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Autore: MollyTheMole    27/08/2022    1 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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RUGGINE
 

L’unico vero giudice della verità è il tempo.

(Pindaro)

 
 

Londra, un giorno imprecisato nell'anno 1934, notte.

 

Era notte fonda ormai su Londra. Leggere nuvole di nebbia e vapore crescevano negli angoli del vicolo deserto. La strada lastricata riluceva alla luce dell’unico lampione, bagnata dalla pioggia battente. 

Era un orario strano, per andarsene in giro. L’acqua che scrosciava dal cielo non permetteva alle signore facoltose di mostrare la pelliccia nuova, e le strade erano quasi del tutto deserte. Solo qualche taxi e qualche Rolls Royce ritardataria scheggiavano nelle strade sgombre dal traffico, trasportando probabilmente il loro prezioso carico di gioielli e portafogli gonfi di banconote, di ritorno da qualche evento mondano. 

Poi, vicino ad un bidone della spazzatura, c’era lui, in piedi nel buio, in attesa, solo la luce del sigaro ad illuminargli il volto, al riparo dalla pioggia sotto un cornicione in pessimo stato.

L’uomo sbuffò una nuvola di fumo che si mescolò prontamente alla nebbia e all’umidità, mentre si domandava se fosse saggio restare lì sotto ad aspettare che il cornicione, inzuppato d’acqua e fragile, gli cadesse in testa. 

Aspirò di nuovo una boccata di fumo ed espirò, calcandosi bene il cappello sulla fronte.

 Era un orario strano, per l’appunto, e lui non si sarebbe dovuto trovare lì. Sapeva che presto si sarebbero accorti della sua assenza, anche se a casa aveva detto di non aspettarlo alzati. Sicuramente avevano pensato ad una puntata al pub - che aveva effettivamente fatto - o a qualche partita di bridge o poker al circolo.

C’era di buono che lui non aveva mai rivelato quando quel circolo fosse aperto, così nessuno avrebbe potuto controllare.

Il vicolo era fatiscente e puzzava di spazzatura. L’uomo sbuffò, domandandosi quanto tempo ci volesse ancora. Comprendeva la necessità di muoversi con cautela, ed era stato molto attento a non esser seguito, tuttavia non si capacitava di come una persona potente come l’uomo che stava per incontrare potesse nascondersi a quel modo, come un coniglio dentro la tana. 

Aveva in mano l’intera Londra, eppure viveva come un recluso.

Forse, era colpa del nuovo ispettore capo.

Sulle prime, aveva preso la cosa con una risata, quando lo aveva letto sul giornale.

Poi, aveva dovuto smettere di ridere. 

Un rumore improvviso lo fece sobbalzare, e perse definitivamente la pazienza quando si rese conto che un grosso gatto fulvo aveva colpito con la coda un barattolo di latta abbandonato mentre giocava con un topo morto.

- Chi è là?- chiese, la voce resa aspra da anni di fumo. 

Un sonoro "miao", quasi fosse la risposta alla domanda, rimbombò nel vicolo.

- Ah, stupidi gatti.-

E una bottiglia di vetro scheggiata si infranse, atterrando vicino al gatto che, spaventato, se ne andò soffiando e abbandonando il topino al suo destino. 

L'uomo nel vicolo prese a camminare avanti e indietro, nervoso. L'orario indecente poteva creare sospetti e non aveva prove del fatto che quelle case brutte e fatiscenti fossero effettivamente abbandonate. L'aria gelida che entrava nei polmoni gli rendeva ogni passo sempre più doloroso, ma doveva aspettare. 

Se tutto fosse filato liscio sarebbe stato il più grosso affare della sua vita.

- Dico, hai intenzione di farci scoprire?-

Un uomo dal volto immerso nell'oscurità, tarchiato, con gli abiti sporchi forse di olio, era comparso sulla porta. Attaccato alla maniglia, quasi dovesse evitare che l'uscio cadesse, lo stava fissando. Non poteva dirlo con certezza, dato che non riusciva a vederlo in volto, ma sentiva il suo sguardo addosso, pronto a notare qualsiasi dettaglio. 

