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Autore: Serpentina    28/08/2022    2 recensioni
Londra, 2037
Il verdetto sulla morte di Aisling Carter, giudicata come tragico incidente, non convince Frida Weil, che nei misteri ci sguazza per passione e sospetta possa trattarsi di omicidio. Decide quindi di "ficcanasare", trascinando nella sua indagine non ufficiale William Wollestonecraft, forse perchè le piace più di quanto non voglia ammettere...
Un giallo con la nuova generazione dell'Irvingverse. 😉
Dal capitolo 5:
"–È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?"
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Bentrovati!

Prima di lasciarvi alla lettura, permettetemi di ringraziarvi per la pazienza e la costanza con cui seguite questa storia. Grazie, grazie, grazie! E un ringraziamento speciale a chi mi lascia un commento; le vostre opinioni contano molto per me, sono davvero utili per migliorare e a volte sono persino d’ispirazione. <3 <3 <3

Mi scuso in anticipo per la lunghezza del capitolo, spero non vi scoraggi (lettura in due tempi, magari?). I personaggi hanno preso il sopravvento su di me, reclamando un po’ di ribalta. In particolare Franz: il lieber Vater della nostra Frida ha preteso una grossa fetta di storia, perciò chi non lo conosce avrà modo di conoscerlo meglio, e i suoi fan avranno parecchia soddisfazione, nonché l’occasione di entrare nella sua contorta testolina.

Forse troverete che il ritmo della storia sta rallentando, ma non temete: ci stiamo avvicinando al gran finale, e vi anticipo che ho in mente un sequel e, perché no, un prequel sulla prima indagine di Frida. A questo proposito: mi piacerebbe sapere quale preferireste leggere prima. Su, coraggio, non siate timidi! ;-)

Stavolta la colonna sonora c’è: “Bhangra Knights” (alcuni di voi la ricorderanno come la canzone dello spot della Peugeot 206),“Someone like you” di Adele e “Heart shaped box” dei Nirvana.

 

Tu chiamale, se vuoi, complicazioni

 

La vita è veramente molto semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata”.
Confucio


 

Al termine di una brillante presentazione Franz Weil, ispirato dal brontolio del suo stomaco e dal cielo terso che pareva posarsi come una coltre azzurra sui palazzi di San Francisco, venne colto dall’irrefrenabile voglia di fare una passeggiata per procacciarsi il cibo. Sorrise al pensiero di cosa avrebbe detto la sua Faith se fosse stata lì. Con ogni probabilità, lo avrebbe redarguito: per certi versi era persino più ligia al dovere di lui, e riteneva sacro degnare della propria presenza tutti i relatori di un congresso, perché “hanno speso tempo ed energie per le loro ricerche, e ascoltato i nostri interventi. È giusto ricambiare. A tutti piace avere un pubblico”.

Certo, ogni tanto capitava che le calassero le palpebre dalla noia, però si sforzava di non darlo a vedere e restava seduta composta fino alla fine della sessione, non mancando mai di applaudire i colleghi. Lui era di tutt’altra pasta.

“Chi se ne fotte di quei Dummköpfe! Ho letto il programma, la sessione pomeridiana sarà un cumulo di stronzate. Machen wir uns nichts vor1: l’ultimo intervento degno di nota è stato il mio! E non ho per niente voglia di farmi venire due palle così per colpa di quei tromboni.”

Non poté fare a meno di immaginare la reazione di Faith; con ogni probabilità, averebbe ridacchiato qualcosa del tipo “Hai sempre una buona parola per tutti, tu!” , gli avrebbe dato dell’insopportabile presuntuoso e avrebbe lottato con le unghie e con i denti nel tentativo di persuaderlo a non disattendere il proprio dovere, salvo poi cedere alla tentazione di trascorrere il pomeriggio in maniera più “produttiva” (possibilmente senza terzi incomodi; e sì, loro figlia era inclusa tra gli incomodi).

Alla fine, prese una decisione irrevocabile: lasciò il Moscone Center e si diresse al porto per gustare una calda e cremosa clam chowder godendosi la vista sul mare.

Das ist alles deine Schuld, meine Liebe. Ich war ein ernsthafter Mensch, bevor ich dich traf!2 Con incrollabile pervicacia e il potere millenario della fi… dell’amore, mi hai malleato in una versione socievole di me stesso. Ho ceduto alla tua testardaggine vent’anni fa, e da allora non ho più smesso.”

“–Oi, Husky!

Ich bin kein Hund!3 Smettetela di chiamarmi così!- ringhiò Franz, seccato per la brusca interruzione di uno dei rari momenti di quiete dei quali poteva godere durante la sua frenetica giornata.

Rassegnati, amico: hai gli occhi di un husky- asserì Christopher Hale, reduce da uno sfiancante turno notturno, tra uno sbadiglio e l’altro.

E la docilità di un dobermann- ridacchiò Robert Patterson all’indirizzo di un contrariato Franz, ancora più contrariato dalla vista di Chris che gli batteva il cinque esclamando –Amen, fratello!

Stranamente, per una volta anch’io sono d’accordo con te, Patty- annuì Harry James, per poi sistemare gli occhiali scivolati sul naso.

Vi sto odiando profondamente, sappiatelo!

La cosa non mi tange- replicò Harry senza scomporsi, mentre si stiracchiava sulla scomoda sedia in plastica del bar del Queen Victoria Hospital. –Tu odi chiunque!

Quasi chiunque- obiettò Robert, enfatizzando il “quasi”, e indicò un punto alle spalle di Franz ed Harry, che si voltarono di scatto.

Faith Irving e la sua amica psichiatra Erin si erano unite alla piccola folla accalcata al bancone del bar in attesa di ricevere la propria ordinazione. Franz non mancò di notare che era particolarmente carina, anche se forse il suo era semplice stupore: di rado la si vedeva al lavoro con addosso qualcosa di diverso dalla divisa d’ordinanza o una tuta.

Harry si lasciò sfuggire una risatina.

Incredibile: mi trovo a concordare con Patty per la seconda volta in un giorno. Devo stare impazzendo!

Probabile- asserì Robert. –Beh, Husky, due graziose fanciulle stanno guardando da questa parte. Che fai, non saluti?

Si era accorto che nell’ultimo periodo l’amico evitava accuratamente sia Faith che Erin, ed era curioso di scoprirne il motivo, oltre che intenzionato ad essere l’artefice del riavvicinamento tra lui e Faith; quei due dovevano stare insieme, punto. Erin o non Erin. In aggiunta, vedere il serio e compassato Franz Friedrich Weil perdere le staffe di fronte alle sue provocazioni non aveva prezzo.

Franz non disattese le aspettative: si accigliò, ringhiò –Chi sei, mia madre?- e si trincerò dietro un grosso tomo che aveva estratto dallo zaino. Salutare la Irving avrebbe implicato che raggiungesse lui e i suoi amici al tavolo, e voleva risparmiarsi il nauseabondo spettacolo di lei e Chris che flirtavano, o non avrebbe risposto delle proprie azioni: il venerdì sera della settimana precedente, per ripicca si era trascinato a casa Erin (fortunatamente non era accaduto nulla di irreparabile); stavolta, sarebbe potuto arrivare a staccargli le gambe e usarle per picchiarlo.

Sarai pure un ex rugbista, Chrissino, ma io pratico arti marziali da quando avevo sei anni. Komm schon4!”

–“Greenfield. Manuale di neuropatologia”. Che palle!- commentò l’ignaro oggetto della furia interiore di Franz, storcendo il naso. Era un uomo d’azione, faticava a comprendere il fascino di una materia che richiedeva di trascorrere buona parte della giornata seduto dietro a un microscopio e/o al freddo schermo di un computer. Si chiedeva spesso come facessero Franz ed Harry, radiologo, a non spararsi un colpo in testa dalla noia. Perlomeno lui vedeva persone, bombardava calcoli, toglieva reni… vuoi mettere il divertimento?

