Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: shana8998    16/08/2022    0 recensioni
Lili Bennet è una cima. A soli venticinque anni è già coroner nella sua città. Dopo solo un anno passato a studiare i suoi corpi decide di seguire il suo sogno e mentre intraprende gli studi per diventare una profiler decide di agire sul campo. Fa quindi richiesta di spostamento nel New Hampishire a West Brook per mettersi sulle tracce di un serial killer soprannominato il vampiro. Arrivata in centrale, però, non viene accolta come si aspetta, bensì il tenente capo Kook's la scambia per una segretaria e sta per toglierle il caso. L'arrivo del giovane Serafiris un detective in erba alquanto bravo la salverà, per fortuna, in calcio d'angolo. Lili sembra soddisfatta e per quanto quel ragazzo la metta in soggezione, non ha nessuna intenzione di tirarsi indietro. Ben presto, ahimè, malgrado tutto il caso prenderà una piega inaspettata... Un terribile destino attende la giovane Lili che, all'oscuro di tutto, crede di essere sulle tracce di uno psicopatico. Messa davanti ad una scelta difficile, seguirà il suo cuore o il raziocinio che da sempre la contraddistingue?
< Non tutti sono ciò che sembrano, Lili. Tu più di chiunque altro dovresti saperlo >
Genere: Horror, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dominerò le notti,

ballerò in città,

metterò qualcosa di rosso

per risplendere di fuoco…    

 

                                                2.


E’ notte quando il mio cellulare squilla strappandomi al morbido silenzio del sonno.

Quando apro gli occhi, ancora impastati dal sonno, non trovo subito l’apparecchio. Frugo, perciò, con la mano sul comodino lì dove ricordo di averlo lasciato.

«Pronto?» dico, non ho solo gli occhi impastati ma anche la bocca.

«Bennet-» la voce dall’altra parte della cornetta la conosco bene e riesce a farmi salire i nervi di colpo.

Ma adesso non ha importanza, perché ciò che sentono le mie orecchie mi fa drizzare di colpo tutte le antenne. All’improvviso sono più sveglia che mai.

«-ce n’è un’altra.»

Il cuore mi rimbalza dal petto alla gola in un nanosecondo.

«Un-un’altr…Arrivo.» Farfuglio in preda all’agitazione.

Riattacco e sono già fuori dalle coperte.

Fa freddo e oltre la finestra della mia stanza di motel sta diluviando.

Una pioggia torrenziale e silenziosa.

Decido perciò di infilare i jeans dentro gli stivali e il bomber autunnale sopra il cardigan panna.

Mi raccolgo i capelli biondi in una coda di fortuna e afferro la mia valigetta.

Un attimo dopo sono giù per le scale. Ho il fiatone, temo di cedere al panico ma faccio del tutto per non ponderare l’idea di abbandonarmi ad esso.

All’ingresso del motel, dentro la cabina chiusa da una grata di ferro, c’è un uomo. Era lì anche il primo giorno, ho dato a lui la caparra per la stanza.

«Dove vai?», mi chiede masticando fra i denti un ramoscello di liquirizia.

Ha l’aria trasandata, la pelle ombrata forse dalla poca pulizia e una vistosa cicatrice sulla guancia.

Indossa abiti di diverse taglie più grandi, anonimi, di un insolito color nocciola.

«Mi ha chiamato la centrale.», affermo con fierezza.

Lui fa una smorfia strana prima di parlare di nuovo «Dimenticavo che ora alloggiano anche gli sbirri qui.»

Il modo in cui dice la parola sbirri è irritante. No, non c’è tempo per battibeccare con lui, mi dico.

Scuoto la testa e spalanco la porta di ferro pesante che mi separa dalla gradinata esteriore.

L’uomo fa un’altra battuta ma lo sento appena, perché il cellulare mi squilla di nuovo e sono troppo concentrata a cercarlo in tasca per dar retta a quella canaglia.

