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Autore: Nefe    28/08/2022    2 recensioni
Era stata una frase buttata lì in una sera di fine estate.
Izuku con il senno di poi avrebbe dovuto capire che non avrebbe portato a nulla di buono, eppure era stato più forte di lui.
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warning: leggero PWP.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Era stata una frase buttata lì in una sera di fine estate.

Izuku con il senno di poi avrebbe dovuto capire che non avrebbe portato a nulla di buono, eppure era stato più forte di lui. Forse era stato l’alcol che aveva in corpo; forse era stata la musica, quei bassi che risuonavano potenti dentro alla sua cassa toracica. Forse era stato quel drink ghiacciato che l’aveva rinfrescato come una fonte d’acqua limpida in mezzo al deserto – e di nuovo, forse era stato proprio l’alcol all’interno di quello stesso drink ghiacciato a dargli la forza. C’era tanto, tanto alcol lì dentro e ancora di più dentro al suo corpo.

O forse era stata tutta la serata in sé ad avergli fatto avere il coraggio di dire una cosa simile, una cosa che pensava da anni, da sempre in realtà. Ma che non aveva mai osato dirla ad alta voce, non dopo aver compiuto i cinque anni per lo meno.

Momo Yaoyorozu aveva proposto lei quella specie di festeggiamento – rimpatriata – e “occasione di rivedersi tutti quanti come ai vecchi tempi.” Così riportava l’invito redatto a mano da qualcuno che sapeva scrivere molto bene e probabilmente da qualche sponsor di qualche prestigiosa cartiera che Creaty aveva avuto a che fare in passato nelle sue innumerevoli collaborazioni retributive.

Izuku non lo sapeva, l’unica cosa della quale era a conoscenza era quell’invito: una carta dalla grammatura spessa che sembrava essere molto costosa, di un materiale che non aveva mai sentito, qualche fibra a lenta essicazione e macinatura a freddo – o qualsiasi altra cosa ci fosse stata scritta nel piccolo dépliant in allegato. Era imbustato e chiuso con cera lacca e tutto il resto. Sembrava l’invito di un matrimonio, o l’invito al ballo delle debuttanti dell’alta società in qualche magione super segreta del 1856.
Carino sì, ma non roba da Izuku, sinceramente.

Aveva le mani tozze e cicatrici su tutto il corpo, aprire quella carta pregiata e vedere la busta sgretolarsi fra le sue mani non era stato tanto piacevole. Soprattutto se poi aveva scoperto il valore assolutamente alto e super pregiato di quelle carte. Non che tutto il processo di lavorazione che c’era dietro. Non sapeva nemmeno se fosse legale come cosa.

Si era scoperto poi, che a Creaty piaceva fare solamente le cose in grande stile, ma non c’erano matrimoni in vista o qualche entrata in alta società da parte di qualsivoglia vergine in qualunque società fosse: che sia odierna o antica non faceva nessuna differenza.
Alla fine, era solo una festa in una discoteca noleggiata da qualche eroe e resa privata per l’occasione. Un mucchio di eroi in un unico piccolo spazio. Non sembrava una grande idea, Izuku stava già prendendo il telefono per ringraziare Momo del pensiero, più che altro per cercare di dargli buca in modo carino e senza che potesse offendersi; quando la chiamata in entrata di Ochako lo fece sospirare. Sapeva già dove voleva andare a parare. Senza nemmeno averla ascoltata, la suoneria trillava ancora fra le sue mani.

“Fermati immediatamente in quello che stavi per fare, e ascoltami.”

Lì Izuku aveva capito immediatamente di aver perso in partenza.
 




Ancora non se lo spiegava sinceramente, nonostante fossero passati ormai mesi. La sola idea era stata una puntura imbarazzante di una qualche zanzara carnivora che ogni tanto rincasava, e gli mangiava un piccolo bocconcino di cervello. E ogni volta che accadeva Izuku si trovava a scuotere la testa come un cane, per cercare di far letteralmente uscire fuori il suo pensiero.

Che cosa ridicola e super vergognosa poi.

Ma quello che gli faceva pompare forte il cuore ogni volta era stata la risposta di Bakugo Katsuki.
 
