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Autore: Swan_Time_Traveller    25/08/2022    0 recensioni
[Prequel su Eddie Munson, il primo di una trilogia, che presenta la famiglia di origine del personaggio e le vicende che hanno portato alla sua nascita.]
"Andarsene, in un posto lontano. Ovunque, purché i giudizi affilati della gente di Hawkins non la raggiungessero: nella mente di Liz però, quelle parole sarebbero risuonate ugualmente, a prescindere dal suo nuovo inizio. E davvero si parlava di questo, di un capitolo da aprire ex novo? Era tutto nelle sue mani, e tutto dipendeva da lei, inclusa la vita che nove mesi dopo avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre: forse era proprio quello il punto, settembre. Il momento in cui quella nascita sarebbe stata concreta, l'attimo in cui sarebbe diventata una madre.
Le incognite erano però troppe, così come la vergogna, le lacrime versate mentre suo padre, Christopher Munson, le ripeteva di non tornare a casa mai più.
Tutto quel di cui Liz era sicura era scappare. Fuggire, allontanarsi per sempre da una cittadina che le aveva voltato le spalle, assieme alla sua intera famiglia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eddie Munson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I just happened 
Parte due 

 

Le prime gocce di pioggia si erano adagiate con delicatezza sul manto di foglie cadute; quelle che seguirono invece, si dimostrarono più decise, dando il via ad uno scrosciante rumore che si infrangeva sul letto dalle mille calde sfumature. In lontananza, l'eco di un tuono. 

“Vieni, conosco un posto dove ripararci.” Elizabeth seguì istintivamente Eddie, che effettivamente sembrava viverci, all'interno di quel sogno: se poco prima Liz avrebbe giurato di non aver visto nulla all'orizzonte (e a stento il vialetto nascosto appunto dal fogliame), improvvisamente vide esattamente davanti a lei stagliarsi sull'orizzonte una sagoma di qualcosa che appariva simile ad una casa, sebbene il tetto avesse una forma estremamente inconsueta. 

Il passo dei due si fece più felpato, ed arrivarono quasi a correre pur di non infradiciarsi totalmente; Eddie continuava a fare strada, anche se ad Elizabeth non sembrava dispiacere più di tanto l'idea di inzupparsi di acqua piovana: anzitutto di un sogno si stava parlando, ed inoltre la marcia di suo figlio aveva assunto dei buffi connotati. Appariva impacciato, ma il suo modo di attaccar bottone dava l'impressione contraria; da dietro, Elizabeth aveva iniziato incuriosita ad esaminare meglio le toppe cucite sul giubbotto di jeans, continuando però a non capire assolutamente nulla di alcun disegno, o scritta. 

Ad un certo punto, gli alberi spogli iniziarono a diradarsi, lasciando spazio a una sorta di radura, o meglio, uno spiazzo in cui l'erba appariva di un verde tardivo, simile al grigiore del cielo: osservandola meglio, si capiva molto bene quanti interventi dell'essere umano erano stati imposti in quel territorio, perché a tratti vi era solo fango e poco più. 
In fondo a quella vasta area, gli occhi di Liz scorsero quella che sembrava una specie di ...

“Ecco sua maestà, il caravan!” Esclamò con le braccia nella direzione della casa su ruote Eddie Munson, con un velo di ironia. 
Elizabeth esordì in una risata impacciata e, cercando di asciugarsi dal viso la pioggia che stava aumentando sempre di più, corse sotto a una sorta di veranda, che anticipava l'entrata dentro al caravan. Era stata realizzata solo con il legno, e sebbene non fosse un tutt'uno con la “casa mobile”, tutto sommato non stonava granché ed anzi, dava l'idea di un posto quasi a sé, tagliato fuori dal resto del mondo. In effetti, per quanto ne sapeva Liz, quello era un posto isolato e sconosciuto. 
Eddie la fece accomodare sotto la tettoia, in una delle due sedie a dondolo che erano state lasciate lì, forse provvidenzialmente, da qualcuno.

“Nulla è lasciato al caso.” Commentò Eddie abbozzando un'espressione compiaciuta. Certo, il legame con sua mamma era evidentemente fortissimo: sapeva forse che sarebbe arrivata a fargli visita? 
 

Ma sul serio sto ragionando su un sogno? A momenti mi sveglio e finisce lì il mio problema. 

