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Autore: Brume    17/08/2022    8 recensioni
Vigilia di Natale 1788, Oscar rientra a casa, sola. André non è con lei.
Dopo una notte di attesa, crolla esausta, stanca; in quel frangente, un sogno anzi...un incubo la raggiunge ed è qualcosa di tremendo, che la scuote, la sconvolge...finché, per fortuna, una voce la raggiunge. E' André.
Una piccolo one shot ambientata alla fine del 1788 , dopo due anni pieni di tribolazioni, prima che scoppi la bufera che devasterà la Francia. La cronologia utilizzata è quella del manga, così come alcuni tratti del personaggio di Oscar che, rispetto all' anime, è più passionale, sanguigna.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Dove sei finito, André? Perché non mi hai detto nulla, ieri, uscendo dal mio studio?
Sono dovuta tornare a casa… la mia presenza era richiesta, non ho potuto aspettarti…ma che strano, tornare a casa senza di te! Senza ascoltare il rumore degli zoccoli del tuo cavallo , senza sentirti dire una sola parola!...”



Ho dormito poco e mi sono svegliata presto e questo è stato il mio primo pensiero, appena sussurrato; è la mattina della Vigilia, domani è il giorno della nascita di Nostro Signore,  il Santo Natale….e sarò più vecchia di un anno. Presto ci raggiungeranno, qui a Palazzo, le mie sorelle e tutti i parenti,  prossimi ed acquisiti…ma tu? Dove sei?
Ieri, quando ci siamo salutati come tante altre volte, mi sembravi tranquillo.
Mi hai perfino detto  “ti aspetto per il rientro, stasera, Oscar…” ma al nostro solito posto non ti sei presentato né ho potuto chiedere a qualcuno se ti avesse visto, essendo i soldati in licenza, al caldo del loro  focolare domestico. Si, ti ho aspettato; sotto la neve, battendo i denti e continuando a cercare, fin dove il mio sguardo arrivava, qualsiasi segno della tua presenza…ma nulla! Non ho trovato nulla!;quindi…perdonami, ma sono tornata a casa da sola, con la speranza – racchiusa nel cuore – di poterti trovare seduto al tavolo della cucina a chiacchierare amabilmente con Nanny…
Invece no. Se non potevi tenere fede alle tue parole, perché le pronunciasti?Né qui né altrove nei dintorni ti sei palesato…ed una paura mi ha avvolta.

Si, lo so.
Sono stati tempi duri, questi ultimi due anni.
Molte cose mi hanno segnato ed il mio animo , il mio cuore sono stati spesso scossi da violente tempeste che hanno rischiato di lasciarmi senza fiato e, talvolta, ho pensato di odiarti. E di odiare me stessa. Ad un certo punto della mia vita… ho creduto di non volerti più al mio fianco, mi ero illusa di potere restare senza di te perché, in fondo, non avevo più bisogno dei tuoi servigi…Perché pensavo di non avere più bisogno di te.
Tuttavia, mio caro André, mi sono resa conto che non posso vivere senza di te; ma sarei egoista a relegarti qui, al mio fianco, eterno cavaliere servente…visto che quello, secondo le normali regole sociale, potrebbe essere il tuo solo ed unico ruolo…

“Oh, diamine…che confusione! Ma che sto pensando?“ dico.

Infilo le dita tra i capelli e con il palmo delle mani stringo la testa, quasi volessi provare a fermare questi pensieri tuttavia….poco dopo le lascio libere di cadere, insieme alle braccia molli, lungo i miei fianchi; con poche falcate quindi raggiungo il tavolo da toeletta, dove mi siedo e fisso il mio viso pallido riflesso nello specchio. Sono un’ anima in pena, senza requie.
“Sei stanca, Oscar !“ mi dico; alzo gli occhi al cielo, allungo una mano e afferro la spazzola iniziando a pettinarmi i capelli…ma nemmeno questo serve a distrarmi. Anzi; mi faccio solo del male, tirandoli, quasi strappandoli.

“Hai deciso di rifarti una vita, André?”
Questo pensiero  che la mia voce rende reale arriva all’ improvviso senza nessuna avvisaglia ed è un pensiero violento, come un ceffone in pieno viso.Mi destabilizza, anche se sono seduta sento quasi venire meno il mio equilibrio.
Mi manca l’ aria.
Mi gira la testa.
Mi alzo e lo sgabello, dalla foga, cade per terra. Spalanco la bocca quasi in una smorfia, ho fame di aria fresca e pulita quindi corro verso una delle finestre e la apro poi aspiro , forte, l’ aria che solitamente preannuncia la neve. Li vi rimango per un po', finchè Nanny non bussa alla porta, entrando con un tè caldo pensando di trovarmi a letto.
“Mademoiselle! Prenderete un malanno!” dice con la sua solita, cara  e altrettanto soffocante apprensione, posando il vassoio con la brocca e la chicchera sul tavolino di servizio, correndo poi subito verso di me.
“Dovete prestare attenzione” la sento bofonchiare, ribadire,ancora, mentre armeggia con le sue mani paffute per chiudere la finestra “ …ordunque, Oscar, cosa vi passa per la testa?”