Come un'arma, ad esempio, ma si era guardato bene dall'indossarla. 

Sapeva che un simile oggetto avrebbe potuto mandare a monte tutto.

- Suppongo che lei non sia…-

- Taccia!-

La veemenza del sibilo con cui l'uomo grasso gli aveva risposto lo aveva fatto sussultare.

- Mio padre è dentro. Prego, venga.-

Sapeva che "padre" era probabilmente un modo per parlare di lui e non destare sospetti.  Seguì l'uomo all'interno dell'edificio più brutto e cascante che avesse mai visto. Scese una scalinata di legno, completamente buia, a cui mancavano delle assi, e dovette appoggiarsi al muro per evitare di mettere un piede in fallo. Il corrimano, spezzato in più punti, non era decisamente affidabile. L’unico lume era la vecchia lampada a cherosene che l’uomo grasso ed unto teneva nella mano destra, mentre con la sinistra si appoggiava al muro, non tanto per reggersi, quanto per distanziarsi da esso ed evitare che la grossa pancia lo facesse rimbalzare nella direzione del corrimano. Dalle travi sottili - forse troppo sottili, pensò, guardandole criticamente - pendevano ragnatele talmente grosse da sembrare zucchero filato.

Ancora una volta l’uomo si chiese come fosse possibile essere così potenti e vivere in un simile tugurio.

O forse non ci viveva e quel luogo era solo una copertura, un ritrovo per concludere affari lontano da occhi indiscreti.

Un tonfo sordo gli fece supporre che la porta, già in bilico sui cardini, fosse caduta definitivamente mentre loro due scendevano le scale, diretti ad un seminterrato. Una porta un po' più curata ed ornata di un lucido pomello di ottone, dipinta di fresco con una lucente vernice verde mela del tutto inadatta alla casa, fu aperta con un leggero cigolio.

- Capo, è arrivato.-

- Lasciaci, Tibbs. Signore, finalmente la conosco di persona.-

- Il piacere è mio, signor…-

- Silenzio. Qui anche i muri hanno orecchie, non so se mi spiego.-

Si toccò il naso, guardandolo astutamente.

Tutto sommato non se lo era aspettato così. L’ambiente di certo non aveva contribuito a dare l’idea del signore che aveva davanti. Non aveva saputo se aspettarsi un completo sciatto o un raffinato signorotto, e quello che aveva di fronte era esattamente una via di mezzo tra i due. Era un bell’uomo, niente da dire, dai capelli ramati finemente pettinati e dalla barba fatta di fresco. Emanava un leggero profumo di acqua di colonia e i suoi abiti erano di eccellente fattura, ma non era appariscente, stravagante, opulento. 

Pensò che, se fosse stato in lui, con tutti i soldi che aveva, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato comprarsi un orologio da centinaia di sterline. Una bella patacca dorata da mettere in mostra, ogni volta che aveva bisogno di leggere l’ora, o magari anche qualche volta in più. 

In fondo, a che serve essere ricchi se non lo si dimostra?

Lo osservò fare un cenno piuttosto perentorio ad un secondo uomo, vestito meglio del primo e dall’aria più raffinata, anche se dava l’impressione di essere talmente grosso da strappare le cuciture del vestito, ed osservò questo versare placidamente del liquido ambrato in un bicchiere.

- Mi hanno detto che vuole mettersi in affari con me.-

- Esattamente.-

Lasciò che l’uomo lo scrutasse con il suo sguardo indagatore. Si era aspettato una valutazione del genere. In fondo, è normale per un uomo come lui soppesare i propri collaboratori prima di renderli tali. 

Una mossa sbagliata, e tutto il suo impero crolla.

