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Autore: Swan_Time_Traveller    20/08/2022    0 recensioni
[Prequel su Eddie Munson, il primo di una trilogia, che presenta la famiglia di origine del personaggio e le vicende che hanno portato alla sua nascita.]
"Andarsene, in un posto lontano. Ovunque, purché i giudizi affilati della gente di Hawkins non la raggiungessero: nella mente di Liz però, quelle parole sarebbero risuonate ugualmente, a prescindere dal suo nuovo inizio. E davvero si parlava di questo, di un capitolo da aprire ex novo? Era tutto nelle sue mani, e tutto dipendeva da lei, inclusa la vita che nove mesi dopo avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre: forse era proprio quello il punto, settembre. Il momento in cui quella nascita sarebbe stata concreta, l'attimo in cui sarebbe diventata una madre.
Le incognite erano però troppe, così come la vergogna, le lacrime versate mentre suo padre, Christopher Munson, le ripeteva di non tornare a casa mai più.
Tutto quel di cui Liz era sicura era scappare. Fuggire, allontanarsi per sempre da una cittadina che le aveva voltato le spalle, assieme alla sua intera famiglia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eddie Munson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dead to me 
 

Il compleanno era trascorso in un baleno e, come promesso, il dottor Halliwell era tornato dalla sua giornata in ambulatorio fornitissimo di hamburger e patatine fritte, seguendo alla perfezione le preferenze che ogni ospite di casa Halliwell aveva elencato prima che lui andasse a lavoro quella mattina.

“Stavo morendo di fame!” Esclamò William Sinclair, intento a togliere con veemenza dall'involucro il suo panino. Davina, rivolgendo una delle sue solite occhiate al fratello, scosse la testa e si portò alla bocca una delle tante patatine fritte che erano sul tavolo: nel frattempo però, la sua attenzione era stata catturata da Elizabeth, che da quando era uscita dalla doccia, dopo una giornata trascorsa in giro per Dallas e la telefonata con suo fratello Wayne, sembrava totalmente fuori dal mondo. O comunque, certamente non a casa assieme ai suoi amici.

Gli occhi scuri e profondi della ragazza rivolgevano lo sguardo altrove, fuori dalla finestra, poi nuovamente attorno alla sala, per terra, sulle sue mani, che sembrava tormentarsi come mai prima: non aveva nemmeno preso il suo hamburger dalla borsa di cartone che aveva portato, ancora fumante, Edward Halliwell.

Il suo comportamento e il suo silenzio non erano certamente passati inosservati: la signora Eleanor le indirizzava qualche occhiata, attraverso i suoi occhiali da lettura, ma poi cercava di non farsi scoprire e ritornava concentrata sulla cena, con qualche sospiro in più del previsto. William era certamente troppo impegnato a sgranocchiare tutto ciò che gli passava davanti, ma le sue orecchie non erano abituate a quel tipo di silenzio; infine il dottor Halliwell, che nella sua indole aveva discrezione a palate, si era limitato a guardare prima Davina poi Liz, e ancora all'inverso, nella speranza di captare qualcosa. Non voleva farsi gli affari della sua paziente, men che meno quelli della figlia dei suoi amici, tuttavia aveva l'impressione che qualcosa fosse andato storto in quel compleanno che non si doveva festeggiare, a detta proprio della protagonista.

Forse era stato quello il problema? Essere andati contro la volontà di Elizabeth Munson? Edward sospirò, probabilmente senza nemmeno accorgersene e, abbozzando un sorriso, rivolse una domanda alla ragazza: “Allora Liz, che ne pensi della sorpresa che ti hanno fatto?” Come svegliata da un sonno profondo, la giovane Munson sobbalzò e, tornando alla realtà, annuì e replicò: “Moltissimo. Non me lo aspettavo.” Tutti restarono in attesa di un'altra parola, commento o impressione, perché così era Elizabeth: iniziava una frase con poche considerazioni, temendo di annoiare ... Poi proseguiva, non appena si rendeva conto di essere effettivamente ascoltata da persone realmente interessate a quel che aveva da dire.

Quella sera però non aggiunse altro, anzi: quasi consapevole di aver insospettito se non altro la sua migliore amica (che la conosceva da troppo tempo per non accorgersi di questo strano comportamento), cercò di sviare qualsiasi dubbio affondando le sue mani sull'hamburger rimasto nel sacchetto, che era effettivamente il suo.