Sto conducendo uno studio sui linfomi cerebrali. Cosa dovrei leggere, Topolino?

Potresti leggere… tu-sai-cosa. È da un po’ che te l’ho prestato, mi piacerebbe riaverlo indietro.

Scusa tanto se ho avuto da fare! Una cosa chiamata lavoro, hai presente? La mia fonte di reddito, la sola e unica ragione per cui ogni mattina dal lunedì al venerdì porto meinen königlichen Hintern5 in questo deprimente luogo?

Mamma mia, che pesantezza! Altro che MMA, tu sei cintura nera di come si schiva il divertimento!- sbottò Chris, prima di salutare animatamente la Irving, invitandola a raggiungerli. –Oi, Faith! Da questa parte!

Buongiorno, disistimabili colleghi!- celiò lei con la vivacità di chi ha appena assunto la dose salvavita di caffeina. A poca distanza Erin, offesa per non essere stata minimamente presa in considerazione (specialmente da Chris), si limitò a un cenno del capo. –Come andiamo?

Si tira avanti- rispose Harry dandosi arie da grande saggio.

Carino il vestito- disse Robert, puntando il dito verso l’abito - forse eccessivamente corto, per un contesto lavorativo - nero con stampa di mele rosse che indossava Faith. Le mele ti donano, anche se dei meloni sarebbero più azzeccati!

Risero tutti, compreso Harry, il quale però tentò di camuffare le risa da colpi di tosse per darsi un contegno. Franz, invece, non lo trovò affatto divertente (“Battute di bassa lega sulle tette? Wirklich?”); intenerito dall’evidente imbarazzo di Faith, reagì con compostezza e maturità: chiuse il libro con un colpo secco di tale veemenza da farli sobbalzare.

Cristo santo, Husky! Vuoi farci venire un infarto?- si lamentò Robert.

Franz lo fulminò con un’occhiataccia da far accapponare la pelle, prima di dirottare l’attenzione su Faith.

Sei in ritardo, Irving.

Guten Tag, Weil! Ci siamo svegliati di buonumore, vedo!- ridacchiò. Che senso ha arrivare in anticipo per stare in panciolle come te? Preferisco prendermela comoda! La proffa o King sono pervenuti? Devo chiedere se noi giovani oggi possiamo uscire prima.

VOI giovani? Io chi sarei, Matusalemme?”

Non solo arrivi tardi, tu e quegli altri lavativi vorreste pure uscire prima? Dovrete passare sul mio cadavere!

La Irving, per nulla impressionata, si chinò verso di lui e gli sussurrò all’orecchio Hai visto di cosa sono capace con un bisturi. Guardati le spalle- dopodiché scrollò le spalle e salutò gli altri con un gioviale Beh, ragazzuoli, è stato un piacere. Con permesso, porto i meloni a fingere di lavorare, così magari riuscirete a far tornare il sangue al cervello e lavorare un po’ anche voi.

Quando mise piede in laboratorio, Franz, ancora adirato per l’insubordinazione di Faith, che aveva osato addirittura minacciarlo, per poco non perse i sensi: al posto del consueto ordine militaresco impartito dal duo Eriksson-King, rispettivamente primario e vice, regnava un caos festoso.

Cosa diavolo sta succedendo qui?

La proffa è impegnata tutto il giorno con le lezioni e King si è rotto una gamba. Devono operarlo, ne avrà almeno per un mese- ululò Chester Sullivan con un entusiasmo che definire inopportuno è un eufemismo. Oggi il capo sono io! Non è meraviglioso?

Franz tirò in su col naso con fare altezzoso e si sedette alla propria postazione.

Presumo che la risposta sia no!- sussurrò Faith a Sullivan, facendolo sogghignare divertito.

Dopo un po’, stordito dagli schiamazzi dei colleghi e dalla musica indiana ad alto volume, Franz sbottò Ne avete ancora per molto?- poi, ricevuta una sonora risposta affermativa, senza dire una parola si alzò e se ne andò sbattendo la porta.

Sperava di trovare pace in biblioteca, ma gli andò male: i suoni della festa clandestina in corso, seppur attutiti, raggiungevano comunque il suo sensibile apparato uditivo, impedendogli di concentrarsi a dovere. Emise un sospiro di rassegnazione e accantonò il Greenfield per dedicarsi a letture meno impegnative. Purtroppo per lui, la tranquillità non era destinata a durare a lungo: una presenza molesta era in avvicinamento. Fece appena in tempo a nascondere il volume prestatogli da Chris dietro il più consonomattone” scientifico, che Faith irruppe con la forza di un ciclone, arrestandosi davanti a lui con aria di sfida. A separarli c’era solo un tavolo, e Franz si sforzò di ignorare sia lei che il senso di disagio provocato dall’eccessiva vicinanza mentre si preparava alla sfuriata, che però tardava ad arrivare. Dopo quella che gli parve un’eternità, cedette alla pressione della pesante cortina di silenzio, e le chiese Vuoi stare lì a rifarti gli occhi, oppure devi dirmi qualcosa?

Entrambe- rispose lei con una tranquillità che lo lasciò completamente spiazzato. Ti sei comportato da stronzo. Più del solito, se possibile. Non stavamo facendo nulla di male, giusto un po’ di casino extra per festeggiare Sandee - tra parentesi: usciremo prima per portarlo a bere qualcosa, con il benestare di Sullivan - approfittando dell’assenza di quel guastafeste di King. Poi ci saremmo rimessi all’opera, giuro!

Oggi è il compleanno di Sandee? Non lo sapevo!

Sì, beh, da quando mi frega sapere qualcosa dei miei colleghi, a parte curriculum e ferie?”

Non mi sorprende: conoscendoti, non ricordi neppure quello di tua madre!- lo rimbeccò Faith, facendolo arrossire. Se avessi un minimo di decenza, torneresti di là per scusarti.

Vielen Dank per questo consiglio non richiesto- sibilò lui a denti stretti, piccato. Ora, se permetti, ho un libro di milleottocento pagine da finire.

Nonostante la scoraggiante scontrosità di Franz, Faith non demorse; si sedette di fronte a lui, poi, anticipando l’ovvia recriminazione che in biblioteca non si cincischia, si studia, prese una copia del Robbins e si mise a sfogliarla distrattamente; infine, raggiunto il punto di rottura, abbandonò ogni tentativo di mantenere la discussione su toni civili.

Sei l’essere più irritante che abbia avuto la sventura di incontrare! Come fanno a sopportarti Robert, Chris e Harry?

Franz sollevò per un attimo lo sguardo dal libro che stava sfogliando febbrilmente, e curvò le labbra in uno strano sorriso.

Me lo domando spesso anch’io.

Come facevano a sopportarti i tuoi colleghi in Germania?

Non mi sopportavano- esalò inespressivo.

Parli come se non ti importasse.

Perché non mi importa. Ero lì per imparare, non per farmi degli amici, e qui non è diverso: l’obiettivo è fare carriera, non risultare simpatico, se non a pochi eletti accuratamente selezionati.

Le due cose non sono incompatibili- obiettò Faith, determinata a scalfire quel cinismo devastante.

Lo sono, se vuoi arrivare in vetta- ribatté Franz, sconcertato dalla stilettata della replica che seguì.

Triste che la pensi così. Mi dispiace per te.

Mi sta compatendo? Nein, nein, nein! Tutto, tranne questo!”