E lui finisce sulla forca.

Lasciò che le sue iridi color caramello scivolassero sulla sua persona e continuassero a scrutarlo. Certo, il colore era caldo ed accogliente, ma la sua espressione, il suo sguardo era tutto fuorché amichevole. C’era qualcosa, nei suoi occhi, che tradiva un animo di pietra ed una spietatezza fuori dal comune.

- Per quale motivo un uomo come lei, dalle grandi possibilità, vuole mettersi in affari con un mascalzone come me?- disse, e rise, come se la cosa lo divertisse.

- Per lo stesso motivo per cui lei è diventato un mascalzone, per dirla con parole sue.-

Si fissarono negli occhi. 

L'uomo si era aspettato quella risposta. Aveva sentito molto parlare dell'individuo che gli stava davanti. In generale, gli avevano fatto un gran bel ritratto. Spregiudicato, aggressivo. Uno che non si fa troppi scrupoli, quando si tratta di risolvere i problemi. 

Però sapeva costruire, e, soprattutto, sapeva nascondere bene i materiali scadenti che acquistava dietro ad una bella struttura architettonica. 

Sembrava promettente.

Talmente promettente da non avere bisogno di lui, forse.

Quando si è così intraprendenti, il rischio è di trovare concorrenza.

E la concorrenza, si sa, è sempre meglio averla come amica che come nemica. 

- No, lei è qui perché teme di pestarmi i piedi.-

- Sa com'è, cerco di trarre profitto dalle situazioni di svantaggio.-

Spudorato ed avventato. Si trovava nel suo territorio, nel suo covo, e si permetteva di fare il gradasso, come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi. Narcisista e prepotente, proprio come glielo avevano descritto. Insomma, un vero mascalzone. 

E sapeva per certo che due mascalzoni, narcisisti e prepotenti, alle lunghe finivano per scontrarsi. 

In altre circostanze, avrebbe dato ordine al Macellaio di fare fuoco seduta stante.

Tuttavia, di tutte le esperienze che gli mancavano, costruire era una di quelle da cui non voleva assolutamente esimersi. Certo, avrebbe potuto mettersi in proprio, e quell’ometto prepotente lo sapeva. Così, era venuto da lui, prima che lo usasse come prestanome dopo. 

Apprezzava l’intraprendenza, e, nonostante stesse subodorando la fregatura, non poteva non scorgere la possibilità di acquisire un ottimo partner nel mondo del crimine.

E lui aveva un'arma che il suo interlocutore non possedeva.

La fama. 

E decise di sfruttarla.

- L'affare che lei è venuto a propormi… Si tratta di…-

- Semplice.-  fece, interrompendolo. 

Dovette trattenere il Macellaio con un cenno malcelato della mano sotto il tavolo.

- Io metto la firma, l'assistenza tecnica, legale… Copro l'affare sul piano burocratico, insomma, e faccio passare i suoi dipendenti, chiamiamoli così, come miei.-

- E che ci guadagno io con questa cosa?-

- Dividiamo a metà le spese e i proventi della vendita. Nessuno saprà nulla del nostro accordo e lei farà soldi facili.-

A metà? 

Si mise a ridere.

Ma che, era matto?

- Se lo scordi.-

Il suo interlocutore rimase di sasso. 

Gli era sembrato un affare promettente, quando lo aveva progettato, e non gli era nemmeno passato per l’anticamera del cervello che, a quell’uomo, la metà non sarebbe bastata, nemmeno lontanamente. 

- A queste condizioni faccio prima a mettermi in proprio.- e lasciò che i suoi occhi color caramello indugiassero sull’espressione di malcelato stupore sul volto di quel piccolo mascalzone in erba.

- Voglio i due terzi, e una percentuale sugli appalti. Il resto è suo.-

- Non mi ci resta praticamente niente.-

L’uomo allargò le braccia e si dondolò sulle gambe posteriori della sedia.

