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Autore: Marlov    05/09/2022    1 recensioni
I raggi del sole nascente si infrangono contro le persiane abbassate. Momento dopo momento si avvicinano alla figura paralizzata distesa prona sul letto basso: riscaldano prima i piedi morbidi, poi le gambe tornite, infine l’ampia schiena fasciata stretta da bende macchiate di sangue, le grandi mani stette in pugni che sbiancano le nocche e feriscono i palmi.
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Scritto per il #writempter del gruppo FB “Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction”
Prompt: “Prigione” + “Paralisi” + “Ciò che X ha lasciato” + “Alternative Univese” [Modern Setting]
Parole: 666
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Lan Wangji/Lan Zhan, Lan XiChen/Lan Huan, Lan Yuan/Lan Sizhui, Wei Ying/Wei WuXian
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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I raggi del sole nascente si infrangono contro le persiane abbassate. Momento dopo momento si avvicinano alla figura paralizzata distesa prona sul letto basso: riscaldano prima i piedi morbidi, poi le gambe tornite, infine l’ampia schiena fasciata stretta da bende macchiate di sangue, le grandi mani stette in pugni che sbiancano le nocche e feriscono i palmi.
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Sono passati tre mesi e tre giorni da quando Lan Wangji è stato condannato per l’unica azione giusta che ha compiuto dalla fine della guerra, un’unica azione giusta compiuta in ritardo.
Avrebbe dovuto sciogliere la benda prima di rubare quel bacio.
Sarebbe dovuto salire sul camioncino, stringersi tra lo zio Sette e lo zio Quattro.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, urlare, mentre Jin Guangshan avvelenava sette grandi e piccole contro l’unico uomo giusto del mondo della coltivazione.
Sarebbe dovuto restare a cena, a Yiling.
Avrebbe dovuto smettere di piegarsi sotto il peso di leggi che potevano regolare solo un mondo fittizio. 
 
Sono passati tre giorni da quell’unico messaggio mandato da suo fratello, l’unico messaggio che ha causato trentatré volte il dolore di trentatré frustate.
 – Wangji. È andato. –
Andato. Andato. Andato. 
“Come è possibile” aveva pensato in una foschia di pura agonia “quando io sono ancora qui?”
Per un momento aveva desiderato che gli anziani avessero portato via il suo cellulare insieme alla sua libertà quando avevano chiuso dietro di loro le porte della Casa delle Genziane, ma suo fratello aveva insistito. D’altronde, la Seconda Giada Lan aveva sempre posseduto solo due contatti: Lan Xichen e Wei Ying. E Wei Ying – oh dei, il suo Wei Ying – aveva da tempo smesso di potersi permettere qualcosa come uno smartphone, o un qualche tipo di abbonamento telefonico. Aveva iniziato a inviare lettere, poco dopo il suo ritiro dal mondo della coltivazione. Hanguang-jun aveva atteso quei fogli di carta ruvida, caratteri spigolosi incisi tra quadretti blu con inchiostro via via più scolorito, come si attende l’arrivo delle stelle tra i colori violenti del tramonto. Ora, sono tutto ciò che ha lasciato. 
Sei lettere per trentacinque fogli. 
Un disegno che ritrae un giovane Lan Zhan, ingiallito e con un angolo leggermente strappato. 
Due foto, in entrambe c’è un sorriso luminoso quanto il sole.
Un bambino. A-Yuan.
 
Sono passati tre giorni da quell’unico messaggio mandato da suo fratello. Sono passati tre giorni da quando ha sfondato con la forza della pura disperazione le barriere della sua prigione. Sono passati tre giorni da quando ha messo fuori combattimento la guardia alle sue stanze e rubato la sua spada. Sono passati tre giorni da quando è volato ricorrendo ad una velocità mai sperimentata neanche durante la campagna Sunshot. Sono passati tre giorni da quando è crollato tra le rovine di un insediamento tirato su con lacrime, sangue, dolore e speranze. Sono passati tre giorni da quando ha trovato il piccolo corpicino del bambino che si attaccava alla sua gamba, che lo chiamava Fratello Ricco, che Wei Ying chiamava suo figlio. Lo aveva raccolto dalle macerie, pulito con le maniche bianche della camicia il suo visino sporco di fuliggine, stretto al petto mentre ferite appena rimarginate si riaprivano in un’agonia senza fine. Aveva pensato di lasciarsi andare lì, il Signore Portatore di Luce, di lasciarsi abbattere dal quell’ultimo fallimento, da quell’ultimo pezzo di cuore caduto in frantumi. Aveva singhiozzato, rumori brutti che coinvolgevano tutto il corpo, tanto forti che gli avevano fatto quasi perdere il minuscolo gemito. Si era azzittito, allora, l’aria fuoriuscita dai polmoni in uno sbuffo secco. Aveva trattenuto il fiato fin quando non l’aveva sentito ancora: «Xian-gege.» 
E oh, quanto dolore, quanta agonia. Quanta speranza di redenzione.
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I raggi del sole morente si infrangono contro le persiane abbassate. Momento dopo momento si avvicinano alla piccola figura rannicchiata sul letto basso: riscaldano prima le piccole dita, strette ad una farfalla d’erba bruciacchiata, poi il piccolo petto che si alza e si abbassa nel ritmo del sonno, infine il piccolo viso con lacrime appiccicate tra le ciglia, le labbra a cuore arricciate in un broncio.
   
 
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