«Qui Bennet.» Non faccio in tempo a proseguire che la voce adirata di Kook’s mi riempie le orecchie.

«Dove diavolo sei, Bennet!?», grida furibondo.

«Sono appena uscita di casa.», ammetto.

Non sono in ritardo, non lo sono mai. Era praticamente infattibile far prima di così.

«Due minuti. Ti do due minuti», minaccia.

Sto annuendo al vuoto. Sono certa che la sua impazienza sia solo il risultato del malcontento provocato dalla decisione del capitano Armstrong. Kook’s non mi vuole fra i piedi, ma dovrà farci l’abitudine ed io dovrò fare in modo di non fallire mai. Per nessun motivo.

«Sì signore.» Mi precipito verso l’auto noncurante della pioggia battente, del bomber impregnato d’acqua, dei capelli gocciolanti. 

Devo correre.

                                         *****

Ci sono almeno tre pattuglie con i lampeggianti accesi accanto al bosco. Vedo teste muoversi nel buio e voci, tante, diverse, accolgono il mio arrivo.

Ci sono i Ris e stanno scattando le foto, ma io non vedo ancora nessun corpo.

«Era ora!» La voce insopportabile di Kook’s mi raggiunge ancor prima di chiunque altro.

«Capitano», dico con tono di riverenza. Finta. Falsa come Giuda.

Kook’s fa una smorfia che non riesco a decifrare e poi mi fa cenno di seguirlo all’interno del boschetto di larici.

Sento scorrere un corso d’acqua non lontano da me ma non vedo un accidenti al buio.

«Abbiamo una torcia?»

Kook’s mi guarda distratto e poi, altrettanto distrattamente, si rivolge a qualcuno alle mie spalle.

«Datele una torcia.», comanda.

Una donna con la tuta bianca incollata addosso, per via della pioggia, mi tende una torcia piccola e maneggevole.

L’afferro e indirizzo la luce davanti a me.

«Il corpo non è lontano da qui.», proferisce serafico Kook’s mentre sposta un ramo che gli ostruisce il passaggio. «A ritrovarla pare sia stata quella coppia di fidanzati lì giù.» Mi indica una ragazza avvolta da una coperta e il suo fidanzato, anche lui visibilmente scosso.

Attorno, agenti sembrano porgli una miriade di domande.

Domande che non serviranno a nulla perché quei due erano nel bosco per fare sesso e sicuramente non hanno notato alcunché se non il corpo della ragazza. Visione che li avrà terrorizzati, sicuramente, e che per questo, mi dico, molto probabilmente, avrà fatto si che imprudentemente i due abbiano contaminato la scena del crimine . Sconfortata da quel pensiero mi guardo attorno. La pioggia lentamente sta cessando: il terriccio è umido e scivoloso e il torrente sembra avvicinarsi sempre di più.

«Questa volta si è sentito un vero artista», commenta Kook’s fermandosi di colpo. Deduco di essere vicina al corpo.

 Ad un tratto, la luce bianca della mia torcia scivola sulla punta di un paio di piedi lattei. 

Il torrente c’è e il corpo è riverso sulla sua riva, con la testa nell’acqua.

Stringo i denti. Sento che potrei vomitare.

Il tanfo di morte è oltremodo forte e impastato con la pioggia è qualcosa di insopportabile.

Kook’s ridacchia.

«Tutto bene, Bennet?», domanda con fare di scherno.

«E’ tutto apposto.», ringhio.

Quando mi muovo per raggiungere il corpo Kook’s parla ancora.

«Ehi, novellina fa attenzione.» 

Lo fulmino con un’occhiata tagliente. Per quanto mi creda alle prime armi non lo sono. So come non compromettere una scena del crimine e in questo momento, mi dico, vorrei proprio vedere lui alle prese con il corpo. Il grande capo ha lasciato andare avanti me nonostante mi consideri una buona a nulla, la cosa mi indispettisce e non poco.

