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Autore: Panterah    09/09/2022    0 recensioni
Ho incontrato per la prima volta Shon ad una festa in piscina, durante un sogno, e... ho semplicemente deciso di conoscerlo meglio
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Avrei giurato che fosse lui il padrone di casa, quel giorno della festa in piscina.
Amica di amici, non avevo nemmeno idea del perché mi trovassi lì: quando la mia coinquilina mi aveva invitata ad una festa in casa, mi aspettavo quattro birre e uno spinello in un appartamento di qualche studente, non certo un party nel quartiere ricco, con tanto di piscina. Alessia avrebbe almeno potuto dirmi di portare il costume: mi sarebbe piaciuto stare in acqua, invece di passare tutta la prima parte della serata seduta su una traballante sedia in vimini a guardare lei e il suo ragazzo provocarsi a vicenda, prima di sparire in una delle stanze della villa.
È stato a quel punto che l’ho notato. In bermuda, non indossava abbastanza vestiti da lasciar indovinare il suo vero ceto sociale e, dal modo in cui tutti gravitavano attorno a lui era chiaro che, se forse non possedeva la casa, almeno aveva nelle sue mani l’intera festa. Non mi dilungherò nel descrivere il suo aspetto fisico, sui dettagli anche più minimi del suo corpo avevano già preso appunti attenti tutte le ragazze presenti. Era innegabile che fosse attraente, ma non avevo mai avuto un debole per i classici biondi con gli occhi azzurri. Ritenni che ciò fosse sufficiente a riconoscere la sua forte aura carismatica senza rimanerne vittima e, dopo avergli concesso tre o quattro minuti della mia attenzione da lontano, tornai a concentrarmi su problemi più importanti: la birra.
Forse un festino nei dormitori studenteschi non avrebbe avuto tutti i lussi di quell’evento, ma una cosa era certa: la birra almeno sarebbe stata buona. Quella sera, invece, mi trovavo in mano una birretta annacquata commerciale palesemente comprata da qualche ricco ragazzo popolare, mai entrato in un pub in vita sua. Dal momento che avrei dovuto passare lì ancora delle ore, decisi che valeva la pena cercare dell’alcool migliore, così mi diressi verso il tavolo delle bibite, posizionato sul terrazzo della casa. Purtroppo, l’alternativa più allettante lì era una caraffa di un sospetto cocktail rosa. Notai una ragazza che si era avvicinata a me con un bicchiere vuoto in mano e che, con uno sguardo deluso a ciò che offrivano le bevande, si stava allontanando di nuovo senza prendere nulla da bere... Immaginando avesse il mio stesso problema, decisi di fermarla e di provare a chiederle qualche informazione.
“Hey, ciao, scusa... per caso sai se c’è altro da bere da qualche parte?”
Lei mi sorrise e scosse la testa “No, mi dispiace... forse bisogna chiedere al padrone di casa.”
Io, convinta che si trattasse del biondo, lo indicai velocemente... dal terrazzo la piscina era ben visibile, e non serviva neanche il mio dito per focalizzare l’attenzione su di lui “Intendi lui?”
Dallo sguardo che mi lanciò lei ridendo non riuscii a capire se ci avessi azzeccato o no, si limitò a chiedere: “Chi? Josh?” prima che una voce chiamasse il suo nome, Martina, e lei si allontanasse scusandosi.
Beh, almeno ora sapevo il nome di quel tipo. In effetti, pensando a tutti i film di bassa qualità in cui c’era un ragazzo popolare, o si chiamava Josh, o Justin, o magari Jason... insomma, qualcosa che iniziasse per J. Non che mi andasse di ridurlo a uno stereotipo dopo averlo guardato da lontano per cinque minuti, magari era una persona interessante... ma non mi attirava comunque l’idea di andare fino alla piscina per disturbarlo mentre si divertiva. Così finii per passare l’ora successiva da sobria, facendo conoscenza con Sunny e Ludovica, una simpatica coppia di studenti che però, presto, proprio come la mia coinquilina, si appartò. A quel punto mi arresi alla birra scadente e me ne stappai una mentre mi appoggiavo al terrazzo, ammirando il giardino, in cui l’atmosfera si era calmata in favore dell’inizio della seconda parte della festa, in cui chi era ubriaco collassava, le coppie si formavano e più o meno sparivano, alcuni fumavano, e gli imbucati come me rimpiangevano la decisione di aver partecipato.
“Hey!” una voce maschile, non troppo profonda e leggermente graffiata, pronunciò quel richiamo da dietro le mie spalle, facendomi sobbalzare. Non pensavo che qualcuno si stesse rivolgendo a me, ma mi venne istintivo voltarmi. E me lo trovai di fronte. Decisamente, da quello sguardo diretto e cristallino al di sotto del ciuffo chiaro, capii che ero proprio io la destinataria della sua conversazione. Non era solo: aveva di fianco un paio di altri ragazzi, che si misero a parlare tra di loro non appena lui si rivolse a me. Non sapevo perché avessi attirato la sua attenzione, se non probabilmente perché ero una delle uniche persone in piedi lì da sola, ma decisi di stare al gioco.
