Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    21/08/2022    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

L'odore della polvere che si sollevava dal suolo gli riempiva ancora le narici in modo tanto prepotente che Miguel de Corella aveva l'impressione di essere sul punto di soffocare. Ogni volta che provava a prendere fiato, il torace gli doleva, i polmoni andavano in fiamme e la vista gli si oscurava, o, forse, aveva solo gli occhi chiusi...

Non capiva dove fosse, né perché gli risultasse così difficile aprire le labbra e parlare. Aveva nelle orecchie l'eco del clangore della battaglia, ma si rendeva conto che in quel momento nessuno stava più combattendo... Sentiva la schiena contro qualcosa di rigido, forse si trattava del suolo... Forse, pensò, quasi con ironia, era morto e non se n'era nemmeno accorto...

“Forse si sta risvegliando...” sentì una voce alla sua destra, ma non la riconobbe.

Cominciò a lottare con delle ombre, il sudore gli incollava l'elmo alla testa, o forse non era un elmo quello che gli stringeva la fronte...

Confuso, con enorme fatica, finalmente Michelotto riuscì a schiudere un po' le palpebre e guardarsi attorno. Doveva essere in una tenda, ben lontano dai campi di battaglia. Davanti a lui vide un prete, con il crocifisso proteso verso di lui. Lo mandò a quel paese con un sussurrò sdegnoso in spagnolo e provò a mettersi in piedi.

Nell'istante stesso in cui lo fece, però, almeno otto mani lo trattennero coricato e il dolore stesso che provò al torace – trafittivo e disperato – lo indusse a desistere.

“Ci hanno aggirato...” sussurrò, ricordandosi alla fine: “Gli Orsini... Hanno fatto una manovra a tenaglia e...”

“Abbiamo perso.” gli disse a voce bassa Ramiro de Lorca: “Qui con voi, anch'egli ferito, c'è Giovanni Sassatello...”

Una voce, poco lontana, confermò: “Sono qui, ma sto molto meglio di voi... Vi hanno colpito duro..!”

Il Corella non aveva la forza di voltarsi a guardare verso l'origine di quell'esclamazione, ma fissò Ramiro e chiese, quasi con un ringhio: “Abbiamo perso davvero?”

“Sì.” ammise quello: “Ci hanno sterminati... Dei nostri s'è salvato un pugno di uomini... Petrus Ludovicus sta bene...” aggiunse, guardando il parente del Valentino alle sue spalle: “Mentre Ugo di Moncada è stato fatto prigioniero.”

“Bartolomeo Capranica?” si informò Miguel, deglutendo.

“Morto.” decretò Ramiro.

“E tra i ribelli? Si sa quanti morti? Si sa chi tra i comandanti..?” farfugliò il Corella, sforzandosi di restare sveglio e di non tornare incosciente.

“Ne abbiamo contati in terra poco più di cento, a fronte di cinquemila che ci sono venuti addosso...” soffiò il Lorca: “E nessuno dei loro comandanti è caduto.”

“No!” il gridò di Michelotto era di rabbia, ma anche di dolore.

La battaglia a Calmazzo si era trasformata fin da subito in una carneficina senza scampo, ma era stato sicuro di vincerla con l'astuzia e con il valore. Invece i ribelli avevano messo in atto tattiche nuove e moderne che lui conosceva poco e la differenza numerica aveva fatto il resto. Ciò che gli bruciava di più, però, era sapere la delusione che avrebbe sollevato in Cesare.

Di colpo, mentre immaginava di avere davanti a sé un Valentino trasfigurato dal disprezzo, il Corella vide tutto nero e poi fu solo il sapore del sangue, l'odore della battaglia, il fragore dei soldati e il buio dell'incoscienza.

 

Quando era rientrata alla villa di Castello, Caterina non aveva trovato ad attenderla Fortunati che, a detta di frate Lauro, era stato chiamato d'urgenza a Firenze per essere messo a parte delle ultime novità. Un po' infastidita per non essere stata avvisata per tempo, in modo da attendere Francesco in città – magari alla Murate – e poi rientrare assieme, la donna aveva salutato Galeazzo, Sforzino e Bernardino e poi aveva chiesto loro di raggiungerla nella stanza delle letture nel giro di un'ora.

Nel frattempo aveva convocato in camera sua Creobola. La serva, circospetta, si era presentata immediatamente e aveva chiesto senza mezzi termini come mai la sua signora l'avesse voluta vedere con così tanta urgenza.

