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Autore: ValeDowney    10/09/2022    2 recensioni
Stephanie Strange , brillante laureanda in Medicina alla New York University, comincia a sentire strette le maglie del camice bianco da neurochirurgo che il padre vorrebbe farle indossare. E se il padre è il famoso Doctor Stephen Strange, allora la faccenda si complica
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor Stephen Strange, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XVII: Colpo al cuore



 
Natale era sempre più vicino e le persone si affrettavano a cercare i regali migliori ed a prenderne il più possibile.
Anche Stephanie non vedeva l’ora di uscire per fare shopping e, stranamente, ci andava con suo padre.
Inizialmente, avrebbe dovuto passare la giornata con Peter, Mj e Ned, ma Stephen le aveva espressamente negato questa proposta, offrendosi lui stesso di uscire con lei. Dapprima, Stephanie ne rimase stupita: di solito suo padre non amava quel genere di cose, ma poi si ricordò della prima regola fondamentale datagli da Wong, ovvero mantenerlo sempre calmo, onde evitare che la pietra nell’Occhio di Agamotto, si rompesse, scatenando così la sua parte malvagia.
Stephanie se ne camminava avanti ed indietro ai piedi della scalinata e, mentre aspettava il padre, messaggiava con il trio, ma si fermò quando volse lo sguardo, sentendo una voce: “Spero solo che tu non stia mandando messaggi a chi so io” e vide il padre scendere verso di lei.
“E se anche fosse, mi sequestreresti il cellulare?” gli domandò.
“Lo sai che potrei anche farlo” le rispose, raggiungendola. Stephanie lo guardò da capo a piedi e lui chiese: “Che c’è?”.
“Sei serio? Esci così?” domandò stupita.
“Volessi che uscissi in giacca e cravatta?” chiese, incamminandosi. Stephanie lo seguì: “Non a quel punto, ma nemmeno con giaccone, felpa e stivali”.
“Ti accompagno perché voglio fare cambiare look a te, e non a me” disse Stephen, aprendo il portone.
“Credevo che la cosa fosse reciproca” disse Stephanie, fermandosi e guardandolo.
“Vedremo” disse semplicemente Stephen ed i due uscirono.
Poco dopo, si ritrovarono al centro commerciale e con già parecchie borse colme di vestiti ed altri oggetti: “Pensavo che dovessimo solamente comprare dei vestiti per te” disse Stephen.
“Ti piacevano i vestiti che ti sei provato. Era uno spreco non prenderli. Così, se ci capita di andare a qualche cerimonia importante, non ti metti sempre i soliti” disse Stephanie.
“Ok, allora vada per i vestiti, ma gli altri oggetti erano necessari?” domandò Stephen.
“Volevo fare qualche regalo. Tu, invece?” rispose.
“Non ho bisogno di fare regali, eccetto a te ovviamente” disse Stephen. Stephanie lo guardò di sfuggita e, dopo aver riposto lo sguardo in avanti, chiese: “Nemmeno alla mamma?”.
A quel punto, Stephen si fermò, così anche Stephanie, per poi rispondere: “A lei ci pensa già quel Charlie. Perché dovrei intromettermi anche io?”.
“Per il semplice motivo che, sotto sotto, la ami ancora e che, ovviamente, siete anche i miei genitori. Almeno a Natale, cercate di non litigare e, credo, che sia un buon gesto da parte tua farle qualcosa anche se non state più insieme da tempo. Siete comunque rimasti lo stesso in buoni rapporti. E poi cosa ti costa?” spiegò Stephanie.
Stephen sospirò; abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo e dire: “Va bene, ma le prenderò una cosa da poco” e si incamminò. Stephanie sorrise e seguì il padre, affiancandosi a lui.
Poco dopo erano a mangiare qualcosa ad un bar del centro commerciale: “Meno male che avevi detto che le avresti preso qualcosa da poco. Un collier non mi sembra cosa da poco”.
“Credimi, costava molto meno di altre cose presenti in quella gioielleria” disse Stephen.
“Mamma potrebbe pensare che sei diventato tirchio” disse Stephanie, addentando il panino.
