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Autore: _Agrifoglio_    08/09/2022    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dialogo con la Carmelitana
 
Lille, settembre 1811
 
La rovinosa caduta di Bernadette aveva procurato alla ragazza un parto prematuro. Per il bambino, una creaturina di cinque mesi, nulla c’era stato da fare mentre la madre se l’era cavata con un’abbondante emorragia, molto dolore e un mese di assoluto riposo.
Il Marchese de Saint Quentin aveva condotto al capezzale della giovane un medico di sua fiducia che stimava sia per la perizia nell’esercizio della professione sia per l’assoluta riservatezza. Rosalie, dal canto suo, informata dell’incidente, era corsa a Lille, portando con sé un altro medico che era stato discepolo del defunto Dottor Lassonne. Entrambi i professionisti concordarono sul fatto che l’avvenuto non avrebbe pregiudicato la capacità della ragazza di avere ulteriori figli, ma che sarebbe stato auspicabile che la stessa non avesse altre gravidanze per almeno un paio di anni. Bernadette, che non aspirava affatto ad avere nuove relazioni amorose, accolse il divieto con assoluta indifferenza. La morte del figlio l’aveva addolorata immensamente, tanto che si sentiva abulica e per nulla desiderosa di vivere.
Il Marchese de Saint Quentin, sulle prime, avrebbe voluto denunciare il Tenente de Ligne, ma, poi, pensò che un processo avrebbe portato alla luce la vicenda di Bernadette, compromettendola irreparabilmente. Decise, così, seppure con sdegno e riluttanza, di far passare l’accaduto sotto silenzio.
Durante la degenza al castello di Lille, il Marchese si recò tutti i giorni a far visita all’inferma e quella presenza discreta, ma, allo stesso tempo, calorosa, fu importante per la ripresa. Quando, poi, qualche giorno dopo, giunse pure Rosalie, le condizioni psicologiche di Bernadette si risollevarono ulteriormente anche se l’apatia e la stanchezza le tennero compagnia a lungo.
Rosalie ebbe modo di apprezzare molto il Marchese de Saint Quentin che aveva conosciuto da ragazzo e, durante una passeggiata nei dintorni del castello, quando Bernadette era ancora costretta a letto, fatto per lei insolito, si aprì con lui.
– Vi sono molto grata, Signor Marchese, per tutto ciò che avete fatto per mia figlia. La compagnia prima e dopo l’incidente, il soccorso che le avete prestato, il fatto di non averla mai condannata…
– Madame Châtelet, non condannerei mai Vostra figlia… Non ne ho il diritto e non sono nella posizione di poterlo fare…
– Signor Marchese, permettetemi di giudicare notevole ciò che a Voi appare ordinario…
Fece, poi, una breve pausa, al termine della quale aggiunse:
– So che avete fatto prestare a Bernadette delle cure tempestive ed efficaci che sono state determinanti per la guarigione. Vi prego, ditemi quanto Vi devo, così potrò rifonderVi la spesa.
– Madame Châtelet, nulla mi dovete.
– Insisto.
Dopo un lungo botta e risposta, il Marchese de Saint Quentin comunicò a Rosalie una cifra molto inferiore alla spesa da lui effettivamente sostenuta e la donna gli assicurò che avrebbe dato incarico alla sua banca di trasferirgli la somma.
Alla fine della passeggiata, Rosalie chinò il capo e disse:
– A costo di apparirVi crudele, ritengo quest’epilogo il migliore che potesse esserci. In questo modo, mia figlia sarà costretta a voltare definitivamente pagina e a guardare avanti. Se il bambino fosse nato vivo, lo avremmo affidato a una famiglia di parenti che lo avrebbe portato lontano, a Marsiglia, ma io sono convinta che Bernadette non si sarebbe mai data pace e, un giorno o l’altro, sarebbe andata a Marsiglia anche lei per conoscerlo o addirittura per reclamarlo. Così, invece, ogni ombra del passato si dissolverà gradualmente e mia figlia si libererà del ricordo di un uomo indegno…
Alla fine, i nervi di Rosalie cedettero e, fra una lacrima e un gemito, la donna raccontò al Marchese la storia di Bernadette, dei due amori infelici della ragazza, dell’ingannevole e malintenzionato Tenente de Ligne che avrebbe voluto tenersela come amante, non reputandola all’altezza del ruolo di moglie, del giovane Lavoisier, conosciuto durante gli anni universitari, ragazzo onesto e buono, ma debole e indeciso, della delusione della ragazza quando quest’ultimo si era sposato, malgrado la giustificazione addotta di non avere tempo per il matrimonio e di come il Tenente de Ligne si fosse approfittato di questo stato di prostrazione, perseguitando la giovane prima e dopo la seduzione.
Il Marchese de Saint Quentin stette ad ascoltare senza proferire parola, col volto contratto e gli occhi lucidi e, quando Rosalie, dopo avere terminato il racconto, scoppiò in un mare di lacrime e in un terremoto di sussulti, lui la rassicurò che, per quello che lo riguardava, Bernadette era vittima dell’accanirsi del destino e che non avrebbe raccontato ad alcuno ciò che gli aveva confidato.
Nei primi giorni di ottobre, Rosalie e Bernadette intrapresero il viaggio di ritorno a casa, con una berlina tiro a quattro loro prestata dalla famiglia Jarjayes. Il Marchese de Saint Quentin si offrì di accompagnarle, ma entrambe declinarono, asserendo che già troppo si era prodigato per loro.
Così, con un percorso a piccole tappe, le due donne tornarono a Versailles.
 