Messa al bando ogni perplessità, la Tigre le disse senza mezzi termini: “Devi andare per mio conto a San Secondo, nel parmense, per portare un messaggio importante al Marchese De Rossi.”

Volutamente aveva scelto quel titolo nobiliare, benché non fosse sicura che alla fine il re di Francia l'avesse davvero accordato a Troilo, in modo da incutere maggior rispetto in quella strana serva che sembrava dar peso a poche cose, tra le quali per fortuna c'erano i titoli nobiliare.

Infatti Creobola si fece subito attenta e, con un breve inchino, rispose subito: “Se Madonna vuole che vada dal Marchese – e diede molta enfasi a quel titolo – lo farò. Mi lusinga che mi riteniate in grado di un simile compito...”

“Ti farò scortare da un paio di uomini armati.” precisò la Leonessa: “Ma il messaggio lo conoscerai solo ed esclusivamente tu e lo dovrai riferire pedissequamente al Marchese, senza che nessun altro lo ascolti.”

“Credevo mi deste una lettera da consegnare.” fece la donna, rendendosi conto che, forse, si trattava di un compito ancor più difficile di quel che credeva.

“No, non voglio lasciare nulla di scritto.” tagliò corto Caterina: “Ecco quello che dovrai dire...”

Le serva ascoltò con attenzione le parole della sua signora e rimase a bocca spalancata. Anche se sapeva bene o male i contorni della questione di Bianca Riario e del suo improvviso ritiro in monastero, rimase attonita nel sentir parlare così chiaramente del parto della giovane e della paternità del piccolo.

“E cosa vi dice che non venderò queste informazioni a qualcuno?” chiese, d'istinto, Creobola.

“Sei un'impicciona e una donna strana – soppesò la Leonessa – ma non sei una sciocca. Avrei mandato a San Secondo Scipione Riario, di cui mi fido e che fa parte della famiglia, ma proprio perché fa parte della famiglia, temo che non resisterebbe e finirebbe a scrivere a suo fratello Ottaviano. Tu, invece, devi la tua lealtà solo e unicamente a me.”

L'altra era immobile, in ascolto. Non capiva se quella della Sforza fosse una considerazione oggettiva o se stesse solo cercando di convincersi a sua volta di aver fatto la scelta giusta.

“Restami fedele – concluse Caterina – e ne avrai vantaggio, sempre. Tradiscimi e ti ucciderò.”

Creobola schiuse le labbra, non per obiettare, ma questa fu l'impressione che ebbe la milanese, tanto che si affrettò a zittirla subito.

“Non dubitare: saprei trovarti e ti farei portare al mio cospetto e ti ucciderei.” ribadì: “Ho ucciso uomini grossi tre volte te a mani nude. Tu saresti più facile da ammazzare che non una mosca fastidiosa.”

La serva, stranamente colpita dalle parole della sua signora, fece un inchino profondo e ripeté, con una prontezza disarmante, le parole da riferire a Troilo De Rossi e poi chiese: “Quando partirò?”

“Devo parlare un momento coi miei figli – spiegò Caterina – e poi...” aveva sperato che Fortunati fosse lì per chiedere a lui chi inviare assieme a Creobola a San Secondo, ma non sapendo quando sarebbe rientrato, avrebbe dovuto fare da sé, scegliendo il ragazzo di stalla che già le si era dimostrato leale, e un uomo conoscente di frate Lauro, che già le era stato proposto, in caso di necessità: “Mi darai un paio d'ore per armare i tuoi accompagnatori e andrai.”

 

Ottaviano Riario aveva ancora lo stomaco sottosopra per quello che aveva mangiato e bevuto fino a tarda notte, ma non gli importava: tutto quello che gli veniva messo nel piatto finiva direttamente nel suo stomaco senza essere quasi masticato.

Ricordava ancora troppo bene i morsi della fame e la paura di morirne, quando, anni prima, sua madre lo aveva fatto rinchiudere in una stanza della rocca di Ravaldino, imponendo ai suoi carcerieri di dargli da mangiare a intervalli da lei decisi, lasciandolo quindi a volte digiuno per giorni interi.

“Sembra che il Marchese Orsini voglia cercare un accordo, però – stava dicendo Gian Piero Landriani, ospite quel giorno del Cardinale Raffaele Sansoni Riario – e questo potrebbe cambiare di nuovo le cose...”