Incurante della terra scivolosa sotto la suola dei miei stivali, mi chino quanto basta per superare una piccola sporgenza di roccia che separa me dal cadavere. E’ scivolosa e ricoperta di muschio, ma ciò non mi impedisce, finalmente, di trovarmi accanto al corpo.

La povera ragazza ha la mia stessa età, lunghi capelli neri e occhi chiari, spenti. E’ stupenda persino ora che la vita le è stata strappata via. A scarabocchiare la sua candida bellezza, però, c’è un vistoso squarcio al centro del petto.

Dalla ferita posso vedere i suoi organi: è profonda e chi gliel’ha inferta sa perfettamente come sventrare un corpo. E’ stata prosciugata di tutto il suo sangue è scioccante.

«Un macellaio?», chiedo più a me che a Kook’s.

«Probabile.»

Le osservo le braccia. Come le altre vittime è priva di ogni abito. 

«Non ci sono segni di lotta», costato osservandole la pelle. Né un graffio, né una piccola escoriazione.

«Capitano!», qualcuno attira l’attenzione di Kook’s

che si volta di scatto.

Sopra le nostre teste, fra gli alberi, noto l’uomo sulla quarantina che avevo visto in centrale.

Dalla tasca gli pende il distintivo: il suo nome è Murfis.

«Cosa c’è?», chiede nervosamente Kook’s.

L’uomo non risponde, alza direttamente un mucchio di panni oltre il suo naso.

«Li abbiamo ritrovati a pochi metri di distanza dal corpo.In acqua, la corrente deve averli trascinati via.»

Kook’s guarda i panni stretti nelle mani del tenente poi torna a guardare me.

«I suoi vestiti.», dice come se non potessi vederli da sola.

Poi aggiunge «Il maledetto potrebbe averglieli tolti prima di farle questo…».

Indica con la luce la giovane e me china su di lei.

Perché? Perché ti sei spogliata prima? E’ stato lui o sei stata tu? Lo conoscevi?

Una strana sensazione mi opprime il petto. Sono confusa da tutte le domande che riesco a formulare nella mia testa. Ho bisogno di risposte, di qualcuno che sappia darmene.

«Dov’è Serafiris?», chiedo.

Kook’s mi scruta allampanato, come se effettivamente non sapesse la risposta.

«Vuole dirmi che non è stato chiamato?», sono nervosa.

Mi sollevo da terra e fisso il capitano dritto in faccia.

«Certo che lo abbiamo chiamato.», ribatte impettito.

«Il detective Serafiris era qui proprio un attimo fa.», si intromette l’altro spostando lo sguardo incerto su di noi.

«Credo si sia unito ai Ris per i rilievi.»

«Fatelo venire qui.», comando.

Non sono certa di potermi permettere degli ordini, ma ho la vaga sensazione che questi poliziotti siano dei veri incompetenti.

«Murfis chiama Serafiris.», ordina Kook’s al suo sottoposto.

L’uomo annuisce e si fa indietro verso la boscaglia.

Mi passo una mano sul viso e scaccio alcune goccioline di pioggia dalla fronte.

«Tutto bene, Bennet?», questa volta, stranamente, Kook’s ha un tono mansueto e pacato. 

Annuisco.

«Sono confusa.», ammetto. «Il corpo non presenta escoriazioni, solo quel profondo taglio al centro del petto e…» Le sposto una ciocca di capelli dal collo con la parte terminale della torcia «I classici fori che hanno tutte le altre vittime.»

«Cosa ti crea confusione?»

«Le altre, tutte, hanno lottato. Il più riportava segni di colluttazione e lividi per tutto il corpo, lei no. Questo mi fa credere che-»

«Conoscesse il killer», una terza voce si intromette fra noi costringendoci a voltarci alle nostre spalle.

«Serafiris», lo saluta Kook’s con riverenza.

Roth ha l’aria stanca. Il volto leggermente impastato di sonno e umido per la pioggia. Ha un lungo impermeabile nero calato sulle spalle e indossa gli stessi abiti della mattina precedente.