Ingenuo da parte tua pensare il contrario, ma sono sicuro che cambierai idea strada facendo. Oh, sì, farai strada, di questo sono sicuro- rise della sua espressione sconvolta, ed aggiunse –Perché quella faccia? Dovresti averlo capito che ti tengo in grande considerazione. Non perderei tempo a bacchettarti, altrimenti. Adesso, se hai finito di dispensare pillole di saggezza non richieste, ho un articolo - del quale sei co-autrice - da sottomettere entro la fine della settimana.

Faith inclinò il capo verso destra e attese circa mezzo minuto, mordicchiandosi l’interno della guancia, dopodiché si sporse verso Franz e gli sfilò dalle mani il manuale che stava fingendo di consultare, a copertura di tutt’altro genere di letture.

Aha! Lo sapevo che nascondevi qualcosa!- esclamò trionfante. –Bene, bene, bene. Cos’abbiamo qui?

Po… posso spiegare.

Sadicamente divertita dall’imbarazzo di lui, la Irving affondò il proverbiale coltello nella piaga senza pietà; per una volta, era lei ad averlo dalla parte del manico, desiderava godersela fino in fondo.

Prego! Sono ansiosa di scoprire come tenterai di giustificarti. Vuoi forse inserire “Berserk” nella bibliografia del nostro- calcò l’accento sull’aggettivo possessivo –Articolo?

Franz, ormai color pomodoro, pigolò un flebile Me l’ha prestato Chris, volevo restituirglielo quanto prima; e, beh, eccoil vostro casino mi impediva di concentrarmi, così…. Come l’hai capito?

Ti hanno tradito due particolari: il verso in cui voltavi le pagine, e, soprattutto, lo spessore delle due metà del libro- - rispose lei scrollando le spalle. –Se avessi davvero sfogliato il Greenfield a quel ritmo, la metà di sinistra sarebbe dovuta diventare progressivamente più spessa, man mano che si accumulavano le pagine; invece le due metà erano sempre uguali.

Meravigliato da cotanto spirito di osservazione, Franz schiarì la voce e, in un penoso tentativo di riprendere il controllo della situazione, la stuzzicò dicendo –Ammettilo, dai: pensavi fosse un porno!

Impossibile- replicò lei senza scomporsi. –Avevi entrambe le mani in bella vista!

Das dachte ich schon, aber jetzt weiß ich: du bist die erstaunlichste Frau, die ich getroffen habe. Lass uns nach Vegas fliegen!6

Distratto dai propri pensieri, si accorse che Faith si era avviata all’uscita solo quando la sentì aprire la porta.

Warte! Do… dove vai?

So riconoscere una causa persa, Weil. Peccato, però: è brutto venire delusa da qualcuno che, tutto sommato, ammiro.

Warte!- ripeté. –Te ne vai così? Niente battutine o tentativi di ricatto?

Ricatto?

Potresti minacciare di sputtanarmi, se non tornassi in laboratorio a fare ammenda. Il granitico dottor Weil che legge manga di nascosto sul lavoro… roba da prima pagina sul gazzettino del gossip ospedaliero per un mese!

Faith, lungi dall’essere contagiata dalla sua ilarità, gli scoccò un’occhiata di puro sdegno, seguita dall’ancor più sdegnoso –Per chi mi hai presa?

Rimasto solo, Franz si prese la testa tra le mani, indeciso sul da farsi.

Complimenti, Irving, non male come tentativo di manipolazione psicologica. Sottile, soprattutto; sì, sottile come le mura di casa mia! Scheiße! Che fare? È chiaro che l’ho delusa… e offesa: una come lei non cadrebbe mai così in basso, sono stato un vero Scheißkerl a insinuare il contrario. Sie hat Recht8: non so cosa mi sia preso, sta di fatto che ho dato il peggio di me. Dovrei chiedere scusa, a lei e gli altri; però non posso cedere senza lottare: significherebbe legittimarla ad alzare l’asticella sempre di più, sempre di più, fino a chiedermi l’impossibile. Niemals!”

Alla fine, dopo lunghe e profonde riflessioni, mise da parte l’orgoglio e si scusò con i colleghi, spiegando che il suo malumore era dettato dall’ansia di ultimare in tempo l’articolo.

Dopo una pausa che gli parve interminabile, i tre moschettieri - meglio noti come Elmond, Jefferson e Sandee, il festeggiato - annuirono in segno di approvazione, quindi quest’ultimo gli porse una scatola di cioccolatini con dentro un solo cioccolatino, e asserì –Scuse accettate. Ti sei meritato un dolcetto.

Insospettito, come ogni cinico, dalla gentilezza senza (apparenti) secondi fini, Franz storse il naso.

Farcito al Dulcolax?

Certo che no!- protestò Sandee con veemenza. –Per chi mi hai preso?

Io ci avevo fatto un pensierino, a dire il vero, ma la qui presente Faith mi ha dissuaso. E' chiaro che le stai a cuore- ammise candidamente Jefferson, cogliendo l’occasione per tastare il bicipite di uno sconcertato Franz, che desiderò seriamente una pala per sotterrarsi quando il collega aggiunse, malizioso –Meh! Da uno che frequenta la stessa palestra di quella statua greca di Chris Hale mi aspettavo di meglio. È tutto tuo, cara!

Non sapendo bene se e come ribattere, Franz si limitò ad un’occhiataccia delle sue, sentendosi un minimo sollevato nel constatare che la Irving appariva imbarazzata quanto lui.

La vicenda si concluse, dopo l’orario di lavoro, nel migliore dei modi: con un’amichevole bevuta al pub, la prima di una lunga serie.

Quel giorno Franz realizzò che socializzare non era poi tanto male, e che era circondato da aspiranti Cupido: scoprì, infatti, che Robert, in combutta con Harry e Chris, aveva intenzionalmente provocato Faith nella speranza di indurlo a difenderla platealmente e, quindi, diventare ai suoi occhi il principe azzurro. Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con la cocciutaggine di quelle due teste dure: avrebbe dovuto attendere ben nove mesi, prima di vedere realizzato il suo sogno.”

Vinto dalla nostalgia, tirò fuori dalla borsa il telefono e compose il suo numero (guarda caso l’unico che ricordava a memoria, insieme a quello di Frida). Non lo sorprese di dover aspettare svariati squilli, prima che si degnasse di rispondere: data la differenza di fuso orario, doveva trovarsi nel bel mezzo della cena sociale, per cui faticava a udire la suoneria in mezzo al frastuono.

Hallo! So di disturbarti, ma avevo proprio voglia di sentirti. Wie geht’s, meine Liebe?

–Franz!- esclamò lei con voce stranamente acuta. –Che bella sorpresa! Ti credevo ancora al congresso!

–Senza te a mettermi in riga, ho bigiato- ammise candidamente.

–Non rinfacciarmi una scelta che tu stesso mi hai persuaso a fare. Goditi San Francisco, che domani rientri in patria- replicò Faith, insolitamente sbrigativa. Troppo sbrigativa.

“Non è da lei liquidarmi così, senza nemmeno un bacio o un ti amo. Se fosse un brutto momento, me lo direbbe. Was passiert9? O sono io paranoico?”

–C’è un tempo stupendo, troppo per recludermi tra quattro mura a sentir blaterare quei quattro tromboni- ribadì, sperando che non trapelasse il suo reale stato d’animo. –Gente del calibro di Lefevbre, quel francese antipatico che a Miami ti rovesciò addosso il caffè e invece di tentare di rimediare al disastro rimase lì impalato a fissarti le tette. Ricordi?

–Sì. Mi sconvolge che lo ricordi tu: parliamo della bellezza di… ventuno anni fa!

–Io non dimentico.

Calò un silenzio di tomba, rotto poco dopo da Faith, che cercò di chiudere frettolosamente la conversazione, acuendo i sospetti di Franz.

