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Autore: shana8998    21/08/2022    0 recensioni
Francesca e Lucia sono due ragazze che frequentano l'ultimo anno di liceo. Le differenze fra loro sono moltissime: Francesca è come l'acqua santa, timida, impacciata e introversa. Lucia è ribelle, sfacciata, romana nel sangue. Ma non è solo questo che le rende così diverse. Francesca è della Roma per bene, quella dei Parioli e la sua vita si basa su studio, lezioni di piano e di danza.
Lucia è della borgata, dall'animo sempre in tempesta con il fratello testa calda e i genitori separati.
Francesca non è Lucia e Lucia non è Francesca.
Ma fino a che punto può spingersi un'amicizia fra due persone tanto diverse? Fra drammi, feste e crisi esistenziali le due ragazze si ritroveranno a scoprire loro stesse e un mondo che non è sempre come lo si immagina.
< Delle volte 'e scelte se pagano care >
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                                2.


C’avemo la vita ‘ncasinata e la testa troppo confusa pe pensà.


                                        Lucia.

 

Lucia se ne stava buttata sul letto di camera sua a fissare le pareti verdi cosparse di poster impolverati. La piccola luce fioca sul suo comodino illuminava i suoi pensieri e il ricordo di quella mattina a scuola. Maddalena j’aveva fatto proprio male a quel braccio. Sollevò la manica della felpa e si guardò il livido violaceo: le aveva sferrato un calcio quella stronza, e lei, per proteggersi, lo aveva sollevato come uno scudo. Mo però je doleva da pazzi.

Sospirò. C’era qualcos’altro che le faceva più male di quel livido: Marco.

Scivolò sui pensieri e ruzzolò verso i ricordi.

Seppur frequentassero la stessa scuola, lo aveva conosciuto ad una festa. S’erano piaciuti subito. Lui con i capelli corti, castani, le sue amate felpe della Nike, le scarpe da tennis griffate e lo sguardo fiero e lei con il suo seno prosperoso e gli occhi profondi. Marco s’era innamorato di Lucia per quelle due qualità, glielo diceva spesso.

“Marco…” Come aveva potuto tradirla di nuovo?

Ruotò su un fianco, premendo la guancia contro il cuscino.

Cosa non andava in lei, tanto da spingere il suo ragazzo ad infilarsi fra le gambe delle sue compagne di scuola?

Era brutta? No, sapeva di non esserlo.

Era antipatica? Nemmeno.

Era verace? Abbastanza da piacere ad uno della borgata come lo era lei, d'altronde.

Si sentiva svuotata in quel momento mentre, afferrando il cellulare, scorreva le foto di loro due.

Sapeva che senza Marco la sua vita sarebbe stata un po’ più de merda di quanto già non fosse, con la madre che da qualche tempo aveva iniziato a vennesse pe pagà l’affitto e suo fratello che era tornato a vive co loro per via degli arresti domiciliari.

Si sentiva soffocare dalle lacrime e da quel piccolo appartamento di manco sessanta metri quadri, stipato nei palazzoni de Subburra. C’aveva la testa incasinata, Lucia.

Se ne voleva andare da quel posto, voleva cambiare vita, sentiva in petto che attorno a lei l’esistenza stava scorrendo in maniera sbagliata. Nel verso sbagliato.

Ecco perché ora Marco le mancava na cifra.

Perché lui le permetteva di evadere da quella prigione. Se la portava in scooter per la città, le faceva i regali, le diceva cose belle. Si sentiva una principessa con lui. 

Poi però, sbagliava Marco. Cercava di conquistà l’artre, e la faceva sentire più sbagliata di quanto già non si sentisse.

Ma mo era finita, davvero.

Non ci stava più a farsi trattare da pezza. 

Fece uno scatto con le gambe sul materasso, colpa di un pensiero che le saltò in testa: ce l’avrebbe fatta lo stesso a rialzasse, pure senza Marco.

Tanto per cominciare, sarebbe andata a quella festa e si sarebbe divertita e questo bastò a farla sentire un po’ meno triste. Poi c’era Francesca, non le sembrava vero.

Sarebbe rimasta a dormire da lei e forse, Lucia le avrebbe ammesso che aveva passato il pomeriggio a frignà pe Marco. 

Forse, non ne era certa. Perché Lucia sapeva che fra lei e Francesca, quella forte non era di certo la sua amica. E sapeva anche che se lei fosse crollata se la sarebbe portata appresso. Ci teneva troppo a Francesca per trascinarla nei suoi casini, per lo meno, nei casini  de ‘a testa sua.

In quelli reali, m’mezzo alle cazzate, se la trascinava e come.