Il milanese aveva poco prima spiegato come qualche giorno prima si fosse combattuta un'aspra battaglia a Calmazzo, che aveva visto vincere in modo schiacciante i Condottieri Ribelli, e scappare a spron battuto i pontifici. Aveva anche puntualizzato su come proprio Paolo Orsini avesse imposto ai suoi alleati di non rincorrere le truppe sconfitte dei Borja, cosa che in un primo momento era stata vista da tutti come un segno di magnanimità, ma che in seconda battuta aveva sollevato molti dubbi sulla sua lealtà alla causa.

Inseguendo gli sconfitti, infatti, avrebbero potuto mettere le mani su prigionieri di pregio, come un parente di Cesare Borja, ma anche e soprattutto Michelotto, l'amico più caro che il Valentino avesse.

“Ci sono notizie di nostro cugino, il caro Giuliano?” chiese a quel punto il Cardinale Sansoni Riario, smettendo per un istante di mangiare.

Avrebbe voluto che anche il Della Rovere fosse alla sua tavola, quel giorno, ma aveva ricevuto un secco rifiuto per interposta persona che lo aveva lasciato un po' stranito. La delicata situazione politica riportata dal Landriani gli faceva capire un po' meglio l'assenza di Giuliano, ma voleva sapere fino a che punto il parente fosse in pericolo o, al contrario, fino a che punto stesse sfruttando quel momento di difficoltà dei Borja a suo favore.

“Il Cardinale Della Rovere è scappato a Lione, in seno al re di Francia.” rispose il milanese, sollevando entrambe le sopracciglia: “Credevo lo sapeste.”

“Ma se adesso i ribelli stanno vincendo – si intromise Ottaviano, con la bocca ancora piena – non sarebbe il caso che restasse qui? Se vincessero, marcerebbero su Roma e ucciderebbero il papa, o mi sbaglio? E allora perché non resta e si fa eleggere? I nostri problemi sarebbero risolti!”

Raffaele e Gian Piero si scambiarono una lunga occhiata e, senza bisogno di dirsi nulla a voce, entrambi si trovarono d'accordo nel pensare che il giovane Riario non fosse solo ingenuo, ma proprio avulso dal mondo che lo circondava. Il Cardinale Sansoni Riario aveva creduto, nel prenderlo con sé, di avere a che fare solo con un giovane uomo ancora inesperto della vita pubblica, ma più i giorni passavano, più capiva che la madre, Caterina Sforza, non aveva tutti i torti a ritenerlo un incapace.

“Ci vuole cautela, nelle cose, ragazzo mio...” fece allora il Landriani che, forte della familiarità che sentiva di avere con il figlio della Tigre, si permetteva di trattarlo come se non fosse già un uomo di ventitré anni: “E ricordate sempre che nessuno fa una guerra per gli altri... Se quello che dite è quello che volete, allora vi toccherà scendere in prima persona sul campo...”

“Come dite voi...” fece il Riario, scuotendo il capo, mal sopportando il tono paternalistico usato dal vecchio Gian Piero: “Ma io sto facendo grandi progressi... Enormi progressi... Con le mie conoscenze e vi posso dire che se i ribelli vinceranno ancora qualche battaglia, per noi la strada sarà spianata e mia madre potrà tornare a Forlì e fargliela pagare a tutti!”

Le conoscenze a cui alludeva il Riario, lo sapevano sia il Landriani, sia il Cardinale, erano perlopiù viziate dal vino e dagli stravizi. Anche se in effetti tra una festa e l'altra il giovane aveva avuto modo di prendere contatti con influenti bolognesi, milanesi e veneziani, dubitavano che avesse fatto su di loro una presa tale da indurli ad appoggiare in modo drastico la restaurazione della Leonessa di Romagna.

“E a quel punto – concluse Ottaviano, versandosi altro vino e bevendolo tutto d'un fiato – nostro cugino Giuliano si sentirà uno sciocco a non essere rimasto in Italia! Metteremo un altro a fare il papa e lui resterà a bocca asciutta!”

“Un altro?” chiese, ironico, Gian Piero: “Qualcuno come vostro fratello Cesare?”

“E perché no?” ribatté il Riario, che non aveva colto il tono del milanese.