–Bene, allora, buon pomeriggio. Qui è ora di cena, e sono in compagnia, perciò… ci sentiamo dopo, ok?

Sebbene non fosse un tipo particolarmente geloso, e avesse assoluta fiducia nella sua compagna, i modi spicci e la nota colpevolmente acuta nella voce di lei lo avevano insospettito. I sospetti trovarono conferma quando udì una voce inequivocabilmente maschile in sottofondo insinuare che Faith sarebbe stata in guai seri, se avesse scoperto insieme a chi stava trascorrendo la serata; a quel punto, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scagliare il telefono in mare.

Si calmò con un paio di profondi respiri, e chiese con studiata noncuranza –Chi c’è lì con te, meine Liebe? Se è Damien, salutamelo!

“Prima di rispedirlo in Irlanda per direttissima!”

–B-beh, e-ecco… n-non è Damien- pigolò lei fievolmente, lasciando intendere che avrebbe preferito una tortura cinese al continuare quella discussione, dopodiché strepitò –No, Cyril!

Il nome risuonò nella testa di Franz, che si lambiccò per ricordare dove l’avesse già sentito, finché non gli sovvenne, e al solo pensiero gli si attorcigliò lo stomaco.

“Cyril, che nome di merd… ah! Ecco chi è: l’esecrabile figlio di una cagna rognosa, partorito in un vicolo buio, che ha spezzato il cuore meiner Geliebten10! Chi gli ha dato il permesso di vagare libero sulla Terra? Quelli come lui hanno un girone infernale tutto per loro!”

Stavolta la respirazione non fu sufficiente: per riacquistare un contegno dignitoso, calciò una lattina di Coca-Cola abbandonata da qualche incivile, spedendola dritta in un bidone poco distante. Ne sarebbero servite altre cento, di lattine, o forse un punching-ball, perché in quel preciso momento Cyril si decise a parlare.

–Perdonami per aver interrotto bruscamente la vostra chiacchierata. Morivo dalla curiosità di conoscere il mio rimpiazzo. Franz, giusto? Piacere, Cyril Wollestonecraft.

–Franz Weil.

“Il piacere è tutto tuo, Arschloch!”

 

***

 

Seduto al tavolo di un ristorante indiano, William si stava annoiando mortalmente. Aveva sperato che costringere Faith e suo padre a stare a stretto contatto avrebbe non solo funto da punizione per non avergli raccontato del suo defunto zio, ma avrebbe anche prodotto un’esplosione di rancore sopito da ambo le parti sufficientemente comica da indurre Frida a parlargli di nuovo senza che fosse necessario chiederle scusa (sebbene fosse consapevole di avere torto marcio, per una volta). Sfortunatamente, aveva fatto male i suoi calcoli: all’uscita dalla stazione di polizia era calato un silenzio di tomba; persino la scelta del luogo dove mangiare era stata compiuta mediante gesti e mugugni.

“Stanno tutti zitti, che palle!”

Ad acuire la sua frustrazione contribuiva in gran parte la Weil, la quale non solo non aveva degnato di uno sguardo lui, ma - peggio ancora - stava fissando spudoratamente suo padre, tormentandosi nervosamente il labbro inferiore e le mani.

“Non sono geloso - sarebbe ridicolo all’inverosimile - ma… un po’ di contegno, e che cazzo! È imbarazzante! Perché lo fissa? Ha cambiato gusti e adesso preferisce la mia versione stagionata?”

Cercò confortò in Faith, ma invano: a differenza sua, non sembrava affatto perplessa dal bizzarro comportamento di Frida; semmai, divertita.

“Va bene che chi ha generato e cresciuto la Weil non può avere tutte le rotelle a posto, però...”

Il suo sconcerto raggiunse l’acme quando Faith sospirò, rassegnata, e disse alla figlia –Non crucciarti, cucciola. Fai quello che devi fare, sono sicura che a Cyril non dispiacerà.

Prima che il diretto interessato potesse anche solo concepire di ribellarsi, Frida si materializzò inquietantemente accanto a lui e, dopo aver chiesto il consenso (senza però attendere una risposta), gli aggiustò la cravatta, per poi risedersi visibilmente sollevata.

Ja, das ist viel besser11!- cinguettò, annuendo con soddisfazione. –La sua cravatta deviava di ben un centimetro verso sinistra. Disturbava la vista, era assolutamente inguardabile!- si accorse all’istante dell’espressione allibita dell’uomo, quindi si affrettò ad aggiungere –Non posso farne a meno: ogni minimo difetto, ogni anomalia, ogni nota stonata… nulla mi sfugge- “Quasi nulla” pensò malignamente William, mentre giocherellava con la forchetta osservandola in tralice. –Questo rende la mia vita pressoché insopportabile, ma si rivela parecchio utile per risolvere crimini.

Sconcertato, Cyril lanciò al figlio una delle loro occhiate in codice, maturate in anni di trame alle spalle della sua ex moglie.

Sta scherzando, vero?”

No, no, è serissima! Lei è Sherlock Weil, paladina anticrimine dai metodi moralmente discutibili, e io il suo socio, nonché voce della coscienza, dr. Wollestonecraft.”

Cyril sollevò un sopracciglio.

A casa mi dirai cosa ci trovi in lei. Caruccia, per carità, ma è matta da legare!”

William ricambiò con uno sguardo malizioso e penetrante.

La mela non cade lontano dall’albero, e tu con l’albero in questione ci scopavi. Hai poco da fare lo spiritoso, genitore uno!”

Cyril lo fulminò con un’occhiataccia.

Modera il linguaggio, William. Sono tuo padre!”

Nella mia mente è appena partito il tema di Darth Vader, sappilo! Dan dan dan, dan da-dan...”

Poco dopo, sempre più frustrato, William decise di prendere in mano le redini della situazione e movimentare un po’ la cena. Peccato che suo padre avesse avuto la stessa idea.

–Certo che...

–Certo che messi così sembriamo proprio “l’allegra famigliola che avrebbe potuto essere”- intervenne Cyril. –Ha un che di grottesco.

“Uffa, pa’! Almeno la frase a effetto potevi lasciarmela!”

–Sei stato tu a volere tutto questo- osservò Faith. –Un’offerta di pace, ricordi?

–Vero, vero- concesse l’uomo tra un sorso e l’altro di lassi al mango. –In tutta onestà: ero curioso di sapere come te la passassi.

–Temevi mi fossi trasformata nella gattara pazza dei Simpson a causa tua?- sibilò Faith, guardandolo con il medesimo disgusto che avrebbe riservato a uno scarafaggio. –Oppure lo speravi? Mi hai spezzato il cuore, confido tu ne sia consapevole.

Pur sapendo di essere nel torto, torto marcio, Cyril giocò la sua carta preferita: quella della vittima.

–Cosa vuoi che ti dica? Ho sbagliato a mollarti su due piedi. Anche tu, però, hai la tua dose di colpa- ignorò - o, forse, non notò - l’espressione omicida sui volti di madre e figlia (quest’ultima aveva persino scrocchiato le nocche) e terminò con la peggiore frase che si possa dire a una persona cui si è fatto un torto in passato. –Fatti un esame di coscienza: se non ho faticato a credere alla panzana che mi tradivi con quel Solomon per facilitarti la carriera, un motivo ci sarà.

Faith aprì bocca per ribattere, ma venne battuta sul tempo da Frida, che ringhiò –Spero di aver capito male: sta forse dando la colpa del suo cortocircuito neuronale alla mia Mutti?

William fece ricorso a tutto il coraggio a sua disposizione per ruggire –Ehi! Non ti permetto di parlare così a mio padre!

–E io non permetto a tuo padre di parlare così a mia madre! Le chieda scusa, sofort11!

