Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    26/08/2022    7 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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(This image is from a google search, no copyright infringement intended)
 

«E così… hai un’altra figlia?»

I due uomini passeggiavano tra i meleti, entrambi con aria rilassata.

Erano anni che non si incontravano. Purtroppo non avevano spesso modo di potersi vedere: troppo pericoloso. Ma non appena possibile, amavano condividere ricordi ed osare qualche progetto per il futuro.

«Sì…» rispose il più basso dei due, lo sguardo intenerito «è davvero molto carina, anche se non è bella come la mia Frieda… che è il mio orgoglio, però Historia è il mio ritratto. Pure io da piccolo ero biondo come questa bambina.»

«Hai avuto la benedizione di molti figli… con quest’ultima, sono sei: quattro maschi e due femmine. Sei un uomo fortunato, Rod» Goram staccò una mela da un ramo basso e, con aria pensierosa, cominciò a sgranocchiarla. L’altro sorrise: un sorriso mesto, il suo.

«Non è una figlia legittima… adesso sta crescendo in una delle mie fattorie, e non sa nulla di nulla»

«…Alma? È sua madre, intendo…?» domandò Goram, con esitazione.

«Esatto. La mia ex domestica, una donna dolcissima»

«Sì… me la ricordo, un gran bel faccino, in effetti. Ti posso capire.»

«E tu… dimmi: hai più rivisto Alphaia?»

Si sedettero su una panca, ad ammirare il mare d’oro dei campi. Il grano sapeva essere generoso, nelle annate giuste. Un momento di silenzio venne interrotto da un “no” mormorato e quasi inudibile. Goram gettò il torsolo a terra, che venne subito raggiunto da un pugno di moscerini.

«Mi dispiace. La tua unica figlia avrà anche fatto le sue scelte, ma almeno potrebbe venirti a trovare, di tanto in tanto.»

«Chissà… forse un giorno le cose cambieranno. Io l’aspetterò: quando sarà pronta, verrà da me.» il suo sguardo si raddolcì.

Rod annuì. Era dispiaciuto per il suo amico. Non aveva mai conosciuto sua figlia, ma sapeva che aveva lasciato la casa paterna quando era ragazza, per iscriversi alla Scuola di Medicina, dopo un terribile litigio con Goram, per poi arruolarsi come medico militare presso il Corpo di Ricerca.

«Ci sono novità… politiche, intendo?» chiese Rod, a bruciapelo.

«Nulla di saliente, a parte che Zackely stava monitorando l’Armata Ricognitiva, non essendo convinto dell’operato del suo comandante, che non cavava un ragno da un buco, tanto da averlo sollevato dalla carica. Stava pure valutando l’investitura di un nuovo ufficiale. Poi però è successa una cosa abbastanza straordinaria.»

«Del tipo?» Rod si incuriosì. In campagna non succedeva mai nulla di straordinario: lui e la sua famiglia vivevano come in una bolla, in una sorta di continua aspettativa di qualcosa… che avrebbe potuto avverarsi… oppure no.

«Praticamente, i soldati della Legione Esplorativa hanno catturato un Gigante.»

Rod balzò in piedi, allarmato. «Un Gigante… hanno catturato un Gigante, mi dici?» tartagliò.

«Esatto… ma calmati, Rod, alla fine non si è scoperto nulla di speciale. Dopo poco tempo dalla cattura, del mostro non è rimasto un granché, a parte qualche brandello. Non hanno scoperto nulla… nulla, capisci?»

Goram gli posò una mano sul braccio, per tranquillizzarlo. Rod riprese a respirare, e si sedette nuovamente accanto all’amico. Goram lo osservò di sottecchi, per poi riprendere il filo del racconto. «A questo punto Zackely, venendo a sapere che, comunque sia, erano riusciti a catturare un titano, voleva riabilitare Keith Shadis al comando: ma fu lo stesso Keith Shadis a dimettersi, chiedendo di essere trasferito al Corpo di Addestramento Reclute. Al suo posto, ora c’è Erwin Smith.»

Rod ascoltò con attenzione, per memorizzare tutte quelle informazioni. Ne avrebbe poi parlato con Uri… e con Kenny, ovviamente.

«A proposito, ultimamente ho avuto la visita di Kenny.» aggiunse Athiassy, ora in tono gelido.

Rod sobbalzò: l’amico gli aveva forse letto nel pensiero?

«Gradirei che tuo fratello gli dicesse di lasciarmi in pace. Io non vi ho mai traditi sinora, e non intendo farlo per il futuro. Non capisco perché di tanto in tanto io debba subire la visita di quello spregevole individuo che si accompagna ad Uri. Ho sempre fatto attenzione alla Reggia, misuro parole e gesti, sono praticamente il nobile più insignificante e invisibile.»