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Milano, Palazzo Serbelloni, ottobre 1811
 
L’Imperatrice Maria Luisa aveva congedato la sua lettrice e le sue dame con la scusa di una forte emicrania mentre sentiva soltanto il disperato bisogno di stare sola almeno per un poco.
Giudicava il suo soggiorno alla corte imperiale un’esperienza in larga parte fallimentare.
Quasi tutti i cortigiani la disprezzavano. Alcuni la consideravano inferiore a Joséphine de Beauharnais per fascino e disinvoltura mondana mentre altri avevano iniziato a giudicarla fredda e superba, a causa della timidezza che l’inibiva e che l’induceva a serbare un atteggiamento distaccato per autodifesa. Neppure sopportava gli adulatori che le dicevano che era bella, quando lei sapeva benissimo che non era vero.
Del suo ruolo ufficiale detestava praticamente tutto, perché doveva essere sorridente e cordiale quando era stanca, affabile quando si trovava insieme a persone che non le piacevano e, in genere, era costretta a celare i suoi veri sentimenti, i suoi timori, la nostalgia di casa e, a causa del suo altissimo stato, neppure aveva diritto a essere compatita.
Aborriva gli intrighi di corte, in mezzo ai quali non si districava e, quando ci finiva al centro, soccombeva sempre.
La suocera la guardava con occhi sprezzanti e non la prendeva in considerazione se non per chiamarla “l’austriaca”. Le tre cognate, specialmente Paolina Borghese, la odiavano, le facevano mille dispetti e non perdevano occasione di farle fare brutta figura. In pochi mesi, le donne della famiglia Bonaparte erano inesorabilmente scadute nella considerazione di lei.
Neppure con gli uomini, però, si trovava a suo agio. La corte imperiale napoleonica era molto militarizzata e composta soprattutto da nuovi ricchi che brillavano per meriti bellici e per l’indubbia capacità di ascendere la scala sociale, ma non certo per le maniere aristocratiche che si sarebbero potute trovare nella corte paterna.
Paradossalmente, l’unica persona che la trattava con riguardo e gentilezza era Napoleone che l’aveva fatta rapire. Come marito, era prodigo verso di lei di mille attenzioni e cortesie, ma per lui provava nulla di più che una tiepida amicizia e nessun sentimento profondo la legava a lui. Anche l’Imperatore, poi, aveva gli stessi difetti degli altri: era un militare dalla radice dei capelli alla punta dei piedi e, per quanto non sfigurasse nel suo ruolo, non aveva il portamento regale e le maniere aristocratiche dell’amato padre.
La cosa peggiore era che le consentivano di vedere pochissimo il suo bambino. Napoleone, infatti, voleva fare del figlio un grande condottiero e, affinché ciò avvenisse, aveva deciso di forgiarlo alla vita militare e alla forza di carattere sin dalla più tenera età. Per questa ragione, lo teneva distante dalla madre, onde evitare che la debolezza caratteriale e la remissività di lei lo influenzassero negativamente. Maria Luisa pativa questa situazione che non aveva il potere di modificare e pensava che in nessun’altra corte le avrebbero impedito di stare insieme a suo figlio.
Qualunque donna, anche la più infelice delle malmaritate, trovava nella maternità un’occasione di riscatto e una fonte di gioia, ma a lei anche questa felicità era preclusa.
Malgrado tutto, doveva mostrarsi sempre gradevole con tutti, gentile e conciliante e non lasciar trasparire la sua scontentezza e il suo atteggiamento critico, men che meno verso il consorte.
Un sospiro le sfuggì dalle labbra e fu allora che una lacrima rigò la gota della moglie dell’uomo più potente d’Europa.
 
