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Autore: Kaayyn    30/08/2022    0 recensioni
Langa e Reki sono migliori amici da quando Langa si è trasferito nella piccola cittadina italiana dove Reki è nato e cresciuto.
Alla fine dell'ultimo anno di liceo, Langa scompare nel nulla. Per due anni non si sa che fine abbia fatto il ragazzo, fino a quando Reki non fa un ritrovamento che rivive il passato dei due e che potrebbe condurlo alla verità.
Genere: Angst, Erotico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Langa Hasegawa, Reki Kyan
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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"Penso di essere nato due volte. La prima diciotto anni fa, la seconda quando ho incontrato te.

Il nostro incontro avvenne il primo anno di liceo, avevamo quattordici anni e un'intera vita davanti.
Ricordo bene quasi tutto di quei primi giorni, di quel primo giorno.
Mi ricordo bene della nostra classe, quei diciotto banchi uniti a coppie e disposti in tre file. Il nostro banco, o meglio, il nostro piano di lavoro, tavolo da pranzo e campo di battaglia era in fondo alla classe, accanto la finestra.

Ricordo come cambiava la luce a seconda delle ore del mattino, di come ti illuminava il viso. Ricordo ogni tuo particolare, come se non avessi visto altro per cinque anni consecutivi.
Di come ti spostavi continuamente la fascia quando eri nervoso, di come guardavi fuori la finestra quando eri annoiato, con la guancia poggiata sul palmo, di come i tuoi occhi scrutavano lontano, attenti.

Del primo giorno, ricordo la classe vuota, irraggiata dalla fredda luce del mattino che gettava raggi bluastri sul pavimento. Io ero già seduto al posto che sarebbe stato mio per tutto il resto dell'anno, così come gli anni successivi.

Mi ero trasferito appena pochi giorni prima nella nostra città, non avevo nemmeno avuto il tempo di capire dove mi trovassi, cosa mi fosse accaduto a  come mi sentivo. Quella mattina, mi ero presentato a scuola molto prima dell'orario di apertura dei cancelli e un bidello, probabilmente per pietà vedendomi solo e impaurito, mi aveva chiamato da lontano, aveva consultato un lungo elenco e sbuffando sonoramente, mi aveva condotto nella nostra classe.

Quando era suonata la prima campanella, una folla di adolescenti urlanti si era riversata nell'aula, riempiendola con una frenesia e una violenza che mi avevano scombussolato.

Tra le tante teste, era spuntata una chioma di un rosso mai visto. Ti eri fatto strada, sgomitando tra i tuoi compagni e ti eri letteralmente lanciato sulla sedia accanto la mia. Io mi feci piccolo piccolo. Qualcuno ti lanciò un insulto colorito e forse ne arrivò uno anche a me, il fortunello che si era piazzato lì prima di tutti quanti. Non avevo scelto quel posto casualmente: era lo stesso che occupavo nella mia vecchia scuola. Mi dava un senso di familiarità.

Ti appropriasti di quel banco con un sorriso sfottente e divertito. Soddisfatto, avevi incrociato le braccia e allargato le gambe e avevi iniziato a tirar fuori le tue cose dallo zaino quando ancora tutti stavano lottando per accaparrarsi i posti migliori.

Quando finalmente tutti si acquetarono, non dopo aver piazzato i più sfortunati ai primi banchi, un professore dall'aria stanca varcò la soglia, quasi trascinandosi.
L'uomo dal naso aquilino e il volto allungato, che nonostante il ruolo autoritario ispirava una certa simpatia, si faceva chiamare Professor Oka. Oka fece l'appello e tu rispondesti al nome di Reki Kyan.

Durante le prime ore non mi avevi rivolto la parola, ci rimasi quasi male.
Avevi passato metà mattinata a fare disegni sul tuo quaderno, praticamente sdraiato sul banco. Ogni tanto lanciavi uno sguardo alla lavagna e scrivevi qualche appunto.

Mi chiesi se stessi effettivamente ascoltando ciò che il professore stava dicendo. Dal tuo aspetto, eccentrico e forse un po' trasandato, avevo dedotto che mi fosse capitato come compagno di banco proprio uno di quei teppistelli che storpiavano la città con i graffiti e marinavano la scuola.

Solo con il tempo capii che non era da te ascoltare la lezione con attenzione. Ti mettevi sempre e solo a disegnare, tranne durante le lezioni di matematica e fisica, durante le quali cercavi di sforzarti ad apprendere quei pochi concetti che erano necessari per capire di cosa stessimo parlando.
Scoprii che in realtà prendevi spesso voti molto alte in un po' tutte le materie e che anzi, sotto sotto eri un secchioncello o forse eri solo molto intelligente.