«Sei anche l’unico, oltre a noi e agli Ackerman, ad avere memoria, Goram…» sospirò Rod. «Mi dispiace davvero, ma cerca di capire… anche involontariamente potresti farti sfuggire qualcosa e Kenny si assicura che la verità, almeno per il momento, resti ben custodita. Non temere per la tua vita: in fondo, tramite Kenny Ackerman noi ti assicuriamo protezione e aiuto.»

Bella roba, ne farei volentieri a meno! pensò Athiassy, stringendo le labbra. Ah, figlia mia, sapessi come benedico il giorno in cui te ne andasti, sbattendo la porta! Almeno sei libera da tutta questa sozzura! Ti invidio, pure io vorrei fare lo stesso, andarmene e cambiar vita… ma anni fa non ebbi il tuo stesso coraggio!

****

Hanji Zoe non riusciva a darsi pace.

Da qualche giorno era intrattabile: proprio lei, che riusciva sempre a farsi scivolare tutto di dosso e a prendere le cose con filosofia, proprio non ce la faceva a superare la delusione. Passava dal pianto alla rabbia, in una frazione di secondo. Era semplicemente isterica. Levi la evitava accuratamente, trovandola in quei giorni particolarmente petulante e fastidiosa, sebbene Hanji ricercasse proprio la sua, di compagnia. Ma nessuno poteva capire il suo dispiacere. Lo aveva avuto tra le mani, era stato tutto suo. Lo aveva corteggiato, coccolato, blandito: sotto gli sguardi perplessi dei commilitoni, di Mike soprattutto, Hanji si era presa cura del titano, un piccolo classe quattro metri e mezzo che erano riusciti a catturare, come se fosse un cucciolo di cane o un micino.

La missione si era svolta velocemente e bene, molto meglio delle previsioni: nessuna perdita, nessun ferito e un interessante malloppo da portare al castello. La notizia della cattura aveva fatto scalpore, a Mitras erano tutti come galvanizzati. Il mostro era stato fatto coricare supino e ben legato, mentre Zoe gli aveva parlato dolcemente, addirittura cantandogli una ninna nanna. Aveva poi appena iniziato a sezionarlo, a bruciacchiarlo, a piantarvi chiodi: tutto questo mentre blaterava cose senza senso, di fronte ai commilitoni, sempre più perplessi.

«Da quel fatal giorno in cui fetidi pezzi di melma fuoriuscirono dalle acque ed urlarono alle fredde stelle: "io sono l'uomo", il nostro grande terrore è stato sempre la conoscenza della nostra mortalità, ma stanotte lanceremo il guanto della scienza contro lo spaventoso volto della morte stessa, stanotte noi ascenderemo nell'alto dei cieli, sfideremo il terremoto, comanderemo il tuono, e penetreremo fin nel grembo dell'impervia natura che ci circonda.»(*)

… Ma in fondo, le volevano tutti bene, ed erano anche felici di vederla così entusiasta ed amante della scienza.

Un bel mattino, però, Hanji Zoe ebbe un amaro risveglio.

Giunta sul luogo ove il mostro era tenuto prigioniero, si avvide che non vi era più nulla. Al posto del Gigante ora si trovavano le corde, mollemente adagiate al terreno, oltre a qualche brandello esalante mefitici vapori. Non faceva che parlarne, come di un amore perduto: era inconsolabile, come una sposina abbandonata all’altare.

«Era qui, con me… lo avevo chiamato Meti, come ti avevo promesso…»

Al che il medico cercò di reprimere una smorfia, atteggiando il viso a compunzione, porgendo all’amica una tazza di tisana al tiglio, per cercare di calmarle i nervi a pezzi.

«Il mio piccolino… lo stavo tagliuzzando un pezzettino alla volta, con amore e attenzione…» sospirava, scuotendo il capo. Meti temette che Hanji scoppiasse in lacrime… cosa che in effetti accadde. Le diede una pacca sulla spalla, per consolarla. Zoe era un fiume in piena.

«Nessuno mi può capire, nessuno! E adesso come farò con le mie ricerche? Come farò a scoprire la verità sui Giganti? Se scopro come sono fatti, sarà più facile per noi…e invece niente, lo abbiamo catturato per niente, sono un fallimento!» piagnucolò, affranta.

«Ma no, che non sei un fallimento, non è mica colpa tua, cara. Vedila così: capiterà di nuovo, ne cattureremo ancora e stavolta faremo molta più attenzione. Non ho idea di cosa sia accaduto, ma dovrà pur esserci una spiegazione… non si può sparire così, nel nulla. Adesso però calmati, non ti devi ammalare per questa cosa…»

«Ne cattureremo ancora?» tirò su l’altra con il naso, facendole gli occhioni da cerbiatta, finché Meti non le allungò il suo fazzoletto.

«Ma certo. Questo è solo l’inizio.»