“Hey Josh!” esclamai, e ci aggiunsi un sorriso semi sarcastico, in risposta al suo. Nel frattempo, la mia mente si dedicò a dare un’occhiata più ravvicinata a questo tipo con cui avevo a che fare. Da una certa distanza mi era sembrato un ragazzo carismatico e sicuro di sé, di quelli tutti d’un pezzo, che sanno quello che vogliono e lo ottengono... era stato facile immaginarlo, con lui in piedi in mezzo alla piscina e tutte quelle persone intorno a lui. Era come se avesse avuto il mondo in mano. Ora, invece, da vicino, il linguaggio del suo corpo diceva qualcosa di diverso... sicuramente c’era della sicurezza nel modo in cui comunicava, ma ciò che saltava all’occhio nei suoi movimenti era altro. Per quanto fosse rilassato, era come se sottopelle avesse avuto una grande energia che cercava di trattenere... quasi fosse stato sotto zuccheri e stesse tentando di darsi un minimo di contegno per socializzare meglio. Si passò una mano fra i capelli rapidamente, e la sua espressione diventò d’un tratto confusa, come se gli fosse sfuggito qualcosa.
“Aspetta, non mi chiamo Josh.”
Era evidente che anche io dovevo sembrare abbastanza spiazzata, perché d’un tratto non-mi-chiamo-Josh scoppiò in una risatina divertita. La situazione lo aveva incuriosito, dopo aver capito che non mi ero sbagliata di proposito.
“Chi ti ha detto che mi chiamo Josh?”
Non mi andava di fare nomi, così mi limitai ad alzare le spalle e a fornire una vaga descrizione con fare noncurante “Oh, una ragazza bassa, capelli marroni a caschetto...”
Nel suo sguardo guizzò un lampo di riconoscimento, aveva capito al volo... sorrise. Forse qualcun altro con un po’ più di ego avrebbe recitato la parte dell’offeso, invece lui era solo sinceramente divertito.
“Oh, Martina!”
Annuii, per qualche ragione leggermente colpita... probabilmente perché io ero una frana con i nomi... o perché la parte che meno mi piaceva di me lo aveva già immaginato come uno che di ragazze intorno ne aveva parecchie per tenerle a mente tutte. Repressi quel pensiero all’istante, non se lo meritava.
“Ti ricordi il suo nome!” mi rifugiai nel sarcasmo, e lui, alzando le mani in segno di resa, fece lo stesso
“Sì, ma sembra che sia lei a non ricordarsi il mio.” alzò gli occhi al cielo, nello stesso modo in cui un attore di teatro comico avrebbe fatto per interpretare i risultati di un cuore spezzato. Mi strappò un sorriso.
“Difficile da credere...” la mia bocca si mosse prima del mio pensiero, e mi maledissi in silenzio, nonostante fossi suonata piuttosto ironica. Lui, ovviamente, colse la palla al balzo... si sporse un po’ in avanti e cercò il contatto visivo con me, gli occhi azzurri che si accendevano come quelli del mio gatto quando voleva giocare... Lo salvò il suo tono scherzoso: se avesse usato la frase successiva in modo serio per flirtare, avrebbe probabilmente superato il mio limite di sicurezza in se stessi per sfociare in spacconeria.
“Era un complimento quello?”
Ressi il gioco: “No, direi più un fatto.” In fondo, tutte le persone che gli avevano gravitato attorno durante la serata non me le ero certo immaginate io.
E, in realtà, la piccola risata successiva suggerì che, in fondo, non era così abituato ai complimenti come ci si sarebbe immaginati... aveva distolto lo sguardo per portarlo al pavimento, quasi volesse salvarci da eventuali imbarazzi.
Fu allora che i suoi due amici si stancarono di aspettarlo: uno di loro alzò la sua birra e richiamò non-mi-chiamo-Josh con un
“Hey bro! Noi andiamo dentro intanto, a dopo!”
Lui si girò il minimo indispensabile per lanciare un’occhiata all’altro ragazzo ed annuire. Nel frattempo, qualcosa attirò la mia attenzione... non sapevo bene se rivolgermi ai due sconosciuti che si stavano per allontanare, così quello che mi uscì indicandoli fu
“Aspetta, aspetta, quella è una birra decente?”
Non mi ero accorta di aver appoggiato una mano sul braccio del mio nuovo amico biondo, come a voler fermare lui invece degli altri; lo realizzai solo quando lui abbassò lo sguardo fugacemente... la rimossi subito, scusandomi, ma lui se la stava già ridendo.