«Ti sei appena svegliato?», gli chiedo con poca affabilità.

Roth mi fissa impassibile.

«No.»

Non che mi aspettassi una risposta diversa.

Si fa strada attraverso il terriccio umido e con agilità, chinandosi leggermente, scavalca la grande pietra coperta di muschio.

Ora è accanto a me e sento di nuovo una sgradevole sensazione nel petto.

Probabilmente lavorare al suo fianco mi fa sentire sotto pressione.

«La torcia», allunga una mano verso me e ci metto un attimo prima di decidere che devo passagli la luce.

«Ah, si. Ecco.» 

Roth afferra la torcia e con meticolosità ispeziona il cadavere.

«Non ha nulla di diverso dalle altre,» lo informo «stesso profondo taglio al centro del petto, stessi fori sul collo…come avrai notato però-»

«Non ci sono segni di colluttazione, si.», dice al posto mio.

«Già.»

«Anche la penultima vittima non ne aveva.», ammette lasciandomi spiazzata.

«No, non è vero...i tagli sulle braccia...», balbetto colta in fallo.

Lo vedo sorridere appena. Ho uno spasmo.

« Sono stati inferti post mortem. Non ti hanno dato il fascicolo, vero?»

Non so se sia stata una dimenticanza o un dispetto di Kook’s ma è assurdo che nessuno mi abbia informata a dovere sul caso.

«No, nessuno.», dico.

«Nemmeno tu hai chiesto, però…»

Sono piena d’imbarazzo.

Roth sbuffa un sospiro che assomiglia molto ad una risatina e scuote la testa.

«Se vuoi ti passo i miei appunti.»

«Sono apposto, grazie.», dico nervosa. Mi sto vergognando come una ladra.

I lineamenti sul viso di Roth si fanno più seri e marcati. Devo averlo offeso, mi dico. 

«Kook’s». Ad un tratto, Roth alza la voce per farsi sentire dal capitano che, nel frattempo, sta discutendo con un suo collega in cima alla piccola sporgenza.

L’uomo si volta nella nostra direzione e resta in attesa.

«Puoi dire ai Ris di portare via il corpo. Qui abbiamo finito.»

Kook’s annuisce e voltandosi richiama l’attenzione di un paio di coroner non lontani da lui.

«Che ne dici di un caffè?»

Sono sbalordita e anche leggermente imbarazzata. Un caffè? L’ho appena trattato a pesci in faccia. E poi, come può aver voglia di un caffè, proprio ora? Io sto impazzendo dalla voglia di sapere cosa ne pensa il medico della scientifica riguardo questa nuova vittima. Vorrei andare in centrale e assistere all’autopsia. Non voglio un dannato caffè.

Ammonisco lo sguardo, sto cercando le parole per congedarmi ma Roth parla di nuovo e questa volta mi lascia interdetta. 

Come se mi avesse letto nella mente, dice «Il medico legale la prenderà in carico solo domattina, fino ad allora non possiamo far nulla e tu, hai il viso scavato dal sonno.»

Sta sorridendo, cosa che mi fa bollire di vergogna e…rabbia. Roth mi irrita. La sua presenza trasuda autorità. Un’autorità che non merita, secondo me, alla sua età. E poi è superbo, presuntuoso, anche maleducato certe volte. Quegli sguardi di superiorità che mi lancia sono insostenibili.

Mi sfioro una guancia, sono calda.

«Ok.», mi convinco, non ho molta scelta. «Vada per il caffè, allora.»

 

                                              *****

Roth ha un’ auto anonima. Una Berlina del 96. E’ leggermente consumata dall’usura. L’interno sa di un pesante odore di cenere ma sono certa di non averlo mai visto fumare.

Comunque è un odore indubbiamente pungente e sono costretta ad abbassare il finestrino nonostante fuori l’aria sia gelida.

Mentre marcia a passo moderato si accorge del mio fastidio e timidamente sorride.

«L’odore non è dei migliori, già.», ammette «Ho preso quest’auto in centrale. Il vecchio proprietario era un amante di sigari e vodka.»

