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Autore: Swan_Time_Traveller    16/08/2022    0 recensioni
[Prequel su Eddie Munson, il primo di una trilogia, che presenta la famiglia di origine del personaggio e le vicende che hanno portato alla sua nascita.]
"Andarsene, in un posto lontano. Ovunque, purché i giudizi affilati della gente di Hawkins non la raggiungessero: nella mente di Liz però, quelle parole sarebbero risuonate ugualmente, a prescindere dal suo nuovo inizio. E davvero si parlava di questo, di un capitolo da aprire ex novo? Era tutto nelle sue mani, e tutto dipendeva da lei, inclusa la vita che nove mesi dopo avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre: forse era proprio quello il punto, settembre. Il momento in cui quella nascita sarebbe stata concreta, l'attimo in cui sarebbe diventata una madre.
Le incognite erano però troppe, così come la vergogna, le lacrime versate mentre suo padre, Christopher Munson, le ripeteva di non tornare a casa mai più.
Tutto quel di cui Liz era sicura era scappare. Fuggire, allontanarsi per sempre da una cittadina che le aveva voltato le spalle, assieme alla sua intera famiglia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eddie Munson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“His name is Edward”

Buongiorno Dallas! Oggi è martedì 22 giugno e pare proprio che il sole riscalderà tutta la giornata. Ma adesso le notizie del giorno.

La radio in salotto scoppiettava, e la voce dello speaker aveva invaso tutta casa Halliwell: erano le otto del mattino, ed Eleanor era già in piedi da un’ora o poco più, così come Davina Sinclair. Entrambe, indaffarate come non mai, viaggiavano freneticamente tra la cucina e il salotto con vassoi pieni di pasticcini e piccole ciambelle, caraffe con succhi di frutta di vario genere e il caffè fumante che non poteva certamente mancare. Il tavolo più grande della sala era stato allestito con una bella tovaglia color cipria, con qualche motivo floreale disegnato in nero; i tovaglioli erano abbinati perfettamente, bloccati solo dalle posate argentee che riflettevano la luce del sole, la quale sbucava non troppo timidamente dalle finestre.
“Buongiorno.” Esordì in uno sbadiglio William Sinclair che, con molta flemma, aveva percorso la scalinata dando un’occhiata qua e là, alla ricerca della sorella: quest’ultima, sbucando dalla cucina con le mani occupate, lanciò un’occhiata di fuoco al ragazzo. “Hai una vaga idea di che ora sia? E a quale ora ti avevo chiesto di svegliarti?!” Will si grattò la testa e replicò: “Ho presente tutto quello che hai detto, ma adesso sono ancora troppo addormentato per risponderti.” Dal canto suo, la signora Eleanor accolse William con un sorriso, invitandolo a bere una tazzina di caffè: il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e filò in cucina, ignorando palesemente sua sorella.
“Direi che ormai potremmo considerarci soddisfatte, non pensi?” Chiese soddisfatta Eleanor, guardando la tavola imbandita e rivolgendosi poi a Davina, la quale sorrise e rispose: “Sì, decisamente. Penso che Liz apprezzerà.” In quel momento, la porta di casa si aprì facendo comparire il dottor Halliwell che, prima di iniziare la sua giornata in ambulatorio, aveva promesso di rendersi in qualche modo utile per celebrare il compleanno di Elizabeth Munson. “Buongiorno! Direi che ho qualche novità.” Dichiarò entusiasta il medico, appoggiando immediatamente una scatola sul tavolino vicino all’ingresso, e destando la curiosità di entrambe le donne. “L’hai trovato?” Chiese Eleanor a occhi spalancati. Edward annuì, abbozzando un sorriso. Nel sentire quel vociferare, William uscì dalla cucina con gli occhi piantati sulla scatola, che osservava estremamente interessato.

“Ci è voluta una ricerca durata tutta la sera, ma ne è valsa la pena.” Spiegò il dottor Halliwell aprendo, tra le occhiate curiose, la scatola, rivelandone il contenuto: all’interno c’era un telefono di colore rosso, con la rotellina e i numeri che sbucavano in nero da ogni foro realizzato appositamente. C’era anche un cavo che non sembrava nuovissimo ma, al contempo, non presentava segni di usura. “Semplicemente fantastico.” Commentò incredulo William, provando subito a toccarlo con mani; sua sorella, prontamente, glielo sfilò appena in tempo. “Scusa Will, ma non penso che eventuali danni oggi siano contemplati. Dobbiamo fare in modo che Liz possa fare la sua chiamata.” Edward aggiunse: “Dopodiché in realtà mi servirebbe ancora. Non capisco perché avessi deciso di rimuoverlo totalmente dalla mia vista. Forse perché l’avvento democratico di inizi Sessanta aveva con sé uno spiccato ottimismo e una grande voglia di consumismo.” Scosse la testa, ma in realtà nella sua espressione si coglieva una sorta di malinconia e, al contempo, di felicità nell’aver rispolverato quel vecchio telefono.
Sebbene nemmeno Eleanor Halliwell avesse un aggeggio simile (specialmente perché non aveva conoscenti o amici da contattare, e suo nipote andava a salutarla almeno una volta al giorno), aveva saputo indicare prontamente ai Sinclair e a Edward dove il telefono poteva funzionare e raggiungere il suo obiettivo. William non attese un attimo e, sapendo che sua sorella di tecnologia e di telefoni ne capiva ben poco, approfittò della sua spiccata curiosità e abilità per preparare il dispositivo a cornetta.
“Siamo operativi.” Dichiarò dopo una quindicina di minuti Will, rivolgendo uno sguardo complice a tutti i presenti, che certamente non vedevano l’ora di presentare il loro regalo a Liz.


La finestra in camera si aprì leggermente, scricchiolando: il venticello che arrivava dall’esterno aveva mosso delicatamente le tende, lasciando trasparire un raggio di sole che si era indirizzato sul viso di Elizabeth Munson, ancora addormentato. La ragazza strinse gli occhi e, biascicando qualcosa, iniziò timidamente a guardarsi attorno: la luce che aveva illuminato la stanza le faceva intuire che ormai era mattina, e che una nuova giornata era alle porte.
Non una giornata qualsiasi comunque. Il 22 giugno. Elizabeth ci mise un attimo a realizzare, e lo fece quando era già seduta sul letto, dopo una stiracchiata generale. “Oh no.” Borbottò, assumendo una smorfia di disappunto e seccatura. Non era mai stata una di quelle persone che odiano il proprio compleanno, anzi. Aveva sempre organizzato delle feste, anche se i partecipanti bene o male si contavano sulle dita di una mano: le piaceva circondarsi di amici e affetti e trascorrere quell’evento in compagnia delle persone che appunto, a suo avviso, meritavano. Inoltre era sempre riuscita a liberarsi di suo padre, almeno quando il compleanno si organizzava in casa, o in giardino: solo qualche rara volta faceva la sua apparizione, e principalmente nei giorni di festa in cui lo studio legale era chiuso. Molto spesso, da qualche anno a quella parte, al termine del pomeriggio Davina e lei andavano a mangiare qualcosa fuori, o a guardare un film al drive-in.
Ma il 22 giugno 1965 era un compleanno diverso, insolito; una data da dimenticare forse, sebbene l’intento era già fallito dagli inizi con la presenza dei Sinclair a casa Halliwell. Se fossero state presenti Liz ed Eleanor, la ricorrenza sarebbe passata inosservata: forse solo il dottor Halliwell, grazie alla sua grande attenzione ai dettagli, avrebbe memorizzato la data di nascita di Elizabeth fornita nei documenti medici, e sicuramente non si sarebbe perso l’occasione per augurarle buon compleanno. In ogni caso, tale scenario era pura utopia, dal momento che le orecchie della ragazza avevano già captato un chiacchiericcio sospetto proveniente dal piano di sotto. “Forza e coraggio.” Sospirò, ripetendosi tra sé e sé che prima o poi anche quella giornata si sarebbe conclusa. Dall’altra parte però, mentre si cambiava i vestiti per scendere in sala, sapeva di non poter far trasparire il suo pessimo umore: era consapevole del fatto che Davina non aveva atteso altro che il compleanno della sua migliore amica, anche perché sarebbe stata una delle ultime occasioni per stare insieme, dal momento che di lì a poco i Sinclair avrebbero fatto ritorno ad Hawkins. Improvvisamente Liz sentì una fitta allo stomaco: non era il bambino, quello stava ben bene e nemmeno immaginava cosa stesse succedendo fuori, nel mondo di tutti i giorni. Era più che altro angoscia, agitazione, sentimenti che sembravano improvvisamente riempirla e travolgerla così tanto da mettere seriamente il dubbio la capacità di fare la sua apparizione fuori dalla camera. Potrei rimanere a letto, fingere di stare male. Così non posso deludere nessuno. Pensò velocemente, bloccandosi davanti allo specchio e fissando la sua figura: il viso era senz’altro più paffuto di qualche mese prima e la pancia … Beh, quella quasi non le dava nemmeno più danno. Mh ottima idea, Liz. Così il dottor Halliwell si preoccupa, ti visita, e capisce che non c’è nulla che non va, e che sei una gran bugiarda. Era quindi inutile inventarsi piani alternativi: Liz doveva scendere e festeggiare quella giornata.



Le grida di Davina e William facevano praticamente anche la parte di Edward Halliwell e di Eleanor, che invece si erano limitati ad applaudire Elizabeth, che aveva finalmente sceso le scale, rivolgendo un timido sorriso ad ognuno di loro. “Tanti auguri Elizabeth.” Le disse il dottor Halliwell, stringendole la mano e rivolgendole uno sguardo di conforto. Liz apprezzò, sebbene fosse travolta dagli abbracci calorosi della sua migliore amica e del continuo “Auguri!” ripetuto all’infinito da entrambi i Sinclair, che erano certamente più entusiasti della festeggiata. Quando Eleanor accompagnò per mano la ragazza al tavolo stracolmo di cibo e bevande, Liz scoppiò a ridere e, arrossendo, esclamò: “Non era necessario tutto questo! Siete stati … Non ho parole.” Ed effettivamente non le aveva, perché mai si sarebbe immaginata un’accoglienza simile: certo conosceva le manie festaiole della sua amica, ma non credeva che da parte della signora Eleanor ci fosse una partecipazione ed un entusiasmo così sentiti. Guardandola in viso, Liz capì quanto tutti, da William al dottor Halliwell, fossero contenti di aver fatto ciò che avevano fatto per celebrarla. Si sentì per un attimo mancare o meglio, avvertì qualche lacrima prepararsi giusto a bordo ciglia, per lanciarsi lungo il suo volto, e cercò di ricacciarla dentro. “Ah non ti commuovere Munson, che non hai ancora visto nulla!” Disse all’improvviso William, dando una leggera pacca sulla spalla alla ragazza, la quale lo guardò confusa. “Prima che rovini la sorpresa finale, forse sarebbe il caso di invitare la festeggiata a fare una bella colazione.” Lo rimbeccò Davina, accompagnando la migliore amica al tavolo. Elizabeth spostò la sua attenzione su tutto ciò che quella tavola offriva: si accomodò e, avendo già capito che non era autorizzata a muovere un dito, chiese gentilmente un succo alla pesca e una ciambellina. “Non puoi muovere un dito Elizabeth, oggi sono tutti a tua disposizione.” Dichiarò Edward Halliwell, rimanendo composto ma rivolgendo un sorriso genuino alla sua paziente, che lo ricambiò. “In tutto questo, mi secca dover fare il guastafeste, ma devo andare in ambulatorio. Per me oggi è una giornata di lavoro come un’altra. Questa sera però porto gli hamburger.” Aggiunse il dottor Halliwell, facendo nuovamente gli auguri a Liz e salutando tutti, per poi lasciare la casa.



“Mi potete dire ora cosa state complottando? E’ da quando sono scesa che non fate altro che dire cose tra le righe! E a rivolgervi occhiate che ormai boh, vi conosco oggettivamente troppo bene per non notarle.” Lamentò Elizabeth, una volta che la colazione fu conclusa e i fratelli Sinclair ebbero sparecchiato la tavola, con l’aiuto di Eleanor.
“Adesso sali le scale e vedrai.” La incalzò Davina, spingendola delicatamente sui gradini e seguendola, con William che chiudeva la fila con una frenesia e un’emozione tale che appunto erano difficili da nascondere. Una volta al primo piano, Will indicò a Liz quale corridoio seguire: “Adesso entra lì.” Spiegò Davina alla sua amica. Elizabeth guardò entrambi interdetta e replicò: “Ma questo mi sembra il vecchio ufficio del marito di Eleanor. O meglio, di qualcuno di questa famiglia, non so.” Era certamente dubbiosa e non capiva perché i fratelli Sinclair insistessero tanto a farla entrare in una stanza che lei non aveva mai visto, se non di sfuggita uno dei primi giorni, quando la signora Halliwell le aveva fatto vedere tutta la casa. A Liz non piaceva ficcanasare in giro, men che meno entrare in camere o stanze palesemente private, nelle case di persone che non erano della famiglia. In fin dei conti però, da qualche mese a quella parte, gli Halliwell erano davvero qualcosa di molto vicino a dei parenti. Will scosse la testa e, aprendo la porta, le fece strada. “Entra Munson, che non ti mangia nessuno.” Disse, ridacchiando. Elizabeth sospirò e, ormai arresa al volere dei Sinclair, obbedì. La stanza era illuminata, diversamente da quel che ricordava e, al centro della scrivania posta nell’angolo, spiccava un telefono rosso.        Liz sbatté le palpebre, ancor di più perplessa: le avevano regalato un telefono? Forse sì, ma perché Davina ricordava molto bene la diatriba che si era scatenata a casa dei Munson qualche tempo prima: sia Liz che Wayne avevano insistito coi genitori affinché acquistassero un telefono, di quelli che le vetrine dei negozi più al passo coi tempi esponevano fieramente. Come sempre, Ella era rimasta in silenzio, aspettando il responso del marito che non si era fatto attendere: Christopher Munson era stato ancora una volta categorico e inflessibile, declinando la proposta. Questo perché, a detta sua, una volta che lo studio legale aveva a disposizione una cornetta, così come le strade principali di Hawkins e l’officina del figlio, certamente in casa non c’era bisogno di un telefono: anche perché questo avrebbe significato pagare bollette salatissime, dal momento che sua figlia sarebbe stata incollata all’aggeggio per parlare coi suoi amici.

“In barba al vecchio signor Munson.” Commentò divertita Elizabeth, guardando Davina che, facendo spallucce, non nascose la sua espressione soddisfatta. “Sì, ma non è come sembra.” Replicò lei, concedendo al fratello una dimostrazione concreta di quello che era il vero regalo di compleanno. William Sinclair agitò velocemente le dita sulla rotella del telefono rosso: stava formulando un numero, ma Liz non lo riconobbe assolutamente. William alzò la cornetta e, dopo un breve istante di attesa, parlò: “Munson, sei operativo?” Ridacchiò, attendendo una risposta. Elizabeth non poteva credere a ciò che aveva sentito: Will non si era rivolto a lei, ma a qualcun altro. Qualcuno al di là della cornetta. Qualcuno per lei.
Davina rivolse uno sguardo a suo fratello, non per fulminarlo almeno una volta, ma quasi per ringraziarlo dell’impegno che aveva messo nella resa di quel regalo. William Sinclair ricambiò il sorriso e, dopo aver ricevuto la risposta che sperava, rivolse la cornetta a Liz, che iniziò a tremare. “E’ per te.” Le fece l’occhiolino e, non appena la ragazza afferrò il telefono, i Sinclair si dileguarono dalla stanza, chiudendo la porta alle spalle.
“Elizabeth?” La voce che la giovane Munson sentì al telefono la fece sussultare, e in quel momento non riuscì certamente a trattenere le lacrime, di emozione e felicità. “Oh mio Dio. Wayne, sei tu?!” Esclamò incredula lei: quella voce, quella di suo fratello, poteva riconoscerla ovunque, persino al telefono. Ci fu uno scambio di risate imbarazzate da parte di entrambi, poi Wayne specificò: “Diciamo che il mio capo mi ha gentilmente accordato una pausa telefono in officina. Ha capito la situazione speciale.” Attese un istante, e aggiunse: “Auguri Liz, davvero. Buon compleanno.” Elizabeth singhiozzò un attimo e poi, sospirando, rispose: “Oh Wayne! Grazie! E … Grazie ai Sinclair. Ma come avete fatto? Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere.” Scosse la testa, e proseguì: “Mi manchi sai. A breve sarò nuovamente da sola, Davina e Will se ne vanno.” Wayne Munson replicò: “Non preoccuparti. Ho sentito abbastanza del dottor Halliwell e di sua zia da farmi pensare che tu sia assolutamente in ottime mani. Inoltre, non manca molto a settembre. Sarò lì, è una promessa. Ci sarò quando nascerà.”
Liz non era riuscita a realizzare che, essendo il 22 giugno, forse mancavano a stento tre mesi scarsi prima dell’arrivo del bambino: era così emozionata, tremante e grata in quel momento, che nulla le importava di più se non parlare con suo fratello. E, soprattutto, aggiornarlo. “Adesso però devo farti io un regalo.” Disse Elizabeth, con un filo di emozione: si portò una mano alla bocca, stringendola e attendendo una risposta dall’altra parte del telefono. “A me? Il giorno del tuo compleanno?” Wayne era perplesso, non si aspettava nulla e il suo tono lo faceva capire bene. Elizabeth sfoderò un sorriso ampio e brillante, come se avesse suo fratello davanti a lei, reduce da una giornata all’officina, con la tuta sporca e lo sguardo stanco, ma sempre attento.
“Il suo nome è Edward.” Bisbigliò lei al telefono. Seguì un istante di silenzio, poi Wayne replicò: “Del dottore?” Elizabeth rise e ribatté: “Anche, ma non solo.” Attese un attimo prima di parlare, volutamente, perché sapeva che avrebbe portato estrema gioia a suo fratello.

“E’ un maschio, Wayne. Il suo nome sarà Edward Munson.”
   
 
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