofitto nella lettura, aveva bisogno di assimilare più informazioni possibili. Non solo, aveva anche fatto qualche ricerca. Cosa ci voleva per accudire un neonato?
Una culla, un passeggino, pannolini, latte in polvere, disgustosi omogeneizzati. Forse servivano anche uno di quei cosi che ti mettevi accanto e ti permettevano di sentire quando il bambino piangeva? Ma non avrebbe dormito con loro, almeno all’inizio?
Sempre se avessero dormito. E se fosse stato uno di quei neonati terribili che non dormiva, ma piangeva tutto il tempo? Saitama non era certo che sarebbe riuscito a sopportarlo. Ma non doveva concentrarsi su questo, adesso. Piuttosto, non era sicuro che il suo appartamento fosse abbastanza grande per tutti e tre. Un neonato non occupava troppo spazio, ma prima o poi sarebbe cresciuto. Senza contare che un bambino poteva attentare alla sua vita in molti modi: battendo la testa, inciampando, ingerendo qualcosa di velenoso, strozzandosi e via dicendo.
Era peggio che andare a combattere un mostro temibile, altroché!
E poi aveva fatto qualche calcolo.
«Quanto mi verrà a costare tutto ciò? No, meglio se non ci penso. Ho sempre odiato spendere troppi soldi. Ma lo devo fare, se abbiamo deciso di farlo nascere, dovrà pur avere una bella vita. E poi… devo smetterla di parlare come se ci fosse qualcuno ad ascoltarmi.»
Saitama in effetti aveva iniziato spesso a fare dei monologhi ad alta voce.  Quella situazione stava avendo effetti bizzarri su entrambi. Genos però era quello su cui stavano avvenendo più cambiamenti. Non ancora visibili, certo. Ma emotivamente si sentiva come se fosse sulle montagne russe. E aveva una fame atroce. Lui, che per tanto tempo era stato abituato a non avvertire la fame. Lui, che meno di chiunque altro si sarebbe aspettato di vivere quello. E invece eccolo lì.
«Saitama, stai bene? Mi fai preoccupare» gli disse Genos, un po’ sofferente. Saitama non era uno solito a perdere la testa o a farsi prendere dal panico. Piuttosto, affrontava il panico in modo diverso. In quel caso, lo affrontava divenendo iperattivo nei pensieri e nei gesti.
«Eh? Sì, sto bene, facevo solo una lista di tutto quello che serve ad un neonato. Ecco perché certa gente ci pensa molto prima di fare figli. Sono costosi e poi sono un impegno a vita. Senza contare il fatto che sono soggetti a molti pericoli. Per esempio, potrebbe cadermi mentre lo tengo in braccio. Forse dovrei fare pratica con un bambolotto.»
Genos lo fissò, serio, ma in realtà avrebbe riso volentieri. Saitama era così tenero. Così perfetto in quel ruolo e nemmeno se ne rendeva conto. Genos non sapeva ancora se invece si sentisse adatto, se in effetti lo sarebbe stato. Non gli sembrava nemmeno reale. E poi era assurdo come due eroi come loro, che avevano affrontato qualsiasi cosa, fossero terrorizzati all’idea di prendersi cura di un neonato. Ma non era solo questo. Un figlio era davvero un impegno a vita. Un essere vivente a cui dare tutto ciò di cui aveva bisogno, insegnargli a stare al mondo, esserne responsabile.
Sì, forse anche degli eroi come loro potevano permettersi di avere paura.
«Nemmeno io sono molto pratico con i bambini. Ma sono sicuro che tu gli piacerai. La tua faccia ai neonati deve piacere.»
«Cos’ha la mia faccia di così particolare?» domandò, indicandosi.
Poi, mentre conversavano, udirono qualcuno oltre il muro, battere alla porta e chiamarli. Nel marasma erano spariti da un po’ e in quanto loro eroi (soprattutto in quanto Genos eroe di classe S), non era ottimale.
«C’è qualcuno lì dentro? Sono io, sono Fubuki!» esclamò la donna.
Genos guardò Saitama.
«Io non mi faccio vedere. Temo che mi si legga in faccia che c’è qualcosa di diverso in me.»