- Allora, ognuno per la sua strada. Ci vedremo tra qualche mese, quando mi sarò deciso a mettermi in proprio.-

L’imprenditore rimase a fissare quel farabutto patentato. Che cosa si era aspettato? Del resto, era di lui che si stava parlando, mica di qualche picchiatore da bisca clandestina. Questo qua era un pezzo grosso, ed era normale che da pezzo grosso volesse essere trattato.

Stava a lui scegliere il modo migliore per non pestargli i piedi e continuare a lavorare, magari traendo qualche profitto.

E pensò che in fondo avrebbe guadagnato abbastanza risparmiando sui materiali e gestendo tutte le gare di appalto che avrebbe vinto, adesso che c’era qualcuno a truccargliele. 

Con quel terzo che gli restava, avrebbe fatto dei gran bei soldini, e come inizio non era di certo male.

Appunto, come inizio.

Chissà che dalla collaborazione non potesse nascere un rapporto un po’ più fiducioso, e che per lui non ci potesse essere “un terzo” un po’ più grosso.

E poi, lui era furbo. Era bravo. Con questa proposta, aveva fatto un colpo da maestro. 

Poteva quasi diventare più bravo di quel mascalzone ordinario.

Con un orologio d’oro massiccio in tasca.

- Andata.-

Gli occhi caramello si illuminarono, convinto di averla spuntata.

- Bravo. Vedo che è un uomo ragionevole.-

Seduti l'uno dirimpetto all'altro, i due si stavano scrutando, avvolti nella penombra. Il terzo uomo grosso e muscoloso, che fino ad allora era rimasto seduto in un angolo, al suggerimento del capo si alzò dalla sedia e si diresse verso un tavolino sgangherato alla parete di fondo. 

- Doe.-

L’uomo annuì, prese i due bicchieri di whisky, ne porse uno con garbo al proprio capo e tese l'altro all’uomo. 

- Spero che le piaccia il whisky.- fece questo, gli occhi brillanti come il liquido ambrato nel suo bicchiere.

- Non mi dispiace.-

- Purtroppo è tutto quello che ho. La vita del mascalzone non concede molti lussi.- e rise di nuovo. 

Il suo compare sembrava divertirsi, e l’imprenditore pensò che fosse meglio sfruttare l'occasione, finché riusciva. Sorrise e bevve un sorso. Il sapore forte del whisky invecchiato gli riempì la bocca e una sensazione di piacevole bruciore scese lungo la gola. Schioccò le labbra soddisfatto.

Era vero, pensò. La vita del mascalzone non concedeva molti lussi, ma un buon whisky a portata di mano, evidentemente sì.

- Sa che cosa succede se lei cerca di alzare la testa, vero?-

Eccome se lo sapeva, ma aveva deciso di relegare quella conversazione ad un momento successivo. In fondo, se giocava bene le sue carte, poteva anche fregarlo, quel damerino ordinario dagli occhi color del whisky.

- Non mi interessa rompermi l’osso del collo.- fece dunque, abbassando il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolo ed ammiccando all’uomo pieno di muscoli dietro di lui.

- I suoi picchiatori sono ben allenati. Pugilato?-

Quel Maciste digrignò i denti.

- Anche io ho dato qualche pugno, tempo addietro. Qualcuno lo sferro anche adesso, ma di solito devo stare attento a non farmi prendere. Il pugilato è molto più divertente. Ci si può spaccare la faccia autorizzati per legge. Non c’è niente di meglio. Forse, nemmeno la polizia può prendersi più libertà!- e rise mentre vuotava il bicchiere di whisky.

Il mascalzone rimase a guardare quel poveretto, perché in nessun altro modo poteva essere definito.

L’avrebbe sfruttato, finché gli avesse fatto comodo. Poi, gli avrebbe dato il benservito. Non era il primo pallone gonfiato che pretendeva di mettersi in affari con lui, e tutti avevano avuto la stessa, pessima idea.