Seriamente preoccupato che la situazione degenerasse (“Se la Weil mi ammazza il padre dovrò tornare in Australia, e col cazzo torno a vivere con il coglione che ha sposato mia madre. Piuttosto la morte! Che dici, zio Vyvyan? C’è posto per due nella tua bara?”), il ragazzo trascinò via di peso una recalcitrante Frida con la scusa di lavarsi le mani in attesa del cibo, lasciando i due cosiddetti adulti chiarirsi in pace.

Incredulo, Cyril esalò –Sbaglio, o tua figlia era pronta ad azzannarmi alla gola?

–Non sbagli- fu la risposta assai poco rassicurante di Faith, la quale aggiunse, in una escalation di acredine –Oh, non fare quella faccia: l’avrei fermata. Potrei mai permettere che la mia cucciola macchi la sua fedina penale per te?

–Come sei umana! Grazie di cuore!

–L’ironia non è mai stata il tuo forte. Comunque, puoi metterti l’anima in pace: non c’è ferita che non possa rimarginarsi, anche se residuano le cicatrici. Ho sofferto, toccato il fondo, e da lì sono risalita. Non arrivo a ringraziarti per quello che mi hai fatto, però sono riuscita a superarlo, uscendone più forte- chiocciò lei in tono conciliante, salvo poi aggiungere, quasi a volergli sbattere in faccia quanto fosse soddisfatta e realizzata –Ho trovato la mia strada.

–E avuto una figlia- puntualizzò Cyril, con una punta di rancore: uno dei principali motivi di scontro tra lui e Faith, ai tempi, era stato il suo rigido veto a procreare. Decisione, questa, che aveva subito con stoica rassegnazione, a denti stretti: non sapeva se e quanto c’entrasse la morte di suo fratello, ma aveva iniziato precocemente a provare un forte desiderio di paternità, che la Irving aveva affossato senza colpo ferire. Col senno di poi, avrebbe dovuto capire che era quello il momento di troncare, senza trascinare per inerzia un rapporto con le fondamenta costruite sulla sabbia; per quanto due opposti possano attrarsi, infatti, un rapporto - di qualsiasi genere - presuppone una minima comunanza di vedute, soprattutto se si progetta una vita insieme.

“Non ho parole: ha rotto i coglioni per anni con la storia che non voleva figli per non ingrassare e ritrovarsi con le gambe gonfie come zampogne, non porre freni alla carriera e bla, bla, bla… e poi? Si è fatta ingravidare. Alla faccia della coerenza!”

–Cose che capitano.

–C-capitano?- balbettò, pregando ogni divinità a lui nota di aver inteso male. Purtroppo per la sua sanità mentale, aveva inteso benissimo.

–Frida è quello che succede a dimenticarsi il preservativo- ridacchiò Faith, e Cyril, scongiurata una crisi di soffocamento ad opera della sua stessa saliva, tirò un sospiro di sollievo nel sentirla aggiungere, in tono materno –Mai svista fu più felice. Mia figlia ha reso la mia vita molto più avvincente: con lei non si corre mai il rischio di annoiarsi!

“Infatti, si corre il rischio di finire in manette!”

–A proposito: la mina vagante che hai sfornato ha un padre?

–Tutti abbiamo un padre.

–Intendo: questo tizio è andato a comprare le sigarette in Messico, oppure…

–Stiamo ancora insieme, grazie tante!- sputò Faith, oltraggiata. –Non che la cosa ti riguardi.

–Touche- soffiò Cyril alzando le mani in segno di resa. –Perdonami se ho presunto fossi una madre single per il semplice fatto che sei venuta da sola a raccattare tua figlia. Un fulgido esempio di genitore attento e amorevole, tuo marito!

Faith era sul punto di ammettere di non essersi mai sposata, ma in quel preciso istante il suo telefono prese a squillare. Trasalì nel veder comparire il nome di Franz sul display, e attese qualche secondo, prima di rispondere. Incapace di nascondere l’imbarazzo, lo salutò con un entusiasmo spropositato e palesemente non genuino.

–Franz! Che bella sorpresa! Ti credevo ancora al congresso!

Zittì con un brusco movimento della mano Cyril, che stava commentando tra sé e sé il nome, a suo dire bizzarro.

“Da che pulpito!”, pensò, pronta ad estrarre gli artigli in difesa del suo uomo. Nessuno aveva il diritto di criticarlo. “Solo e soltanto io, chiaro?”

Provò a tagliare corto senza, però, allarmarlo, ma lui si mostrò tenacemente loquace, tanto da farle desiderare di mozzargli la lingua.

“Non è il momento, Franz! Come diavolo devo fartelo capire?”

Cyril, dal canto suo, non era affatto d’aiuto: continuava imperterrito a deriderla, senza preoccuparsi che l’altro potesse sentirlo; esasperata, Faith fece un ultimo, disperato tentativo di risolvere quella spiacevole situazione.

–Bene, allora, buon pomeriggio. Qui è ora di cena, e sono in compagnia, perciò… ci sentiamo dopo, ok?

Realizzò di aver ottenuto l’effetto opposto a quello sperato quando le chiese, in tono forzatamente tranquillo –Chi c’è lì con te, meine Liebe? Se è Damien, salutamelo!

“Oh, no! Ha mangiato la foglia! E adesso? E adesso… si affronta il problema di petto. Coraggio, Faith, puoi farcela!”

–B-beh, e-ecco… n-non è Damien- pigolò flebilmente, prima che Cyril le strappasse di mano il telefono, tramutando in realtà uno dei suoi peggiori incubi. Prostrata nello spirito, non le rimase che assistere impotente alla guerra fredda tra il suo passato e il suo presente, sperando segretamente che il presente avesse la meglio.

–Perdonami per aver interrotto bruscamente la vostra chiacchierata. Morivo dalla curiosità di conoscere il mio rimpiazzo. Franz, giusto? Piacere, Cyril Wollestonecraft.

Quel che seguì fu una scena piuttosto comica: dopo avergli chiesto se fosse tedesco, annuendo con finto interesse alla risposta, Cyril ridacchiò sommessamente e, rivolto a Faith un sorrisetto enigmatico e irritante al tempo stesso, cominciò a raccontare per filo e per segno come fossero finiti in quella situazione, da lui correttamente descritta, poco prima, come “grottesca”.

–Oh, è una storia davvero spassosa. Da scompisciarsi. In pratica, quella testa calda di vostra figlia…

Si interruppe di botto, pallido come un cencio, con l’espressione atterrita di chi ha fame d’aria per un attacco di cuore, e Faith - seppure in allerta, pronta a prestargli soccorso in caso di necessità - non poté reprimere una certa gioia vendicativa: conoscendo la lingua biforcuta di un Franz geloso e incazzato, nella migliore delle ipotesi Cyril sarebbe rimasto traumatizzato a vita, nella peggiore rischiava seriamente un infartuccio; in entrambi i casi, avrebbe avuto ciò che meritava per aver osato denigrare ripetutamente il suo uomo e la sua adorabile bambina.

“Che Ippocrate mi perdoni!”

Fu tentata di mettere da parte le meschinità e fornirgli aiuto medico, ma, prima che riuscisse anche solo ad aprire bocca, Cyril le restituì il cellulare, sempre basito come se avesse parlato con un’anima dipartita. Si accorse che la chiamata era ancora in corso, ed emise un sospiro rassegnato da condannata a morte quando Franz pronunciò l’anatema: “Bis morgen, meine Liebe. 13Abbiamo molto di cui parlare”.