“Non mi preoccupa la cosa: intanto è il pensiero che conta, no? Poi, da ora in poi, ci penserà Charlie a farle regali costosi” disse Stephen.
Stephanie non replicò e, dopo aver finito di mangiare il panino, si alzò, dicendo: “Vado un attimo in farmacia” e, prese con sé anche la borsetta.
“Devi andarci per…ecco…non è che tu…lascia perdere” disse Stephen guardandola.
Stephanie fece un piccolo sorriso e, avvicinandosi a lui, disse: “Tranquillo, papà, non sono stata con nessun ragazzo, se alludi a questo. Devo solamente acquistare degli oggetti per la pratica in ospedale”.
“Ma dovrebbero darteli loro” disse Stephen.
“Sì, ma preferisco usare cose mie” disse Stephanie e, dopo averlo baciato su una guancia, si avviò verso la farmacia. Stephen la guardò, ma alzò un sopracciglio, per poi dire: “C’è qualcosa che non mi convince”.
Aspettò che la figlia fosse fuori dalla sua vista e, dopo aver finito il panino, andò a pagare in cassa. Poi, dopo aver preso le borse con dentro i vari acquisti, si diresse verso la farmacia. Cercò la figlia tra i vari scaffali e tra le varie persone presenti, non trovandola. Chissà dov’era finita?.
Decise di chiedere alla farmacista, così si mise in fila, dietro ad un uomo, che indossava un lungo cappotto e che si guardava intorno con aria sospetta. Stephen non ci badò: lui voleva solo ritrovare la figlia e ritornarsene a casa.
Quando fu il turno dell’uomo, la farmacista gli chiese cosa volesse, ma lui estrasse una pistola: “Fa la brava e non fiatare”.
“Signore, lei deve cercare di stare calmo” disse la farmacista.
“Ho detto: fa la brava e non fiatare se no giuro che faccio una strage!” replicò l’uomo e puntò la pistola in alto. Chi era presente indietreggiò e, chi si trovava accanto alla porta, corse fuori velocemente, gridando: “C’è un uomo armato dentro la farmacia!” e, chi era nei paraggi si avvicinò per vedere meglio, ma una delle guardie di sicurezza cercò di tenerli lontano.
Stephanie, che stava uscendo da un negozio, vide la folla radunata al di fuori della farmacia. Si avvicinò, cercando di capire cosa stesse accadendo, quindi domandò: “Sapete cosa possa essere successo?”.
“Dicono che ci sia un uomo armato” rispose una donna. Stephanie cercò di guardare al suo interno e sbiancò non appena vide suo padre dentro alla farmacia ed accanto agli altri presenti.
“Oddio, ma c’è mio padre lì dentro” disse Stephanie. Si fece largo tra la folla, ma venne bloccata dalla guardia di sicurezza, che chiese: “Signorina, dove sta andando?”.
“C’ è mio padre là dentro: la prego, mi faccia passare” rispose.
“E’ troppo pericoloso: c’è un uomo armato. Dobbiamo aspettare l’arrivo delle forze dell’ordine” spiegò la guardia e Stephanie non dovette far altro che rimanere lì fuori a guardare.
Stephen era indietreggiato. Poi disse: “Calmati ed andrà tutto bene. Possiamo parlare”.
“Chi è lei?! E con che autorità apre bocca?!” replicò l’uomo, puntandogli contro la pistola.
“Sono il Dottor Stephen Strange e…” iniziò col rispondere Stephen, ma venne interrotto dall’uomo: “Il Dottor Stephen Strange?! Impossibile! Avevo sentito che era morto dopo lo schiocco”.
“Invece sono più che vivo, anche se in questo momento dovrei essere da qualche altra parte” disse Stephen.
“Ora mi ricordo di lei: anni fa ero andato all’ospedale con mia moglie. Stava poco bene: soffriva costantemente di mal di testa, ma il dottore che l’ha visitata l’ha rimandata a casa con delle pillole. Ma sono bastate poche ore perché ci ritrovassimo di nuovo in ospedale e mia moglie in preda al dolore. Il dottore che l’aveva mandata a casa, se ne è lavato le mani e così è arrivato lei. Ha guardato la sua cartella clinica e l’ha fatta ricoverare, ma non mi ha voluto spiegare cosa avesse. Ha detto solamente che era un caso che aveva già visto e di poca importanza e che, ovviamente, non sarebbe durato molto. Qualche giorno dopo mia moglie era attaccata ad una macchina per respirare e poi è morta. Me l’ha portata via! Non si è preso cura di lei!” spiegò l’uomo.