Provare a fargli le scarpe.

E lui, invece, aveva fatto loro la festa.

- Contento lei. Mi basta che sappia che cosa l'aspetta.-

- Ne sono perfettamente al corrente, grazie. Temo però che ci sia un ma.-

All’uomo venne da ridere.

- Pure?-

- Certo. Mi giunge voce che è ricercato da Scotland Yard.-

Il capo rise di un riso sussultorio ed evidentemente molto divertito. Batté entrambe le mani sul tavolo e rispose:

- E se ne preoccupa?-

- Da quando c'è il nuovo ispettore capo, sì.-

Già, il nuovo ispettore capo. Un elemento niente male, davvero, anzi, osava dire che si era trattato di un acquisto eccellente. Da quando era arrivato, aveva risolto un bel po’ di grane che Scotland Yard si stava portando dietro da anni, come il furto irrisolto dai Mason, o l’avvelenamento all’Embankment. Tutti avevano un unico filo conduttore.

Il veleno l’aveva fornito lui, e la refurtiva dei Mason era stata in bella mostra sopra il camino di casa sua, almeno fino a che non aveva deciso di farla ritrovare, pur di togliersi quella zecca infernale dai piedi. 

Fin dal primo momento in cui l’aveva intravisto, l’aveva associato ad una volpe. Pelo rosso, volto affusolato, occhi penetranti. E un cervello da far paura.

Sapeva che era soltanto un caso se il nuovo ispettore non aveva fatto ancora due più due, e sapeva anche che, se voleva preservare la sua posizione privilegiata all’interno della malavita di Londra, doveva guardarsi da quella volpe e prendere delle contromisure, affinché non nuocesse più ai suoi affari.

- So perfettamente di cosa è capace il nuovo ispettore. Ci sto già pensando io.-

- Ah, sì?- chiese all'improvviso l’altro, poco convinto.- E come, se posso?-

Il capo abbozzò un sorriso sarcastico.

Aveva una mezza idea, in effetti, un embrione di piano che contava di mettere ben presto in atto. Gli era giusto capitato un nuovo elemento tra le mani, un soggetto che prometteva bene tanto quanto quel piccoletto antipatico, solo meno tronfio e pallone gonfiato. 

Se rendeva bene tanto quanto prometteva, avrebbe avuto a breve un incarico molto interessante, che, nemmeno a dirlo, aveva a che fare con il nuovo ispettore capo di Scotland Yard. 

L’avrebbe sistemato per benino.

Col cavolo, però, che l’avrebbe detto al suo nuovo amico.

Gli lanciò un’occhiata eloquente. 

L’uomo comprese che non avrebbe mai avuto una risposta a quella domanda, e la cosa quasi lo divertiva.

Il grande capo voleva avere dei segreti. 

L'uomo prese il bicchiere e lo sollevò.

- Allora un brindisi alla nostra alleanza. Che ci frutti come deve.-

Il capo afferrò il suo bicchiere e fissò intensamente l'uomo che gli sedeva davanti.

- Che frutti come deve.-

Era infine giunto il momento di separarsi. L’uomo unto e grasso aprì la porta e fece per scortare l'ospite di sopra. 

- Un momento!-

I due si fermarono sulla soglia verde mela.

Non riusciva proprio a togliersi quella sensazione di amaro in bocca che, forse, cercava di suggerirgli che aveva concluso un affare non così buono. 

- Si ricordi che la riuscita dell'accordo dipende solo da lei.- aggiunse, con lo sguardo più freddo che potesse esprimere. 

L’ammonimento fu liquidato con un cenno di assenso e l’uomo fu scortato fuori, nel vicolo buio, umido e nebbioso.

Con sua grande sorpresa, la porta non era ancora caduta, e neppure le mani nerborute della sua scorta riuscirono a demolirla, quando la chiuse definitivamente. 

Aveva smesso di piovere.

 
  
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