La guardo.  E devo farlo in un modo talmente strano che quella tenera donnina sgrana gli occhi.

“Voi non state bene, siete pallida, stanca…coricatevi ancora per qualche ora” mi dice.
Le sue braccia mi cingono come possono e mi conducono verso il letto, prima di tastarmi la fronte almeno una decina di volte.
“Riposatevi, più tardi passerò a vedere come state, nel caso chiamerò il medico” dice.

Le faccio un cenno con il capo mentre mi stendo , con movimenti lenti, sul letto.
Lei si ferma a guardarmi, prende la tazza , il piattino con alcuni biscotti e li posa sul comodino accanto al letto.
“Grazie, Nanny” le dico con un filo di voce. Le uniche mie parole.
 La vedo accennare un sorriso e, con discrezione, andare via. Quindi torno alle mie elucubrazioni.
So che dovrei riposare, ma quel pensiero, arrivato per caso, mi sta tormentando l’ anima.
“E se fosse vero? Se davvero André di fosse rifatto una vita, staccandosi da Palazzo e dalla sua vecchia vita?penso. Di nuovo.
No, non è possibile!” mi ritrovo ad urlare. Io...Di solito… così impassibile e misurata. La  mia voce roca echeggia nella stanza e mi pare di sentirne la eco…o forse sono io, forse è una sorta di delirio.

Nel giro di pochi minuti sento il mio corpo cambiare.

Prima lieve formicolio, un brivido, un po' ovunque. Poi la testa pesante.
Inoltre ho caldo, molto caldo e…sento i miei  occhi si farsi umidi; giusto il tempo di osservare la tela damascata che ricopre il baldacchino del mio letto  e di fare due pensieri che…dopo pochi minuti crollo. Mi lascio andare, tra le braccia di Morfeo, senza pensare più a nulla, sperando che Morfeo mi regali un po' di sollievo…ma non è così; presto, sono catapultata in un sogno tremendo.

Mi trovo davanti alla chiesa di Saint Germain des Prés.
Che ci faccio qui?
E’ primavera avanzata ormai, l’ aria è solo un pochino umida ma, tutto sommato, ancora fresca; sono in sella al mio cavallo, in abiti civili, accanto a me Alain.
“Perché  hai voluto portarmi qui a tutti i costi? Soprattutto, perché hai detto che era necessario che mi vestissi in tale guisa?” gli domando riferendomi alle vesti che indosso. Lui, impettito, mi guarda e poi con un cenno della testa mi indica una direzione: i miei occhi seguono quindi il suo braccio. Mi vuole mostrare una cosa, qualcuno… che presto  vedo.
André.
E’ seduto ad un tavolo, giusto fuori da un sorta di negozio; le sue mani armeggiano veloci lame, piccoli scalpelli, modellando quelli che appaiono come  inutili pezzi di legno in piccole sculture che talvolta appoggia al tavolo, talvolta in una cesta ai suoi piedi. Noto che alcune persone si fermano e vanno via quasi subito, altre invece prendono una piccola statuina, fanno due chiacchiere e poi salutano, lasciando un obolo sul tavolo.
Io fisso Alain; sono passati parecchi anni da ché lui sparì…mi ero messa il cuore in pace…ora, invece, il mio cuore sta cadendo a pezzi.

“L’ ho trovato per caso: ma non mi ha riconosciuto. Ho portato qui anche Jacques, Pierre…ed anche con loro la stessa storia. Ma è lui. Ne sono certo.”
Mi sento felice e, allo stesso tempo, sconvolta; il mio cuore batte all’ impazzata. Guardo Alain negli occhi, timido ringraziamento. Però….
Però ora devo scendere da cavallo, andare da lui; ora capisco perché Alain mi ha chiesto di indossare abiti che di solito utilizzo solo a casa…vedendomi in divisa, magari…avrebbe avuto paura.

“Andrè…Andrè! Mi riconosci?” dico, anche se sono distante alcuni metri.
“Andrè, André!” ripeto, con sempre più crescente agitazione. Sento Alain avvicinarsi a me. Insieme lo raggiungiamo.