“Non dovreste ragionare in questi termini, comunque...” fece Raffaele, gli occhi al proprio piatto, ma l'indice rivolto a Ottaviano, in segno d'ammonizione: “Vostra madre ha fatto il suo tempo. Se qualcuno andrà restaurato, sarete voi.”

Apparentemente terrorizzato all'idea, il giovane si schiarì la voce e poi, arrossendo in modo violento, borbottò: “Di questo... Di questo ci sarà tempo di parlarne...”

 

Congedata Creobola, dopo aver pensato per un po' su come affrontare la prova che l'attendeva, la Sforza andò nella sala delle letture dove Galeazzo, Sforzino e Bernardino già l'aspettavano. In tutta onestà, escluso il maggiore, la Tigre non sapeva dire quanto gli altri avessero capito o sapessero riguardo la gravidanza di Bianca, perciò preferì prenderla un po' alla lunga, quando cominciò a parlare loro.

Si espresse in modo lineare e senza fare commenti di alcun tipo ai fatti. Si rese conto già dalle prime frasi che Galeazzo era più nervoso di lei e continuava a controllare la reazione dei fratelli, in particolare di Sforzino. Quel dettaglio mise in allarme la donna che non aveva pensato a quanto poco conoscesse il suo sestogenito e quindi quanto poco potesse prevederne le azioni.

Sforzino era sempre stato silenzioso e di buon carattere, ma era anche un fervente cristiano e forse scoprire che la sorella aveva concepito un figlio fuori dal vincolo matrimoniale avrebbe potuto far scattare in lui qualcosa di pericoloso. Inoltre era difficile capire a chi fosse maggiormente legato, in famiglia... Poteva darsi che andasse a spifferare tutto a Ottaviano o anche solo a Cesare, magari in buona fede, magari solo per avere un consiglio in merito..?

“Sono molto felice che sia andato tutto per il meglio.” fece Galeazzo, quando la madre ebbe finito il suo breve resoconto: “Quando potremo vedere nostro nipote?”

“Spero presto.” sussurrò Caterina, i cui occhi verdi, però, restavano puntati su Sforzino che, accigliato e pensoso, continuava a fissarsi le mani allacciate in grembo.

Bernardino era visibilmente entusiasta, invece. Dopo un primo momento di confusione, il suo volto si era acceso e ora non riusciva a smettere di sorridere, esaltato all'idea di avere presto con sé un nipote che, per età, poteva ricordargli più un altro fratello minore, quasi alla stregua di un novello Giovannino.

“Qualche cosa l'avevo già capita – ammise il Feo, sollevando un po' il mento, quasi a volersi vantare del proprio acume – ma ora che so tutto, sono ancora più contento. Non solo per Bianca, ma per tutti noi... Sarà bello avere un bambino in famiglia. E spero che presto anche Giovannino torni con noi, perché mi manca.”

Caterina ricambiò in parte il sorriso, ma poi si lasciò distrarre di nuovo da Sforzino. Lasciò che fosse Galeazzo a parlare con Bernardino, confrontandosi con lui su come potesse essere il neonato e su tutte le cose che avrebbero potuto insegnargli, con il passare degli anni. La Tigre non ebbe nemmeno la presenza di dire loro che, con ogni probabilità, non lo avrebbero avuto con loro per molto, dato che Bianca avrebbe sposato il Marchese De Rossi e il piccolo Pier Maria, magari non subito, ma presto, sarebbe partito per stare con loro nel parmense.

“Tu cosa ne pensi?” chiese a Sforzino, non riuscendo più a trattenersi.

“Mi chiedo come abbia fatto io non accorgermi di nulla.” sussurrò il quindicenne, ancora con lo sguardo basso e la fronte contratta.

“Credi che... Pensi che dirai qualcosa a Ottaviano? O a Cesare..?” indagò la madre e, nel sentire quella domanda, sia Galeazzo sia Sforzino tacquero e si misero a fissare il fratello.

“Non mi sembra una buona idea farlo.” rispose Sforzino, sollevando finalmente gli occhi verso quelli della madre: “Loro potrebbero... Potrebbero fare qualcosa di male e io non voglio che succeda nulla di male né a mia sorella né a... Mio nipote.” concluse, ancora un po' accigliato.

Caterina, senza pensarci troppo, mosse un paio di passi verso di lui e lo strinse a sé con forza: “Lo sapevo che avresti capito qual era la cosa giusta da fare.”