Ne mangiò due bocconi, uno di fila all'altro, dopodiché si portò una mano sulla bocca e, deglutendo, sorrise e dichiarò: “Scusate, temo che stasera l'hamburger non sia di gradimento a qualcuno.” Aspettò un istante, ignorando volontariamente gli sguardi dei due Sinclair. Rivolgendosi poi a Eleanor e Edward, Elizabeth si alzò e concluse: “Grazie per la cena e... Per tutto. Se non vi dispiace esco a prendere una boccata d'aria.” 

Non attese alcuna reazione da parte degli altri commensali: abbandonò la tavolata e, afferrando di fretta la sua giacca, la indossò al volo e impacciatamente, per poi uscire dalla casa.

Le serate a Dallas sembravano ancora piuttosto fresche: mentre durante il giorno il caldo di giugno si faceva sempre più prepotente, quando il sole era ormai tramontato e la notte subentrava dolcemente sulla città, si alzava un venticello fresco che portava sollievo.

Liz inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi: non c'era un'automobile che circolasse in quel momento, né una bicicletta, o qualche bambino di corsa sulla via di casa. Il silenzio la avvolse, e così anche i pensieri che aveva cercato di tenere a bada finché era in compagnia.

Una volta raggiunto il parchetto, che distava davvero pochi minuti da casa Halliwell, Liz si sedette su una panchina e, appoggiate le mani sulla pancia, ripercorse quella giornata che aveva assunto i contorni del compleanno più assurdo, insolito e, a tratti, terribilmente triste della sua intera esistenza.

La telefonata con Wayne era stata una vera e propria sorpresa, iniziata con un vortice di emozioni inspiegabile, e con la sua voce rotta dalla commozione, che dichiarava a suo fratello il sesso del bambino, ed il nome.

“Sai già che lo chiameremo solo Eddie in famiglia.” Aveva subito commentato Wayne, anch'egli in preda a una risata di contentezza e grande emozione. 

“Non importa, andrà bene Eddie. Purché sia felice.” Aveva poi replicato Elizabeth, iniziando seriamente a pensare ai contorni che avrebbe assunto il volto di suo figlio, a quanto sarebbe stato eventualmente simile a lei, al colore dei suoi occhi, che l'avrebbero guardata come riferimento, con gratitudine forse agli inizi. Poi magari, in fase adolescenziale, quegli stessi occhi avrebbero osservato sua mamma con insofferenza, ribellione. Chi poteva mai sapere come sarebbe stato il suo Eddie?

“A tal proposito Liz.” Poi suo fratello Wayne, dall'altra parte del telefono, l'aveva riportata alla realtà, con un tono diverso dal precedente: sembrava intenzionato a lasciare perdere per un attimo i festeggiamenti, il compleanno di sua sorella e l'annuncio, per concentrarsi su qualcosa di molto più importante. 

“Dovremo seriamente pensare al dopo.” Continuò, lasciando tuttavia un altro istante di totale silenzio: era inutile, suo fratello non riusciva mai ad arrivare al dunque subito. A differenza di Liz, che spesso e volentieri si faceva prendere dalle riflessioni srotolate ad alta voce, Wayne era un tipo più taciturno, enigmatico, in un certo senso. Faceva dichiarazioni a metà, iniziava un discorso e poi lo troncava così, ancor prima di dargli una vera forma. 

In quel momento, Elizabeth non riuscì però a tollerare quel tratto caratteriale di suo fratello, perché il tono era stato piuttosto esplicativo e perché, proprio per questo motivo, forse era necessario proseguire e andare dritto al punto. 

“Mancano forse tre mesi, o meno. Giusto? Il dottor Halliwell ti ha ... Non so, dato una stima di quando sarà pronto?” 

Altre domande per nulla rilevanti, che non facevano altro se non distogliere l'attenzione sul punto centrale della faccenda, al quale Wayne non sembrava voler arrivare in fretta. Considerato inoltre che stava utilizzando il telefono dell'officina, chissà quanto sarebbe durata la conversazione: probabilmente non abbastanza per far capire a Liz cosadiamine volesse davvero dire suo fratello. 

“Non è un prosciutto Wayne. E' un bambino. E no, non è così facile capire la data precisa. Probabilmente a inizio settembre comunque. Qual è il punto, ad ogni modo?” Elizabeth sembrava spazientita, perché quell'ultima domanda era stata sputata: Wayne lo notò, ma cercò di non dare adito a quel nervosismo che altrimenti avrebbe chiuso la telefonata prima del previsto. 