Eddie scoppiò a ridere e, scuotendo la testa, ignorò lo sguardo che Elizabeth gli aveva rivolto, estremamente contrariata. “Non ce la fai a goderti l'idea di essere in un sogno e basta? Ci deve essere per forza qualche assurdo motivo o qualche ragionamento da fare, altrimenti nulla ha senso?” 

Alle domande provocatorie del ragazzo, Elizabeth si voltò verso di lui e, rilassando l'espressione crucciata, replicò: “Penso sia normale farsi qualche domanda, no? In fondo ho davanti a me mio figlio, probabilmente pure più grande di me, con addosso degli abiti ... Assurdi, e non dovrei chiedermi qualcosa?” I suoi occhi si posarono sulla maglia che sporgeva dalle pieghe del giubbotto di jeans: spiccava il volto di qualcosa che assomigliava più a un demonio, o comunque ad un essere infernale che a qualcosa di... Confortante.
Elizabeth alzò un sopracciglio, scettica. Eddie tornò a ridere, di gusto. 

“Incredibile, mia mamma mi vede per la prima volta e tutto quello per cui mostra interesse è l'Hellfire club.” Liz strabuzzò gli occhi e, confusa, sbottò: “E che accidenti è questo club? La maglia che hai addosso ... Si tratta di un gruppo musicale?” Quell'ultima domanda era solo un azzardo, un'ipotesi basata sul fatto che tutto sommato, Edward Munson era anche figlio di suo padre, Robert Rossdale, e forse qualche tratto lo aveva ereditato da lui. 
Eddie scosse la testa e rispose: “Non proprio, ma ho anche una band.” Elizabeth spalancò la bocca e, dopo essersi accorta di aver mostrato la sua espressione più sorpresa di sempre, ritornò a camuffare tutto e, annuendo, aspettò una spiegazione più specifica. 

“Comunque ho vent'anni, per la precisione. Il che mi fa decisamente più grande di te.” Aggiunse lui, sviando dal discorso precedente. 

Elizabeth sorrise e, scuotendo la testa, commentò ad alta voce: “Penso che questo sia il sogno più assurdo che io abbia mai fatto.” Si interruppe, guardandosi meglio attorno e, unendo alcuni pezzi di un puzzle immaginario che stava cercando di formarsi davanti a lei, esclamò: “Un attimo! Se tu hai vent'anni... Questo significa che siamo nel 1985?” 
Eddie annuì, e specificò: “Hawkins, Indiana. 1985. E questa è casa mia.” 
Gli occhi di Liz sembrarono prendere consapevolezza: all'improvviso riconobbe alcuni frammenti di quel paesaggio, inclusi gli alberi che poco prima l'avevano avvolta in un apparente universo alternativo e sconosciuto. Tutto stava acquisendo senso. All'orizzonte poteva riconoscere uno dei primi edifici imponenti che era stato inaugurato ad Hawkins qualche anno prima, nel 1962.
Poi, sollevando gli occhi verso la tettoia e le finestrelle della dimora, i conti tornarono definitivamente: quello era il famoso caravan di suo fratello Wayne.

“Incredibile. Mio fratello ce l'ha fatta a ricavare una casa da questo aggeggio.” Commentò, genuinamente sorpresa. 
Eddie sospirò e, ridacchiando, replicò: “Zio Wayne è un tipo dalle mille risorse. Mi piacerebbe essere come lui ma ... Temo che la mia manualità riguardi solo la chitarra.” Elizabeth spalancò gli occhi e, guardando dritto il volto di suo figlio, per un attimo realizzò che la forma del viso, e alcune espressioni, erano esattamente parte di lei. Pensò di aver sussultato così evidentemente da preoccupare Eddie, ma lui non si mosse: evidentemente l'emozione era molto forte, ma dentro di lei. 
“Suoni la chitarra?” Chiese, incuriosita. Edward Munson assunse un'espressione estasiata, mista a fierezza e, annuendo, rispose: “Già. E penso di essere forte in quel che suono. Ma non credo tu sia pronta a questo.” 
Elizabeth scoppiò a ridere: effettivamente vent'anni di differenza potevano avere qualche risonanza anche da un punto di vista musicale, e chissà di che tipo. Probabilmente i Beatles sarebbero stati un ricordo lontano, e persino il vecchio Rossdale avrebbe dovuto reinventarsi: al contrario, quello che tutto sommato era suo figlio (nonostante Elizabeth non lo avrebbe mai reso pubblico, men che meno col diretto interessato), aveva intrapreso una carriera musicale suonando non il basso, ma una chitarra. 

Wow.