Fu solo quando suonò la campanella dell'intervallo e tutti, senza aspettare che il professor Oka finisse di parlare, sparirono dall'aula, che ti presentasti.
"Penso che tu lo abbia già sentito ma, mi chiamo Reki Kyan". Allungasti verso di me la mano sporca di grafite.
La afferrai e la iniziai a scuotere. "Io sono Langa, mi sono appena trasferito". Mi avevi guardato dritto degli occhi con uno sguardo glaciale ed io avvertii una stretta improvvisa nel petto. Un raggio di luce passò attraverso i tuoi iridi e mi apparvero come di miele.
"Volevo darti il cinque, non stringerti la mano". Eri poi scoppiato a ridere e mi avevi tirato una pacca sulla spalla. Rimasi con la mano tesa a mezz'aria, confuso e un po' imbarazzato. "Immaginavo fossi nuovo qui, non ti ho mai visto in giro". Sogghignasti appena, guardandomi dall'alto in basso senza pudore. "Sembri un tipo apposto, potremmo diventare buoni vicini". Ti alzasti in piedi e la tua voce rimbombò nella stanza vuota. "Poi con quel faccino carino che ti ritrovi sarai una calamita per le ragazze, mi potresti tornare utile". Io arrossii violentemente. "Ehi, non url-". Non feci in tempo a concludere la frase che già mi avevi preso per un polso e mi avevi trascinato nel corridoio con te. "Vieni con me in cortile, è lì che si radunano tutti a scuola". Non potei far altro che seguirti.

"Sai Langa, in questa città ci conosciamo praticamente tutti, almeno di vista. Purtroppo nella nostra classe non c'è nessun mio vecchio amico, per cui sono più o meno nella tua stessa situazione in quanto conoscenze".
Dicesti questo con una voce elettrizzata, come se quella situazione in fondo ti eccitasse. Parlasti di nuovi inizi e di quanto sarebbero stati belli quegli anni. Contavi le feste a cui saremmo andati, le partite di basket a cui avremmo assistito e le ragazze che ci saremmo fatti.
E nonostante non mi importasse fare tutte quelle cose che stavi elencando, rimasi comunque ad ascoltarti.

Non avevo mai visto quel periodo come un'opportunità per divertirmi e ricominciare. Eppure, percependo quell'entusiasmo, potevo quasi iniziare a crederci.

All'inizio, nel nostro piccolo ecosistema esistevamo solo noi due. Il primo mese conoscemmo un ragazzo che, nonostante fosse un anno più giovane di noi, era seduto nel banco di fronte il nostro. Il suo nome era Miya Chinen ed era quello che prendeva i voti più alti della classe. Mi era sembrato un tipo arrogante e sfrontato e credo che con il tempo avesse preso una specie di cotta per te. Durante le pause si metteva a giocare con il telefono, intervenendo ogni tanto nei nostri discorsi.

Tramite lui conoscemmo anche due studenti dell'ultimo anno: Kojiro e Kaoru. L'amicizia con loro due si rivelò fondamentale per trarre il massimo dalla nostra esperienza liceale: erano infatti loro che ci indicavano le feste e gli eventi a cui partecipare e le persone da evitare. In particolare, furono proprio loro a difenderci dall'aggressione di un prepotente studente del quarto anno, Higa, che si era particolarmente adirato quando ci avevi inavvertitamente provato con la sua fidanzata davanti tutta la scuola. Contro ogni previsione, anche lui si era unito al nostro gruppo, in futuro.

Ti starai chiedendo perché ti stia raccontando tutto questo e stia rivivendo dei momenti che ricordi forse anche più chiaramente di me.

Da una parte, rivivere una seconda volta quello che ci è accaduto, mi permette di ricordare quanto è stata bella e piena la vita che ho vissuto. Dall'altra, voglio che tu conosca i fatti anche dalla mia prospettiva e voglio donarti i miei pensieri più intimi e le vicende che non ho mai avuto il coraggio di raccontarti. Ho ancora tante cose da dirti, Reki.

Ci sarà tempo per spiegarti meglio tutto quello che è successo, che ho pensato e vissuto, le motivazioni delle mie azioni, quando ci sono state. Nelle prossime pagine troverai tutte le risposte alle tue domande, o almeno spero.
Ti prego solo di prendere il tuo tempo per leggere e assorbire queste parole, senza saltare subito alle ultime pagine, ti prometto che non ci vorrà tanto.

Lo so che abbiamo avuto tempo, cinque anni non sono pochi. Ma ascoltami, un'ultima volta.
Ho ancora tante cose da dirti, Reki".