“Sì, vera birra.” mi confermò, poi alzò un sopracciglio in direzione della bottiglia che avevo appoggiato vicino a me sulla ringhiera del terrazzo. Scuotendo la testa, mi chiese con tono comprensivo, come se ci fosse passato anche lui “Ti eri arresa a bere quella, eh?”
Alzai le spalle “Già, che ci vuoi fare... Sai per caso dove i tuoi amici hanno trovato l’altra?”
Con un veloce cenno della testa in direzione della casa, mi invitò a seguirlo, e non me lo feci ripetere due volte. Entrammo nel grande atrio della villa, dove un ragazzo stava dormendo su un divanetto, una coppia ancora stava flirtando, un gruppetto di amiche stava finendo il gossip settimanale e i due amici di non-mi-chiamo-Josh erano intenti in non so che conversazione. Mi resi conto che non mi ero ancora presentata, così, mentre gli camminavo a fianco, buttai lì un
“Comunque, piacere sono Cristina...” la voce si abbassò proprio sul mio nome: insomma, solo mia madre mi chiamava così “...Cris.” mi corressi quindi.
“Ciao Cris, io sono Shon.” non mi stava guardando, ci eravamo diretti  verso gli attaccapanni ai lati della stanza, e lui si era accovacciato vicino a uno zaino azzurro appoggiato al pavimento. Lo aprì, ne estrasse una birra, e solo a quel punto alzò gli occhi verso di me mentre, con l’espressione contenta e soddisfatta, mi porgeva la bottiglia. Lo ringraziai di cuore, per poi togliere il tappo con il mio anello. Avevo imparato quella tecnica durante un viaggio all’estero: una sera ero triste e avevo pochi soldi, quindi avevo deciso di comprarmi da bere al supermercato, per poi ricordarmi di non avere un cavatappi... Ne andavo abbastanza fiera, e anche Shon parve colpito... sollevò le sopracciglia con un sorrisetto, mentre estraeva dalla tasca dei bermuda neri un accendino e si apriva la birra con quello
“Ehi, che classe!” commentò, poi prese un sorso e si rialzò in piedi.
“Grazie!” esitai un secondo, lanciando uno sguardo allo zaino. Quando eravamo entrati, mi ero aspettata che andasse in cucina ed aprisse il frigo “Quindi non sei tu il padrone di casa...” non sapevo se fosse una domanda o una considerazione in realtà.
“Oh, no, no assolutamente.” si affrettò a precisare, come se fosse stata un’ipotesi assurda “Devo ammettere che Josh il padrone di casa suona bene, ma questa è casa del mio migliore amico Samuele” aprì le braccia per portare l’attenzione sull’ambiente che ci circondava, per poi aggiungere “io non potrei mai permettermi tutto questo lusso... però, in compenso” e qui si rivolse a me con un’occhiolino complice “Sam di birre non ne sa niente. Per questo mi porto sempre la mia scorta personale alle sue feste.”
Non potei che concordare “Ma sai che stavo pensando la stessa cosa stasera? I festini nei dormitori studenteschi non hanno mai avuto questi problemi.”
“Già... Fammi indovinare, sei qui con amici di amici di Sam?”
Mi strinsi nelle spalle: sì, ero praticamente un’imbucata, non l’avrei negato “Si nota così tanto?”
Scosse la testa, riportando lo sguardo per terra, il ciuffo biondo scompigliato che gli metteva in ombra il viso “No, solo eri lì da sola a guardare il giardino con quella... bibita... in mano...”
“Sembravo disperata, capisco.” scherzai sarcastica, strappandogli una mezza risata. Riprese il contatto visivo
“Nah...” negò sfacciatamente.
Non sapevo  a che gioco stessimo giocando, ma non mi dispiaceva per niente.
Mi chiesi distrattamente quanto tempo ancora avessi a disposizione quella sera e, senza quasi rendermene conto, individuai un orologio alla parete che segnava le quattro del mattino. Era strano che Alessia ancora non mi avesse chiamato.
“A proposito di questo...” esordii mentre prendevo il cellulare dalla tasca degli shorts, con un tono come a volermi scusare per la pausa nella conversazione “...scusa un secondo, controllo che i miei amici non mi abbiano chiamata.”
“No problem.” rispose Shon, dedicandosi alla propria bottiglia.
La mia intuizione non aveva sbagliato: per errore mi ero dimenticata di togliere la modalità silenziosa, e Alessia stava provando a chiamarmi da dieci minuti, finendo poi per scrivermi un messaggio in cui mi diceva che mi avrebbero aspettato all’ingresso.
“Merda, mi stanno aspettando per andarsene.”
Proprio sul più bello...
Mi  sorrise “Beh, adesso sai a chi rivolgerti la prossima volta... porterò un paio di birre in più.”
“Ci conto!”
   
 
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