Lo scruto sorpresa, espressione che si attira un secondo sorriso.

«Vodka?»

Annuisce.

«Ho trovato un paio di bottiglie nel portabagagli. Penso sia stato congedato dal servizio per questo motivo.»

Perché non mi sorprende? In questo posto dimenticato da Dio il corpo di polizia è veramente da rivedere.

Assottiglio le labbra in un’espressione piatta e vagamente imbarazzata.

«Una qualità, però, quest’auto ce l’ha.» Roth allunga la mano verso il cruscotto e pigia un pulsante.

«Una radio funzionante.» 

La vettura viene invasa da un brano rock di cui ignoro il nome della band. E’ una bella canzone cantata in acustica e mi fa strano che un tipo come Serafiris l’apprezzi.

Durante il resto del tragitto rimaniamo in silenzio.

Anche se Roth sembra un tipo abbastanza socievole a discapito della prima impressione che mi ha dato, non ho voglia di parlare con lui. Al momento ho in testa il volto di quella ragazza stampato, indelebile. Non è il mio primo cadavere ma la mia prima scena del crimine e questo ha fatto sì che miliardi di sensazioni contrastanti si aggrovigliassero nel mio petto.

Da sempre, e questo è forse il motivo della scelta di diventare coroner ed ora detective, provo una sorta di coinvolgimento emotivo con le vittime.

In Massachusset qualcuno mi aveva soprannominato “la ragazza che mormora ai cadaveri”. Ho sempre parlato ai loro corpi. E’ il mio modo di indagare, anche se, per lo più, nessuno di loro mi ha mai risposto.

«Siamo arrivati.»

L’auto oscilla sul posto quando Roth schiaccia il freno. Mi desto dai pensieri in fretta.

Parcheggiati accanto al marciapiede, le luci di un locale, il Bug’s, si riflettono all’interno della vettura illuminandola di giallo e rosa ad intermittenza.

«E’ un bar?», chiedo.

«Una specie. E’ vintage.»

Il posto effettivamente ricorda uno di quei locali anni sessanta ed entrata, l’impressione diventa certezza.

Di colpo vengo catapultata nel film Grease.

Il pavimento è scacchettato rosso e bianco. Il bancone altrettanto rosso e lucido percorre metà locale e va dalla porta fino ai tavolini dai piedi di ferro con il piano del medesimo colore scarlatto.

Le sedute sono morbide, imbottite.

Decidiamo di occupare un tavolo accanto alla vetrata principale e Roth raggiunge il bancone per cercare il barista che sembra sparito sul retro.

Il silenzio è interrotto solo dallo scrosciare della pioggia, che, impertinente, è tornata a battere sui vetri e da un brano in sottofondo.

«Finalmente.» borbotta Roth quando intercetta la sagoma di un uomo con un grosso vassoio di paste fumanti stretto fra le dita.

«Voi poliziotti siete sempre impazienti.» L’uomo in questione ha un grembiule a righe blu e bianche. Una divisa alla quale è agganciata una targhetta. Il suo nome è Bob e questo locale, come ci spiega attimi dopo, è suo da moltissimo tempo.

Credo sia l’unico nel suo genere ed è aperto da quando lui era solo un bambino.

In fondo mi piace. Anche Roth sembra apprezzare, non lo facevo tipo da cose vintage.

L’uomo, Bob, ci tiene compagnia ancora per un po’ finché con una scusa non ci invita ad ordinare prima di tornare al suo lavoro.

  Qualche tempo dopo, siamo seduti al nostro tavolo. Bob è sparito nuovamente sul retro ed ora, davanti ai nostri nasi, ci sono due enormi bicchieri di Smoothie.

«Da quanto sei qui, Roth?» Immergo il cucchiaino nel liquido alla fragola e non alzo lo sguardo dal bicchiere finché non sento il ragazzo parlare.

«Da quando è iniziato tutto questo.», ammette.