«Aspetta, non avrai intenzione di nasconderlo a tutti? Penso che ad un certo punto sarà evidente e poi non puoi nasconderti in casa. Tu sei un eroe.»
«Sì, ma questo eroe adesso non può combattere contro niente, ti pare? Avanti, vai tu.»
Genos lo spinse e Saitama si lamentò. Ma perché toccava sempre a lui? Ah, giusto, perché lo aveva ingravidato e perché oramai ne era innamorato. Ma questo, pensandoci, gliel’aveva detto? Era andato da lui a dirgli Genos, ti amo?
No, altro da aggiungere alla lista delle cose da fare.
Aprì la porta, annoiato.
«Ehi. Che cosa vuoi?»
«Come che cosa voglio? Che fine avete fatto? Che fine ha fatto Genos, soprattutto? Sono giorni che non si fa più vedere, né sentire. Sta bene?»
Fubuki fece per entrare, ma Saitama glielo impedì.
«Ecco, vedi… il fatto è che Genos è indisposto al momento. È davvero dispiaciuto, ma per circa nove mesi non potrà fare l’eroe.»
Era difficile nascondere un evento di tale portata e poi Saitama odiava dire le bugie, era troppo difficile.
«Perché nove mesi? Almeno posso parlare con lui? Non può semplicemente ritirarsi così, dal nulla. Cosa diranno all’Associazione eroi?»
«Non lo so cosa diranno, però ecco cosa ti dico io: dubito che per i prossimi nove mesi Genos sarà in grado di combattere. E inoltre, penso che per i prossimi vent’anni – come minimo – io e lui avremo anche altre priorità. Che vuoi farci, così è la vita. Ora se non ti dispiace, puoi andartene? Stavo leggendo una rivista interessante. Ci vediamo.»
«Ma-»
«Ho detto CI VEDIAMO!»
Saitama chiuse la porta e poté sentire Fubuki insultarlo.
Oh, merda, pensò. Prima o poi si sarebbe saputo, difficile che una cosa del genere passasse inosservata.
«Se n’è andata?» domandò Genos.
«Se n’è andata. Ma non credo che possiamo nasconderlo a lungo. E poi non c’è motivo. Cosa diranno quando ci vedranno con un bambino? Gli diremo che lo abbiamo rapito? E poi mi è venuto mal di testa, dove ho messo quelle dannate aspirine?»
Genos cercò nel cassetto e trovò un flaconcino. Si avvicinò a lui e gli si inginocchiò accanto.
«Ecco. Sei diventato loquace da quando è successa questa cosa. È quasi come se non fossi te stesso.»
Saitama si versò dell’acqua e poi ci fece cadere dentro l’aspirina.
«Meglio così, perché me stesso ora è terrorizzato. Se mi fermo solo un attimo, inizio a pensare e io non voglio pensare. Certo, è dura, ma almeno non sono io che dovrò affrontare tutto il dolore e… il parto. Il solo pensarci mi repelle.»
Genos lo aveva guardato in un modo che fece rabbrividire Saitama. Non si era mai soffermato sul fatto che alle volte facesse davvero paura.
«Emh, scusa. Non devo pensare a me. Ma a te. A voi» disse, bevendo.
Genos si avvicinò cauto. Erano orribili quegli sbalzi d’umore. Alle volte si sentiva furioso con il mondo intero. Alle volte sentiva di voler piangere. A volte aveva voglia di sesso nei momenti meno consoni e a volte voleva solo amore come in quel caso.
Poggiò la testa sulla sua spalla e solo allora Saitama si rilassò.
«Ma noi stiamo bene. Non preoccuparti. Se vuoi piangere, puoi farlo.»
«Va bene, ma non lo farò. Uno dei due in lacrime basta e avanza. Sarò un eroe, ma sono anche un essere umano» ammise, socchiudendo gli occhi.
«Io non sono nemmeno quello, fai un po’ tu. Puoi stringermi?»
Saitama non se lo fece ripetere due volte. Lo strinse a sé. Poi cercò giocosamente le sue labbra e lo baciò. Non bastarono né uno, né due, né quattro o dieci baci a frenarli. Volevano di più. Volevano sempre di più.
 
Quando Tamago si spostava e arrivava, era come se si aprisse uno squarcio nell’aria. Velocissimo, giusto un battito di ciglia. Ma quella volta non era sola: Gaoru era saldamente attaccata al suo braccio e la prima cosa che fece fu scostarsi.
Non era mai successa una cosa del genere. Il suo potere generalmente non influiva sugli altri, ma Garou era con lei in quel momento. Niente però lo aveva preparato alla sensazione sgradevole che stava provando. La nausea era forte ed era come se tutto intorno a lui girasse. Inoltre era arrivato anche un grande senso di debolezza. Barcollò e poi si accovacciò.
Merda, pensò. Cos’era tutto ciò?
«Non è una bella sensazione, vero? Non ci si abitua mai» Tamago era altrettanto scossa, un po’ pallida in viso. «Com’è possibile che tu sia qui con me?»
Garou imprecò e poi si rialzò, guardandola. Che ragazza maledetta, aveva capito sin da subito che c’era qualcosa che non andava. Tra l’altro aveva l’impressione di conoscerla davvero molto bene.
«Dove siamo?»
Tamago si guardò intorno
«Forse intendi quando siamo. Credo… nel futuro. Cioè… nel futuro per te, di dieci anni, mi pare. Per me è il passato. Ma non badarci, è più facile pensarlo che spiegarlo» dopodiché si guardò il polso. «Tu eri aggrappato a me e sei finito qui. Come…»
Si ritrovò davanti Garou, che la fissava.
«Hai un potere interessante, tu. Mi sarebbe utile.»
Sempre la stessa storia. Dopotutto a Tamago era già successo. Indietreggiò. Garou non le avrebbe fatto del male. O almeno sperava.
«Credimi, non c’è niente di bello in questo potere. Non lo controllo. So che l’idea di spostarsi nel tempo può fare gola a molti, ma è terribile. Ed è anche pericoloso!»
Intorno a loro non c’era nessuno. Non era la prima volta che Tamago capitava lì, vicino la casa in cui aveva vissuto. Era come se tentasse sempre di ritornare lì dove era stata felice.
Per Garou sarebbe stato facile: poteva costringerla in qualche modo a condividere il suo potere con lui. Minacciarla, farle male, sfidarla. Ma non era questo ciò che gli venne più naturale fare. Assottigliò lo sguardo e, dopo averle lanciato un’altra minacciosa occhiata, si sedette.
«Ho come l’impressione di conoscerti. E se davvero vieni dal futuro, forse ti ho conosciuto. Ti conoscerò. Allora, spiegami come funziona. Come fai a viaggiare nel tempo?»
Tamago sospirò, un po’ più tranquilla. Al diavolo tutto, a lui poteva dirlo. Non aveva scuse o modo di mentire.
«Non direi che si tratta di viaggio nel tempo in senso stretto. D’accordo. Ora immagina il tempo come una linea dritta. C’è il passato, il presente e il futuro. Si può andare solo avanti, no? Bene, è così per tutti. Ma non per me.»
«Continua» disse Garou, interessato.
«Per me il tempo… è come un cerchio. Per me non c’è il prima, l’adesso e il dopo. Mi muovo su questo cerchio a caso, percependo e spostandomi sul tempo così come arriva. Ho avuto questo potere grazie ai Jikan. Ma non ho mai imparato a gestirli. Sono quindici anni che vago su per questo cerchio. Quindici anni di sofferenza.»
Garou fece una smorfia, non tanto perché Tamago gli desse fastidio con le sue lacrime (non solo almeno), ma perché più parlava, più sentiva di conoscerla. E non era certo che gli piacesse.
«Ehi, no. Adesso non metterti a piagnucolare. Allora? Non è poi così terribile. Avanti, unisciti a me. Sai quante cose potremmo fare? Con la mia ambizione e la tua capacità, potremmo essere alla pari di un dio. È un dono.»
Tamago scosse la testa. Quelle parole non gli suonavano nuove.