Con queste parole, scritte con la penna nera sulla pagina bianca e ruvida, si concludeva la prima pagina del quadernino che stringevo tra le mani tremanti, seduto sul pavimento della mia stanza buia.
Chiusi delicatamente il quaderno, poggiandolo sulle cosce e respirando piano.
Chiusi gli occhi, circondandomi di oscurità, lasciando che i miei pensieri si riabituassero al vuoto lasciato dalle tue parole.
Qualche lacrima calda si insinuò tra le mie palpebre, scorrendoli sulle guance. Sussurrai il tuo nome appena, come per chiedere alla tua ombra di starmi a sentire.

Qualcosa dentro di me era stato scosso, travolto da una malinconica felicità, che avvertivo flebilmente. Di cosa ero contento? Di poterti leggere. Di poterti scoprire ancora, anche se poco, anche se in modo insufficiente. Solo la vista della tua grafia, nero su bianco, mi aveva riscaldato dentro, ma mi aveva distrutto allo stesso tempo.

Mi asciugai velocemente le guance. Deciso a far proseguire la missione.
Un violento tuono fece vibrare i vetri e la pioggia iniziò a picchiettare furiosamente contro le mie finestre.

Mi abbandonai con la schiena sul lato del letto e presi un profondo sospiro.
Avevo chiuso la porta a chiave e avevo mandato un messaggio a mia madre dicendole che quel pomeriggio sarei stato impegnato in un progetto molto importante e avrebbe dovuto lasciarmi in pace. Glielo avevo scritto mentre mi stavo fiondando giù per le scale del tuo condomino, dopo aver ultimato "il furto". Lo stesso riferii ai nostri amici.

Quando avevo trovato la chiave nella busta, avevo già capito cosa avrei dovuto fare. Ero corso al tuo appartamento, sapendo che lo avrei trovato vuoto. Conoscevo gli orari di lavoro di tua madre, lo so quanto questo possa sembrare inquietante, ma avevo passato anni dentro e fuori casa tua come tu dentro casa mia.

Curai con attenzione ogni mia azione. Non mi feci vedere dai condomini e non feci alcun rumore. Mi ero infilato una felpa nonostante il caldo e mi ero calcato il cappuccio sugli occhi.

Sotto il citofono, accanto la porta di casa c'era una pianta, un ficus che sembrava non morir mai. Alzai appena il vaso, qualcosa sotto di esso scintillò. Si trattava della chiave dell'appartamento: Nanako aveva sempre lasciato una copia lì sotto, in caso di emergenza.

Ci era tornata utile qualche anno prima, quando avevi scordato le chiavi dentro casa e lei era fuori città. Sentivo che Nanako l'avrebbe lasciata lì, nel caso in cui un giorno avessi deciso di tornare.

Con il cuore che mi batteva all'impazzata e l'adrenalina che mi scorreva nel sangue, dopo essermi assicurato che effettivamente non ci fosse nessuno dopo aver bussato un paio di volte, con uno scatto aprii la porta, richiudendola immediatamente alle mie spalle.

Velocemente mi diressi verso la tua stanza. Fortunatamente, non erano mai stato istallato un antifurto e non avevate mai adottato un cane.
Tutto era immobile e avvolto nella penombra.

Mi accucciai a terra davanti la tua scrivania e pregando tutti i Santi, feci scivolare la piccola chiave nella serratura. A causa del sudore e del nervosismo, mi scivolò un paio di volte dalle mani.

Una volta inserita, la chiave girò senza problemi. Prima di tirare il cassetto, valutai al volo la situazione. Se davvero il tuo congegno funzionava e se lo avessi progettato male, la casa avrebbe preso fuoco e forse io con lei, oppure mi sarei beccato una denuncia per effrazione e furto.

Avrei potuto evitare tutto ciò dicendo della scoperta a tua madre, ma non volevo.
Un egoismo cieco e violento si era impadronito di me. Sapevo che, qualsiasi cosa ci fosse lì dentro, era destinata a me e me soltanto, altrimenti quella chiave non sarebbe mai arrivata nella mia cassetta della posta.

Mi assunsi quel rischio, sentendomi uno schifo nei confronti di Nanako. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, dopo che mi aveva trattato come suo figlio, era così che la ripagavo: entrando in casa sua di nascosto e rubandole l'unica cosa che rimaneva della memoria del suo unico figlio.

La curiosità e la mancanza soffocarono ogni pensiero. Il cassetto si aprì, con un sibilo che si espanse nell'aria. Lì dentro, un quadernino rosso. Lo afferrai e me lo ficcai prontamente nella tasca anteriore della felpa.

Invaso da una specie istinto primordiale, fuggii, senza che nemmeno un pensiero mi corresse per la testa.
In preda ad un automatismo estraneo, richiusi il cassetto, tirai via la chiave e tornai a casa mia.

Ripensai a quella mattina come ad un fatto lontano, compiuto da un estraneo.
Lottando contro l'istinto di sfogliare fino all'ultima pagina, continuai a leggere.

 

  
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