Per qualche istante, nessuno parlò, ma quando il silenzio si fece troppo pesante, Bernardino si morse il labbro e poi chiese: “Se volete che Bianca venga qui con il bambino... Come farete a nascondere la verità alla servitù? Voi per prima ci avete sempre detto di non dire nulla di importante ai servi, perché Lorenzo potrebbe venirlo a sapere...”

“Diremo che Pier Maria è un figlio illegittimo di Ottaviano.” buttò lì la Tigre, che, in effetti, aveva già pensato che quello potesse essere un buon modo per confondere le acque, almeno per qualche mese: “Diremo che Bianca era andata a soccorrere la madre del piccolo e che l'ha aiutata fino al parto e che, non volendo saperne del piccolo, la donna ha lasciato a noi l'incombenza di curare il neonato...”

“Credete che questa scusa reggerà?” chiese Galeazzo, sinceramente scettico.

“Penso che perfino vostro fratello Ottaviano potrebbe crederci.” ribatté la Leonessa: “Con tutti i disastri che ha combinato in giro, nemmeno lui può sapere quanti figli ha seminato perfino qui...”

I tre figli della Tigre si dissero d'accordo e, un po' meno preoccupati per il futuro, ribadirono alla madre il loro appoggio.

“Sarà rischioso, comunque.” volle dire Galeazzo, prima che la donna li congedasse.

“Lo so.” ammise lei: “Ma Bianca sposerà presto Troilo e se ne andrà... Io voglio averla con me finché posso, non mi interessa quanto sia rischioso.”

“Tra quanto credete che si sposeranno?” chiese Bernardino, che un po' si rammaricava di non essere riuscito a creare con la sorella il legame che avrebbe voluto e che, all'improvviso, sentiva il tempo per farlo arrivare agli sgoccioli.

“Secondo me non si sposeranno prima dell'anno nuovo...” soppesò lei: “Ma che siano tre mesi o sei, per me sono sempre pochi.”

“L'importante – si permise a quel punto di dire Sforzino – è che alla fine lei e l'uomo che ama si sposino e vivano in modo onesto e senza più doversi nascondere.”

“Certo.” convenne la donna, desiderosa di far capire a quel figlio così religioso che se Bianca e Troilo avevano accelerato a quel modo le cose era stato per necessità loro e non per capriccio: “Se tua sorella non fosse stata legata per colpa mia ad Astorre Manfredi, lei e il De Rossi sarebbero già marito e moglie... Ma le cose non sempre sono semplici e a volte si devono accettare dei compromessi e degli errori – scelse appositamente quella parola solo per dare l'illusione a Sforzino che anche i due diretti interessati avessero vissuto il loro cedere alla passione come un peccato di cui pentirsi – per poter arrivare a una vita giusta e serena.”

Sforzino ci pensò su qualche istante e poi concluse: “Mi fido del vostro giudizio e convengo nel dire che non è facile trovare la strada giusta... L'importante, come dicevo, è che la trovino e si sposino e vivano in Cristo senza più lasciare la strada giusta.”

“Lo faranno.” fece subito eco Caterina.

Stremata, come se avesse appena dovuto passare sui carboni ardenti, la Sforza dichiarò a quel punto liberi i suoi figli di fare quello che preferivano e, dopo che Sforzino e Bernardino furono usciti dalla sala delle letture trattenne solo Galeazzo ancora per qualche istante.

“Promettimi che veglierai sul piccolo, quando sarà qui.” gli disse: “E che fin da ora terrai d'occhio Sforzino.”

“Non farebbe mai nulla per nuocere a Bianca.” la rassicurò il Riario: “Non è come Cesare... E poi conosce anche la filosofia. Ha forti convinzioni religiose, ma la sua mente è aperta, ve lo posso assicurare.”

“Però prima anche tu era in ansia per la sua reazione.” gli fece notare la madre.

Galeazzo annuì, non potendo negare la realtà: “Lo ero... Ma ora sono sicuro che farà la cosa giusta e basta.”

“Mi sono sempre fidata del tuo giudizio.” soffiò Caterina, accarezzandogli la guancia, resa un po' ruvida dalla barba che stava crescendo: “E lo farò anche stavolta.”

Il ragazzo, che avrebbe fatto diciassette anni a dicembre, accettò con affetto la carezza e poi volle assicurare una volta di più: “Finché sarò in vita io proteggerò sempre la mia famiglia.”

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas