Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |       
Autore: Fanny Jumping Sparrow    07/09/2022    0 recensioni
La maledizione azteca è finalmente spezzata, la Perla Nera è svanita nella notte e i nostri tre eroi, Jack, Will ed Elizabeth, dopo tante battaglie, si ritrovano tutti sulla stessa nave, dovendo fare i conti con il futuro incerto che li attende una volta tornati a Port Royal.
In questa breve storia in 5 capitoli ho provato ad immaginare come sia potuta andare la loro navigazione.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow, James Norrington, Weatherby Swann, Will Turner
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve gente ^_^
Come promesso, ecco a voi il secondo capitolo, in cui cominciamo a vedere cosa succede ai nostri beniamini una volta giunti a bordo della Dauntless.
Grazie a quanti hanno visualizzato e letto il capitolo precedente.
Come sempre vi ricordo che commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita.
Al prossimo approdo!)

II – Poca corda e caduta sorda

Nel mezzo della notte il sinistro lampeggiare di quel centinaio di cannoni ancora carichi di cui si compone la poderosa batteria detenuta dalla HMS Dauntless, dispiegati simmetricamente su ciascuna delle sue fiancate, incute una legittima soggezione.
È comprensibile che ad ogni sua apparizione tra le onde del mare aperto o all’imbocco di qualche baia anche i pirati più sprezzanti e incalliti desistano dal combattere più di quanto non imponga loro una degna ostentazione di furfanteria.
E dinanzi a quella spropositata potenza di fuoco, seppur riluttanti, anche loro hanno dovuto arrendersi.
Will ferma i remi, accostandosi allo scafo panciuto e bicolore dell’imponente nave ammiraglia della flotta inglese, dal cui ponte giunge un vociare frenetico e confuso.
Ingoiando il dissapore che gli si è annodato in gola, rivolge all’amata Elizabeth un lungo e intenso sguardo che equivale ad un tacito addio, mentre si accinge a salire per prima sulla scaletta di corda che viene loro calata dall’alto.
Lei è salva, sarà al sicuro, solo questo importa, si persuade, preparandosi mestamente a subire la deplorevole sorte che si è cercata, finendo per entrare in combutta con uno scalcagnato fuggitivo dalla giustizia.
«È notevole da ogni prospettiva!», ammicca con un velo di lascivia Jack, torcendo il collo a sbirciare le gambe e il fondoschiena di Miss Swann, accentuati da quei candidi calzoni maschili che la fasciano in maniera decisamente sensuale mentre si arrampica.
Will si vergogna di condividere per un attimo quell’apprezzamento, poi, avvinto da un morso di gelosia, acuito anche dal ricordo che lui ed Elizabeth abbiano trascorso del tempo insieme da soli, imprime uno strattone alla barcaccia, costringendo Sparrow a reggersi per non caracollare ed essere sbalzato in acqua.
Nonostante il brusco beccheggio, il filibustiere si rialza con un rapido slancio, barcollando e biascicando qualche protesta e, dopo aver cercato ancora invano di avvistare in quel mare fosco un qualunque segno della presenza del suo adorato vascello, si risolve arrendevolmente ad aggrapparsi anche lui alla biscaglina, con una strenua convinzione: in fin dei conti è pur sempre Capitan Jack Sparrow, ha una brillante nomea da difendere e possibilmente troverà qualche modo per svignarsela.
I piedi del giovane fabbro sono ben più ricalcitranti a posarsi sui pioli di corda, sapendo di non possedere la stessa faccia di bronzo del suo impenitente compare di malefatte nell’affrontare l’ondata di biasimo che lo investirà.

«Elizabeth! Stai bene, grazie al cielo!», il governatore Swann trattiene subito la figlia in un caloroso abbraccio, temendo che racconti al suo promesso sposo ciò che ha combinato. «Come ti è venuto in mente di scappare? Si può sapere che cosa avevi intenzione di fare da sola contro quei malviventi?», la riprende poi sottovoce, sperando di non essere udito dagli altri.
Elizabeth non sa ancora da dove cominciare a spiegarsi, ma è sicura che gli confesserà tutta la verità: che è fuggita per aiutare Will, perché temeva che quei farabutti lo avrebbero brutalmente ucciso e non poteva permettere che ciò accadesse, perché se ne sente responsabile. E perché lo ama, lo ama dal primo giorno in cui l’ha conosciuto e gli ha promesso che avrebbe sempre vegliato su di lui. Non riesce a pronunciare nulla di quello che si è ripromessa, che il Commodoro torna ad appropriarsi dell’attenzione di tutti quando gli altri due superstiti fanno timidamente capolino dal parapetto.
«Non rimproverate vostra figlia, Governatore Swann. Qualunque fossero le sue intenzioni, ci è stata molto utile. Guardate chi abbiamo qui: i signori Sparrow e Turner. L’evaso e il suo complice. Vi credevamo morti», dichiara borioso, facendo ridacchiare sprezzantemente tutto l’equipaggio.
«Anche noi», risponde piccato Jack, volgendogli uno sguardo inutilmente minaccioso.
«Molto bene, tanto lo sarete presto», chiosa Norrington, come se quell’osservazione astiosa non lo abbia neppure sfiorato.
Will avverte un leggero brivido lungo la schiena. C’è un che di sadico nel suo altezzoso modo di squadrarlo, lo fa sentire inetto e inferiore.
«Portateli nelle prigioni insieme agli altri fuorilegge che abbiamo rastrellato», dispone spicciamente l’ufficiale, apprestandosi a girare sui tacchi ma venendo sviato da uno sfavillante luccichio. «Aspettate! Solo un momento», fa dietro front prima che i soldati si avventino sui due rei, e, avvicinatosi a Sparrow, appunta un cipiglio interrogativo sul grande assortimento di oggetti preziosi con cui questi è agghindato.
«Oh, chiedo venia, quasi dimenticavo!», esclama il pirata assumendo un’espressione svampita mentre accenna un piccolo inchino, «Questi sono i miei umili doni per le vostre fortunate nozze con l’adorabile Miss Swann», lo schernisce irriguardoso, sfilandosi prima la corona e poi uno per uno tutti i monili di cui si è bardato, lasciandoli cadere con gran clangore e dispetto sulle assi. «Felicitazioni!»
Will, che non ha aperto bocca né protestato mentre veniva disarmato e ammanettato, si ritrova a sorridere per l’irriverenza con cui quel tipo male in arnese riesce ad abbindolare i suoi nemici, fingendo di tenerli in gran conto per poi sbeffeggiarli senza pietà. Se poi oggetto del suo scherno è quell’antipatico di Norrington, lo sberleffo, per quanto oltraggioso, lo diverte ancora di più. Ma prova uno stringente senso di colpa incrociando gli occhi tristi di Elizabeth che a quell’augurio fasullo si defila intristita sottocoperta.
Non ha tempo né modo per rimediare a quell’involontaria indelicatezza che viene subito afferrato e trascinato dalle mani sgarbate dei soldati attraverso un boccaporto, fino alle viscere della nave, insieme a Jack, ritrovandosi in breve sospinto e relegato dentro una cella spoglia e buia.
Al loro arrivo un fuoco incrociato di insulti, bestemmie e versacci si è levato tra gli altri prigionieri che li hanno riconosciuti.
«Jack Sparrow?! Brutto bastardo imbroglione! È incredibile che tu l’abbia scampata anche questa volta!»
«E c’è pure il piantagrane figlio di quello sporco traditore di Sputafuoco Bill!»
I due complici, troppo abbattuti per ribattere a quell’acceso coro di imprecazioni, si lasciano graffiare le orecchie dal loro ostile rumoreggiare.
«Godetevi questo bel viaggetto, perché sarà l’ultimo che farete», li deride Gilette, inserendo una doppia mandata all’efficiente serratura di recente fattura.
«Queste celle non le hai costruite tu, vero?», domanda ironicamente il pirata con la bandana rossa, tentando di ritagliarsi un po’ di spazio sul sudicio pavimento.
«No!», afferma sconsolato il fabbro, battendo un pugno contro la cerniera metallica, per poi acquattarsi in un angolo.
Quando la porta d’accesso al locale sottomesso viene sbarrata, il barlume delle lampade recate dal drappello svanisce insieme al rumore cadenzato dei loro tacchi, mentre risalgono ai ponti superiori, lasciandoli in balia della penombra e dello scricchiolio del fasciame e dei suoi tarli. Anche le invettive degli altri carcerati, per lo più sfiniti, feriti o arresi a quell’inutile protestare sulla loro sventura, vanno scemando.
Un lieve refolo d’aria salmastra s’infiltra tra le finestrelle che sostituiscono dei veri oblò, il bagliore della luna ormai alta non arriva a rischiarare ogni angolo angusto fin laggiù, rendendo difficile distinguere quanti siano i prigionieri, di cui aleggiano però i sospiri afflitti e irritati, che trasudano angoscia e rabbia.
«Rallegriamoci! Siamo in buona compagnia», farfuglia d’un tratto Jack, smorzando la tensione palpabile che si è creata dall’istante in cui l’eco delle chiavi si è estinta. «Come vi chiamate, belle donzelle?»
Solo allora Will, abituatosi alla fioca luce dominante, nota che ci sono altre due persone con loro e che evidentemente non sono affatto delle fanciulle, sebbene, per qualche bizzarra ragione, ne indossino le vesti.
«Piantala, Sparrow! È stata tutta colpa tua!», sbraita indignato Pintel, stropicciandosi quella ridicola sottogonna con cui è rimasto abbigliato e svelando di essere uno degli inquilini di quella fetida gattabuia.
«Hai visto? È come ti ho detto io: Capitan Barbossa è riuscito a fuggire con la Perla!», afferma convinto Ragetti, giochicchiando con il merletto della raffinata manica di pizzo.
«E come avrebbe fatto, con tutto questo schieramento di forze?», continua a non credergli il compare, lisciandosi il cranio spelacchiato.
«Possiamo chiederlo a loro due. Sono gli ultimi ad averlo visto probabilmente … », abbozza zelante il pirata dall’occhio di legno, con l’intento di invogliare il collega a porre lui la domanda in sua vece.
«Capitan Barbossa è rimasto indietro. Rassegnatevi», li zittisce seccamente Jack, sistemandosi in un punto più lontano, tanto quanto lo consente la limitatezza di quell’ambiente in cui già si sta sentendo soffocare, incrociando le gambe e poggiando la schiena alla fradicia paratia.
«Hai visto? È andata come avevo detto io», è la risposta di Pintel, impregnata di arrogante saccenteria.
Ragetti schiocca la lingua: «Veramente ero stato io a pensarlo per primo e comunque non è vero. Perché se Capitan Barbossa fosse rimasto indietro, loro sarebbero scappati e invece è successo il contrario».
«Non ho capito», obietta confuso il tozzo bucaniere, grattandosi la pancia pelosa strizzata in quel corsetto che non è neppure riuscito ad abbottonare appropriatamente.
«Te lo spiego di nuovo …» sospira pazientemente il biondino, scostandosi un ciuffo dalla fronte impiastricciata di sudore.
Un colpo tirato vigorosamente contro le barre li fa sobbalzare: «Barbossa è morto!», li spiazza Will, oramai intollerante alle loro vuote chiacchiere che stanno suscitando malumori anche negli altri vicini di cella, già alle prese con il fastidio di ferite sanguinolente e di un’infausta calura.
«E tanto non sarebbe mai venuto a salvarvi!», aggiunge un altrettanto spazientito Jack, detestando dover ricordare la fine ingloriosa del suo acerrimo nemico.
I due compari di lungo corso seguitano a parlottare e bisticciare tra loro sottovoce, pigiandosi in un cantuccio opposto ai due nuovi arrivati.
«Ci impiccheranno?», passato qualche minuto s’interroga Will, a metà tra la rassegnazione e l’incredulità.
«È probabile», risponde serafico e smaliziato Sparrow, strappandosi un brandello della logora camicia e adoperandosi a fasciarsi il taglio sul palmo sinistro, aiutandosi coi denti. «Almeno io non rimpiango nulla. La mia vita bene o male l’ho vissuta. Mi sono tolto ben più di qualche sfizio», continua in un improvviso assalto di malinconia che gli vela gli occhi vivaci e profondi, adombrando anche il suo sorriso mascalzone. «Tu, invece, non sei nemmeno riuscito a confessarle quello che provi. O a corteggiarla come si dovrebbe. Se solo me lo avessi chiesto …».
Il ragazzo reagisce stizzosamente, la voce calma gli s’inasprisce in uno scatto di esasperazione: «A quale scopo? Sta per sposare un valoroso e rispettabile ufficiale della marina britannica. L’uomo giusto per lei», sostiene senza credere troppo alle proprie parole, accasciandosi. Fa male ammetterlo, ma dopotutto sa quanto ciò sia vero.
Il Commodoro James Norrington è un ufficiale pluridecorato, vanta l’appartenenza ad una buona famiglia, è un perfetto gentiluomo, integerrimo e affidabile, può assicurare ad Elizabeth un avvenire sicuro e tranquillo, agiato.
Lui invece è soltanto un modesto garzone di bottega, figlio di un padre disonesto, uno sconsiderato che ha trasgredito la legge; non ha mai avuto nulla di solido da offrirle, men che meno adesso che è diventato anche lui un fuorilegge.
Nulla, eccetto tutto se stesso, riflette sfiduciato, mentre tira via un pezzo di manica della casacca, ormai sporca e consunta, per tentare anche lui di ricavarne una fasciatura.
«Or dunque, mi hai coinvolto in questo guazzabuglio per poi arrenderti al primo intoppo?», lo rimbrotta il pirata col bistro, rimarcando la delusione nel suo timbro pungente screziato da amara ironia, «Questo mi lascia pensare che la tua aspirazione non fosse conquistare il cuore della dama, ma il mio … Per diventare un pirata, s’intende!», puntualizza canzonatorio.
Will sbuffa, ma non ha voglia di replicare alla sua impertinente provocazione, e così nella cella torna a regnare un cupo silenzio.
Ma dura solo pochi minuti.
«Speriamo usino delle corde di lunghezza adeguata», esordisce improvvisamente Ragetti, attirandosi gli sguardi insofferenti dei compagni di prigionia. «Perché ho sentito certe storie di uomini rimasti appesi per il collo anche svariate ore prima di crepare lentamente strangolati …», aggiunge in un singulto intimorito, facendo sconcertare quelli ancora svegli che lo odono.
«In ogni caso io avrò il privilegio di essere il primo. La mia lista di colpe è assai più lunga della vostra», proferisce Sparrow, con un fatalismo intinto da una punta di orgoglio, accarezzandosi la rondine tatuata sull’avambraccio destro, poco sopra l’infamante “P” marchiata a fuoco sulla pelle abbronzata.
«Avrei preferito una morte da pirata», singhiozza ancora il biondino con l’occhio di legno, «Una pugnalata, un colpo di schioppo, una sciabolata!».
«Beh, pazienza, vecchio mio», lo conforta Pintel, poggiandogli una pacca sulla spalla «Credo che sarà comunque meglio di morire annegati».
«Confermo», si frappone al loro macabro scambio di vedute Jack, alterando i lineamenti in un’espressione spiritata e inorridita.
Nella penombra, dal suo angolo in disparte, Turner li guarda di sottecchi e non può fare a meno di considerare quanto, con le manette ai polsi e la consapevolezza di non essere più invincibili, quei furfanti abbiano perso tutta la loro beffarda spavalderia.
Squittiscono come topi in trappola.
Sparrow fa scampanellare i pendagli intrecciati nella sua incolta massa di capelli unti di salsedine: «La massima aspirazione per ogni buon pirata che si rispetti è morire in mare», asserisce con fare da esperto, smentendo la sua proverbiale vigliaccheria. «Non nego che rimandare la mia precoce dipartita sarebbe di mio gradimento, ma se proprio potessi scegliere, vorrei essere impiccato sul molo di Londra. Sapete quanta gente si radunerebbe per presenziare allo spettacolo dei miei rantoli mortali?», ammicca con divertita insolenza, sfoggiando la chiostra di denti dorati.
È sempre stato avvezzo a vivere di espedienti e a scansare mille pericoli. La sua fine se l’è sempre immaginata teatrale, eroica, memorabile. Finire per esalare il suo ultimo respiro su un patibolo allestito in un posto così piccolo, per quanto insignito dalla fama di “città più ricca e malfamata al mondo”, non è mai stato nei suoi piani. Gli pare piuttosto indegno per uno con la sua lunga e considerevolmente scellerata carriera.
I compagni di prigionia scorgendo sul suo volto la sfumatura di un sogghigno impunito si scambiano un’occhiata basita, chiedendosi come faccia quel briccone impenitente a non prendere sul serio neanche la morte.
Will invece ritiene di comprendere il suo atteggiamento dissacratorio. L’apparente disinvoltura con cui discorre di quell’argomento forse è solo un modo come un altro di esorcizzare il profondo terrore per ciò che lo aspetta, qualcosa su cui non ha potere.
Quando era bambino e viveva in un povero villaggio di pescatori poco fuori Glasgow, gli è capitato di assistere alle esecuzioni di qualche criminale di bassa lega giustiziato sulle rive del fiume Clyde. Non ne serba un ricordo piacevole; le espressioni deformate dallo spasimo dei condannati, lasciati appesi per settimane sulle forche a decomporsi, con mani e piedi legati, hanno popolato per parecchie notti i suoi peggiori incubi.
«E tu, ragazzo? Come avresti voluto morire?», lo interpella Ragetti, il più chiacchierone e impiccione della strana accoppiata.
Il giovane fabbro esita qualche secondo nel rispondere. Prima di quella concitata settimana la sua vita per tanti anni è fluita placida e tranquilla; poi, nel giro di pochi dì, è stato trascinato in un turbine di situazioni potenzialmente letali, correndo il rischio di finire infilzato, sparato, annegato, sgozzato. E probabilmente adesso finirà impiccato.
Un sorriso mesto gli stira le labbra asciutte: «Da uomo libero».


Intanto sopra coperta le operazioni di ripulitura del ponte si sono già concluse e, salpate tutte le ancore, ogni marinaio ha ripreso la propria mansione.
Il mare è calmo, ma una tiepida brezza soffia costante e favorisce la navigazione, facendo ben sperare in un viaggio rapido e senza impedimenti.
Elizabeth, approfittando del momentaneo disinteresse generale nei suoi confronti, si è chiusa nell’ampio alloggio prestatole dal Commodoro. La sua mente insonne ed eccitata non smette di ripercorrere gli avvenimenti di quegli incredibili giorni.
La paura provata al cospetto di quei pirati dalle sembianze di scheletri adesso la fa vergognare: ha reagito come una sciocca ragazzina fifona, ma poi ha anche saputo mettersi alla prova, sfoderando una prontezza di spirito che non immaginava di possedere.
D’altronde la comoda e oziosa vita di giovane aristocratica non le ha mai permesso di misurarsi con situazioni particolarmente difficili: il massimo sforzo è stato eseguire bene un inchino o ricordarsi nomi, titoli e rango degli ospiti che incontrava ai vari tediosi ricevimenti cui era invitata per evitare brutte figure.
Non le è a mai parsa vita vera, quella: è stato come vivere in una gabbia dorata, in cui tutto è fondato sull’apparenza. Al contrario sul mare sono soltanto le doti di ciascuno a rendersi necessarie per la sopravvivenza. E lei conserverà per sempre il ricordo di quei momenti, ora che è dolorosamente consapevole che non si ripeteranno.
Il destino le ha fatto sperare di poter cambiare rotta, ma poi l’ha riportata al molo di partenza. Non senza conseguenze: Will ora potrebbe rischiare il capestro a causa sua.
Come le è venuto in mente di usare il suo cognome? Perché non fa altro che pensare a lui, indubbiamente, ma anche perché era curiosa di scoprire quale fosse il significato di quel misterioso medaglione che gli aveva sottratto anni addietro.
Se davvero diventerà la signora Norrington, vuole che almeno il suo amore d’infanzia si salvi da quella morte orribile e indegna. Lo difenderà ad oltranza, farà tutto ciò che è in suo potere per perorare la sua causa, purché venga risparmiato da una simile condanna.
E in quanto a lei … Forse si rassegnerà, si accontenterà di ciò che ha, diventerà una buona moglie, quieta, composta, accomodante, così come richiede la società e il suo ceto.
Potrebbe riuscirci, se lui si trasferisse a vivere altrove, più lontano possibile dalla probabilità di imbattersi l’uno nell’altra; le basterebbe saperlo al sicuro, sereno e appagato.
O forse, prima o poi, vivere nella falsità la annienterebbe e farebbe l’impossibile pur di ritrovarlo.
Nel caso in cui Will invece decidesse di restare a Port Royal … forse non riuscirebbe a resistere alla tentazione, s’incontrerebbero clandestinamente, comprometterebbe la sua rispettabilità, e, dovendo mentire costantemente a se stessa e alle persone più vicine, diventerebbe una moglie insoddisfatta, inquieta, infedele, la sua salute mentale cederebbe, e finirebbe come una di quelle eroine tragiche della letteratura che ha tanto compatito.
Le sembra di avere un cappio che le stringe sempre più forte la gola, ha le tempie che pulsano, gli occhi bruciano, sale amaro le impasta la bocca. Elizabeth si alza dalla scomoda branda, stizzita da se stessa. Non è mai stata una ragazzina dal pianto facile, ha versato pochissime lacrime perfino dopo la prematura scomparsa di sua madre, non sopporta di sentirsi tanto fragile e inerme, di apparire indifferente alla sorte avversa che li attende non appena avranno rimesso i piedi sulla terraferma.
Deve agire, fargli sapere che lo proteggerà, difenderà il suo diritto di esistere.
Totalmente infervorata dall’ansia di rivederlo, di chiarirsi, si slancia verso la porta, decisa a scendere nelle prigioni, non le interessa quanto possa essere sconveniente. Ma non appena avverte un timido bussare e distingue la voce un po’ preoccupata del padre richiamarla, si lascia andare ad un sospiro rassegnato, le braccia cadono inerti lungo i fianchi.
«Sei sicura che vada tutto bene? Avrei bisogno di parlarti. Non ho neppure potuto chiederti come stai», insiste con premura il genitore, convincendola ad aprirgli.
«Entrate, padre. Sto bene. Sono solo un po’ stanca», bisbiglia tenendo gli occhi bassi, per timore che lui possa notarne il rossore.
«Sono riuscito a recuperare del thè», la sorprende piacevolmente l’uomo imparruccato, porgendole una sobria tazzina fumante, «Sfortunatamente sono sprovvisti di latte e zucchero».
«Non fa nulla. Grazie», Elizabeth accetta volentieri l’offerta, inspirando l’aroma speziato del liquido brunastro, bagnandosi appena le labbra mentre si siede sul bordo del lettino.
Il governatore Swann si guarda attorno per qualche secondo, scegliendo infine una seggiola dalla federa di velluto su cui potersi ugualmente accomodare: «Confesso di non aver ancora ben capito cosa sia realmente accaduto …», balbetta sorseggiando a sua volta, visibilmente a disagio nel riuscire a trovare le parole più sensate. «Quei pirati non erano, non sembravano … Voglio dire, erano …».
«Erano maledetti», asserisce la ragazza, intuendo dal suo muto interrogarla smarrito di essere stata troppo diretta.
«Lo sospettavo», mormora Swann, le pupille dilatate dallo sgomento e lo stomaco sferzato da una fitta nel ricordare il suo impacciato tentativo di respingere gli orripilanti assalitori che erano penetrati sin dentro la cabina in cui aveva cercato invano rifugio durante il caos della battaglia.
Così Elizabeth gli narra la leggenda dell’oro maledetto di Cortés, gli riferisce per sommi capi cosa ha passato da quando è stata rapita, trascurando di soffermarsi espressamente sui momenti in cui ha rischiato in maggior misura la sua incolumità e il suo onore, tenta di spiegare con più calma e razionalità possibile quello che anche per lei è ancora arduo considerare come reale. Tutte le sue più ferme certezze sono state cancellate, ciò che di contro credeva fossero soltanto innocue storie di fantasia, intrise di superstizione popolare, sono state confermate come assolutamente vere dalla strabiliante esperienza che ha vissuto in prima persona.
Suo padre si limita ad accompagnare il suo racconto con qualche esclamazione timorata e sbigottita e con qualche commento distratto, cambiando continuamente posizione sulla seduta, quasi il cuscino fosse imbottito di spilli. E lei lo conosce sin troppo bene per non sospettare che ci siano altri pensieri a turbarlo, ora che si è rassicurato sulla sua integrità.
«Avrei anche qualcos’altro da dirvi. Ma prima cominciate voi», lo esorta conciliante, trattenendosi dall’intraprendere la conversazione che le preme di più affrontare con lui.
«Ecco, poco fa a cena, la cena di cui tu hai declinato l’invito» sottolinea contrariato, «il Commodoro Norrington mi ha confidato che intende dare inizio ai preparativi per le nozze non appena avrà sistemato la faccenda dei pirati a Port Royal», la informa frettolosamente, come si fosse tolto un peso dalla coscienza.
La ragazza non può fare a meno di aggrottare la fronte in segno di disappunto: «E voi cosa gli avete risposto?»
Gli occhi del governatore Swann brillano di compiacimento: «Vedi, Norrington mi ha confessato di possedere già una dimora più che dignitosa cui andrebbero apportate solo poche modifiche per renderla consona ai bisogni di una giovane coppia di sposi, al che io gli ho fatto presente che per quanto concerne questi dettagli dovrebbe discutere e accordarsi direttamente con te», si esprime con più discrezione possibile, non nascondendo però l’intima speranza che lei mantenga fede alla promessa informale pronunciata solo un giorno fa.
La giovane figlia gli tende una mano: «Grazie, padre», sussurra con un amarognolo nodo alla gola, abbracciandolo.
«Ad ogni buon conto. Tu cos’è che volevi dirmi», la riscuote lui, scostandola da sé e scrutandola impensierito.
«Si tratta di Will Turner …», Elizabeth esita, mordendosi una guancia, mentre l’afflizione e un senso di fallimento le solleticano le ciglia. Sarebbe il momento più adatto per confessargli che invero non ha alcuna intenzione di unirsi in matrimonio con quell’uomo freddo, inappuntabile e impettito, che la sua vita con lui sarebbe insignificante, vuota e indiscutibilmente infelice. Tuttavia non vuole scontentarlo, è stata troppo spesso una bambina disubbidiente, mettendo a dura prova la sua pazienza e la sua bontà; ormai è una donna, deve rimediare ai suoi errori, dire addio ai capricci e alle trasgressioni, deve farsi carico dei suoi doveri, se vuole continuare a dimostrargli la sua gratitudine e guadagnare la sua stima.
