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Autore: dirkfelpy89    24/08/2022    1 recensioni
1998 - il il Canada–France–Hawaii Telescope osserva per la prima volta, dalla terra, il satellite di un asteroide: 45 - Eugenia. In cerca di ispirazione per dare un nome a quel piccolo satellite, a Lucienne, una ricercatrice, viene chiesto di portare il diario di sua nonna, contenente, tra tante cose, la triste storia di Eugenio Napoleone, l'unico figlio dell'ultimo imperatore francese Napoleone III.
Questa è la storia dei suoi ultimi anni.
"Un piccolo asteroide che orbita intorno a 45 Eugenia… non è possibile," sussurrò Lucienne, osservando il quaderno e cercando ancora una volta di ricacciare indietro le lacrime. "Le Petit Prince."
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico, Età vittoriana/Inghilterra
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Capitolo 2, La Fine di un Piccolo Sogno

 



"Due agosto. Luigi ha appena ricevuto il battesimo del fuoco: era ammirevole nella sua compostezza, non ne era affatto colpito. [...]Ci sono uomini che hanno pianto vedendolo così calmo." Lettera di Napoleone III alla moglie.

 

27 Agosto 1870, Tourton, Francia.

"Ho sentito grandi cose sul suo battesimo del fuoco, principe."
La voce del parroco di Tourton arrivò lontana alle orecchie del giovane erede. Erano arrivati in quella piccola città di confine da poche ore e ovviamente la piazza principale pupullava di uomini, cavalli, carrozze e tutto il necessario per muovere la guardia imperiale.
Si udivano urla, grida, ordini strillati nella notte ed era principalmente quella confusione, e tutto quello schiamazzare di voci acute, a disturbarlo, molto più che i rumori della battaglia che aveva da poco affrontato.
Là, sul campo di battaglia, vigevano ordine, disciplina, eroismo… in quella piccola piazza di un paesino dimenticato da Dio vedeva solo lo scorrere lento e noioso del tempo.

Eppure era necessario, tutta quella confusione sarebbe servita per la vittoria finale, così i suoi uomini continuavano a ripetere.
Perché in quel momento le cose non stavano andando bene per la Francia ma, Luigi ne era sicuro, la situazione sarebbe presto cambiata.
Suo padre non avrebbe fallito, glielo aveva promesso, e anche per questo motivo lo aveva seguito volentieri al fronte, nonostante avesse appena sedici anni. In quei mesi aveva imparato molte cose utili che certamente i libri, o i suoi noiosi precettori, non sarebbero mai riusciti a spiegare e, nonostante il parere contrario di sua madre, era convinto che quella guerra non poteva che fargli bene. Da una guerra si può solo che crescere.

"La battaglia è stata una vittoria per i francesi, non ha avuto paura mentre i Prussiani bombardavano le posizioni a voi vicine?" Lo incalzò ancora l'anziano.
"No, non ho avuto paura," rispose semplicemente Luigi. "Non è il mio compito avere paura, un giorno sarò Imperatore e che cosa penserebbero di me i miei futuri soldati se tremassi di paura? L'imperatore deve essere un esempio e così suo figlio!"

Napoléon le Petit, così i detrattori chiamavano suo padre, il piccolo Napoleone, il nipote che cercò di copiare lo zio più famoso, in versione ridotta questa volta. Luigi aveva sedici anni ma si rendeva già conto che, dietro il soprannome affettuoso di Petit Prince, si nascondeva, in alcuni, una nota di evidente sarcasmo.
Il piccolo Napoleone e il piccolo principe ma lui, lui sì aveva sedici anni, ma non era piccolo come tanti sussurravano dietro le spalle di suo padre, e l'aveva dimostrato in quella guerra.
Per quello, pur vedendo uomini consumati dalla guerra scappare, svenire o vomitare, lui non aveva esitato perché, anche se piccolo, era comunque un simbolo e i simboli non crollano.

"Davvero coraggioso, degno di suo padre e del suo vecchio zio… una volta che questa guerra sarà vinta dalla Francia se voi voleste ricordarvi di…"
Il confabulare del vecchio parroco venne interrotto dal grido "Vive l'Empereur! Vive la France!"
Suo padre era appena apparso nella piazza cittadina in compagnia di gran parte dello Stato Maggiore. Smontati da cavallo, si diressero rapidamente verso l'abitazione più grande della città, appartenente al medico, senza rivolgere nemmeno una parola ai soldati e alla folla di curiosi che mai aveva visto dal vivo Napoleone III.
Il grido "Vive l'Empereur! Vive la France!", già di per sé piuttosto flebile, venne interrotto non appena l'Imperatore scomparve dalla loro vista. Solo allora Luigi si riscosse: era probabile che stesse per iniziare una riunione dello Stato Maggiore e lui doveva esserci, volere del padre. Si affrettò a salutare il parroco, che lo congedò con una breve benedizione, e a sua volta fece ingresso in quell’abitazione privata.

La riunione era iniziata da poco e già gli animi si erano parecchio infervorati. Intorno a un grande tavolo rotondo, con sopra alcune mappe del fronte, erano riuniti suo padre, bianco in volto e d'aspetto quasi cadaverico, e una decina tra generali e marescialli.
Come sempre Luigi rimase in disparte, in piedi dietro il padre, cercando di capire come stessero andando le cose ma la verità era che, per colpa della stanchezza, dell'inesperienza o delle voci che continuavano a salire di volume, accavallandosi, capì ben poco.

Riuscii solo a discernere due cose: la situazione non si stava facendo per niente rosea e suo padre non era più in grado di continuare quella guerra.
L’Imperatore, il simbolo della Francia, rimase in silenzio per praticamente quasi tutto l'incontro, osservando con fastidio e sguardo vacuo i generali azzannarsi al collo a vicenda. Ebbe solo la forza per sussurrare: "A Sedan. Tutto si giocherà là!” prima di tornare in silenzio, come un vecchio malato.

Alla fine, dopo quella che parte un'eternità ma che poi realizzò fosse solo un'ora, la riunione venne sciolta.
Luigi fece per uscire ma un gesto del padre lo convinse a fermarsi. Non appena rimasero da soli, l’uomo lo invitò a sedersi alla sua destra e i due stettero in silenzio per qualche secondo.
"Pace," sussurrò Napoleone.
"Padre, voi non state bene, lasciate che chiami il medico…" propose Luigi ma l'altro scosse la testa.
"Non possono certo essere curato qui al fronte, a meno che non voglia morire di infezione… cosa che non è nei miei piani, per il momento," sussurrò l'uomo. Raccolse le energie e poi continuò.
"Immagino che avrai capito che le cose non stanno prendendo una buona piega, la situazione si sta facendo pericolosa e non possiamo più garantire la tua incolumità, Luigi. Stasera stessa partirai per il Belgio, un fronte molto più tranquillo ma comunque educativo."
"No," subito Luigi esclamò. "Non vi lascerò, padre. Vi ho seguito ovunque e non vi abbandonerò certo adesso, nel momento del bisogno. Ho già mostrato il mio valore a Sarrebruck!" Napoleone scosse ancora una volta la testa.
"Non servi più a niente qui, ma alla Francia e all'Impero sì. Questo non è un ordine di tuo padre ma è un ordine del tuo Imperatore, " disse.
Luigi non voleva credere alle sue orecchie e, sulle prime, pensò di dissentire ma ormai era abbastanza adulto per capire che un ordine dell'Imperatore non poteva essere disatteso. Osservò ancora una volta il padre negli occhi, speranzoso, ma l’altro distolse lo sguardo. Solo allora il giovane principe si alzò, chinò la testa e mormorò: "D’accordo, mon Empereur."

Napoleone sorrise e strinse la mano di quell'unico figlio, così caro a lui, certo di poterlo vedere, e toccare, per l'ultima volta prima della fine.

/ / / / / / /



Come mutano in fretta la mente umana e le sue fragili convinzioni.
Napoleone III aveva lottato tutta la vita contro la morte, contro l'idea che i suoi giorni finissero prima che potesse compiere qualcosa di grande, di memorabile. Di paragonabile a suo zio.
La morte non risparmia nessuno però le grandi gesta riecheggiano nell'eternità.
Sarebbero bastate, le sue, per garantirgli quell'onore? I posteri si sarebbero ricordati di Napoleone III anche anni dopo la sua morte?

No, prima di quella guerra non voleva che si parlasse di morte e malattia intorno a lui, ma le condizioni di salute ormai precarie, l'età che avanzava e la nuova guerra avevano rapidamente cambiato la sua visione.