–A domani- esalò, divisa tra l’istinto di precipitare nel nero baratro della disperazione e il lavorio dei neuroni, già all’opera per prepararsi all’ennesima guerra (verbale): perché se Franz, forse, sarebbe passato sopra all’involontario rendez-vous con Cyril, di sicuro non avrebbe fatto altrettanto con l’ultima bravata di Frida, naturalmente addossando gran parte della colpa a lei, rea di averla tenuta “troppo a briglia sciolta”, contribuendo così a renderla una “criminale in erba”. Si prospettava uno scontro degno della battaglia del fosso di Helm, solo meno sanguinoso.

William e Frida, entrambi foschi in volto, riapparvero in tempo per sentire Cyril, che nel frattempo aveva riacquistato l’uso della parola, sbraitare –Tuo marito è pazzo!

Con la bruta sincerità che la contraddistingueva, Frida, mentre riprendeva posto a tavola, replicò –Mein Vater non è pazzo, e non è suo marito. Sono figlia di una madre signorina!

–Frida!- la rimproverò Faith, ottenendo in risposta un secco –Che c’è? È vero!

Si coprì gli occhi con le mani e le chiese –Non hai la più pallida idea di cosa hai appena detto, vero?

–Che sono figlia di una donna non sposata?- rispose Frida tentativamente.

Fortuna che William era lì, pronto a illuminarla.

–Che sei una figlia di puttana, Weil.

Dapprima incredula, la ragazza arrossì come un pomodoro maturo alla vista di sua madre e Cyril che annuivano; meditò persino di andarsi a scavare la fossa quando quest’ultimo aggiunse –Espressione desueta, è il genere di cose che avrebbe detto mia nonna, però sì, è un modo arzigogolato per evitare di ricorrere al linguaggio volgare di mio figlio. Tra parentesi, Will: per l’amor del cielo, sciacquati la bocca; qui non siamo in Australia, dove si usa il turpiloquio come intercalare!- per poi spargere il proverbiale sale sulle proverbiali ferite di Faith, appena riaperte. –Davvero non ti sei mai sposata, Irving? Devo averti traumatizzata sul serio! Oh, cielo, non ci dormirò la notte! Ora capisco perché la tua cara amica Abigail ogni volta che mi vede mi guarda come se volesse uccidermi: l’ho privata della gioia di vederti in abito da sposa! Assolutamente imperdonabile! Le manderò dei fiori.

Lei, sul punto di mandarlo a quel paese, realizzò che un “vaffanculo”, per quanto catartico, non era sufficiente: bisognava colpire nel punto debole, laddove la carne era più tenera, perché avrebbe fatto più male. Poco etico, forse, ma di provata efficacia.

–Conoscendo Abby, te li farebbe ingoiare, stelo compreso. Puoi dormire sonni tranquilli, comunque: tu non c’entri con la decisione mia e di Franz di non sposarci- “Non del tutto, almeno.” –E poi, a conti fatti, in questi anni è stato più marito lui per me di quanto lo saresti stato tu… a giudicare dalla fine che ha fatto il tuo matrimonio.

–Touché, Irving! Noto che ti sei incattivita, rispetto alla Madre Teresa di Calcutta che amavo prendere in giro.

–Quel che non ti uccide, ti stronzifica- asserì Faith con un sorrisetto di superiorità, prima di rivolgersi in tono materno a William e Frida. –Tutto bene, ragazzi? Avete delle facce…

“Sarebbe più preoccupante se non le avessimo, signora”, pensò William, limitandosi tuttavia ad un cenno del capo; Frida distorse i bei lineamenti in un’espressione di disgusto, che lui ricambiò, poi sorrise alla madre e le assicurò che andava tutto benissimo, ma si vedeva lontano un miglio che stava fingendo. Faith, tuttavia, preferì non indagare, per timore (fondato) di scoprire che i due avevano litigato per colpa del rancore residuo tra i supposti adulti.

–Va tutto a meraviglia, Mutti. Ora possiamo mangiare in silenzio e andarcene, bitte? Socializzare stanca!

–Come desideri, cucciola. Prima, però, Cyril deve spiegare perché ritiene che tuo padre sia pazzo.

–Semplice- rispose lui, prima di ingollare in un sorso il poco lassi rimasto nel bicchiere. –Mi ha invitato a cena. Secondo lui, non è giusto che tu abbia l’esclusiva.

 

***

 

Nathaniel Jefferson-Keynes avrebbe volentieri imputato la temporanea perdita della capacità di intendere e volere al cocktail di ormoni che faceva il bello e il cattivo tempo nel suo corpo da adolescente, ma era troppo maturo per mentire a se stesso: si era appartato con la sua ex ragazza, Kimberly, spinto unicamente dalla curiosità di scoprire fin dove si sarebbe spinta, oltre che dalla - tutt’altro che remota - speranza in una riconciliazione, speranza alimentata da Frida, convintissima che Kim di Bryce apprezzasse la tartaruga e poco altro, e lo frequentava al solo scopo di irritarlo.

Ancora una volta, Frida aveva visto giusto: sebbene la serata non fosse partita col piede giusto, una volta rimasti soli, dopo un paio di minuti di silenzio carico di imbarazzo, Kimberly aveva proposto di cercare un posticino tranquillo per parlare; tempo cinque minuti, e avevano trovato impieghi migliori per la lingua. Peccato che una cosa chiamata coscienza avesse deciso di guastare la magia del momento, rammentandogli che Kim stava, per l’appunto, uscendo con un altro, e che non sarebbe stato di classe “riappacificarsi” in un luogo squallido come le toilette del Tipsy Crow.

–Aspetta, Kimmy. Fermati!

–Che c’è?- gnaulò lei, mettendo il broncio. –Ti è venuto un attacco acuto di rimorso? Non può aspettare?

–È questo che vuoi? Una sveltina in un cesso?

–Messa così, suona come una cosa squallida.

–Perché lo è- rispose Nate, allontanandosi da lei quel poco che gli consentivano le ridotte dimensioni del cubicolo. –Squallida… e ingiusta. Posso capire che Bryce si sia rivelato una delusione, ma non è una ragione valida per regalargli delle corna degne del papà di Bambi.

Kimberly reagì al senso di colpa nel solito modo: arrabbiandosi. Odiava essere nel torto.

–Cosa vuoi che ti dica, che ho sbagliato a lasciarti? Che ti amo ancora? Che mollerò Bryce? Lo farò, giuro! Domani stesso! Adesso però bac…

–No!- si rifiutò categoricamente Nate. –Non puoi sganciare una bomba e aspettarti che non esploda. Perché mi hai lasciato?

Kimberly aprì e richiuse la bocca come un pesce rosso, incapace di muovere i muscoli facciali a velocità sufficiente da tradurre i pensieri in parole. Decise, quindi, di provare a riportare il discorso su binari a lei più congeniali.

–È questo che vuoi? Discutere dei massimi sistemi in un cesso?- lo punzecchiò, sperando che ritorcergli contro le sue stesse parole lo inducesse a desistere; ma Nate era dotato di una fibra più resistente di quanto si potesse immaginare, e non diede segni di cedimento. Alla fine, Kimberly fu costretta ad alzare bandiera bianca. –E va bene: io… non so perché ti ho lasciato. Da un lato eri diventato troppo appiccicoso, dall’altro sembrava stessi perdendo interesse. Non ce la facevo più, era esasperante!

–Tu? Tu non ce la facevi? Tu eri esasperata?- ululò Nate, sbattendo il palmo della mano con violenza sulla fredda superficie di fronte a lui, intrappolando sotto di esso ciocche di capelli di Kimberly, che trasalì: non l’aveva mai visto tanto arrabbiato. –Tu hai portato me all’esasperazione col tuo atteggiamento! Non facevi altro che flirtare con chiunque ti stesse intorno, soprattutto con me nei paraggi! Cosa pretendevi, che fossi geloso ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette? È snervante, cazzo! Però io… ah, io no. Guai se mi azzardavo anche solo a guardare una ragazza! Apriti cielo! Naturale che abbia cominciato a guardarmi attorno: era una situazione insostenibile. Ho rischiato la parte da protagonista in “Dracula” per la scenata che hai fatto alle audizioni, e tutto per un innocuo bacio di scena!