“Ora mi ricordo: avevo diagnosticato a sua moglie un aneurisma celebrale inoperabile. Sarebbe morta comunque” spiegò Stephen.
“No! Tu non l’hai nemmeno curata! L’avevi già decretata morta ancor prima di visitarla! Per te era un cadavere ambulante, senza più speranza. Ti è bastato guardarla per dire queste parole. Non dimenticherò mai!” replicò l’uomo e gli ripuntò contro la pistola.
“Ok, ho capito che ce l’hai con me, ma allora che motivo c’è di tenere in ostaggio anche tutte queste persone? Lasciale andare e risolviamo la faccenda tra di noi” disse Stephen.
L’uomo ci pensò un po', poi però disse: “Non sono uno stupido!” e, puntando la pistola contro le altre persone, aggiunse: “Nessuno uscirà di qua, finché non avrò ottenuto ciò che voglio!”.
“Non avrai indietro tua moglie, se è ciò che vuoi!” replicò Stephen.
“Stai zitto!” ribatté l’uomo e sparò. I presenti urlarono, così come chi era all’esterno.
“State calmi! State calmi, vi prego!” gridava la guardia di sicurezza, cercando di trattenere la folla. Stephanie ne approfittò, per passare tra di loro ed entrare in farmacia. Tutti la guardarono.
“Stephanie!” disse stupito Stephen, guardandola.
Stephanie stava per aprire bocca, ma poi fu sollevata nel vedere che il padre non era stato ferito; poi, però, il suo sguardo si fermò su una pozza di sangue che stava sporcando le piastrelle bianche del pavimento. Seguì la scia, per vedere un uomo a terra ed altri presenti abbassati al suo fianco, tra i quali anche la farmacista, che disse: “E’ ancora vivo, ma dobbiamo fare qualcosa”.
“Nessuno farà niente qua! Dovete stare tutti fermi!” replicò l’uomo. Stephanie lo vide solo in quel momento.
“Ma se non facciamo qualcosa, quell’uomo morirà: vuoi finire in carcere a vita per aver ucciso qualcuno? Se mi dai la possibilità di curarlo, la tua pena sarà minore” disse Stephen.
“Curarlo come hai fatto con mia moglie?! Lei era un dottore che bramava solo alla fama ed ai soldi! Non le interessava nulla della vita dei pazienti” ribatté l’uomo.
“Le ripeto che non ci sarebbe stato nulla da fare con un aneurisma celebrale a quello stadio. Nemmeno il migliore dei neurochirurghi ci sarebbe riuscito” disse Stephen.
“Lei era il miglior neurochirurgo che c’era: ce lo aveva ripetuto più volte. E ora, per colpa sua, mia moglie non c’è più e mia figlia non mi parla! Lei non ha motivo di esistere” replicò l’uomo.
“No, la prego, non uccida mio padre. È la persona che ho di più caro al mondo” lo bloccò Stephanie. L’uomo la guardò, ribattendo: “Come puoi amare una persona così? Ha fatto solo del male”.
“E’ mio padre: è sempre stato al mio fianco. Mi ha cresciuta e non sarei qui se non fosse stato per lui” disse Stephanie; poi, guardò gli altri: “Noi tutti non saremo qui se mio padre, insieme ad altre persone valorose, non avessero combattuto insieme per sconfiggere quel titano. Gli dobbiamo tutto a loro. Lo so, ci sono stati dei sacrifici, ma ora siamo qua ed abbiamo una seconda possibilità di poter rimediare ai propri sbagli o compiere quei progetti o sogni ai quali ambivamo. Nulla è perduto” spiegò Stephanie.
Calò il silenzio e Stephen guardò con orgoglio sua figlia, mentre cercava di dare coraggio a tutte quelle persone. Poi però l’uomo disse: “Sei tale e quale a tuo padre! Anche lui parlava, ma non agiva ed è così che mia moglie è morta. Sai, farò la stessa cosa con te” e le puntò la pistola contro.
“No!” gridò Stephen e, in uno scatto veloce, andò dalla figlia. Partì un colpo e Stephen cadde a terra.
“Papà!” gridò Stephanie e gli fu accanto. Stephen si toccò la spalla destra dolorante, dove l’uomo aveva sparato. Stava perdendo sangue, ma era cosciente; poi, guardò la figlia: “Cucciola, devi pensare a quell’altro uomo. Devi salvarlo”.
“Ma non so neanche da dove iniziare: non ho ancora fatto pratica su manichini colpiti da armi da fuoco” disse Stephanie.
“Tu sei una Strange: sei la migliore. Fidati di te stessa. Non pensare a me: io sto bene…per il momento” disse Stephen, mettendogli l’altra mano su una guancia.
“Ok, ma tu cerca di rimanere cosciente” disse Stephanie. Volse lo sguardo verso l’uomo armato, che stava tremando, per poi dire: “Che cosa ho fatto? Questo non sono io”.
Stephanie si alzò, andando da lui; l’osservò: quell’uomo aveva completamente cambiato atteggiamento dopo che aveva sparato a suo padre. Ne approfittò, dicendogli: “Va tutto bene, ma ora deve ascoltarmi. Stia con mio padre e lo faccia parlare. Poi le dirò io cos’altro fare, ma per il momento, questa è meglio metterla da una parte” e, delicatamente, gli sfilò la pistola dalla mano. L’uomo la guardò e, dopo che Stephanie l’ebbe fatto inginocchiare accanto a Stephen, se ne andò dall’uomo ferito.
L’uomo la guardò, ma spostò lo sguardo su Stephen quando questi gli disse: “Mi dispiace per sua moglie. Aveva ragione: avrei potuto curarla meglio, invece mi sono fatto prendere dal mio egoismo. Per me era un caso come tutti gli altri: sapevo già che sua moglie sarebbe finita attaccata ad una macchina. La sua tac era un campo minato: non sarei mai riuscito a toglierle quell’aneurisma” quando venne colpito da una fitta.
“Non volevo spararle” disse l’uomo.
“Mi è capitato di peggio: sono stato trafitto più volte da una lama di vetro; sono stato impossessato da una forza oscura e, ora, solo una pietra che, ha trovato mia figlia, mi tiene sano di mente. Ho quasi rischiato di rimanere intrappolato per sempre nella dimensione oscura e, come molti di voi, sono anche stato blippato da un titano pazzo, per poi combattere contro di lui e la sua armata con il rischio di non rivedere mai più mia figlia” spiegò Stephen.
“Deve volerle molto bene” disse l’uomo.
“E’ ciò che ho di più prezioso in questo mondo. Non potrei vivere senza di lei” disse Stephen. L’uomo guardò Stephanie, che stava dando istruzioni alla farmacista ed ai presenti per curare il ferito; poi riguardò Stephen, quando gli domandò: “Ha una figlia?”.
L’uomo non aprì bocca e Stephen aggiunse: “Prima, ha detto che sua figlia non le parla. Da quanto non la vede?”.
“In verità lei vorrebbe parlarmi: sono io che mi sono isolato da quando è morta mia moglie” rispose l’uomo.
Stephen estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e, allungandolo all’uomo, disse: “La chiami e le dica di venire qua”.
“Io non posso” disse l’uomo.
“Non sia sciocco: non può farsi scappare il suo unico membro della famiglia e l’unico collegamento con la sua defunta moglie. Avanti, la chiami” disse Stephen. L’uomo prese il cellulare. Stava per digitare il numero, quando a lui si affiancò Stephanie con delle garze. Guardò l’uomo e poi suo padre, che disse: “Voglio che chiami sua figlia, ma lui non vuole”.
“Lo faccia prima che se ne penta” disse Stephanie, guardando l’uomo, che disse: “Non mi risponderà mai”.
“Facciamo così: la chiamo io, mentre lei tampona la ferita di mio padre. Mi serve solamente il numero” propose Stephanie. L’uomo la guardò, consegnandole il cellulare, mentre lei gli diede le garze.
L’uomo le disse il numero e, mentre Stephanie lo digitò, l’uomo mise le garze sulla ferita di Stephen, che sussultò dal dolore. La ragazza si mise l’apparecchio all’orecchio e dall’altra parte rispose una voce femminile, ma in quel momento Stephanie si accorse che l’uomo non gli aveva detto il suo nome e nemmeno quello della figlia; quindi lo guardò, chiedendogli entrambe le cose: “Mi chiamo William Brown, mentre mia figlia Emily”.
“Emily, chiamo per conto di suo padre William Brown. Io sono Stephanie Strange e, al momento, ci troviamo alla farmacia del centro commerciale vicino a Central Park. La prego, venga subito” disse Stephanie.
“Non posso: al momento non saprei a chi lasciare mia figlia” disse Emily.
“Bene: porti anche lei e faccia presto” disse Stephanie e chiuse la chiamata. Poi riconsegnò il cellulare al padre e, guardando William, disse: “Continui così e tenga vigile mio padre. Sua figlia Emily sta arrivando…con una sorpresa. Io cerco di andare a salvare la vita di quell’altro uomo” e ritornò dal ferito.
“Ha una figlia in gamba. Glielo ha mai detto?” chiese William, guardando Stephen, che rispose: “Sa che le voglio molto bene, ma negli ultimi anni – escludendo i cinque nei quali siamo stati entrambi blippati – penso di esserle stato troppo appiccicato”.
“Forse non dovrebbe” disse William.
“Voglio solo proteggerla. Ora che sono un maestro delle arti mistiche, ho più nemici di prima ed ho paura che qualcuno possa farle del male e portarla via da me. Stephanie non merita di soffrire. Quando ero un ragazzo, ho perso mia sorella in circostanze tragiche ed io non ho potuto salvarla. Non voglio che accada lo stesso a mia figlia” spiegò Stephen.
“E’ ciò che farebbe qualunque padre: le sta troppo appiccicato, ma lei non è più una bambina e, per questo, vorrebbe essere più indipendente. La lasci andare e vedrà che si sentirà meglio” disse William.
“Lei come si è sentito quando ha lasciato andare la sua?” chiese Stephen. William se ne stette in silenzio. Stephen fece un piccolo sorriso ed aggiunse: “Immaginavo: ne è pentito, vero? Parecchie persone mi hanno sempre detto come sbagliavo a crescere mia figlia, ma Stephanie è diventata quello che è grazie a me e non lo nego. Ho solo cercato di crearle una strada nella quale, un giorno, lei diventerà la migliore neurochirurga in circolazione e, se non avessi avuto quell’incidente, avremmo potuto operare insieme ma, purtroppo, è un sogno che non si realizzerà mai” e spostò di lato lo sguardo.
“Si sentiva meglio quando salvava vite ottenendo fama e soldi, oppure ora quando la gente lo ringrazia, senza ottenere nulla in cambio?” domandò William. Stephen lo guardò. Stava per aprire bocca, quando da fuori, uno della polizia, con il megafono, gridava: “Non faccia pazzie ed esca con le mani in alto e nessuno si farà male! Faccia uscire chi è con lei”.
William si alzò e, mentre camminava verso la vetrata, Stephen cercò di richiamarlo indietro: “William ritorni qui: lì sarà solo un bersaglio facile. Non lo stia ad ascoltare”.
William si fermò, quando in prima fila vide sua figlia e la sua nipotina. Volse quindi lo sguardo e, guardando Stephanie, replicò: “Perché l’ha chiamata? Perché ha chiamato mia figlia? Non avrebbe dovuto farlo”.
Stephanie guardò stranamente il padre e fu lì che entrambi capirono: William aveva nuovamente cambiato carattere, quando lui stesso prima non aveva obiettato quando avevano chiamato Emily.
La ragazza si avvicinò, quindi, cautamente a William: “Signor Brown, lei è molto confuso e non sa quello che dice”.
“So perfettamente quello che dico! Non si intrometta come suo padre!” replicò William.
“Andrà tutto bene e nessuno si farà male. Lei rivedrà sua figlia: vi parlerete e tutto questo sarà solo un bruttissimo ricordo. Anzi, le assicuro che non si ricorderà nulla” disse Stephanie, continuando ad avvicinarsi a lui, ma William indietreggiò e, dopo essersi abbassato, riprese la pistola, puntandola contro la ragazza.