La persona che io credo sia Andrè alza lo sguardo, ma è uno sguardo sorpreso, forse non si aspettava di vedermi li. Si, è lui. I suoi occhi li riconoscerei tra mille altri. Ma sono spenti… Forse davvero non sa chi sono.

“E’ sordo, non può sentirti” dice una voce alle sue spalle.
 Distolgo lo sguardo dal mio André e cerco questa voce.
Appartiene ad una ragazza, una popolana. Ha le mani sui fianchi e uno sguardo non molto amichevole.
“Posso sapere cosa volete da lui?” domanda.
Mi volto verso Alain, torno a fissare Andrè, poi la donna. Cerco di sorridere.
“…Credevo fosse…credevo fosse una persona di mia conoscenza” rispondo “…il suo nome è André, André Grandier” dico.
La ragazza alza le mani e si aggiusta la cuffietta che trattiene una massa di capelli di un biondo slavato. Tiene alcune forcine tra le labbra.
“Mi dispiace, non so come aiutarvi. Il suo nome è Guillaume ed  è giunto qui qualche giorno dopo la presa della Bastiglia; era ricoperto di sangue e, non appena ha toccato il giaciglio che gli abbiamo offerto è crollato. E’ stato tra la vita e la morte per parecchi giorni,  la mia famiglia l’ ha accolto, curato…questo è tutto ciò che posso dirvi” risponde.
André osserva la donna, sorride, cerca i suoi occhi, allunga una mano. Devono essere molto intimi, a quanto pare. La donna la afferra e la tiene stretta.
“Non preoccuparti, Gil. Sei al sicuro. Questi signori vogliono solo fare delle domande” gli dice scandendo bene le parole. Andrè sorride, è tranquillo, guarda la donna poi fissa me ed Alain; infine, chinandosi in avanti, raccoglie dal cestino una piccola trottola e me la porge.
Allungo la mia mano, sto tremando;afferro la trottola come posso, rischia di cadere a terra un paio di volte. Infine… la porto al mio petto e poi…cerco ancora i suoi occhi. Per un lungo, intenso attimo ci fissiamo. So che mi ha riconosciuto.
“Ora scusateci, dobbiamo andare a prendere nostro figlio dai miei genitori, abbiamo un po' di strada da fare” dice la ragazza; quindi prende sottobraccio André, lo aiuta a recuperare i suoi attrezzi e mette in tasca i proventi delle sue vendite. Lui mi sorride, poi prende la sua strada. Io li guardo andare via e, non appena scompaiono dietro l’ angolo, lascio andare tutto il dolore. Sono incredula, non credo a ciò che ho visto. Silenziosamente, mi volgo verso Alain e scoppio a piangere, rifugiandomi tra le sue braccia pronte ad accogliermi.
“Oscar, io …. Ho fatto male , ho fatto male a portarti qui!” lo sento dire; continuo a piangere, non rispondo, mi afferro sempre più forte alla sua giacca e, per un tempo che a me sembra infinito, rimango li…per lo meno, finché non sento una voce chiamarmi.

“Oscar! Oscar!”


Ma sei tu, André? Dove sei?

“E’ così da stamattina. L’ ho trovata davanti alla finestra, solamente con indosso la camicia da notte… ha avuto la febbre tutto il giorno…”. Questa è la voce di Nanny.

Cosa sta succedendo?

“Oscar, sono io, André. Come stai? Dimmi qualcosa, Oscar….”


Allora…sei proprio tu….penso.
Apro gli occhi. Mi guardo intorno.

Non sono per la strada, Alain non c’è.
Sento il mio viso caldo e bagnato, ho la gola secca; chiedo un poco di acqua e cerco di mettere a fuoco ciò che vedo.
“Andrè…sei qui!” esclamo, sorpresa; lui, in piedi in fondo al letto, si avvicina. Nanny gli lascia il posto, ci guarda, poi esce dalla porta reggendo il catino al quale cambiare l’ acqua.
“Certo, Oscar. Dove potrei essere? E’ la notte di Natale, sono arrivato circa tre ore fa” risponde.
Mi allunga il bicchiere d’ acqua che mi ha versato e tenuto in mano fino a questo momento. Lo bevo a piccoli sorsi.
“Io…io ti ho aspettato, per ore. Sono tornata a casa da sola, ho cenato in camera. Ti ho aspettato gran parte della notte e….”
André si allontana da me, raggiunge una chaise longue sulla quale è appoggiato un mantello ed accanto ad esso una bisaccia; infila le mani all’ interno, ne prende un piccolo pacchetto, semplice.
“Ho dovuto allontanarmi da Parigi. Ti ho preso un regalo…per il tuo compleanno” risponde, con un filo di voce “ mi dispiace, Oscar. Non volevo farti preoccupare…pensavo davvero di tornare a casa con te ma…ci sono stati alcuni imprevisti….Oh, Oscar….”