 
 


Sembrava che ogni cosa intorno a lui si fosse fatta rossa. Un rosso rubino ma più scuro, più simile al colore del sangue miscelato con l’acqua. Era come se Izuku fosse un omicida che si lavava le mani in un bagno pubblico e si perdeva nel colore che grondava fra le pieghe delle sue dita.

Deglutì.

E ogni cosa intorno a lui ritornò ancora più intensamente in quel miscuglio rosso. Un mare di sangue caldo nel quale stava lentamente sprofondando.

Ricordava di essersi leccato le labbra, perché l’aria lì dentro non c’era, perché il ghiaccio del suo cocktail si era già sciolto da troppo tempo all’interno della sua bocca e l’arsura desertica era ritornata più potente di prima.

Ricordava come se fosse stato ieri che faceva caldo. Moriva di caldo.

Era come essere crollato giù nell’inferno ed aver abbracciato Lucifero. Deglutì di nuovo, e ancora, il fulcro di quell’inferno rosso non si era perso un briciolo dei suoi movimenti. Prima le labbra, poi il pomo d’Adamo.

“Vorrei…” E lì si era perso, la verità, l’unica cosa che avrebbe voluto era profondare in quel mare di sangue bollente che erano i suoi occhi, il calore del suo corpo lo attirava come il polo magnetico di una calamita. Vorrei il tuo cazzo, se me lo concedessi. Fin giù nelle viscere, o in qualsiasi altra parte Katsuki Bakugo preferiva.

Izuku non aveva richieste particolari, voleva solamente farsi scopare ed adattarsi nella forma del cazzo di Katsuki.

Invece deglutì di nuovo. Perché non c’era aria lì dentro?

Bevve un sorso di drink e si rese conto che era solo acqua, sbuffò internamente e la sua voce improvvisa e vibrante lo fece andare a sbattere contro il guardrail della sua autocommiserazione. Sottone da oltre 28 anni per il suo amico-nemico-rivale-compagno di giochi-non che persona che lo conosceva meglio sull’intera faccia della Terra.

“Cosa vorresti esattamente, nerd?” la sua voce era un lento vibrato, una corda di basso pizzicata, che batteva potente nella sua cassa toracica, ancora più forte dei bassi di quella canzone.

Porca merda. Gli avrebbe ingoiato il cazzo seduta stante.

Cosa voleva? Beh. Laggiù qualcuno sapeva esattamente cosa voleva.

Inspirò, si sentiva le guance calde, l’intera spina dorsale coperta da una patina di sudore bollente.

“U-un drink. Vorrei un altro drink.”

Si girò, e come un piccolo soldatino di ferro andò nel bancone più vicino, Katsuki, lo seguiva dietro di lui.

L’età e tutto quell’allenamento avevano fatto miracoli per le sue spalle, un triangolo rovesciato che si incastrava alla base della vita, sui suoi fianchi spigolosi. Izuku avrebbe potuto benissimo sborrare solamente guardando la sua schiena, cosa che era quasi avvenuta, più volte, nello spogliatoio della loro prima agenzia condivisa.

Questo lo portava esattamente in quel punto: aveva dovuto cambiare agenzia.
Best Jeans non era stato molto contento delle sue dimissioni.

Ed era imbarazzante, e di nuovo, veramente pietoso il fatto che un uomo adulto avesse dovuto cambiare agenzia proprio per evitare di cambiarsi la tuta con il suo amico-nemico-rivale-compagno di giochi-e bla bla bla.
Questo, come un perfetto schema lineare, portava – di nuovo, un’altra volta – a una esatta e comprensibile situazione: Bakugo Katsuki, odiava chiunque fosse l’extra di turno a fargli un torto, ed Izuku gliene aveva fatto uno bello grande, ormai 8 anni fa: era andato via senza dirgli niente. Nulla. Nemmeno una parola.

Izuku era terribilmente imbarazzato e non avrebbe saputo dargli una risposta che in qualche modo soddisfacesse la sete di Katsuki e soprattutto il suo inspiegabile dono nello scoprire qualsiasi bugia proveniente dalla bocca di Izuku.

Quindi Izuku aveva lasciato il paese, letteralmente, se l’era data a gambe.