La notte prima di partire per il fronte ne aveva parlato con sua moglie, distesi sul letto.
"Se morirò, voglio che tu vegli sulla Francia e su nostro figlio."
"Non parlate di queste cose prima di una guerra, non portano fortuna!" Sua moglie si era affrettata a interromperlo.
"È una guerra, una guerra che mette a repentaglio il nostro Impero ed è necessario che tu sappia," l'uomo aveva insistito. "Se dovessimo perdere, io non mi consegnerò, non ricoprirò di ridicolo la Francia."

"Farò il mio dovere."
Infine lo aveva capito e quel giorno, a Sedan, l'aveva cercata, invocata, irrisa, la sua vecchia nemica, la Morte.
Quasi piegato in due dai dolori ai reni, ben consapevole del fatto che fosse ormai solo un simbolo e che da settimane, o forse mesi, la sua parola non contasse più nulla, là al fronte, Napoleone III osservò la battaglia quasi come se non esistesse. Sordo ai rumori della guerra e agli avvertimenti dei suoi subordinati, l'uomo visitò ogni zona del fronte cercandola, la sua vecchia nemesi, adesso forse addirittura bramandola.

Era però abbastanza esperto da capire che le cose non stavano prendendo la giusta direzione e allora… un Imperatore che muore sul campo di battaglia, ecco, quello, quello sarebbe stato un gesto che il mondo si sarebbe ricordato… avrebbe addirittura battuto il suo egregio zio!
E così, più la battaglia andava avanti, più spasmodicamente la cercava, la desiderava, la insultava perché non si mostrava per sollevare le sue pene e il suo nome.
Di togliersi la vita non se ne parlava nemmeno, non era capace, né abbastanza coraggioso, di puntarsi la pistola o la sciabola al petto.
Forse sarebbe stato quello che la nazione si aspettava da lui, dal suo ruolo, ma da tempo aveva capito che le sue aspirazioni e desideri erano spesso in contrasto con quelli del popolo, o perlomeno di parte di esso.
Qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe stato comunque criticato e quindi la risposta non doveva venire dagli altri… ma da dentro se stesso.

La mattina passò e velocemente terminò ma lo stesso non valeva per il conflitto: era chiaro che non c'era più alcuna possibilità.

"Onestamente, vostra altezza Imperiale, dubito che potremmo resistere ancora molto, questione di tempo e la sconfitta sarà disastrosa," venne a riferire un generale.
"Le vie di fuga sono molto difficili da praticare, giunti a questo punto della battaglia," annunciò un vecchio maresciallo.
"O ci arrendiamo o continuiamo fino all'estremo sacrificio!" Propose il generale.
"Arrendersi? Meglio la morte!"

E dunque stavano così le cose, il fato lo aveva messo di fronte a due scelte irreparabili. Cosa fare? Sguainare la sciabola, urlare "Avanti tutta!" e morire insieme a migliaia e migliaia di soldati… oppure arrendersi?
L'uomo abbassò la testa, la voce poco più di un cupo sussurro.
"Issate la bandiera bianca sulla cittadella."
Sulle prime gli altri non capirono le sue parole, o forse si rifiutarono di farlo, perché il maresciallo domandò: "Come, altezza?"
"Arrendiamoci, issate la bandiera bianca," rispose l'Imperatore, questa volta a voce più alta, "Non manderò alla morte migliaia di ragazzi senza possibilità di vittoria."

Il generale scosse la testa, il maresciallo, in silenzio, diede le spalle all'imperatore e tornò nella mischia. Ma sì, che se ne andassero al diavolo, a lui non importava più.
"Marc, vieni qui."
Un ragazzino brufoloso si avvicinò con rispetto all'Imperatore.
"Appena puoi, fai in modo che il re di Prussia, anche lui si trova qui a Sedan, riceva questo messaggio confidenziale e personale."
"Oui, Imperatore," borbottò il ragazzo, affrettandosi ad afferrare un foglio di carta e una penna.
"Mio Signor fratello, non essendo in grado di morire alla testa delle mie truppe, nulla resta per me, se non mettere la mia spada nelle mani di Sua Maestà" dettò, lentamente, Napoleone.
"... Fatto. Sì, sarà fatto, altezza!"
Napoleone annuì ma poi, appena prima che Marc se andasse via, esclamò: "Ah, al mio quartier generale troverai un telegramma da fare recapitare a mio figlio. Procedi con queste due operazioni poi vattene da qui."
"Certo. Grazie, altezza!" Il ragazzo borbottò ancora una volta, prima di lasciare l'Imperatore da solo, sofferente, a osservare l'orizzonte.