«Sì sì, giusto, è solo l’inizio! Grazie, Meti, sei un angelo!»

La donna venne amorevolmente stritolata dall’alta scienziata, che tornò allegra e di buon umore come per magia. Ciangottando, Hanji se andò, lasciando Meti a dir poco allibita.

«La matta Quattrocchi se n’è andata?»

Meti annuì, sorridendo, aggiungendo nuova acqua alla sua tisaniera, per permettere a Levi di prepararsi il tè.

Levi aveva preso l’abitudine di recarsi spesso da Meti proprio per questo motivo. Anche se il medico, tutte le volte, voleva offrirgli la sua, di miscela, Levi accettava solo l’utilizzo della sua tisaniera, con cui il tè gli veniva meglio, più forte, proprio come piaceva a lui. Così, capitava che tutti e due se ne stessero insieme nella stanzetta adiacente all’ambulatorio a sorseggiare: Meti una tisana, Levi il suo tè, il tutto in perfetto silenzio. Dopo aver bevuto, Levi era solito andarsene, spesso senza neppure salutare o limitandosi a un cenno. Era il suo modo di farle capire che apprezzava la sua compagnia: cosa che Meti aveva accettato di buon grado.

I rapporti tra loro erano molto migliorati. Non erano diventati amiconi da pacche sulle spalle, ma almeno avevano imparato a rispettarsi a vicenda. Levi era un uomo molto intelligente, e aveva capito che Meti fosse una brava persona: non aveva, poi, dimenticato l’affetto sincero dimostrato dalla dottoressa ad Isabel: quest’ultima era stata solita parlare con entusiasmo della “mamma umana di Princess”.

Levi non amava essere compatito, ma capì che i gesti gentili di Meti nei suoi confronti erano per rispetto alla sua perdita, anche perché pure lei aveva sofferto per la morte dei suoi poveri amici. A sua volta, Meti aveva intuito le buone qualità di Levi e le sue grandi potenzialità. Egli era un sopravvissuto, e le asperità del suo carattere andavano comprese ed accettate.

«Vieni Princess, guarda chi c’è.»

Levi fece una smorfia che poteva essere presa per un sorriso, alla vista della bellissima micia bianca. I gatti gli piacevano, essendo animali molto puliti. Princess era sempre meticolosamente spazzolata dalla sua padrona e si presentava, quindi, come un delizioso batuffolo candido che attirava le carezze… comprese quelle di Levi, ai cui stivali la micia andò a strusciarsi.

«Cosa ne pensi?» alla fine lui se ne uscì fuori con questa domanda a bruciapelo, dopo molti minuti di perfetto silenzio.

«Cosa ne penso… a che proposito?» gli chiese Meti, trattenendo un sorriso. Levi era davvero unico, nel suo genere!

«Di Smith come comandante, ovviamente. So che Shadis non ti andava a genio, anche se hai avuto tu l’idea della cattura del gigante per farlo riabilitare.» Levi se ne stava seduto, con una mano reggeva elegantemente la tazza, con l’altra faceva i grattini sotto al mento di Princess, ora placidamente posata sul suo grembo e che socchiudeva gli occhi turchesi, tutta soddisfatta.

«Te lo ha detto Erwin, immagino.» sospirò, finendo la sua tisana, ormai quasi fredda. «Cosa vuoi che ti dica… credo che per ognuno di noi ci sia il posto giusto, a questo mondo. Per Shadis non era di certo il comando dell’Armata, mi duole dirlo. Non mi fraintendere: è un uomo di grande valore, coraggioso e devoto alla causa fino al sacrificio. Ma non ha una visione di insieme… come invece ce l’ha Smith. Ecco: io penso che come addestratore Keith sarà perfetto, e che saprà forgiare dei soldati straordinari. È severo e inesorabile, ma giusto. Se però ora il comando è affidato a Smith, di sicuro le cose cambieranno. Non credo che le ricognizioni si terranno più allo stesso modo, Smith è un innovatore, per natura. Una persona curiosa, dalle mille domande. Beh, questo è quello che io credo di aver capito di lui… sai, lo conosco da diverso tempo, ormai, e un’idea me la sono pur fatta.»

«Per questo te l’ho chiesto.» dichiarò Levi, asciutto, posando giù Princess con delicatezza.

«Ho soddisfatto le tue aspettative?» sorrise lei, in tono gentile.

«Forse.» al che posò la tazza e si alzò. Accingendosi ad andarsene, la soppesò con lo sguardo «Mi ha chiesto di dirti che stasera ci aspetta nel suo studio privato.»

****


NOTE DELL'AUTRICE:
(*) Doverosi credits a quel capolavoro indiscusso del film di Mel Brooks “Frankenstein Junior” (Usa 1974), nel pieno rispetto del copyright.
  
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