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Versailles, giardini di Palazzo Jarjayes, ottobre 1811
 
Rosalie e Bernadette sedevano su una panca di pietra immersa fra le siepi dei giardini di Palazzo Jarjayes.
La temperatura mite invitava alle passeggiate mattutine e Oscar e André non smettevano di esortare Rosalie a prendersi qualche momento di pausa dal lavoro per stare insieme alla figlia e convincerla a uscire un poco all’esterno. Bernadette, tuttavia, pareva gradire poco la vita all’aria aperta ed era molto raro vederla lasciare la sua stanza, quando non c’era bisogno di lei.
La ragazza aveva recuperato gran parte delle sue forze e non c’era paragone fra lo stato attuale e quello in cui si trovava un mese prima, ma era ancora molto pallida e provata, soprattutto nello spirito. Andava in giardino soltanto in compagnia di altre persone e usciva dal palazzo esclusivamente per recarsi alla reggia dove aveva ripreso servizio. Adesso, era lettrice, oltre che del Re, sempre più impegnato nel suo ruolo e meno libero di dedicarsi agli svaghi, anche della neo Regina consorte con la quale aveva instaurato un ottimo rapporto.
Faceva sempre in modo di non trovarsi da sola nelle stanze e nei corridoi e tornava subito a casa quando la coppia reale non aveva più bisogno di lei.
Il problema era sempre lo stesso: il Tenente de Ligne aveva scoperto immediatamente che Bernadette era tornata a casa e aveva ripreso gli appostamenti e i tentativi di approccio.
– Lo vedo spuntare ovunque, Madre – disse la ragazza, trattenendo a stento le lacrime – nei corridoi della reggia, quando passeggio col Re o con la Regina e quando entro nel deposito delle carrozze o ne esco… Le dame con cui, prima, conversavo hanno notato che sono diventata sfuggente e che mi intrattengo poco con loro, perché scappo a casa subito dopo il servizio. Me ne chiedono la ragione e, giorno dopo giorno, diventano sempre più insistenti nel domandarmi notizie della malattia che mi ha tenuta lontana tanto a lungo…
– Fai come concordato: di’ loro che sei stata colpita da una forte anemia e che sei andata in campagna per riprenderti. Anche adesso, sei molto pallida ed emaciata – nel dire ciò, Rosalie ebbe un sussulto – e la scusa reggerà. Essendo molto stanca, scappi sempre a casa e le frequenti di meno.
– Sì, ma non potrò dire di essere stanca per sempre e, oltretutto, ho paura che lui, presto o tardi, mi svergognerà, rivelando a tutti quello che è successo…
– Non penso che lo farà. La gelosissima moglie lo scorticherebbe vivo ed egli dipende totalmente dal denaro della famiglia di lei!
– Prima, facevo delle commissioni per la famiglia Jarjayes e accompagnavo Madamigella Antigone a Parigi o a casa degli amici. Ora, non lo faccio più e non potrò accampare per sempre la scusa della stanchezza… Neanche esco più dalla mia stanza, per paura di vedermelo spuntare per i corridoi o nei giardini di palazzo…
– Dubito che vedrai il Tenente de Ligne in questi luoghi. L’intera famiglia lo ha sottoposto a una sorta di processo privato per come si è comportato con te e lo hanno praticamente espulso dal parentado. Quanto a Madame Oscar, ad André e a tutti i de Jarjayes, con loro non devi mentire come a corte. Se non te la senti di fare le commissioni o di accompagnare Madamigella Antigone, dillo chiaramente e spiegane la ragione, così faranno a quel maledetto bellimbusto un’altra solenne rampogna!
– Oh Madre, non sapete come mi è balzato il cuore in petto, quando me lo sono visto comparire a Lille! In groppa a quel cavallo, mi è sembrato un Cavaliere dell’Apocalisse! Ho capito subito che in nessun luogo, per quanto remoto e nascosto, sarei stata sicura! E’ stato terribile!
Bernadette scoppiò in lacrime mentre Rosalie la stringeva nelle braccia.
– E… quelle lettere… che mi recapita… continuamente… – proseguì la giovane con la voce rotta dai singhiozzi – Non posso dire… ai valletti… di buttarle via… ed egli… del resto… non scrive… il suo nome… all’esterno… dell’involto… Sarei tentata… di gettarle… nel braciere…
– E perché non l’hai fatto?
– Volevo farle leggere a Voi… o a Madame Oscar… ma mi vergogno…
Si udirono, proprio in quel mentre, dei fruscii dietro una delle siepi, tanto che Rosalie si alzò dalla panca e si diresse, con atteggiamento bellicoso, verso il punto da cui era provenuto il rumore.
Pochi istanti dopo, uscì da dietro la siepe, palesando la propria presenza, il Conte Albrecht von Alois.
– Perdonatemi, Madame e anche Voi, Mademoiselle… Sto partecipando alla caccia ai nastri organizzata da Madamigella Antigone! Chi ne trova di più le farà da cavaliere al prossimo ballo alla reggia. Comprendete bene che è un’occasione che non posso perdere!
– Signor Conte – disse Rosalie che avvertiva sempre una strana morsa al cuore quando vedeva il giovane svizzero – Dubito che Madamigella Antigone abbia sistemato qui i suoi nastri.
– Quand’è così, me ne vado – rispose, con volto gioviale e voce allegra, Albrecht von Alois – Perdonate l’intrusione.
 