“Intendo dire che dobbiamo trovare un momento per fare il punto della situazione. Occorrerà programmare il rientro a Hawkins, preparare il caravan e contattare la signora Sinclair, che ha già detto che potrà darci una mano per constatare che la mia casa su ruote sarà un ambiente temporaneo adatto al bambino.” 

Liz aveva sgranato gli occhi e aveva spalancato la bocca, cercando ossigeno, perché improvvisamente le sembrava mancare aria sufficiente per sopravvivere a quell'ondata di parole che, sorprendentemente, era uscita da suo fratello. 

La conversazione era proseguita poco di più, con Elizabeth che aveva immediatamente alzato il tono, tutt'altro che spazientito in quel momento: era furibonda lei, era incredulo il suo timbro di voce. 

Wayne aveva già programmato tutto, ecco qual era il punto: glielo aveva esclamato al telefono, sconvolta da quanto le sue orecchie avevano appena sentito. 

“Chi ti dice che io voglia tornare ad Hawkins? A due passi da mamma e papà, tra l'altro?! Ed in una città che non ha davvero più nulla da offrirmi?!” Aveva proseguito, stavolta vicina alle lacrime. 

Non poteva seriamente credere a quel che stava accadendo, come la telefonata, piena di emozioni e commozione sull'incipit, si stesse trasformando in un incubo: ciò che sembrava turbare di più Liz era il fatto che suo fratello volesse dare un'altra possibilità alla cittadina che li aveva visti nascere e crescere. 

La stessa città, Hawkins, che l'aveva rinnegata assieme ai suoi genitori, alla scuola, a tutti coloro che fino a poco tempo prima sembravano essere la cornice naturale della vita di Elizabeth: a nessuno sembrava interessare l'assenza di lei, di una Munson. Né alla sua famiglia natale, né ai compagni di classe, agli insegnanti: i commenti che l'avevano spinta fuori da quei confini erano ancora incastrati tra le sue costole, e facevano male ogni volta che Elizabeth respirava. 

Cos'altro poteva dare Hawkins ad una come lei? 

“Sono scappata da quella città, Wayne. Fuggita, con tutte le forze e la determinazione che avevo con me in quel momento. Non puoi chiedermi davvero di tornare.” Mormorò lei, ricacciando dentro le lacrime. 

Wayne sospirò e replicò: “Non puoi nemmeno pensare che Dallas sia il tuo futuro, Liz. Io non potrò aiutarti a questa distanza, non potrò esserci sempre, lo capisci vero?”

Lei si irrigidì, contraendo la mascella quasi per non far uscire alcuna parola: il pensiero di vivere quei nove mesi per sempre, come quotidianità anziché eccezionalità, e quindi lontana da suo fratello, le aveva appena tolto il respiro. Ancora. 

Non sapeva cosa dire, come replicare. Immaginare una vita senza Wayne o meglio, con Wayne ma solo a tratti, come presenza incostante, fatta di chilometri e chilometri di distanza, di aerei costosi e strade a volte impraticabili, le rendeva tutto improvvisamente impossibile da vivere, da affrontare. 

“In più ... Quel ragazzo. Potrebbe seriamente meritare di sapere, una volta tornati a casa.” 

Su quella panchina, avvolta nel cappotto extra large che sembrava nascondere anche parte del viso, Elizabeth Munson non faceva altro che ripercorrere quella telefonata e, soprattutto, le ultime parole che aveva rivolto al fratello, dopo la sua osservazione conclusiva.

“Lascia fuori chiunque non sia te, me, Davina o Will. Non sono affari di nessuno, se non miei, e di Eddie.” 

Aveva poi riattaccato, con una furia talmente incontrollabile da non renderle nemmeno possibile processare quell'istinto: si era pentita il secondo successivo, quando i suoi occhi si erano posati sulla cornetta rossa, correttamente riposta.

Era stata talmente violenta in quell'atto, che Davina e Will avevano istintivamente aperto la porta, segno chiaro di quanto stessero origliando: Liz era talmente furibonda e al contempo presa dai sensi di colpa, che non aveva nemmeno commentato il fatto che i fratelli Sinclair fossero stati ad ascoltare la conversazione fino a quel momento.

Era poi uscita dallo studio spintonando leggermente William, e non aveva più parlato di quella conversazione per il resto della giornata.