 Aveva lavorato per un paio d’anni in America, nella vecchia agenzia fondata da David Shield, e ora gestita praticamente dalla figlia Melissa. Un’agenzia di supporto, un supporto in cooperazione con altri eroi sostanzialmente.
E proprio lì, aveva rispolverato quel vecchio pensiero da bambini e l’aveva tolto dalla sua scatola della memoria.
Era un po' pieno di ragnatele, qualche incrostazione di qualche emozione filtrata nel corso degli anni, qualche incisione profonda che non era nient’altro che auto-sabotaggio, ma quel ricordo si era rivelato essere così in buone condizioni che Izuku aveva quasi pianto, nel suo appartamento nel cuore di Manhattan. In qualche modo sembrava funzionare.

Poi era ritornato in patria, e le cose erano andate un po' diversamente.

Izuku aveva trovato facilmente posto nella vecchia agenzia di Nighteye, ora gestita da Lemillion. Era una buona agenzia, e non gli dispiaceva un capo come Mirio. Era una incredibile risorsa umana, soprattutto per l’approccio coi media. Era veramente incredibile, Izuku aveva ancora molto da imparare.

Katsuki, comunque, non era di certo stato con le mani in mano, in tutto quel tempo; anzi. Katsuki era stato un portento, un vero e proprio caso imprenditoriale: all’età di 26 anni era finito su tutte le riviste finanziare dell’est e dell’ovest del mondo.
Aveva fondato la propria agenzia, la Sanka*. Uno dei pochi ad essere riuscito ad aprire un’agenzia eroistica in Giappone sotto all’età dei 35 anni, il primo sotto i 30. La Sanka era finanziata da una manciata di investitori facoltosi e tra questi c’erano sua madre e suo padre. E proprio sua madre – secondo voci di corridoio – sembrava essere la ragione del nome; era incredibile che Katsuki avesse accettato, ma evidentemente c’era qualcosa sotto. Un qualcosa che ora aveva perfettamente intuito. Alla fine, era parte del loro contratto.

“Oi Deku, ti decidi a prendere questo drink o no? Tsk.”

Izuku saltò più che altro per la sorpresa di sentire la voce di Katsuki dietro di lui. Girò la testa verso la fonte della voce ed un’ondata di profumo così penetrante gli riempì i polmoni. Era una colonia ampia, fresca e su di lui ci stava così bene che avrebbe voluto attaccarsi al collo ed inalare come un drogato.

Inghiottì saliva e frustrazione e fece il suo ordine.

Vide che Katsuki non si era mai allontanato dal suo fianco, o più in generale da dietro di lui, sempre così vicino e così dannatamente opprimente che Izuku avrebbe voluto liberarsi di quella tensione che si annidava dentro alle sue viscere. Anche lì, in mezzo a quel locale di cui non gliene importava nulla, circondato dai suoi colleghi di lavoro.

La mente già lucida e molliccia aveva aperto varchi e confini celebrali che avrebbero dovuto rimanere completamente sigillati.

Ancora se la ricordava quella sega che aveva comportato la decisione di dover dire addio all’agenzia di Best Jeans. Si era afferrato così intensamente il suo cazzo e le sue stupide dita erano scivolate per la prima volta in posti in cui non avrebbero dovuto scivolare, era stato mortalmente imbarazzante.
Era venuto con il suo nomignolo di infanzia sulle labbra, però era in assoluto la sega migliore che si era mai concesso.

Il barman gli diede il nuovo drink, tutto alcol, niente ghiaccio e lo tracannò tutto. Strizzò gli occhi, deglutì più volte e si girò ad affrontare il toro per le corna.

E – cazzo. Katsuki lo stava guardando ancora con quello sguardo da cattivo ragazzo che ti prometteva cose così oscene da fartele incidere a fuoco nella tua mente.

Deglutì di nuovo. L’aria era incandescente. Una fornace in continua produzione.

“Cosa volevi dirmi prima, Izuku?”

Porca troia.

Midoriya inspirò ossigeno dal naso, chiuse gli occhi per racimolare tutti quegli ultimi frammenti di raziocinio – quelli che gli facevano ancora tenere i pantaloni affrancati alla vita. E riaprì lentamente gli occhi, era tutta questione di equilibrio, e se fosse che quell’idiota della sua cotta - di praticamente tutta la sua vita, si stava prendendo gioco di lui? Magari aveva capito tutto e stava solamente facendo apposta-

Izuku lo guardò, il suo sguardo verde era annebbiato dall’alcol ma liquido. E vide anche Katsuki deglutire.

