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Autore: lolloshima    04/09/2022    1 recensioni
"Kei pensò che fosse la cosa più eccitante che avesse mai visto. Ma in quel momento, quello che aveva davanti agli occhi, era lo spettacolo straordinario della vita quotidiana di una famiglia".
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Questo racconto partecipa alla challenge Writptember indetto dal gruppo FB Hurt / Comfort Italia.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROMPT: Kidfic – Il gatto ti ha mangiato la lingua?

*

“Oh, no! Ancora?”

Kei affondò la faccia nel cuscino, mentre la stanza era invasa dal pianto straziante di un neonato.

“Ma quanto può piangere un bambino?? E’ già la quinta volta stanotte!”

“Amore, calmati, è un bambino, solo quello sa fare. Oltre a mangiare e a fare… beh, lo sai”

“Lo so bene, Kuroo, cosa fanno i bambini… e quanto spesso lo fanno! E infatti l’ho appena cambiato! Ha anche mangiato, e allora cos’altro vuole? Il mio sangue? Ho bisogno di dormire almeno un’ora di fila! Ho bisogno di una doccia! Ho bisogno di una maglietta che non odori di vomito o di pipì….”

“Occuparsi di un bambino può essere davvero stancante, ma non c’è ricompensa più grande di amare ed essere amati da un angioletto.”

“Ma quale angioletto! E’ un vero demonio! Sono certo che lui mi detesti, e che voglia vedermi morto!”

“Tsukki, sei un padre meraviglioso, e anche lui lo sente, stanne certo.”

“E io invece credo di aver fatto un errore a credere di esserne capace...”

“Kei, non dire sciocchezze. Tu resta a riposare. Mi alzo io. Vediamo che cosa succede al piccolo Koutaro.”

Di come si fosse fatto convincere a chiamare il loro figlio come l’asso del Fukurodani, ancora Kei non riusciva a farsene una ragione.

Quando l’agenzia aveva dato loro la conferma che la procedura era definitivamente completata e che avrebbero potuto finalmente adottare un bambino, e che era stato destinato alla loro famiglia un bimbo di pochi mesi, Kuroo aveva deciso di festeggiare con della vodka, in onore dell’origine russa del piccolo.

Da quel momento, a quando si era fatto convincere, molti shottini più tardi, e dare il consenso di chiamare il bimbo come Bokuto-san, Kei non ricordava bene cosa fosse esattamente successo.

Fatto sta che il piccolo Alexej – nome che che gli era stato dato in orfanotrofio – era stato diventato Koutaro Kuroo Tsukishima, in onore di quello che sarebbe stato a tutti gli effetti uno zio – padrino.

Le grida del bambino non cessavano e Tsukishima sentì la testa scoppiare.

La ficcò sotto il cuscino, premendo i due lati contro le orecchie.

“Kei…”.

Tsukishima riuscì a percepire il richiamo sussurrato di Kuroo, anche attraverso l’imbottitura premuta contro le orecchie e il frastuono dovuto al pianto disperato del bambino. E non gli sfuggì il suo tono preoccupato.

Immediatamente si sollevò dal letto e guardò verso la porta della camera.

Kuroo se ne stava in piedi, tenendo disteso su un braccio il piccolo, che continuava a strillare fino a rimanere senza fiato. Il volto paonazzo e le manine strette e tremanti.

“Kei… credo che Kou-chan abbia la febbre.”

In un istante Kei fu accanto a Tetsurou.

Con una mano toccò delicatamente la fronte livida del bimbo.

“Scotta!” Kei aveva dimenticato la stanchezza e, nonostante le occhiaie evidenti, era completamente sveglio.

“Chiamiamo un’ambulanza, i pompieri, portiamolo subito in ospedale, Kou-chan sta male!”

“Kei, tesoro, calmati. E’ solo un po’ di febbre. Capita ai bambini. La pediatra ha detto che poteva succedere, potrebbero essere i dentini.”

“Ma non possiamo essere sicuri. E e se fosse grave?”

“Facciamo così. Prima di tutto misureremo la temperatura. Non possiamo sapere quanto è grave, se non sappiamo quanta febbre ha. Potrebbe anche essere alterato a causa del pianto. Se la temperatura non è troppo alta, proviamo ad abbassargliela con le gocce che si ha lasciato la dottoressa. Se la febbre non scende o pensiamo che ci sia dell’altro, andiamo in ospedale.”

Kuroo era calmo e riflessivo e sembrava avere la situazione sotto controllo.

Kei si sentì rassicurato dalla sua presenza. Il panico a poco a poco stava prendendo il posto di una nuova consapevolezza. Quell’esserino indifeso dipendeva totalmente da loro. Adesso erano dei genitori, non potevano permettersi di cedere all’ansia. Dovevano rimanere lucidi, e fare tutto il possibile per alleviare il dolore di Kou-chan.

Tetsurou era un genitore perfetto.

Kei appoggiò delicatamente sulla piccola fronte del bambino l’apparecchio per misurare la temperatura, che aveva la forma di un dinosauro, e rimase a fissare il display.

Si sentì un piccolo segnale acustico.

“Allora? Quanto ha?” chiese Kuroo, visto che Kei continuava a fissare il termometro senza dire una parola.

“E’ molto alta? Kei? Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?”

“37.5…” rispose in un soffio, continuando a fissare l’apparecchio a occhi sgranati.

“Ecco, lo vedi? Non è niente di grave, avrà solo male al pancino. Adesso...” continuò rivolgendo il viso a Kou-chan. Il tono della sua voce cambiò e si trasformò in una cantilena infantile, e iniziò a fare delle strane smorfiette con il volto. “Facciamo un bel massaggino su questo bel pancino….”.