Come quando l’aveva convinta ad andare ad una festa in un appartamento della borgata e i suoi genitori avevano fatto irruzione in casa di un tipo che manco Lucia conosceva, e se l’erano portata via.

Per colpa di Lucia, Francesca s’era fatta dieci giorni di punizione chiusa in casa come ‘na sardina

Ma che je faceva, s’erano divertite ‘na cifra pure se pe poco.

Lucia chiuse la galleria delle foto e guardò l’ora. S’era fatto tardi e lei, prima di prepararsi, doveva rassettare casa.

A casa Feriozzi la lavatrice funzionava secondo l’umore di sua madre o dei suoi impegni. Valeva lo stesso per i piatti che, solitamente, occupavano il lavello della cucina almeno per un paio di giorni.

Dato che non fregava a nessuno di quella casa o dei panni, era Lucia che se ne occupava.

Quando tornava a casa, qualunque ora fosse, ancor prima di mettersi in pigiama, si corciava le maniche e faceva i piatti, caricava la lavatrice, aspettava che il lavaggio terminasse, stendeva i panni e poi, se le andava, usciva di nuovo e restava fuori fino a tardi.

Così, tutti i giorni.

Pure quel pomeriggio, quando si sbrigò a svolgere le faccende perché Francesca sarebbe rimasta da lei.

Mica je poteva fa trova ‘a casa na stalla.

Seduta sul pavimento del bagno a fissare l’oblò della lavatrice, pensò a cosa indossare.

Le piaceva essere appariscente, anche se in fondo lo era pure con una felpa anonima addosso.

Aveva un vestito nero e scollato nell’armadio che aspettava solo di essere indossato per la seconda volta.

Un paio di tacchi alti e le calze a rete. No, forse quelle se le sarebbe risparmiate:je ricordavano un po’ troppo ‘a madre in quell’ultimo periodo.

Ad un tratto, la porta del bagno si aprì.

Il torace allenato di suo fratello sbucò da dietro l'anta, seguito dalle braccia macchiate di tatuaggi e dagli occhi azzurri. C’aveva lo sguardo assonnato Michele e i pantalocini della Roma, suo grande amore da sempre, sgualciti sulle cosce.

«Levete che devo piscià.», borbottò lui.

Lucia gli rifilò un’occhiataccia «Guardate, stai come n’rincojonito a forza de fatte le canne.»

Lui sbuffò dal naso facendo una smorfia. Manco più le rispondeva alla sorella: era una vita che lei lo punzecchiava, irritante.  

Lucia si spostò da davanti al water ma non uscì dal bagno. C’era abituata a vedè suo fratello piscià, perché pure se erano come cane e gatto una parte di loro li rendeva inseparabili. A modo loro, certo.

«L’hai vista ‘a lettera su ‘a tavola?», gli chiese lei.

Lui scrollò le spalle. «No, che lettera?»

«Quella del padrone di ‘sto buco. Pare che c’ha revocato ‘o sfratto.»

«M’bè mejo, no?»

«Ma te nun le vedi proprio ‘e cose? N’te fa strano che fino a du giorni fa, tu madre n’ c’aveva na lira pe piagne e mo ha pagato tre affitti de fila e pure er condominio?»

Chissà se Michele fingeva di non vedelle proprio ‘e cose o sapeva tutto ma non gli interessava?

Lucia temeva che a suo fratello non interessasse proprio nulla di sua madre…o di lei.

«E che te dovrei dì io? Se ‘o fa, è pe mantenesse un tetto su ‘a testa sua.» Michele si tirò su i pantaloncini e raggiunse il lavandino per sciacquare le mani.

«Eh certo! Pe te è tutto normale! N’fonno, te spacciavi pe portà du spicci qua dentro!»

Michele socchiuse le palpebre sospirando. Quando sua sorella gli diceva quelle cose - la verità- se ne andava in bestia. Ma lui, grosso com’era, non poteva più facce a botte. Non avevano più cinque anni e Lucia non je teneva più testa. Michele, ora, aveva paura di farle male e se per caso succedeva che volava un ceffone dalle mani di sua sorella, lui se lo beccava in silenzio. Non perché fosse un debole, un miserabile, ma perché c’aveva paura di rompella.

«Ao Lucì, che c’hai er ciclo? E falla finita.»

Manco si asciugò le mani. Chiuse l’acqua e cercò di sorpassarla, urtandole la spalla per sbaglio.

Ma Lucia, testarda com’era, gli piazzò il palmo della mano al centro del petto e lo spinse indietro.

«Nun fa ‘o stronzo! A mamma je devi dì che ‘a deve smette di fa ‘a puttana. Piuttosto ce penso io a’ le bollette».