Avrebbe potuto farlo apposta? Sul serio?! Bakugo brutalmente sincero Katsuki? Era stato stupido solo a pensarlo. Forse era l’alcol. Decisamente era l’alcol. Katsuki non era quel genere di persona. Piuttosto avrebbe preferito tagliare i rapporti con lui, con quella seccatura ambulante e lentiggini che era.

Dio era un ragionamento così contorto, quando l’unica cosa che voleva era il suo dannato cazzo all’interno del suo dannato culo.

Il suo sguardo si perse in quella lingua rosa che si leccava le labbra, erano lucide e Izuku avrebbe ingoiato persino i suoi sputi come se fosse il nettare degli dei.

“Hai bisogno di un aiuto, Deku? Ce l’hai ancora la voce?”

Oh, avrebbe potuto gridare quanto voleva.

Ma Katsuki evidentemente non era ancora soddisfatto: “cosa volevi dirmi, prima?”

I suoi occhi erano lucenti, carichi di una aspettativa misteriosa, come in attesa di qualsiasi cosa avesse voluto Izuku, pronto per essere soddisfatto. Pronto ad assecondare qualsiasi sua richiesta.

Sinceramente, Izuku si sentì così potente da fremere all’interno della sua stessa pelle.

Fu in quel momento forse, che Izuku staccò la spina del suo cervello, e si prese la briga di aprire quella scatola vecchia. L’inferno di quegli occhi che gli leggendo l’anima, il fuoco liquido del suo corpo a distanza di neanche un braccio da lui, e il calore nella sua gola per quell’alcol che gli aveva reso la testa più leggera. E il suo profumo che lo avvolgeva e gli entrava nei polmoni.

“Voglio essere il tuo unico partner.”

Gli occhi di Katsuki si spalancarono, e una volta realizzato quello che Izuku gli stava dicendo, il suo sguardo cadde; era uno sguardo che prometteva il peccato e la redenzione, e le sue pupille divennero grosse e grasse nell’iride rossa dei suoi occhi.

E’ una richiesta particolare, Deku.

Izuku deglutì, ma i suoi occhi erano incastrati in quei girone infernale. “Voglio te, e voglio una missione dove siamo solo noi due.”

 
 


 
 
 
“Oi nerd, la doccia è libera.”

Izuku sospirò, il soffitto era ampio e luminoso nella loro casa. Le finestre catturavano la luce del giorno e la disperdevano in raggi luminosi sul letto e sul mobilio bianco. Evitò di alzarsi dalla sua posizione, buttò solamente l’occhio se laggiù fosse effettivamente tutto a posto, ma quando vide che dai suoi pantaloncini larghi della tuta non si vedeva niente, prese un altro profondo respiro.

A cosa diavolo era servito andare via e starsene lontano da lui se poi aveva proposto una missione come quella? In che diavolo di situazione si era andato a cacciare?!

Sotto copertura, fintamente sposati e con un cane che mangiava per tre, a pesare sul loro bilancio famigliare.

Bilancio ‘famigliare’ poi, tutta quella storia era una grande, enorme e mega bugia cosmica; eppure Izuku ci si stava così tanto abituando da risultare fastidiosa. Alla fine, quella, era solamente una missione. Prima o poi sarebbe tutto tornato alla normalità, e Izuku non era pienamente contento di questa particolare cosa.

La cosa più fastidiosa, sinceramente, era che Katsuki non stava facendo niente per entrare nella parte. A lui sembrava venire tutto così naturale: il prenderlo per mano durante le loro (finte) passeggiate nel quartiere, le ronde non erano mai state così dannatamente belle.

E diavolo, non aveva fatto nessuna fatica o sforzo, nell’aprirgli la portiera o aspettarlo per uscire di casa; gli teneva aperto anche la porta e lo faceva passare per prima.