Kuroo cominciò a cullare il bambino, avvicinandosi al letto. Si mise seduto con la schiena appoggiata alla testiera. Il bambino era tra le sue braccia, disteso a pancia in su, sostenuto dal forte braccio di Tetsurou. Piangeva ancora, ma il pianto si era fatto meno disperato. Il visino era tutto rosso, solcato da piccole lacrime che correvano veloci nelle gote paffute.

Nel frattempo, Kei era andato a recuperare una pezza di cotone e aveva riempito una piccola bacinella d’acqua fresca.

Quando tornò in camera e vide quella scena, il cuore gli si bloccò. Tetsuro era belllissimo. I capelli spettinati, i muscoli tesi sotto la maglietta, le labbra carnose piegate in un sorriso rassicurante, coccolava teneramente il loro bambino. Kei pensò che fosse la cosa più eccitante che avesse mai visto. Ma in quel momento, quello che aveva davanti agli occhi, era lo spettacolo straordinario della vita quotidiana di una famiglia.

“Testurou, la pediatra ha detto che non è educativo portarlo nel lettone…”

Kuroo alzò gli occhi dal bambino e li rivolse a lui, ignorando il suo commento. Era uno scrupolo del tutto fuori luogo, data la situazione, dettato evidentemente del nervosismo.

“Tsuki, vieni qui anche tu, distenditi accanto a me…”.

Kei scivolò sul lettone. Prese il tessuto, lo immerse nella bacinella, lo strizzò bene e lo tamponò delicatamente sulla fronte del piccolo Kou. Il pianto si faceva sempre più flebile, ma il visino del bambino era ancora congestionato, segno che la febbre non era calata del tutto.

Tetsurò cominciò a far oscillare piano il braccio con il quale teneva il bambino, mentre con l’altra mano gli massaggiava con delicatezza il piccolo ventre.

Improvvisamente, la voce calda di Kuroo intonò una ninnananna, sottovoce, quasi un sussurro.

Ninna nanna amore,

resta qui con me.

Sul mio letto grande,

solo per un po’.

Una ninna nanna io ti canterò,

e se ti addormenti,

mi addormenterò...

Il viso di Kuroo era rivolto al bambino che, cullato dal suo braccio, accarezzato dalla sua grande mano e inebriato dalla melodia, cominciò a calmarsi. A poco a poco, il pianto cessò.

Kou-chan infilò il pollice di una manina in bocca e iniziò a succhiare, fissando i suoi occhioni ancora lucidi su quelli di Tetsurou.

Kei appoggiò la testa sulla coscia di Tetsurou, e rimase così, a guardare lo spettacolo delle due persone più importanti della sua vita che si scambiavano sguardi innamorati.

Anche se si era trattato di una sciocchezza, Kei sentì che non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui.

Kuroo Tetsurou, l’infantile, spumeggiante, eterno bambinone, stava facendo da padre a entrambi.

Gli occhi del bambino piano piano si stavano chiudendo sopraffatti dal sonno, la testa abbandonata sul petto ampio e rassicurante di suo papà.

“Guarda quanto è bello. Ti somiglia, sai?”

“Te l’ho già detto mille volte, non è possibile. Lui è russo, e io sono giapponese. E’ più che evidente che oltre al colore dei capelli non può esserci alcuna somiglianza,…” rispose Kei mentre gli occhi gli si chiudevano per la stanchezza.

Fu l’ultima cosa che disse, prima di cadere in un sonno profondo, ancora tra le gambe di Tetsurou, cullato dalla sua dolce ninnananna.

*

Quando Kei aprì gli occhi, il primo sole già filtrava dalle fessure tra le persiane.

Era solo. Kuroo si trovava in Australia per lavoro, e sarebbe tornato solo nel pomeriggio.

Aveva dormito profondamente, ma quel sogno gli aveva lasciato addosso molte sensazioni.

Sentiva tutta la spossatezza di notti insonni, l’ansia di sentirsi impotente di fronte alla malattia, la preoccupazione per la sofferenza della persona amata, la responsabilità di chi non può più badare solo a se stesso.

Si avviò trascinando i piedi verso la cucina. Sul tavolo erano ancora rimasti i documenti e la broshure, che Tetsurou aveva lasciato prima di partire.

Non fece in tempo a prenderli in mano, che il telefono squillò.

“Buongiorno Tsukki. Dormito bene?”

“…”

“Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?”

Quella semplice frase lo fece ricadere nel sogno appena concluso.

“Senti Tetsu. Riguardo a quei documenti…”

“Quelli dell’adozione? Hai ragione Kei, sono stato un egoista. Non voglio forzarti, considerando che viaggio spesso, è evidente che la maggior parte dell’impegno sarebbe a carico tuo, e non posso chiederti questo. Perdonami, non dovevo neanche proportelo. Non parliamone più.”

“No, è che… io lo voglio.”

“Cosa? Cosa hai detto?”

“Per me va bene, Tetsurou. Voglio avere un bambino con te.”

“Davvero? Davvero? Ho capito bene? Kei, ti amo, mi rendi l’uomo più felice del mondo... ancora una volta! Kei, tu sarai un padre meraviglioso!”

Tu, Kuroo Tetsurou, sarai un padre meraviglioso, pensò Kei, senza però dirlo ad alta voce.

“Tsukki, ci sei? Ancora quel gatto che ti mangia la lingua! Hahahaha!”

Kuroo era incontenibile. Un bambino entusiasta di diventar padre.

“Tsukki, preparati. Stasera dobbiamo festeggiare!”

“Ecco, a questo proposito. Avrei una piccola condizione.”

“Tutto quello che vuoi amore, puoi chiedermi qualsiasi cosa!”

“Festeggiare va bene. Ma assolutamente, categoricamente, tassativamente… ti prego, niente vodka!”

“Eh?”

 

 

   
 
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