Gettata alle ortiche ogni pretesa di conservare un briciolo di dignità, Kimberly scoppiò in lacrime; “l’arma più potente di una ragazza”, secondo sua madre.

–Mi dispiace! Io… io… non volevo perderti, Natie, e ho perso la testa! Anche se sapevo che era per finta, vederti con un’altra mi… mi dispiace! Non facevo sul serio, te lo giuro! Non me ne frega niente di piacere a qualcun altro, mi comportavo in maniera provocante perché credevo fosse l’unico modo per attirare la tua attenzione! Avevo paura che ti saresti stancato di me e…

–E?

Incalzata da Nate, Kimberly vinse la propria reticenza e, conscia di stare pronunciando un’emerita sciocchezza, ammise –Saresti andato con Frida.

Incredulo di cotale assurdità, il ragazzo scoppiò a ridere.

–È uno scherzo, vero?

–Ho la faccia di una che scherza?-

–Oh, andiamo! Hai gli specchi di legno in casa? Sei diecimila volte meglio di Frida!- replicò in tono scherzoso. –Certo, hai meno tette, ma pazienza, non si può avere tutto dalla vita!

–Idiota!- latrò Kimberly, spintonandolo furente. –È stato questo genere di commenti cretini a mandarmi in paranoia! So di essere più bella di Frida, ma lei è… ecco… più di me in tutto il resto. Prima che arrivasse il Maori biondo eravate attaccati come cozza e scoglio, e io… non lo sopportavo. Ero convintissima che ti saresti accorto di poter avere di meglio, così ti ho mollato prima che lo facessi tu. Sono un’idiota, lo so.

–Sì, lo sei… per aver concepito una simile cazzata. Frida è una sorella, per me- le assicurò lui, accarezzandole i capelli. –Non potrei mai pensare a lei in quel modo. Mi spiace di averti fatto credere il contrario. Vieni qui.

La strinse in un caldo abbraccio, che sarebbe durato a lungo, se qualcuno non avesse preso a battere sulla porta della toilette, sbraitando –Volete darvi una mossa? Qui c’è gente che deve pisciare!

Ritornati nella bolgia stracolma di gente che beveva e si contorceva al ritmo di un classico dei Nirvana sapientemente remixato, Kim e Nate decisero di fare tappa al bar, prima di raccattare Kevin e dichiarare conclusa quella serata inconcludente.

Ad un certo punto, Nathaniel riconobbe un volto noto tra la folla. Assestò una gomitata a Kimberly, la quale per tutta risposta gli diede un calcio negli stinchi e sibilò –Ti sei bevuto il cervello?

Dolorante, le indicò una brunetta solitaria che stava tranquillamente ingollando una pinta di Guinness, muovendo di tanto in tanto la testa a ritmo di musica.

–Per l’amor del cielo, Nate! Ci siamo appena rimessi insieme, e già guardi altre ragazze?- sbottò lei, dopo averla squadrata da capo a piedi. –E poi… quella là? Sul serio? Zero tette e secca come un chiodo. Sembra un maschio riuscito male! Sicuro di non essere miope?

–Si chiama bellezza androgina- replicò lui, mentre la trascinava verso la sconosciuta. –E hai indovinato: non è di mio gusto. Infatti non è per questo che la guardavo. Non posso credere che tu non la riconosca!- ignorò l’ovvia domanda di Kimberly (“Perché la guardavi, allora?”) ed esclamò, elettrizzato –Sei Sledge, la chitarrista dei W.O.F.! Non ti si vede mai in giro, al di fuori dei concerti. Cosa ci fai qui?

La ragazza lo occhieggiò con cauta curiosità da sopra il boccale, indecisa se degnarlo o meno di una risposta, quando Kimberly eruppe in una risata fragorosa, seguita dall’acido –WOF? Perché suonate da cani?

“Tu, morettina, mi stai sul cazzo che non ho!”, pensò l’altra, quindi piegò le labbra sottili in un mezzo sorriso educato e spiegò –W.O.F., non wof. Sta per Wings Of Freedom. Comunque, spiacente di deluderti, biondino, non sono chi credi.

–Ma… ma… tu sei lei! Lei è te! Siete identiche!

“Spiacente, gioia. Non sei interessante, non mi servi, e sei accompagnato da una stronza che è riuscita a starmi sul cazzo in cinque secondi, perciò col cazzo, appunto, ti rivelerò la mia identità!”

–Non sei il primo a dirmelo. Grazie, sono lusingata del complimento: i W.O.F. sono… la mia ragione di vita. Comunque, fareste meglio a rimettervi in fila, se non volete morire di sete.

Kimberly per poco non sferrò un altro calcio a Nate: la gente accalcata al bar era raddoppiata! Tutto perché lui aveva le traveggole e confondeva le persone.

“Lo ammazzo!”

–Mi è passata la sete. Troviamo Kev e andiamocene.

Nate scosse il capo: se la sua ragazza voleva dell’alcool, lo avrebbe ottenuto. La prese per mano e, con l’incommensurabile faccia tosta che lo caratterizzava, si fece largo tra la piccola folla fino al bancone. Ordinò due Screwdriver (basta Vaprowave) e, già che c’era, ne approfittò per chiedere alla barista se avesse visto Kevin.

–Sì, è andato in uno dei nidi di corvo. Uno di quelli verso l’uscita secondaria, mi pare.

–Grazie, Becky, sei un tesoro- celiò Kimberly.

–Figurati. Se senti A.J., salutamelo… e digli che sono ancora single- cinguettò lei di rimando, con tanto di strizzata d’occhio finale.

Kimberly le sorrise, poi, voltate le spalle, vuotò il bicchiere in un solo sorso, sibilò a denti stretti –Dopo questa lavatura di piatti che mi hai rifilato, te lo sogni!- e arpionò uno sconcertato Nate, al quale non rimase che assecondarla.

–Andiamo, Natie! Kevvy è in un nido, e sai cosa significa? Che finalmente potrò beccarlo con una ragazza! Ha!

Peccato che Kevin non fosse con una ragazza.

–Kevin? Co… che significa… questo?- pigolò, prima di scappare via, sconvolta.

–Kim, lasciami spiegare!- le urlò dietro il fratello, lanciandosi all’inseguimento. –Non fare così, ti prego! Kimmy!

Nuovamente presentabile - se con “presentabile” si intende “spettinato e con i vestiti spiegazzati infilati precipitosamente” -Andrew fece capolino dalla saletta fino a qualche attimo prima privata, e chiese ad un attonito Nate –Non capisco, credevo che Kevin fosse... che non avesse una ragazza.

–Infatti quella è la mia ragazza- rispose Nate, ribollente di rabbia: il suo amico gli doveva parecchie spiegazioni, e forse un pugno in una sede a sua scelta per aver fatto piangere Kimberly. –Nonché sua sorella.

 

***

 

In teoria, un hacker noto alle forze dell’ordine alle parole “Aprite, polizia!” dovrebbe reagire tentando la fuga, o quantomeno sobbalzare. Ernst Weil, invece, si limitò a stropicciarsi le palpebre - maledicendo chiunque avesse osato distoglierlo da una proficua sessione di gioco - e stralunare gli occhi, prima di aprire la porta all’inaspettato visitatore notturno, per poi esalare un sospiro colmo di esasperazione.

Das ist nicht witzig, Bruder. Was willst du um diese Zeit von mir14?