“No! William, butti quella pistola! Se solo si azzarda a fare del male a mia figlia, non può neanche immaginare di cosa sono capace di fare!” replicò Stephen.
“Lo so dei suoi giochetti da mago. Gli stessi che hanno permesso a quel titano pazzo di spazzare via mezza umanità. Anche mia moglie” ribatté William.
“No, sua moglie è morta di un aneurisma celebrale anni fa. Il “blip” non c’entra nulla. I suoi ricordi sono confusi perché lei è malato di Alzheimer” disse Stephen.
William lo guardò, ma riguardò Stephanie quando spiegò: “Perdita di memoria; confusione con tempi e luoghi; cambiamenti di umore e di personalità. Combacia tutto. Lei ha bisogno di aiuto e di qualcuno che le stia accanto. Emily, sua figlia, è lì fuori per lei. Venga con me e, come le ho detto prima, andrà tutto bene” e si avvicinò a lui, mettendogli una mano sul polso. William la guardò; gli tremava la mano. Poi si guardò intorno, notando le espressioni di paura dei presenti. Guardò Stephen e qualcosa di anni prima gli ritornò in mente. Volse lo sguardo verso Stephanie, muovendo agitatamente la mano: “Lei non può capire! Nessuno può capire!”.
“Allora ci aiuti a capire” disse Stephanie, cercando di fermarlo…quando partì un colpo.
Il grido di Stephen si mischiò alle urla dei presenti. Allungò una mano verso Stephanie che cadeva a terra. La chiamava. Urlava il suo nome, ma la ragazza, con il viso rivolto verso di lui, aveva gli occhi chiusi, mentre una pozza di sangue si formò sotto di lei.
In un attacco di rabbia, Stephen si alzò e, seppur continuava a sanguinare da una spalla, con una mano creò una catena dorata, che legò al collo di William. Questi cercò di togliersela, mentre Stephen si avvicinò a lui e, una volta di fronte, replicò furioso: “Ora, ti farò soffrire come hai fatto con la mia Stephanie! Non avresti dovuto toccarla!” ed i suoi occhi divennero rossi.
William lo guardò con paura e, in quel momento, i poliziotti entrarono, puntando le pistole contro Stephen e William.
“Lo lasci andare subito!” gridò uno dei poliziotti.
“Ha sparato a mia figlia: ha il diritto di morire!” replicò Stephen.
“Non per mano sua! Avanti, lo lasci andare!” ribatté lo stesso poliziotto.
Stephen continuava a guardare furioso William, che continuava a ripetere: “Non volevo. Non volevo. Non volevo”. Gli occhi di Stephen ritornarono azzurri: lasciò cadere a terra William, per poi correre ed inginocchiarsi accanto alla figlia.
“Stephanie, cucciola mia, ti prego apri gli occhi. Ti prego, fallo per il tuo papà” la implorava Stephen, mettendole una mano sotto la testa. Ma Stephanie non aprì quegli occhi così uguali ai suoi e, fu in quel momento che, dopo molto tempo, Stephen iniziò a piangere.






Note dell'autrice: Buongiorno ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Vi dirò: piano piano mi sto avvicinando a Spider Man No -Way Home(sto ancora mettendo un pò insieme le idee per introdurci, ovviamente, Stephanie) e, per la prima volta (forse) ho fatto piangere Stephen (almeno qua nella mia fanfict).
Grazie per le bellissime recensiomi; grazie per il costante sostegno che mi state dando per la storia: quando l'ho iniziata non pensavo di arrivare a diciasette capitoli. L'avevo già in mente di scrivere prima dell'uscita del secondo film di Doctor Strange e, dopo aver visto il film, ho deciso di pubblicarla. Grazie per tutto
Grazie ovviamente per chi è anche passato solamente per una letta ed anche a chi ha messo la storia tra le preferite e seguite.
Grazie a tutti i recensori fedeli ed alla mia amica Lucia
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Vi auguro un buon inizio di week end
Un forte abbraccio
Valentina
 

 
  
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