Si erano persino dovuti baciare, per la prima presentazione ai vicini. Era un bacetto veloce, una robina piccola a stampo e durata il tempo di un battito di ciglia. Ma se Izuku ci ripensava poteva ancora sentire la pelle d’oca sulle sue braccia. Era stato così perfetto e così intenso e così tristemente veloce che Izuku non se lo spiegava. Era stato perfetto, anche se avevano cinquanta paia di occhi di quello stupido vicinato pettegolo che li osservavano – vicini ai quali era stato affibbiato il sospetto di gestire un giro di prostituzione minorile.

Insomma, per quanto drastica e pesante fosse l’intera situazione, lì in quel piccolo paesino lontano da casa, in un qualsiasi insulso vialetto americano; sembrava, per Izuku, il dannato paradiso in terra.

Era così frustrante.

Soprattutto per il rischio continuo del venire scoperti e l’ansia costante che aveva, per paura che la loro copertura venisse bruciata, i villain erano proprio lì, in qualche casa di quella zona, e mai avrebbero potuto essere così vicini di nuovo. Quello era un lavoro di anni, Melissa aveva inviato tutti i dati ad Izuku, chiedendogli se le avesse potuto consigliare un partner per quella situazione delicata, e Katsuki – dio, anche il tempismo sembrava essere stato così sbagliato, erano proprio insieme quando quella mail era arrivata. Bakugo aveva preso i contatti direttamente dal suo cellulare e aveva personalmente chiamato Melissa, dicendo che ci stavano. Erano dentro. E che non avrebbe potuto trovare due partner migliori per quell’operazione sotto copertura.

E ora, ad Izuku sinceramente, sembrava il paradiso e l’inferno quella situazione.

Era bloccato lì, con Katsuki che – a quanto sembrava – si divertiva andare in giro per la maggior parte del tempo con il torso scoperto e che si faceva un’infinità di docce.

Dio, Izuku era così frustrato, la voglia di infilare il cazzo in qualsiasi buco e scopare o fottersi da solo era ai massimi storici, sarebbe potuto impazzire.

“Nerd? Oi, dormi?”

Izuku ringhiò quasi, e con un colpo di reni fu seduto sul loro letto matrimoniale.

Fu una mossa che si ritorse contro di lui.

Katsuki era lì, in tutta la sua (giustificabile) spavalderia, mezzo nudo e ancora bagnato. I capelli tirati indietro e gocciolanti di acqua. E gli occhi così intensi da arderlo vivo.

Izuku sospirò e si rilasciò cadere sul letto pesantemente.

Ma la sua schiena non raggiunse mai quella soffice coltre di lenzuola morbide, due grandi mani lo tenevano sollevato a mezz’aria. Erano calde e grosse. E sostenevano tutto il suo peso.

Izuku alzò lo sguardo e due incendi rossi lo stavano mangiando vivo.

“Cosa devo fare con te?” Era un sospiro roco, e frustrato e carico di qualcosa di bestiale.

Scoparmi. Ecco quello che dovresti fare.

Katsuki ringhiò, vibrò e lo lasciò andare. Izuku squittì sorpreso.

“Erano anni che aspettavo me lo dicessi.” Un latrato roco e Izuku spalancò gli occhi.

Aveva-

Oh dio.

Aveva detto-

“Ti fotterò così forte, che questo intero quartiere del cazzo lo sentirà.”

Si stava già tirando via l’asciugamano quando con un nuovo colpo di reni Izuku ribaltò le posizioni. Bloccandogli le mani di fianco alla testa.

“Kacchan! Cosa stai-”

Izuku spalancò gli occhi a quella sensazione di pressione bassa ed esterna. Deglutì. E ritornò a guardare gli occhi rossi di Katsuki.

Si sentiva caldo sulle guance, e caldo in qualsiasi zona del corpo in realtà.

“Lo senti Izuku?” Il soggetto era abbastanza chiaro.

Izuku si morse le labbra e scostò lo sguardo.

“Oh- non fare quel giochino sporco con me.” Katsuki diede un colpo, e Izuku gemette. Gli saltò alla bocca e lo baciò profondamente. Katsuki fu di nuovo sopra.

“Sei finalmente qui. Sei mio, e non ti lascerò andare via tanto facilmente. Ricordi, no? Volevi me.”

Izuku arrossì, fu impossibile distogliere lo sguardo quando il peso di Katsuki gli pesava così bene addosso. Lo bloccava contro quel materasso, e in quella posizione non poteva scappare. Era braccato, era completamente alla sua mercè e Izuku lo adorò.