Allora, assumendo un atteggiamento all’apparenza neutrale, espone con ponderatezza la sua richiesta: «Quel ragazzo ha messo volontariamente a repentaglio la sua vita per salvarmi. Lo conosco da quando eravamo bambini. Siamo cresciuti insieme, giocavamo insieme. Si è sempre comportato onestamente. Non ha niente da spartire con quei furfanti. È stato costretto ad unirsi a loro per tentare di liberarmi», si interrompe a riprendere fiato, essendosi accorta di non aver potuto evitare di palesare un coinvolgimento che trascende la volontà di affermare la sua innocenza. Si ravvia i capelli dietro le orecchie, fissando i grandi occhi da cerbiatta in quelli del genitore, che finora l’ha ascoltata cogitabondo: «Ecco, in virtù di queste ragioni, vi sarei oltremodo riconoscente se vorreste concedergli la vostra clemenza. Lo farete?»
Weatherby Swann trae un sospiro indulgente: «Potrei mai negartelo e sapere che in cuor tuo me lo rinfacceresti per il resto dei miei giorni?», è la sua pacata risposta, che forse serba in sé la comprensione di ciò che lei non ha ancora avuto l’animo di confessargli apertamente.
La ragazza si scioglie in un timido sorriso di ringraziamento, tornando a cercare conforto tra le sue braccia, un gesto pressoché insolito per entrambi, che sporadicamente sono stati propensi ad esternare in modo tanto tangibile il loro reciproco affetto.
«Dopotutto lo avevi anche chiesto come dono di nozze al tuo futuro marito», soggiunge il governatore, dandole l’impressione di stare tastando la sua sincerità.
Ma Elizabeth non si scompone: il suo amato Will non morirà orribilmente appeso a una corda, tutto il resto passa in secondo piano.
«Era soltanto questo ciò di cui volevi parlarmi?» la pungola per un’ultima volta Swann, un barlume enigmatico nello sguardo, cui lei annuisce con risolutezza. «Allora buona notte, cara», le bacia la fronte e così dicendo si congeda, lasciandola in compagnia dei suoi dubbi.
È stato facile”, valuta mentalmente la ragazza, pur domandosi se suo padre le abbia creduto senza essere intaccato da troppi sospetti.
Si spoglia della pesante giacca, delle scarpe con la fibbia e dei rozzi pantaloni di tela, tutti indumenti che non le appartengono, che però non ha avuto alcuna difficoltà a calzare. Ci si muove molto meglio con abiti semplici e rozzi come quelli, rispetto ai corsetti e alle innumerevoli sottovesti che è tenuta ad indossare quotidianamente, si ritrova a riflettere, stendendosi sulla branda.
Per la prima volta, dentro quegli abiti impropri per una donna, si è sentita se stessa. Libera. E le è sembrato di essere capace di fare qualunque cosa, che tutto fosse possibile.
La stessa inebriante sensazione provata vicino a Will.
Infinite volte, nella sua fervida immaginazione, ha vagheggiato di trovarsi insieme a lui su di un vascello pirata, a battersi contro temibili corsari nemici armati fino ai denti, a lottare per non essere inghiottiti dalla furia di un oceano in tempesta, a duellare schiena contro schiena con lui, respingendo e annientando chiunque volesse far loro la pelle.
A navigare su placide acque imporporate dal sole al tramonto o brulicanti di miriadi di luci per il riflesso delle stelle, mentre se ne sarebbero stati abbracciati stretti sotto la volta celeste, loro unico tetto e unico testimone della loro ardente passione.
Lasciandosi cullare da quel dolce flusso di fantasie e sogni irrealizzabili, il suo corpo e la sua mente esausti scivolano gradualmente in un confortante sonno traboccante di speranze e ricordi.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Fanny Jumping Sparrow