“Sono sinceramente ... Colpita. E confusa. Non capisco sul serio ... Beh, okay, non devo farmi domande e lo so. Ma non penso che accada tutti i giorni incontrare, anche solo per un breve istante, il proprio figlio, che ancora in realtà deve nascere.” Disse, ragionando ad alta voce lei. Dopodiché, tornando a fissare Eddie, esclamò: “A proposito, mi sai dire quando nascerai?! Visto che sembra impossibile azzeccare la data, ho un'occasione per svelare il mistero in anticipo.” 
Eddie sembrò improvvisamente più serio: il cambiamento era parso davvero troppo repentino anche per Elizabeth, che ancora decisamente non poteva dire di conoscere suo figlio. Però era stato così: un momento prima sul volto di Edward Munson compariva un sorriso compiaciuto, soddisfatto, e il secondo dopo la sua bocca aveva subito un'inclinazione verso il basso. E lo stesso sguardo, i suoi occhi profondi, erano concentrati a terra, quasi piantati lì, irremovibili. 
Scosse la testa e, simulando un sorriso ben poco convincente, rispose: “Nulla da fare, segreto di Stato.” Ma continuò a non guardare sua madre, almeno non immediatamente. 

“Vabbé, immagino che dovrò aspettare. Sei comunque di poche parole, Eddie Munson.” All'osservazione della ragazza, gli occhi di Edward parvero rianimarsi e tornarono a guardarla. 

“Ma no, so essere estremamente ciarliero. Solo che a volte mi piace anche ... Godermi il momento.” 
Per un attimo ad Elizabeth sembrò di sentire Bob Rossdale: anche lui non era mai parso un tizio molto chiacchierone, e lei aveva sempre pensato, scioccamente, che in parte il suo atteggiamento fosse causato dallo strumento che suonava. Il basso, piuttosto anonimo anche se a suonarlo era Paul McCartney no? Figuriamoci un Rossdale. 
Invece forse era un tratto caratteristico e basta. 
Sorrise, ripensando a certi momenti; per un istante un senso di colpa le afferrò lo stomaco, con così tanta violenza che Liz nemmeno se lo aspettava. 

“Mi fumerò una canna. Alla tua, mamma.” Spezzò il silenzio Eddie, sfoderando dal taschino del giubbotto una sigaretta piuttosto lunga, che appunto aveva tutto fuorché le caratteristiche di una normale paglia. 
La accese, e l'odore inebriante di erba che invase le narici di Elizabeth, parve sollevare anche il restante dei ricordi che la sua mente aveva provato a nascondere impacciatamente in un angolo del cervello. 

“Vuoi favorire?” Chiese lui gentilmente, porgendo la canna alla ragazza. Lei sorrise e, alzando le spalle replicò: “Perché no? In fondo non sono incinta e mio figlio ha tre anni in più di me. Penso di potermela sentire.” Afferrò la canna dalla mano del ragazzo e diede un tiro, profondo, durante il quale socchiuse gli occhi: ogni nervo del suo corpo sembrava rilassarsi automaticamente, sino ad arrivare alla punta delle dita dei piedi, che lei aveva il vizio di tenere sempre contratte. 

“Non fumavo da un po', ma è incredibile quanto sia meraviglioso riprovare trascorsi otto mesi.” Si interruppe e, facendo un breve calcolo, aggiustò: “Mh, anche se in realtà sembrano trascorsi vent'anni e otto mesi, dalla mia ultima canna.” 
Entrambi esplosero in una risata genuina, interrotta solamente da un curioso Eddie che, osservandola fumare, chiese: “Con chi hai fumato l'ultima volta?”
Elizabeth allontanò la canna dalla sua bocca e, porgendola al figlio, contrasse la bocca e la mascella, poi replicò: “Nessuno di particolarmente interessante.” 
Provò a far cadere la conversazione, ma con la coda dell'occhio capì che Eddie la stava fissando ancor più interessato di prima, e conoscendo un po' le sue origini, sapeva già che non avrebbe mollato la presa. 

Elizabeth sospirò e, alzando le mani in segno di resa, esclamò: “Va bene, hai vinto tu. Del resto, stiamo parlando di un sogno.”

Edward restò in silenzio, in attesa del seguito. 

“La verità è che ho fumato la notte stessa in cui sei ... Accaduto tu.” Inspirò profondamente e, chiedendo con un gesto la canna, fece un tiro altrettanto lungo e intenso e proseguì: “Io non giro con l'erba. Era tutto sacco di ... Beh, di tuo padre suppongo.” 