«Prima ero ad est. Vivo lì.»

C’è un attimo di silenzio, poi, dopo un breve sorso dal suo Smoothie, chiede «Tu?»

«Massachusset.»

Roth strozza una risata «Spiegami cosa ti ha spinta a venire in questo posto-»

«Dimenticato da Dio?», concludo per lui.

Ride.

«Esatto.»

Faccio spallucce «Volevo diventare una detective e questo posto…il vampiro…sono la mia occasione.»

Per un momento i suoi occhi verdi inchiodano il mio viso. Sono impenetrabili come del resto i suoi pensieri.

«Ben presto», dice abbassando lo sguardo, «ti passerà.»

Non capisco. «Cosa?»

«La grinta da giovane profiler.»

Scuoto la testa sorridendo timidamente «Non credo. Penso di essere nata per questo lavoro. Scovare i cattivi», dico sorridendo marcatamente «è il mio obiettivo ultimo. Ho studiato molto per arrivare qui.»

Roth ride di nuovo: «Non dirlo in giro, ti prego.» Contro ogni previsione, rido anche io. Questo posto fa schifo e ammettere di aver sacrificato gli anni migliori per venire qui, be’ è imbarazzante. Ha ragione.

I nostri Smoothie sono quasi finiti, ma per qualche ragione vorrei poterne ordinare un altro e continuare a chiedere di lui. Mi rendo conto solo all’improvviso che Roth è più interessante di quello che sembra.

«I tuoi genitori sono ad est, Roth?»

Roth raccoglie con la punta del cucchiaino l’ultima porzione di Smoothie e la ingurgita.

«No, vivo solo da molto tempo. Loro abitano nelle lande a Nord.»

Adesso mi spiegavo la sua tempra, l’espressione impavida, sicura di sé. Sin da subito mi è sembrato un tipo risoluto.

«Capisco.»

Di nuovo ho i suoi occhi terribilmente verdi puntati addosso. Per un momento mi sento costretta a spostare il peso del corpo da una parte all’altra, sulla seduta. Non riesco a star ferma, cosa mi prende? Perché sono imbarazzata?

«Sei timida, Bennet?»

Sbatto le palpebre, la domanda mi spiazza.

Che razza di domanda è?

«Come?»

«Sei una ragazza timida? Una di quelle che quando viene guardata avvampa e arrossisce.»

«No, non credo per lo meno.» Adesso temo di avere le guance rosse e mi sto vergognando di più. In oltre, il senso di fastidio nei suoi confronti è tornato scalpitante.

Roth non aggiunge altro, si limita a sorridere quasi impercettibilmente mentre raschia con il cucchiaino i residui di Smoothie dal suo bicchiere.

Sto per dire qualcosa quando il suo cellulare squilla.

Si infila una mano in tasca e legge il nome sul display, poi, di colpo, si alza e raggiunge la porta all’ingresso.

Le campanelle su di essa trillano due volte, una quando scosta l’anta e la seconda quando essa si richiude alle sue spalle.

Attimi dopo le sento di nuovo e mi volto di scatto.

«Dobbiamo andare», mi dice. Sembra allarmato.

Mi alzo in fretta e lo raggiungo.

Roth tira fuori dalla tasca un paio di banconote e le lascia sul bancone.

In un attimo siamo in auto e stiamo correndo verso la centrale.

«Che succede? Perché tanta fretta?»

«Pare che il medico legale abbia fatto gli straordinari.» dice, «Stanno analizzando il corpo proprio ora.»

Sono in fibrillazione.

Non devo attendere l’indomani e ciò non mi fa stare nella pelle.

                                           ******

 

Ufficio del medico legale. 2:oo am.

 

L’odore settico di questo posto mi ricorda il Massachusset e tutte le notti passate ad analizzare corpi che, a differenza di questo che sto per vedere ora, non erano vittime di un serial killer.

Attraversiamo il corridoio principale e vedo Kook’s in piedi fuori da una porta.

«Siete qui.», dice mantenendo un fazzoletto premuto contro il naso.

Aggrotto la fronte, è strano che non sopporti l’odore di morte. Proprio lui che mi aveva preso in giro poche ore fa.

«Il corpo non presenta ecchimosi dovute a colluttazione», quando Roth ed io ci avviciniamo alla stanza in questione, sento una voce femminile parlare al registratore.

Mi affaccio. Una donna in camice celeste, dalla pelle scura e i folti ricci neri allacciati dietro la nuca, sta ispezionando il corpo della ragazza del lago.

Lo ha lavato, ed ora su di esso giace un telo bianco.

Comprendo Kook’s. L’odore che sento non ha a che fare con quello dei cadaveri che so di conoscere.

E’ forte e sa di…zolfo.

Persino la coroner fa fatica a trattenersi dal vomitare.

«E’ stata impregnata con qualche sostanza?», chiedo avvicinandomi.

Ho bisogno di proteggere le narici da questo tanfo, perciò, intingo due dita in un barattolo di pomata al mentolo e mi cospargo le narici.

«Le assicuro che servirà a poco», dice la donna scrutandomi «quest’odore è terribile.»

Ha ragione: è nauseabondo.

«Ad ogni modo, dalle prime analisi non è stata rilevata alcuna sostanza chimica. Perciò mi vedo costretta ad ammettere di non sapere da dove proviene questo tanfo, e la ragazza è morta fra le 22 e mezzanotte, perciò escluderei la decomposizione.»

E’ un vicolo cieco questa puzza.

«Anche le altre vittime avevano quest’odore?», chiedo.

La donna afferra il registratore e prima di stopparlo parla di nuovo.

«Si, ma non era così forte. Forse la penultima vittima puzzava quasi quanto questa.»

Da dove diavolo può provenire un tanfo del genere? E perché proprio le vittime del vampiro hanno questo odore? Mi chiedo.

Mi avvicino al corpo. Sono totalmente concentrata su di esso quando, di colpo, una fitta alla testa mi fa serrare la bocca.

Improvvisamente, sento le gambe molli. 

Non mi reggono. Sto per cadere.

«Bennet, tutto bene?»

Un paio di mani mi sfiorano le braccia. La presa è più forte, ora.

Rinsavisco dallo stato di confusione che provo, di colpo.

Roth è dietro di me e mi guarda confuso.

Anche Kook’s e la donna mi scrutano dubbiosi.

«Si, si…Forse mi si è abbassata la pressione», mormoro aggrappandomi al bordo del tavolo di ferro.

«E’ meglio se vai a farti un giro, Bennet.», mi consiglia in maniera sgarbata il capitano.

Questa volta però ha ragione, devo uscire e prendere una boccata d’aria.

«Vuoi che ti accompagno?». Sollevo lo sguardo oltre la mia fronte. Il metro e ottanta abbondante di Roth mi sovrasta. Mi scruta serio, quasi preoccupato.

Scuoto la testa «No, no…Posso fare da sola.»

Attendo di non sentire più le sue mani attorno alle mie braccia e mi allontano dalla stanza.

Sento gli occhi riempirsi di lacrime. Un vecchio nemico sembra essere tornato e vuole distruggermi.

In passato, quando vivevo ancora nella mia città natale, avevo iniziato a soffrire di lancinanti mal di testa. Questi ricorrevano, sempre, durante uno specifico mese dell’anno e il mio medico, all’epoca, li aveva attribuiti a quel particolare cambio di stagione, fra estate ed autunno.

Per un paio di anni si erano attenuati, quasi li avevo dimenticati, ma adesso…Adesso lo avevo riconosciuto quel dolore lancinante.

«Maledizione», ho una vertigine.

Corro con la mano alla parete accanto a me, la vista è leggermente sfocata e sto sudando. Una vampata bollente sembra essermi risalita dalle viscere.

Poggio le spalle alla parete e tento disperatamente di respirare. Annaspo alla ricerca d’aria, questo corridoio sembra infinito.