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Versailles, salone di Palazzo Jarjayes, ottobre 1811
 
– Che baccano in questa casa, André! – disse Oscar al marito – Tutto per colpa di Antigone e della sua ridicola caccia ai nastri!
– Sono giovani, falli divertire – rispose André anche se, in realtà, neppure lui avrebbe disdegnato un po’ più di quiete.
– E’ che non mi va che frughino negli angoli di questa casa! Speriamo che non entrino nello studio o nelle stanze di mio padre, se no, immaginati la reazione!
– O nello studio e nelle stanze tue!
– André…
– Sì?
– Se Antigone ha proposto a Élisabeth Clotilde de Girodel di andare insieme alle terme di Vichy, vuol dire che non le pesa allontanarsi per qualche settimana dal Conte von Alois.
– Ho pensato anch’io la stessa cosa, Oscar.
– E, se fosse così, non mi dispiacerebbe affatto. Quel giovane gentiluomo ha qualcosa di poco rassicurante. Non mi piace che giri intorno ad Antigone.
–Veramente, a me sembra che fosse Antigone a girare intorno a lui!
 
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Versailles, corridoi di Palazzo Jarjayes, ottobre 1811
 
Il giovane nobile scivolò, agile come un furetto, nei corridoi di Palazzo Jarjayes, facendo attenzione a che nessuno lo vedesse. Quando fu sicuro che la via era completamente sgombra, svoltò verso l’appartamento della governante ed entrò, veloce e furtivo, nella stanza di Bernadette.
 
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Monastero del Carmelo di Compiègne, 18 ottobre 1811
 