«Sono stata separata dalla mia famiglia quindici anni fa. Quando ero bambina, una volta sono scomparsa e non sono più riuscita a tornare nel mio tempo. Ma nel frattempo sono cresciuta. Ho visto tante cose, anche se non sono mai andata troppo indietro o avanti. In realtà io cercavo il modo di riunirmi alla mia famiglia. E ci sono riuscita, nel tuo tempo» lo guardò negli occhi. «Il mio obiettivo sarebbe cambiare il futuro. Non dovrei farlo, perché intromettersi è pericoloso. Ma che altra scelta ho? La mia famiglia deve sapere, così potranno impedirmi di avvicinarmi ai Jikan, e poi…»
«Aaah. Maledizione. Ma perché ti ho chiesto? Senti, non mi interessano i tuoi problemi personali. E non posso nemmeno farti fuori, a me interessa il tuo potere. Non puoi cambiare il futuro, non capisci la portata di quello che hai!»
Tamago sgranò gli occhi. L’ultima volta che si erano visti, lei era solo una bambina. Adesso era adulta. Adesso sapeva spiegarsi.
«Ti devo raccontare una storia.»
«Bah, non mi interessa.»
«Riguarda anche te. Io e te ci siamo conosciuti nel futuro.»
Garou la guardò.
«Ebbene?»
Tamago, intestardita, prese il suo viso tra le mani.
«Ebbene, ora mi ascolti, Garou! È importante!»
Maledetta ragazzina. Si appiccicavano tutti a lui, senza lasciarlo in pace.
«Spero per te che non sia una storia noiosa.»
 
Genos stava tenendo in braccio una bambina. Era una cosetta carina e paffutella, a cui si sentiva molto legato. La bambina non stava ferma un attimo, voleva saltellare e ridere e si lamentava e piagnucolava.
«Dalla a me! La faccio camminare!» esclamò Saitama.
«Ma ha sei mesi. Non è un po’ presto?»
«Sì, ma a lei piace, guarda che energia. E poi, andiamo, lo sai che lei preferisce me, perché sono il più simpatico»
Genos si sentì offeso nell’animo.
«Questa è una bugia. È chiaro che il preferito sono io. Io l’ho fatta nascere.»
«Ma io ho aiutato!»
La bambina si lamentò per attirare le loro attenzioni, agitando i pugnetti.  Genos sospirò e le baciò la testa, sentendo il suo profumo.
«E va bene. Però non usarla per fare sollevamento pesi, pensa se ti cadesse.»
«Non la farò cadere, sto attento. E poi a lei piace!» disse Saitama prendendo la bambina, che aveva preso a sorridere contenta, sembrava entusiasta e concitata. Alle volte era come se li capisse.
«La vizi troppo» disse Genos.
«Anche tu la vizi troppo! È la mia unica figlia, per cui… pazienza! Adesso la porto a fare un giro, ciao ciao!»
Genos sorrise e poi scosse la testa.
«Sei sicuro che non vuoi che venga?»
«Ma no, posso sia badare a lei che combattere contro mostri brutti e cattivi.»
«Va bene, ma non fare come l’ultima volta, l’hai lasciata da sola nel passeggino per un’ora!»
Saitama però se n’era già andato. Ah beh. La bambina sarebbe stata bene.
 
 
Genos aprì gli occhi. Da quando aveva scoperto del suo stato interessante, gli capitava di fare quei sogni. C’era sempre la stessa bambina, però non conosceva il nome. Si era fatta mattina, ma doveva essere ancora presto.
«Genooos. Ti ho sentito sussultare nel sonno» disse Saitama, lamentoso. «Hai avuto un incubo?»
«Ah, scusa… no, in realtà era un bel sogno. Penso che avremo una bambina.»
«Come fai a saperlo?» domandò Saitama, più attento.
«Perché la sogno sempre. Anche adesso. Nel sogno, discutevamo per chi fosse il suo preferito.»
Saitama si fece serio.
«Ero io, vero?»
Genos sorrise e poggiò la fronte sulla sua.
«Era un sogno molto dolce. Non mi dispiacerebbe se fosse così.»
«E perché non dovrebbe? Il futuro è ancora tutto da scrivere.»
Futuro. Che bella parola. Era bella perché portava con sé infinite possibilità.
Sia belle, che brutte.
   
 
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