/ / / / / / /



La mattina del 3 settembre 1870, notizie di una sconfitta francese a Sedan iniziarono a circolare a Parigi.
Ma, fatto di importanza ancor maggiore, insieme alla notizia di una sconfitta serpeggiava anche l'ipotesi che l'Imperatore si fosse arreso al nemico. Il popolo iniziò presto a rumoreggiare.
"Un imperatore che si arrende… lo sapevo io che questo non ha nemmeno un briciolo di caratura del suo vecchio zio!"
"Un impostore, ecco che cos'è sempre stato, un impostore!"
"Lui e quella puttana di sua moglie, la spagnola. Mai piaciuta!"

Queste erano le numerose voci che circolavano incontrollate, la tristezza per la sconfitta militare mutata presto in rabbia per chi doveva governare e non aveva avuto nemmeno il coraggio di togliersi la vita.
"Andiamo al palazzo imperiale, ci devono dare delle risposte. I nostri figli probabilmente non torneranno mai a casa e l'imperatore si arrende!"
"Mio figlio è morto a Gravelotte, per salvare il suo reggimento, e il nostro Imperatore non ha il coraggio di uccidersi dopo una sconfitta?"

La rabbia sì tramutò in ira incontrollata e ben presto una folla sempre più numerosa, sempre meno intenzionata a perdonare quell'atto di codardia, si radunò sotto il palazzo imperiale.
Ma anche all'interno del palazzo, Eugenia più sapeva, meno credeva alle sue orecchie.

"No! Un imperatore non si arrende! È morto! Stanno cercando di nasconderlo!" Urlava, inconsolabile, trascinandosi da una stanza all'altra.
"No, altezza, abbiamo ricevuto conferma che si trova in mano prussiane!" Un vecchio generale mormorò, l'espressione desolata.
"E allora perché non si è suicidato? Non sa che così ha disonorato se stesso?"

Ci doveva essere un'altra spiegazione, conosceva bene suo marito, quasi come sé stessa. Ma forse, in realtà, non era così.
Di fronte alla morte gli uomini reagiscono nei modi più disparati... suo marito fors enel peggiore.
Ma il rumoreggiare della folla aumentava, la paura di fare la fine del topo, o meglio, di Maria Antonietta riempiva ogni suo pensiero.
!Non lascerò che la folla mi prenda," sussurrò. "Chiamate la carrozza e fatela passare dall'altro ingresso. E mettetemi in contatto con il mio dentista, lui potrà salvarmi!"

Nello stesso istante, a Maubeuge, Luigi Napoleone teneva in mano il telegramma del padre.
"Sono Prigioniero del Re di Prussia."
Pianse. Non se ne vergognò, non fece niente per dissimularlo.
Per suo padre, sconfitto e prigioniero; per la sua Francia, sapeva che l'Impero era praticamente finito; per sé stesso, perché la sua vita sarebbe cambiata per sempre, molto probabilmente lontano da casa.

"Altezza, l'aspetta una carrozza per Namur," un uomo della sua scorta interruppe quel momento. "Dobbiamo andare."
"È finito… vero?" Sussurrò Luigi, accartocciando il telegramma. "L'impero."
"Altezza,il domani non mi preoccupa. Al momento quello che mi preoccupa è il presente. Mi segua, la prego," insistette l'altro uomo.

/ / / / / / /



Il 4 settembre, un gruppo di deputati, guidati da Léon Gambetta, si riunì presso il municipio di Parigi e proclamò il ritorno della Repubblica e la creazione di un governo di difesa nazionale.
Il Secondo Impero di Napoleone III era finito. Luigi e Eugenia scapparono, in esilio, in Inghilterra.

/ / / / / / /



Con la caduta del padre si concluse la prima fase della vita del Petit Prince. Nel 1870 Napoleone Eugenio Luigi scappa in Inghilterra, la sua seconda casa.
Mancano 9 anni circa alla sua morte.

  
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