L’anziana suora portinaia li ammise nel parlatorio, precedendoli con passo lento e cadenzato e col pio silenzio del saio marrone e del mantello bianco che non emettevano un solo fruscio. Dopo avere chiesto loro la licentia del Vescovo e la restante documentazione per accedere al convento e colloquiare con una monaca di clausura, li fece accomodare su due sedie di legno, di semplice e solida fattura, poste davanti a una grata.
Li guardò attraverso il fitto velo nero che le copriva il volto e che creava un’unica macchia scura con quello ugualmente nero che le avvolgeva il capo e, dopo averli rassicurati, con voce appena udibile, che la Priora avrebbe esaminato i documenti al più presto, sparì silenziosamente dietro una porta di legno massiccio che segnava il confine fra la clausura e il resto del mondo.
Anche Oscar e André, come la suora, erano avvolti nei loro mantelli, perché il clima, nella Francia del nord, era iniziato a rinfrescare e le spesse pareti del convento, unitamente all’umidità dell’aria, rendevano la temperatura ancora più rigida.
Si guardarono intorno. Le alte volte silenziose, le sedie di noce scuro, la doppia grata in ferro battuto che separava la zona destinata ai visitatori dalla quella riservata alle religiose, gli ampi spazi arredati con l’indispensabile, la tenue luce che smorzava i colori, quasi fosse sempre l’alba o il tramonto, la quiete assoluta e quasi innaturale, tutto, lì, invitava alla preghiera e al raccoglimento.
Trascorse circa un quarto d’ora, in quel luogo dove il tempo aveva un altro significato, finché udirono aprirsi la porta dalla quale precedentemente era uscita la monaca portinaia. Pochi istanti dopo, dall’altro lato della grata, comparve la figura velata di Suor Leonilde. La videro fermarsi davanti a loro, oltre l’inferriata e sedersi silenziosamente, nascosta dal fitto velo nero.
– Pace e bene, Fratelli – mormorò, con voce atona e sommessa.
– Pace e bene, Sorella – risposero Oscar e André.
– La nostra visita Vi sembrerà inusuale, Sorella – esordì Oscar, con intonazione bassa, tentando di uniformarsi al luogo – Una questione della massima importanza ci spinge a chiedere il Vostro aiuto.
– Vi ascolto – rispose Suor Leonilde, con lo stesso tono di prima.
Con frasi brevi ed essenziali, Oscar espose la situazione mentre la religiosa, dietro la grata, ascoltava in muto silenzio, senza intervenire né fare movimenti.
Il velo nero non faceva trasparire alcuno dei lineamenti di lei eppure Oscar e André erano sicuri che li stesse scrutando attentamente e, per questo, si sentivano a disagio.
Quando Oscar ebbe finito di parlare, Suor Leonilde stette a lungo senza proferir parola, calma e immobile come una statua, facendo sprofondare il luogo nel più totale silenzio. Oscar e André non sapevano come interpretare l’inerzia di quella muta sfinge velata, ma erano certi che li stesse esaminando con cura.
– Mi chiedete molto, Fratelli eppure io ho abbandonato il mondo tanti anni orsono e ne sono stata, a mia volta, dimenticata – disse, infine, rompendo il silenzio – Vivo in questo convento in preghiera e contemplazione e tutto quello che serve ad armare gli eserciti è contrario a ciò in cui credo e per cui prego.
– Comprendo la Vostra riluttanza, Sorella – intervenne André – ma il tesoro dei giacobini serve a contrastare la sete di conquista di un tiranno invasore che ha seminato morte e distruzione ovunque è passato.
Fece una pausa e, poi, proseguì con determinazione crescente:
– I sentimenti anticlericali di Napoleone Bonaparte sono noti a tutti. Egli ha imprigionato il Papa, dal quale è stato scomunicato e ha sostituito la festa dell’Assunzione con quella di un Santo da lui inventato. Ha soppresso gli enti ecclesiastici e ha chiuso i conventi, incamerandone i beni e disperdendo i religiosi. Ha proibito l’esercizio del culto cattolico, se non alle condizioni da lui imposte.
– Tutte queste cose mi sono note – mormorò Suor Leonilde, con voce inespressiva, rimmergendosi, subito dopo, nel silenzio.
All’improvviso, Oscar e André, pur senza parlarsi, furono colti simultaneamente dal terribile sospetto di avere commesso un passo falso.
Da ragazza, Suor Leonilde era stata la figlia illegittima, priva di dote e di fondate prospettive di accasarsi decorosamente, di un giovane campagnolo squattrinato.