Lucia era seria. Se ne sarebbe occupata lei, volendo, pure se non aveva idea di come.

Ma lo avrebbe fatto pe quella mamma incasinata e per suo fratello. Perché la famiglia è la famiglia.

Michele abbozzò una smorfia.

«E come? Come ce pensi? Co quelle poche vorte che te metti a fa le unghie all’amiche tua?»

Lucia sentì i nervi incresparsi dietro la nuca. Michele c’aveva ragione, sempre. 

Impotente, sentì prudere le mani. Voleva dare uno schiaffo a suo fratello, perché in cuor suo sapeva che manco lui faceva qualcosa pe tiralli fuori da quell’inferno.

Alzò una mano allargando per bene le dita e si preparò a colpirlo.

Ma a Michele, quella sera, non andava proprio di beccarsi un ceffone o le imprecazioni della sorella e perciò gli afferrò il polso di scatto.

Lucia mormorò un gemito di dolore.

«Mica t’ho stretto troppo!», si affrettò a dire lui, preoccupato di averle fatto male. Ultimamente non calibrava più la sua forza. Si sentiva implodere per colpa della sua vita e qualche volta aveva esagerato con le mani, facendo male ad un paio di amici.

Lucia, fortunatamente, scosse la testa mimando un no.

«Che te prenne, m’bè?» 

Sua sorella ritrasse il braccio proteggendolo come fosse un tesoro da custodire.

«Famme vedé!», ordinò lui.

«Fatte i fatti tua!»

Per fortuna Michele era testardo quasi quanto sua sorella e con prepotenza le afferrò la manica della felpa, scoprendo il vistoso livido violaceo che tanto le faceva male.

«E questo? Chi te l’ha fatto?»

«Na stronza, Miché. N’te preoccupà, n’è niente.»

Lucia di solito non si imbarazzava quasi mai. Le succedeva però, di sentirsi piccola, minuscola, specie quando ritornava a casa pesta ed odiava l’idea che fosse proprio suo fratello a consolarla.

«E te hai incassato e basta?», già lo sentiva pronto a farle una ramanzina. Perché ai Feriozzi nun je se devono pestà i piedi.

«Te pare che resto a piaccele?», aggrottò la fronte, nervosa.

«Ah, m’bè.» Si sentivano entrambi consolati al momento. Lucia perché non era passata per una debole e Michele perché non voleva preoccuparsi pure per lei come, fra l’altro,  già stava facendo. «Comunque, la prossima vorta dajele più forte e sul muso.»

Le consigliò.

Lucia sorrise appena. Non sapeva nemmeno lei perché si sentisse così al sicuro nelle mani di suo fratello.

«Te fa male?» Dopo qualche minuto, si ritrovarono seduti sul bordo della vasca. Michele aveva preso dallo sportello del mobiletto, accanto al lavandino, la pomata che usava in palestra. Gliel’aveva consigliata il suo istruttore di boxe e pareva funzionare quando, inavvertitamente, si beccava un pugno in faccia.

«’Na cifra.», ammise lei. 

Le sollevò la manica ancora più su, oltre il gomito, svitò il tappo e raccolse con le dita un paio di noci di pomata.

Lucia lasciò che suo fratello la medicasse, pure se continuava a lagnasse pecchè je faceva male e mentre succedeva, si sentiva strana, realizzando che era proprio l’affetto di suo fratello e quello di sua madre a mancarle, tanto da doversi appoggiare a quello falso regalato da Marco.

«Mo vattene, sei a posto.» Disse lui, dandole una mezza pacca sulla spalla.

Lucia sorrise ancora e anche Michele fece lo stesso.

Lei si alzò e raggiunse la porta del bagno.

«Ao, quasi me dimentico. Stasera ce sta ‘na pischella, n’amica mia, a dormì qua. Nun te fa venì strane idee.»

Michele mimò una smorfia eloquente «Oh! Quante vorte te lo devo dì che nun me scopo ‘e liceali?!»

Lucia lanciò gli occhi al cielo arrendevole.

«Vabbè.»

Che casino che era la vita di Lucia. La testa sempre invischiata nella melma dei suoi problemi. Eppure, quando suo fratello si prendeva cura di lei, a volte pensava di nun esse poi così sola. C’aveva bisogno d’affetto, lo sapeva; anche se faticava ad ammetterlo a sé stessa. Era cresciuta troppo in fretta e aveva visto troppe brutture nella sua breve vita, ecco perché sfogliava le riviste di moda sognando una vita che forse non le sarebbe mai appartenuta.  Sognava di annassene da quel buco e magari di salvare suo fratello e sua madre dai loro casini.

E chissà, forse, un giorno, ci sarebbe pure riuscita.

   
 
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