 

Osservando il cielo scuro, illuminato da pochissime stelle, Liz si morse il labbro inferiore: era stata un'ingrata, una stupida a riattaccare e concludere così la telefonata a sorpresa con suo fratello. Un magone devastante sembrava attanagliare la sua stessa gola, e il dispiacere di non aver potuto semplicemente salutare suo fratello con affetto, era sempre più incontrollabile. Avrebbe dovuto rimediare, ma quando? Chissà.

L'unico aspetto positivo di quella discussione era nato dal fatto che, a tre mesi scarsi dalla nascita del bambino, Liz era riuscita finalmente a trattarlo come parte della sua nuova famiglia, come unica altra entità che avrebbe avuto voce in capitolo nella sua esistenza. 

Eddie Munson. 

Era un bel soprannome per suo figlio, sebbene Edward fosse certamente il principale. Così lo avrebbe chiamato probabilmente solo quando sarebbe stata davvero arrabbiata con lui.

Sorrise. Pensare alla sua vita da madre in quel momento non la spaventava così tanto, ma non poteva fare a meno di pensare alle idee che aveva Wayne in testa. Aveva menzionato non solo la madre dei Sinclair (chiaro segno del fatto che anche i suoi amici sembravano organizzare la sua vita post-parto senza interpellarla), ma ancheRobert. Lo conosceva? Wayne aveva avuto modo di scoprire l'identità del padre del bambino? 

In ogni caso erano tutte domande inutili, irrilevanti: Bob Rossdale, nell'ottica di Liz, avrebbe continuato a spacciare nelle città circostanti e a racimolare qualche soldo aggiunto suonando nei vari locali dell'Indiana, ignaro di aver lasciato sulla sua strada qualcuno con qualche suo gene.

Liz scosse la testa e pensò, tra sé e sé: “Speriamo meno geni possibili.”

 

Il rumore di passi che si avvicinavano nell'erbetta già piuttosto alta del parchetto, fece voltare Liz, che scorse la sagoma della sua migliore amica.

“Edward mi ha detto che saresti stata qui, con ogni probabilità.” Dichiarò Davina, sedendosi immediatamente a fianco dell'amica. Molto bene, adesso pure i suoi luoghi segreti a Dallas non erano così tanto segreti.

“Vuoi parlarne?” Chiese con determinazione e al contempo velata preoccupazione alla sua migliore amica, che non sembrò dispiaciuta di avere finalmente compagnia.

“Hai già sentito tutto, direi.” Replicò Elizabeth, rivolgendo però un sorriso alla ragazza, come per farle intendere che non era assolutamente arrabbiata per aver scoperto che aveva origliato, assieme al fratello, l'intera telefonata.

“Ehy, ho potuto solo sentire la tua voce. Il resto me lo sono dovuta immaginare.” Si scusò Davina, ridacchiando.

Elizabeth sospirò e le raccontò più o meno il succo della conversazione, aggiungendo che senza dubbio il futuro del bambino le stava a cuore, più di ogni altra cosa.

“Proprio per questo non so se Hawkins sia il posto giusto per lui.” Dichiarò Liz, scuotendo la testa. “Come pensi che verrà giudicato? Ancor prima di diventare un ragazzo, un adulto! Eddie Munson, figlio per un errore, che vive con sua madre e suo zio in un caravan.” Guardò a terra, chiaramente già in colpa nei confronti di suo figlio per quel che stava dicendo.

“Penso che ognuno di noi abbia diritto ad avere una possibilità. Incluso questo bambino, Edward. E credo sia giusto che venga circondato da quella parte di famiglia che davvero desidera conoscerlo e viverci assieme. Inoltre, non dimenticare la zia acquisita.” Replicò Davina, sfoderando un sorriso di conforto rivolto all'amica, la quale ridacchiò, quasi sollevata.

“Questo certamente potrebbe aiutare.” Commentò Elizabeth e, giocherellando con un pezzo d'erba che aveva strappato poco prima, aggiunse: “Wayne ha anche provato a mettere in mezzo Robert.” A quelle parole, Davina sbuffò ed esclamò: “Incredibile! Tuo fratello è veramente testardo, quasi quanto il mio. Quando lo abbiamo incontrato, poco prima di partire per Dallas, gli avevo ben spiegato quale fosse il tuo parere a riguardo.”

Liz spalancò gli occhi e ribatté allarmata: “Non gli avete detto chi è, vero?!” 

Davina scosse la testa, contenta del fatto che, per una volta, suo fratello Will fosse riuscirto a starsene zitto.

“Molto bene.” Disse sollevata Elizabeth.

“Perché per me Robert Rossdale è morto.”

   
 
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