Quella sensazione- quella incredibile sensazione di non avere voce in capitolo, di essere a completa disposizione di Katsuki. Di essere totalmente dominato, sia in senso fisico sia in senso psicologico.

Katsuki avrebbe potuto fargli quello che voleva e Izuku gliel’avrebbe concesso. Sempre.

“Quella notte,” la voce di Katsuki vibrava roca nel suo timpano. Il profumo di bagnoschiuma e un leggero alone rimasto della sua colonia, e la mente di Izuku era friabile come un biscotto. Il suo peso era ancora maggiore ora, in quella posizione dominante addosso a lui. Ma Katsuki continuò imperterrito a parlare, a giocare con lui. A fargli sentire il peso della sua erezione contro il suo stomaco piatto.

“Quella notte, in cui hai detto che mi volevi, sono andato a casa e ho sborrato sulla tua faccia in una stupida rivista.” La lingua di Katsuki gli circondò il padiglione auricolare, e denti mordicchiarono la carne molle del lobo. “Ho immaginato di venirti in faccia, ho immaginato di colorare le tue lentiggini di bianco. E segnati come mio. Ho immaginato di marchiarti, Izuku.” Il respiro caldo contro la superficie di pelle bagnata.

Gemette e il peso di Katsuki si spostò da lui. Izuku aprì gli occhi che non si rese conto di aver chiuso e deglutì. Le sue guance rosse e un profumo di maschio intenso.

Katsuki era lì, seduto sul suo torace e lo guardava. Lo guardava con uno sguardo languido, uno sguardo che prometteva il peggiore peccato. E la sua mano che si masturbava il cazzo, così grosso e già eretto, pronto per essere seppellito nelle sue viscere calde ed umide, o pronto a qualsiasi cosa Katsuki volesse fargli. Izuku non gli avrebbe mai detto di no. Nemmeno con quella cappella rosa poco distante dalla sua faccia.

“Forse posso finalmente farlo.” Un sospiro roco e il cazzo di Izuku trillò. Spingeva nei suoi pantaloncini, disperato di sentire un briciolo di calore.

“Voglio-” la sua voce era roca e sbiadita, riprovò: “voglio- ho bisogno che mi scopi, Kacchan.”

Katsuki ghignò e la punta del suo cazzo gli toccò una guancia. “Qualcuno sta dando troppi ordini, qui.”

Izuku non resistette: al contesto della situazione, alle sue provocazioni – come se fosse il solo del resto, come se anche lui non stesse esercitando quel potere su di lui. Diede una lunga lappata, la sua lingua contro a quella superficie calda e bisognosa di attenzioni e Katsuki gemette roco. Un sospiro che sembrava più come se avesse respirato per la prima volta dopo una lunga apnea, durata anni di combattimenti e di frustrazioni represse da parte di entrambi evidentemente.

“Cazzo.”

E Izuku capì che l’aveva in pugno.

Chi fosse il soggetto di questa frase non era chiaro, forse entrambi.

Forse in modi diversi o forse esattamente nello stesso modo.

Katsuki teneva stretto a doppio nodo Izuku, e Izuku aveva ancorato sulle sue labbra, il potere nel far fare a Katsuki qualsiasi cosa lui volesse.

Era una sensazione così totalizzante che finalmente Izuku sembrò aver trovato il pezzo mancante di un puzzle che non sapeva nemmeno di aver quasi completato. Era come ritornare a vivere, era riuscire a respirare mentre un vento freddo ti arriva in faccia.

Era far quadrare finalmente tutti i conti, era dare un senso a quella vita che nelle mani degli eroi era sempre troppo veloce e troppo rischiosa.

Era quella sensazione di estrema pienezza che senti improvvisamente, quella che ti fa capire che fino a prima avevi come un buco nel petto e non te n’eri nemmeno accorto.

Izuku ritornava a vivere.

Katsuki ritornava a vivere.

Entrambi molto più forti di prima. Insieme.

Era la piena consapevolezza che qualsiasi cosa sarebbe accaduta d’ora in avanti, qualsiasi cosa; sarebbe andata bene. La missione, la copertura, la vita.

