«Sveglia,
onee-chan! Mamma e papà
hanno detto che andiamo a mangiare fuori!»
Stranamente, la
ragazza era riuscita
ad appisolarsi nel pomeriggio, reduce di una notte di lavoro
all’ospedale per
pulirne le vetrate ampie. Passandosi una mano sul volto per tirarsi una
guancia
e svegliarsi, gli occhi castani di Tohru non poterono non posarsi sulla
figura
minuta della sua sorellina minore, Keita.
«K-chan…» la chiamò, prima di
chiudere le palpebre e tornare a dormire beatamente, come se
l’annuncio della
bambina di cinque anni non avesse raggiunto il suo udito.
Indistintamente,
avvertì la voce
squillante di Keita dire qualcosa, chiamando qualcuno, e neanche cinque
minuti
dopo, una mano ferma e calda si posò sulla sua spalla,
scuotendola. «Forza,
Tohru, è ora di svegliarsi.»
Lei
riaprì gli occhi e sorrise beata
alla figura che le stava sorridendo amorevolmente.
«Papà.»
«Ancora
non si è svegliata?» un
uragano dai capelli arancioni travolse la tranquillità che
solo Honda Katsuya,
poteva trasmettere, e le dita sottili e lunghe di sua madre, Honda
Kyoko, afferrarono
le sue per tirarla in piedi. «Forza, Tohru! Tuo padre ci
porta fuori a mangiare
per festeggiare la promozione!» le annunciò
concitata, saltellando sul posto. A
volte, ridendo sotto i baffi, Tohru si domandava chi fosse la bambina
tra lei e
Keita.
«Mamma,
stai facendo casino come al
solito.» una manata di profilo le colpì la testa,
inducendola a mollare le mani
di Tohru per portarsele sui capelli e bofonchiare contro il ragazzo
alle sue
spalle. «Abbiate pietà, Tohru lavora di notte e va
a scuola di giorno, sarà
stanchissima.»
«Megumi,
dorme dalle due di
pomeriggio, ed ora sono le sette.» gli fece notare Katsuya,
mettendo le mani
sui fianchi. «So che vuoi difendere tua sorella, ma un
po’ di sonno l’ha
recuperato. Inoltre, non faremo tardi, così possiamo andare
a letto presto.»
Kyoko prese in
braccio Keita dopo
averle messo un cappottino. «Forza, ragazzi. Il ristorante ci
aspetta.» sorrise
ai figli più grandi, i quali annuirono ed andarono a
cambiarsi.
Quando uscirono
di casa, il freddo
penetrò nelle ossa della più grande della
progenie degli Honda. Nonostante il
cappotto pesante, Tohru si portò le mani attorno al corpo e
le mosse per
scaldarsi. Camminarono per venti minuti, ridendo e scherzando per
smorzare il
gelo dell’inverso che incombeva su di loro: Katsuya teneva
tra le braccia la
piccola di famiglia mentre parlava con Kyoko su dove andare in vacanza
per
Capodanno, mentre Tohru e Megumi discutevano della scuola, in
particolare l’ansia
del ragazzo di cominciare il liceo.
Passarono
davanti al portone di una
villa estesissima, conosciuta come l’entrata della tenuta dei
Sohma Proprio in
quel momento, le ante si aprirono per far passare tre persone dalle cui
espressioni
andavano dalla noia all’esasperazione all’allegria.
Erano tre ragazzi, uno
evidentemente più grande degli altri due vista
l’altezza, che stavano parlando
tra loro.
Tohru riconobbe
il volto di Yuki Sohma,
compagno di classe e soprannominato “principe Yuki”
per la sua bellezza, e si
fermò per salutarlo. «Yuki-kun!» lo
chiamò agitando la mano per attirare la sua
attenzione.
Quando i loro
occhi si incontrarono,
il volto del ragazzo si distese e ricambiò il sorriso,
avvicinandosi. «Honda-san,
che coincidenza. Che ci fai da queste parti?»
Lei gli
indicò la sua famiglia, che si
era fermata per permetterle di scambiare qualche parole. In
particolare, sua
madre indicava qualcuno alle spalle di Yuki, per poi precipitarsi ad
abbracciarlo. Non capiva ma doveva rispondere alla domanda del compagno
di
classe. «Stiamo andando fuori a festeggiare. Voi,
invece?»
«Siamo
appena usciti da una riunione
di famiglia. È stata abbastanza noiosa, e stiamo morendo di
fame.» Yuki si girò
verso un ragazzo dai capelli grigi e gli occhi dello stesso colore.
«A
proposito, Shigure… chi cucina stasera? »
L’altro
si grattò la nuca con fare
incerto. «Io devo mettermi a scrivere, mentre è
meglio se tu stia lontano dalla
cucina. Direi che tocca a Kyo-kun!» sorridendo troppo
allegramente, il suo
indice si posa sulla figura del ragazzo che sta conversando con sua
madre,
alzando così tante volte gli occhi al cielo da rischiare che
i bulbi si
bloccassero.
Chiuso in un
cappotto arancione e con
lunghi pantaloni color verde militare, colui che Tohru era riuscita ad
identificare come Kyo-kun attirò la sua attenzione. Aveva lo
stesso colore di
capelli di Kyoko, e, quando si voltò -la madre stava
probabilmente parlando di
lei- ebbe la possibilità di conoscerne gli occhi. Erano
arancioni, di un colore
particolare che le restò impresso. Le mancò un
battito, e non sapeva se fosse perché
era il giovane, probabilmente suo coetaneo, più bello che
avesse mai visto, o perché
sua madre lo stava trascinando da lei con un braccio attorno alle
spalle.
Per nascondere
il rossore- che sperò
potesse essere definito rossore da freddo invernale-, si
presentò a Sohma
Shigure, il quale si definì il cugino di Yuki e di Kyo.
Sembrava un ragazzo
spensierato e sempre allegro, il tono canzonatorio e poco adulto che
non si
adattava alla sua vicinanza ai trent’anni, eppure le parve
una bella persona.
«Scricciolo,
questa è mia figlia
Tohru.» Kyoko la mise davanti al ragazzo dai capelli del
colore del cielo al
tramonto. «Tohru, lui è Sohma Kyo. L’ho
incontrato al parco giochi vicino casa,
dove mi fermavo a riposare all’aria aperta e dove lui faceva
lo stesso dopo
scuola. Ha la tua età e, pensa, si è appena
trasferito al tuo liceo!» parlò
velocemente, tanto da beccarsi uno sguardo confuso da parte della
figlia.
Tohru sorrise al
ragazzo. «È un
piacere conoscerti, Kyo-kun. Spero di poter andare d’accordo
con te.» si chinò
leggermente in segno di rispetto, e, come risposta, il ragazzo
arrossì
vistosamente e bofonchiò un “anche per
me”.
Per nascondere l’imbarazzo, Tohru tornò a parlare con Yuki per qualche seconod, scambiandosi qualche frase, per poi salutarsi e ripromettersi di vedersi a scuola l’indomani. Presero due strade diverse, ma, prima di scomparire dietro la curva, al fianco di Megumi, Tohru si voltò verso il trio diretto a casa propria. Più di tutti, guardò la schiena del ragazzo dalla chioma arancio, sperando di poter rivedere anche lui il giorno dopo.