Eddie mormorò un ah di sincera sorpresa e, annuendo, continuò ad osservare sua madre, intenta a fumare quanto più poteva, probabilmente perché quell'argomento non era ancora molto facile da processare, men che meno da trattare. Con lui, per giunta. 

“Ah non fa niente mamma. Non sei obbligata a dirmi il suo nome. Del resto, sono vent'anni che sono abituato a questa situazione.” Lo disse con una leggera punta di amarezza, ma sembrò non rivolta certamente a sua madre: Elizabeth lo capì e, senza dire una parola, sentì di dover mostrare la sua gratitudine a quel ragazzo, così strano e al contempo così bello, che seriamente sembrava un insieme perfetto di piccoli particolari tutti al loro posto. 

Gli porse la canna e nel frattempo, l'altra mano strinse quella libera di Eddie, così forte che Liz si accorse di non aver mai concesso un momento così intenso a nessuno. E a chi altro, se non a suo figlio? 

 

In quel momento di silenzio e di complicità, i due si accorsero dell'incredibile silenzio che in un rapido istante aveva avvolto tutta la zona, sino agli alberi che, ancora più spogli di prima, sembravano finalmente in pace. 

La pioggia si era interrotta. 

Eddie distolse lo sguardo e, sospirando, con gli occhi rivolti al cielo, commentò: “E' ora che tu vada, mi sa.” Tornò a osservare sua mamma e, sorridendo timidamente, le disse: “Grazie per questa chiacchierata, mamma. Non la dimenticherò.” 

Elizabeth lo osservò dapprima confusa e poi, ricordandosi di essere all'interno di una cornice onirica, ricambiò il sorriso e, spinta dalla paura che da un momento all'altro si sarebbe risvegliata nel letto, si buttò tra le braccia del ragazzo e, stringendolo ancor più forte, mormorò: “Non cambiare mai, Edward.” 

 

 

In un istante, la luce grigiastra che avvolgeva l'ambiente sparì, lasciando il posto al buio totale, e ad un silenzio ancor più assordante. 

Elizabeth si alzò bruscamente dal letto, quasi in automatico, in preda a respiri intensi e affannati. 

Eddie.” Mormorò, istintivamente. Rivolgendo uno sguardo ai dintorni, realizzò di essere nella sua camera, a casa Halliwell. Era stato un sogno davvero molto realistico, nonostante tutti i dettagli fossero assurdi: ad un certo punto quasi, riflettendoci sopra, l'unico aspetto più credibile era il caravan di suo fratello Wayne. 

Accese la luce, ancora in affanno, cercando poi l'orologio per capire quanto avesse dormito: poco più di un'ora. 

Sospirò e, alzandosi dal letto, decise di rimanere un po' davanti alla finestra: probabilmente sarebbe finita per sgattaiolare in cucina a mangiare qualcosa perché, senza sorpresa, risultava ancora parecchio incinta e pure affamata. 

Si passò la mano destra sulla pancia, osservando con lo sguardo perso l'esterno, dal vetro: avrebbe potuto parlare con altre cento madri o donne in dolce attesa, ma già scommetteva dentro di sé che nessuna nelle sue condizioni poteva raccontare di aver fatto un sogno simile.
Al massimo qualcuna poteva dire di aver sognato il parto, certo: anzi, pensandoci bene, Liz non escludeva che fosse un tema piuttosto probabile per i suoi futuri sogni, visto che sarebbe stata senz'altro un'esperienza dolorosa. 
Ma addirittura trovarsi davanti al figlio di vent'anni? Con dei vestiti assurdi per giunta, impossibili da concepire per quanto lontani potessero essere dalla moda del momento?

Liz scosse la testa: non sapeva ancora comesentirsi davanti a quel sogno, ai ricordi che aveva portato con sé nel momento del risveglio. C'erano davvero delle istruzioni precise da seguire? 

Capì di non doverci ragionare troppo sopra: in fondo, quello era stato un sogno. Edward era una figura ben definita, ma probabilmente dall'immaginazione di una giovane madre ancora troppo spaventata di mettere al mondo un figlio, per poterlo ammettere davvero. 

Eppure, nonostante si trattasse di pura immaginazione, di qualcosa di inesistente, lontano, onirico, il volto di suo figlio, quegli occhi profondi e grandi, il suo profumo e la sua voce ... Erano tutti dettagli che sapeva che non avrebbe dimenticato, finché non si sarebbe fatto il momento di arrivare, insieme, alle porte del 1985. 

 

   
 
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