«Calmati Lili. Sta calma.» Posso contare le pulsazioni del mio cuore nella mia testa.

La sensazione incombente di pericolo mi fa capire che potrei essere vittima di un attacco di panico.

Non ricordo di averne mai sofferto, ma so per certo che i sintomi che ho sono proprio gli stessi.

Scivolo con la schiena lungo la parete. I neon sulla mia testa sembrano ondeggiare e la luce va e viene ad intermittenza.

«Ma che diavolo…»

«Elisabeth».

Mi volto a destra di scatto: è da quella direzione che sento qualcuno chiamare. Il fondo del corridoio è avvolto dal buio. Ho l’impressione che tutte le luci in quel punto siano saltate.

«Chi c’è?»

Tremo. I palmi umidi delle mani scivolano sul pavimento. Vorrei alzarmi ma anche i piedi sembrano scivolare su di esso.

«Elisabeth…» La voce che mi chiama non è più di un sussurro quasi impercettibile. Delicato, femminile, breve.

Stento a credere di averlo sentito.

«Chi c’è laggiù?»

Ruoto su un lato e aiutandomi con il ginocchio puntato a terra, provo a sollevarmi.

Il buio mi fa gola. E’ come se di colpo ne fossi attratta e allo stesso tempo, la repulsione che provo per esso è palpabile.

Torno dritta. Non sono stabile, ma riesco ad avanzare lungo il corridoio deserto.

«Esci fuori!», grido.

Un risata ovattata e lontana mi fa increspare i peli sulla nuca.

Ho paura, adesso me ne rendo conto.

Il buio è tagliato di netto dai pochi neon rimasti accesi sulla mia testa. Sento che oltre quella linea marcata, il confine con qualcosa di terribile verrebbe annientato se solo la sorpassassi.

«ELISABHET!»

All’improvviso, un grido stridulo, disumano, mi fa piegare sulle ginocchia per il dolore. Mi porto di getto le mani alla testa e gemo di dolore.

«Lili. Lili va tutto bene?» Come se fossi appena rinsavita da un brutto sogno e con l’impressione di aver immaginato tutto aggrappata al petto, noto che le luci non tremano più. Sono tutte accese e davanti a me, sul fondo del corridoio, è appena apparsa la porta d’ingresso al piano.

Roth è dietro di me e mi sfiora una spalla.

«Va tutto bene? Ti abbiamo sentita urlare.»

Dietro di lui c’è anche Kook’s e poco più dietro la dottoressa dai folti ricci neri.

«Sto-sto bene.», dico allontanando le sue mani da me, delicatamente.

«Mi fa solo male la testa.»

Roth mi scruta serio.

«Devi tornare a casa e riposarti.»

«Già, Bennet.» Kook’s avanza caracollandosi fino a raggiungerci. «Sei solo d’intralcio qui, in quelle condizioni.»

Lo fulmino con un’occhiataccia ma non sembra intimidito.

«Ho detto che sto bene.»

Nuovamente una mano del ragazzo mi sfiora una spalla.

Roth ha l’aria angosciata. «Kook’s ha ragione, non sei di aiuto così come stai.»
Sospiro avvilita.

«E va bene.» Alla fine sono costretta ad arrendermi.

«Ti porto a casa, se vuoi.» Si offre il ragazzo.

«No.» Fingo un sorriso caldo «Andrò a piedi, casa mia non è lontana da qui.»

Forse per orgoglio o per pudore, non ho intenzione di far vedere proprio a lui dove abito. Non so che idea si è fatto di me, ma non mi va che sappia che il mio alloggio è un motel ad ore dove, per lo più, la clientela è composta da uomini e puttane.

«Non è sicuro lì fuori e lo sai.», insiste il ragazzo.

«Posso farcela da sola, dico sul serio.», sentenzio avvilita.

Roth non insiste. Non so se apprezzarlo o meno ma ora,  tutto ciò che voglio è restare sola. 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: shana8998