Con un gesto, chiedo che si avvicini a me e si sieda al mio fianco e che mi aiuti a mettermi seduta; è piacevole sentirlo vicino a me, sentire le sue braccia forti cingermi, sistemare i cuscini.

“Che ti succede?”mi domanda, sorridendo, ad un certo punto. Le sue mani riprendono il pacchetto che aveva lasciato temporaneamente appoggiato sul trumeau e lo tengono stretto. E’ preoccupato, lo vedo.
Ho avuto paura di perderti. Ho sognato che… ti ho sognato, André…ed è stato tremendo! Tu eri…eri…” rispondo.
Le sue dita, soffici, si posano sulle mie labbra. Io mi zittisco.
“Era solo un songo…” dice tranquillizzandomi “ stai tranquilla, ora sono qui con te”. Infine:
“Tieni, Oscar. E’ solo un pensiero che ho fatto fare per te…e scusami, scusami ancora, non volevo procurarti tutto questo….” Dice. Mi sorride

“André io…”
Lui allunga la sua  mano verso la mia, vi posa il pacchettino, poi a stringe forte,  la trattiene a se, accarezzandola delicatamente.
“Non dire nulla, Oscar…” mi sussurra. Appoggia la sua fronte alla mia ed il mio cuore fa le bizze.

Sappiamo entrambi cosa sta accadendo…

Gli sorrido, lascio per un attimo la sua mano e poso il pacchetto accanto alle mie gambe.
“Non credo potrò scendere a festeggiare, il pacchetto lo aprirò qui, dopo” dico.
Mi sento un po' in imbarazzo. Ho freddo. Lui mi allunga la veste da camera poggiata ai piedi del letto e mi aiuta, la mette sulle mie spalle.
“Già, credo di si” risponde “… e nemmeno io, ad essere sincero, penso che festeggerò insieme agli altri o a mia nonna. Sono davvero molto stanco e dopodomani dovrò rientrare in caserma….”

Già, la caserma…


Mi stringo nella giacca. Non ho voglia di rientrare nemmeno io…

“Ci penseremo, André” dico, poi “ ora… cosa dici se chiedo a Nanny di servirci parte del pranzo nel salottino?”
Lui mi guarda stupito.
“Non credi sia sconveniente?” domanda. E’ serio.
Tossisco. Mi tasto la fronte. Sono un po' più fresca.
“Può essere…ma per questa sera, ti prego, resta accanto a me” ti dico; tanta è stata la paura di perderti  - anche se era solo un sogno - che, a dire la verità, vorrei che tu non te ne andassi mai, lontano da me.
“Va bene” rispondi; ti levi la giacca, dunque, e mi aiuti ad alzarmi e camminare verso il salottino, dove il camino acceso ed un tavolo ci attendono. In quel momento , entra Nanny.
“Ma che fate in piedi? Dovete stendervi subito!” dice, anzi ordina, con voce che non ammette repliche.
“Sto meglio, Nutrice” le rispondo “ e vorrei…vorrei che tu servissi la cena di Natale qui, nelle mie stanze. André mi farà compagnia e più tardi, se me la sento, scenderò per un saluto o al massimo riceverò le mie sorelle ed i miei nipoti…” le dico. Mi manca un po' il fiato.
Nanny non dice più nulla, fa un cenno del capo, esita un momento ed infine esce; André mi guarda.
“Hai sfidato la sorte!” dice, ridendo sotto i baffi per l’ espressione della nonna.

“No, André” ti rispondo “ ho solo fatto ciò che voglio, per una volta nella vita. Ora vieni, siediti. Stai vicino a me…” chiedo. André con pochi passi mi raggiunge, si siede accanto a me. Istintivamente le nostre mani si intrecciano, senza pudore. Ed è bellissmo.

“Buon compleanno, Oscar” mi dici, anche se la mezzanotte non è ancora suonata. Io, in tutta risposa, mi lascio andare ed appoggio il mio capo sulla sua spalla.
“Grazie, André!” rispondo;  poi  chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dal tuo respiro e dal tuo profumo, sicura di essere nel luogo in cui ho sempre desiderato stare.

Si. E’ davvero bello, stare qui penso.
Hic et nunc.
   
 
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