Dopo essere diventato Avvocato ed essere convolato a nozze con una donna proveniente da una famiglia bene inserita che gli aveva spalancato le porte del successo professionale, Danton aveva sicuramente avvertito la necessità di celare fra le ombre del chiostro il frutto indesiderato e ingombrante del suo peccato di gioventù affinché non gli recasse imbarazzo con i nuovi congiunti.
E se Suor Leonilde avesse considerato l’invasione napoleonica e la chiusura dei conventi non una iattura, ma un’insperata occasione per riconquistare la libertà? Tenendo per sé il tesoro, una volta uscita dal convento, avrebbe potuto vivere nel lusso.
In pochi istanti, il mondo crollò loro addosso ed entrambi furono assaliti dal frustrante dubbio di avere lavorato tanti anni a vuoto.
Trascorsi alcuni interminabili attimi, Suor Leonilde ruppe il silenzio e, con la sua voce seraficamente inespressiva, disse:
– Ebbene, Vi aiuterò.
Oscar e André trassero un profondo sospiro di sollievo.
– Dove è nascosto il tesoro dei giacobini? – le domandarono all’unisono, come se si fossero messi d’accordo.
Dopo una pausa che sembrò loro infinita, Suor Leonilde sussurrò:
– Il tesoro si trova nelle catacombe di Parigi.
Oscar e André furono colti da un forte stupore e si guardarono increduli.
– Poco prima di morire – proseguì la religiosa – Mio padre venne a farmi visita per parlarmi di questo tesoro e mi consegnò una mappa. Se avrete la pazienza di attendermi, con il consenso della Priora, Ve la mostrerò.
Passata circa mezz’ora, Suor Leonilde tornò con una carta arrotolata, ingiallita e dai bordi consumati. La fece passare sotto la grata e la illustrò ai due visitatori.
– Potete portarla con Voi – disse la Suora, a conclusione della visita – Al convento, ne abbiamo un duplicato e noi Suore, d’altronde, confidiamo in Nostro Signore e non nelle ricchezze del mondo.
Dopo avere ringraziato ed essersi accomiatati, Oscar e André uscirono dal convento, col prezioso plico custodito in una borsa, visibilmente sollevati per l’infondatezza dei loro sospetti.
Due occhi grigi da rapace li videro varcare il portone e salire sulla carrozza da viaggio della famiglia Jarjayes con lo stemma del leone rampante.
Un’ora dopo, il Conte di Compiègne, con gli abiti laceri, i capelli scarmigliati e il volto impolverato e stravolto, bussò forsennatamente alla porta del convento.
– Misericordia, Sorella! – gemette, guardando con occhi imploranti l’anziana suora portinaia – Pietà per un povero viaggiatore assalito dai grassatori!
Pronunciate queste parole, si accasciò al suolo, tentando di sorreggersi al portone.
Trascorsa circa mezz’ora, Suor Leonilde, protetta dal fitto velo scuro, entrò nella foresteria e si affacciò alla porta della cella assegnata al Conte di Compiègne.
– Avete chiesto di me, Fratello? – domandò, con la sua voce pacata e atona – Sono Suor Leonilde, pace e bene.
– Che sollievo, benedetta Sorella, dopo tante disavventure, essere accolto in questo luogo di pace ed essere soccorso da angeli così celestiali e misericordiosi!
– Risparmiate le forze, Fratello, Vi serviranno per la guarigione.
– Riposarmi è un lusso che non mi è concesso, Sorella… Sono il Conte André de Lille… Insieme alla mia sposa, il Generale Oscar François de Jarjayes, Comandante Supremo delle Guardie Reali, intrapresi un viaggio per conferire con Voi di una questione della massima delicatezza e importanza… Alcuni malintenzionati, nove o forse dieci, ci hanno assaliti a un miglio da qui… Hanno costretto mia moglie a togliersi la divisa, ci hanno sottratto i documenti e ci hanno anche rubato la carrozza… Due di loro, una donna bionda con indosso la divisa della mia sposa e un uomo alto, dai capelli brizzolati, sono saliti sulla carrozza e sono venuti qui, con i nostri documenti, spacciandosi per noi… Approfittando della distrazione dei miei aguzzini e abbandonando a malincuore Oscar, sono riuscito a fuggire… Lungo la strada, ho incontrato due gendarmi, li ho indirizzati verso il luogo di prigionia di mia moglie e, con le mie ultime forze, mi sono trascinato qui…
Il Conte di Compiègne tacque per un attimo con aria afflitta. Subito dopo, con un tono e un’espressione che avrebbero impietosito il più indifferente degli uomini, gemette fra i singhiozzi:
– Aiutatemi, angelo di misericordia! Pietà, buona Sorella! Non permettete che quei lestofanti senza Dio si approprino del tesoro dei giacobini per saziare la loro avidità! Aiutate un povero servitore dello Stato!
   
 
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