Hans, affatto seccato dalla gelida accoglienza, scosse il capo, ridacchiando –Ti sembra il modo di rivolgersi a uno sbirro, Schabe15?

Ernst storse il naso alla menzione del nomignolo affibbiatogli dal fratello perché da piccolo gli stava sempre appiccicato (come, appunto, una piattola), cercando di imitarlo in tutto e per tutto, e ripeté la domanda, stavolta in inglese.

Du weißt, was du bist16. Cosa vuoi, Hans?

–Darti questa- rispose lui, consegnandogli la chiavetta USB recuperata da Frida. –Unsere Cousinchen l’ha trovata non so come a casa di quella ragazza morta, Aisling Carter. Crede contenga informazioni utili per la risoluzione del caso.

Ernst sbuffò una risatina.

–Caso? Ma come? Non si tratta di una tragica fatalità barra suicidio?

Hans soffiò via dalla fronte una ciocca ribelle e scoccò al fratello un’occhiata dannatamente seria.

–All’inizio lo credevo anch’io. Voglio dire: una tossicomane che casca giù dalla finestra dopo una serata di bagordi… chi mai penserebbe a un’ipotesi diversa dall’incidente, o un atto estremo? Eppure, incredibile ma vero, Frida e quel Weichtier17 per cui ha una cotta hanno scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, gettando diverse ombre sulla faccenda.

–Devono essere ombre enormi, per averti convinto a collaborare- ridacchiò Ernst. –Quindi, fammi capire: nonostante l’espresso divieto di Mutti e degli zii, Frida sta portando avanti la sua indagine personale, oltretutto con risultati migliori di Scotland Yard? Cazzuta, la cuginetta!

“–Zurück! Geht zurück! Schande über euch18: questa gnappetta ha più palle di voi due messi insieme!

Frida confermò involontariamente quell’affermazione esalando, dalla sua posizione di inferiorità, stesa sul pavimento con una mano di Hans intorno al collo –Io non ho le palle. Sono femmina.

Le ovaie non sono altro che palle interne- replicò lui, per poi aiutarla a rimettersi in piedi. Ho deciso: sarò il tuo Pai Mei, Kiddo.

Se lo dici tu.

Significa che mi occuperò personalmente di allenarti. È un grande onore, Cousinchen. Dovresti ringraziarmi.

Lo farò se e quando vedrò risultati”.

–Ti stupisce?- ribatté Hans, nostalgico. –L’abbiamo sempre trattata come se lo avesse anche lei il cazzo!

–Soprattutto tu. Non osare negarlo- gli rinfacciò Ernst, puntandogli l’indice al petto per corroborare le sue parole. –Das Weichtier… per caso ti riferisci al suo “amico” William? A me, personalmente, non dispiace. Un bel salto di qualità, rispetto a quel bamboccio di Cartridge!

Bitte sag, das ist ein Scherz, Schabe19. Hai dei gusti di merda in fatto di uomini!

–Allora è una fortuna che mi piacciano le donne- replicò Ernst, ogni traccia di sonno svanita; conoscendo il fratello, era in procinto di eruttare come il Krakatoa, uno spettacolo imperdibile.

Dummkopf! Come fa a starti simpatico quell’essere? Non ha le palle!- ruggì Hans, iperprotettivo nei confronti della cugina sin dal suo primo vagito. –Li ho fermati per guida senza patente e li ho portati in centrale per farli cagare un po’ addosso. Sai cosa ha fatto, quel Weichtier? Ha provato a scaricare tutta la colpa su di lei perché era lei al volante; lui era solo il passeggero, piccolo angelo! E l’ha pure ferita negando di essere il suo ragazzo, manco fosse un’accusa infamante, tipo che nel tempo libero scuoia cuccioli di foca. Ma vada a caga… cosa c’è da ridere, eh? COSA?

Du bist ein Scherzkeks, Bruder! Redest wie ein eifersüchtiger Vater. Willst du Onkel Franz den Job stehlen20?

Hans rispose con un gestaccio, seguito dal secco –Compi una magia delle tue, e chiamami non appena avrai in mano qualcosa di concreto. Gute Nacht- prima di venire inghiottito dal buio delle scale.

Oramai del tutto desto, nonché ardente di curiosità, Ernst si fiondò sul primo portatile che gli capitò sotto mano, inserì nella porta apposita la chiavetta USB e aprì alla velocità della luce l’unico file presente, dal promettente nome: “Stronzo chi legge”. Il sorrisetto che gli si era formato sul volto scomparve all’istante.

Du verdammtes Stück Scheiße21!- inveì contro Hans, sbattendo i pugni sulla scrivania. –Potevi dirmi che l’unico motivo per cui hai bisogno di me è che il file è criptato!

 

Note dell’autrice:

Che dire? Capitolo pieno zeppo di complicazioni… ed easter egg. Chi ha letto le mie precedenti storie, forse li ha individuati. Vi sfido! ;-)

Apro e chiudo parentesi: l’aggressività del dobermann è uno stereotipo, esattamente come il “caratteraccio” di Franz; che ci può fare se è senza filtri e poco socievole? Su una cosa, però, ha ragione: grazie a Faith è migliorato tantissimo. Ah, l’amore!

Sempre a proposito di Faith: so che a volte ha pensieri o comportamenti discutibili, ma in tutta sincerità servono (credo) a renderla realistica; un essere umano con delle sfaccettature, che a volte fatica a fare cosa giusta, non una Mary Sue. Spero di essere riuscita nel mio intento.

Se vi sono mancati Frida e William, non temete, torneranno in tutto il loro splendore nel prossimo capitolo. L’alternativa era che questo venisse lungo 40 pagine, e onestamente non mi pareva il caso.

Sempre a proposito di Frida: ha fatto centro anche stavolta! Dev’esserci roba che scotta, se Aisling ha sentito la necessità di criptare il tutto. Riuscirà Ernst a compiere una magia delle sue? Lo scoprirete solo leggendo!

Il gioco di parole di Hans purtroppo ha senso soltanto in inglese: Kiddo è una forma affettuosa per indicare un/a ragazzino/a, ma è anche il cognome di Beatrix “La sposa”, protagonista di Kill Bill, allenata dal maestro Pai Mei. Pazienza, anche se non rende, ho voluto inserirlo ugualmente. Sono una testa dura.

Il Moscone Center esiste davvero, ed è dedicato a George Moscone, sindaco italo-americano di San Francisco, assassinato in Municipio nel 1978.

Ultima cosa: c’è chi ha letto “pikkolo ancyeloh” alla Trono del Muori… e chi mente. Prove me wrong! ;-)

Ps: adoro l’espressione “figlio di una madre signorina”, mi fa morire dal ridere da quando l’ho sentita la prima volta nella puntata 2x18 de “I Simpson”; una traduzione parecchio edulcorata rispetto all’originale “S.O.B.”. Non vedevo l’ora di inserirla da qualche parte!

1Non prendiamoci in giro

2Tutta colpa tua, amore mio. Ero una persona seria, prima di conoscerti!

3Non sono un cane!

4Fatti sotto!

5Le mie regali chiappe

6Già lo pensavo, ma ora ne ho la certezza: Irving, sei la donna più incredibile che abbia mai incontrato. Fuggiamo a Las Vegas!

7Aspetta!

8Ha ragione

9Che succede?

10Della mia amata

11Così va molto meglio!

12Immediatamente

13A domani, amore mio

14Non è divertente, fratello. Cosa vuoi da me a quest’ora?

15Piattola

16Mollusco

17Tu sai cosa sei

18State indietro! Vergogna su di voi

19Ti prego, Piattola, dimmi che è uno scherzo

20Sei uno spasso, fratello! Parli come un padre geloso. Vuoi rubare il lavoro allo zio Franz?

21Maledetto pezzo di merda!

   
 
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