E quel contratto che gli era arrivato, alcuni mesi prima. Lasciato come un regalo sul bancone di marmo della sua cucina.

Un contratto che gli proponeva un posto di lavoro accanto a Dynamight. 

Un contratto che lo vedeva come suo pari.

Un contratto di collaborazione e co-proprietario della Sanka. Praticamente Katsuki stava dando i frutti del suo lavoro, della sua vita, in mano ad Izuku. Senza possibilità di remora alcuna. Senza nessun tentennamento, senza nemmeno la parvenza del dubbio.

Ogni loro occasione di quegli anni, qualsiasi cosa, stava in quel contratto.

Katsuki stava mettendo la sua vita nelle sue mani, il suo passato, i suoi sacrifici ed il suo futuro. Izuku stava facendo lo stesso.
 
 



Izuku aveva rifiutato quel contratto.

Non voleva quei privilegi, in fondo a lui, sarebbe comunque bastato guardare Katsuki da lontano.

Eppure non fu possibile negare che gli fece piacere anche solo il fatto che Katsuki gliel’avesse proposto.

Ma ormai era troppo coinvolto, troppo dentro a quella situazione – a quel mondo che era Bakugo Katsuki per lui. Non sarebbe bastato guardarlo da lontano.

Izuku, quindi, aveva rifiutato. Non aveva accettato ad essere co-proprietario della sua agenzia, ma aveva accettato di lavorare con lui. Di lavorare per lui, sotto la sua guida ed il suo giudizio. Che era sempre stato migliore del suo.

Izuku ha accettato di vivere con lui, di essere felice con lui. Ed era già molto più di quello che la vita avrebbe potuto donargli.

 


 
 
Quando Izuku si svegliò, una mattina di fine agosto, e poteva vedere l’espressione placidamente addormentata del suo partner e compagno di vita. Izuku seppe di essere stato benedetto.

Benedetto dalla vita, per avergli fatto incontrare una persona così speciale come Bakugo Katsuki.

E quando Katsuki aprì gli occhi, stanchi ma felici e gli rivolse un piccolo e morbido sorriso, Izuku seppe di aver fatto nella sua vita, tutte le scelte giuste.

Perché nessuna di quelle si era potuta rivelare sbagliata se l’avevano condotto proprio lì, al suo fianco.
 




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*Sanka: uno dei miei personali headcanon ai quali sono più legata, il nome deriva da (酸(さん)化(か)汗(かん)) Sanka Kan, ovvero il nome del Quirk di Masaru, l’Acid Sweat. (fonte: myheroacademia.fandom.com)
Sono straconvinta che se i genitori di Bakugo dovessero avere qualche importante roba finanziaria o qualsiasi altra attività imprenditoriale si chiamerebbe proprio in questa maniera. È una mia nota di fabbrica; se ci deve essere un nome che lega le attività della famiglia Bakugo, allora per quanto mi riguarda sarà proprio Sanka.
 
 
 
Ehilà!

Si capisce il perché del titolo, vero?

No?

Non avete tutti i torti…

Izuku ritornava a vivere.

Katsuki ritornava a vivere.

Ora va meglio, penso ù.ù

Comunque eccomi qui con una oneshot dal finale happy ending – stranamente.

Ma solo perché è dedicata alla mia amica di penna Watchie ❤️ NightWatcher96

Un piccolo regalo per lei, per il suo compleanno, scritta in mezza giornata – sì sono mega lenta a scrivere T-T perché si merita tutto l’amore del mondo, e quindi serviva per forza un happy ending ù.ù

Spero non sia troppo sconclusionata, ma sono le 23:57 del 27 e quasi sicuramente non riuscirò a pubblicare in 3 minuti – AAAHHH.

Quindi buon compleanno (in ritardo) cara Nunzia! Sei una persona fantastica, e so che questo non si può considerare un effettivo regalo, ma volevo farti un pensierino, ecco - e l’unico modo che conosco è questo.

Spero vivamente nella promessa dietro al significato del nome del titolo. Noi sappiamo le nostre cose, e io ti auguro veramente il meglio, perché ragazza mia, te lo meriti tutto quanto ❤️

Ti sono vicina, sempre, anche solamente tramite pensiero.

Ti voglio bene,

nefe  
   
 
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