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Autore: HellWill    16/09/2022    0 recensioni
{ Lista di Fanwriter pumpAU - i cui prompt sono qui: https://postimg.cc/TphPkFWB }
Siccome ho poche ship e le poche che ho sono Originali, ho deciso di utilizzare i miei setting e personaggi Originali (quindi NON il mondo reale) per ciascuna AU.
Genere: Fantasy, Omegaverse, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Raccolta, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Crime!AU
Cry me a River

 
Sì, immaginava che dopotutto se lo fosse meritato. Insomma… era legato a quel tavolo da giorni, nutrito a pappa reale e acqua, con le flebo endovena per mantenerlo sedato quel po’ che bastava per confondergli i sensi e non fargli rendere conto di dove si trovasse, che ora del giorno fosse, e chi fosse presente. Ma se lo era meritato, perché non appena l’aveva vista per la prima volta il cuore gli era balzato in gola… e non per la paura.
Ombre si agitavano ai limiti del suo campo visivo, ma Nathan non sapeva bene se fossero effetto delle medicine che lei continuava a fargli ingollare oppure se ci fosse davvero qualcuno che, magari, puliva la cantina in cui era rinchiuso. Dopotutto, River era famosa per essere una manipolatrice molto capace: sapeva procurarsi complici continuamente, di cui si disfaceva non appena si rivelavano inutili, noiosi, o entrambe le cose.
Ma, di solito, River era anche una serial killer veloce e metodica, quasi fredda e decisamente calcolata, per niente passionale nei propri delitti; sembrava uccidesse per un piacere molto sottile, come quando si completava un puzzle, piuttosto che per un bisogno spasmodico.
Nathan aveva mal di testa: quei pensieri gli si affollavano nella mente, facendogli ronzare le orecchie; il battito del cuore accelerò di colpo quando la porta scricchiolò e i tacchi di River risuonarono sul pavimento di nudo cemento.
«Allora, dolcezza… come stai oggi?» chiese la donna, con un sorriso dolcissimo che stonava con i suoi occhi così azzurri da risultare quasi lilla e che erano freddi, calcolatori. In mano aveva una pochette blu scuro, che si intonava al vestito lungo e ricoperto di brillanti incastonati nel tessuto, come fosse stata una principessa. Lo spacco lasciava intravedere un polpaccio ben definito di pelle candida, e il suo viso dolce a forma di cuore si stava gradualmente avvicinando a Nathan. River si mise la pochette sotto un braccio e gli tolse con gentilezza il nastro adesivo dalle labbra.
«Siamo soli, dolcezza» mormorò.
Non era normale che lo tenesse prigioniero in quelle condizioni. La sua mente viaggiava, e si chiedeva se per caso… anche lei… magari…
Perse il filo dei pensieri, ma il suo corpo lo aveva seguito abbastanza e una specie di mezza erezione gli premeva contro il cavallo dei jeans.
River ovviamente se n’era accorta, e Nathan deglutì a fatica.
«Sto… sto bene» mormorò, rispondendo alla sua domanda. Respirava a fatica: fino a quel momento le sue torture si erano limitate a un’incisione con uno scalpellino sulle clavicole e sulle costole, che gli facevano male ad ogni singolo respiro.
«Oggi ti faccio un regalo, dato che finora sei stato bravo» gli propose, strizzandogli l’occhio. «Dimmi, tesoro, hai mai provato qualcosa di simile alla Psilocibina?».
«Non… Non so cosa sia» ammise Nathan, e River ridacchiò.
«Non hai mai lavorato alla narcotici, evidentemente» lo rimproverò con un sorriso tremendo, poi aprì la pochette e ne tirò fuori una siringa. «Lars passerà più tardi ad assicurarsi che la flebo vada ancora» disse concentrata nell’iniettare il contenuto della siringa nel corso della flebo, sulla giuntura di gomma.
«Cosa mi hai…?» mormorò Nathan, e River si avvicinò a lui finché non fu così vicina che lui poté sentirne l’odore persistente di gelsomino che aveva imparato a conoscere così bene in quei giorni.
«Un regalo, te l’ho detto» sorrise misteriosa. «Goditelo, mi raccomando».
E detto ciò uscì.
Le ore che seguirono furono pregne di allucinazioni, sogni ad occhi aperti, vividissimi colori e Nathan poté anche giurare, una volta finito l’effetto degli allucinogeni, che addirittura gli fosse stato rivelato il senso della vita e dell’universo stesso. Ma ciò gli sfuggiva, una volta sobrio, e l’unico strascico lasciato da quell’esperienza fu una sensazione di pace profonda.
Fu solo a quel punto che Lars entrò nella cantina; o forse era già passato a controllarlo, ma lui non se n’era accorto. Era un uomo silenzioso, dai lineamenti forse sud-asiatici, la pelle un po’ scura e gli occhi castani che lo sondavano.
Al contrario delle altre volte, in cui si era trattenuto lo stretto necessario per controllarlo, stavolta prese una sedia da vicino il muro e si sedette a gambe incrociate su di essa, vicino al tavolo a cui Nathan era legato, e lo fissò con curiosità.
Non parlarono per un po’, poi Lars sorrise appena.
«Com’è stato?».
«Mi sono scordato del dolore per qualche ora».
«Sono passate quasi dodici ore da quando è venuta l’ultima volta qui» lo informò lo scagnozzo, e Nathan sgranò gli occhi.
«E perché mi parli, ora?».
«Perché lei dorme, e non temo punizione: se le dicessi che abbiamo parlato, probabilmente crederebbe che sia stata un’allucinazione».
Nathan rimase in silenzio.
«Sai di cosa ho voglia?» mormorò ad un certo punto il poliziotto prigioniero.
«Sentiamo».
«Un pompino».
Lars ridacchiò.
«Siamo pur sempre uomini, no? Sarò lieto di aiutarti» propose.
«Ti offendi se… penso a lei?» chiese esitando Nathan. Lars lo guardò serio.
«È la più bella donna che abbia mai visto. Pensa a chi vuoi, mi fai un po’ pena. Secondo me morirai a breve, e lo stesso farò anch’io. Quindi… tanto vale godersi questi ultimi giorni».
La gola di Nathan si strinse di colpo.
Giusto.
Quella prigionia era sempre stata in qualche modo da lui sopportata perché da un lato pensava di meritarsi quelle torture; dall’altro, pensava anche sarebbe stato liberato, prima o poi.
Ma sentirsi dire con così tanta sicurezza – e noncuranza – che sarebbe morto…
Le lacrime sgorgarono da sole; la stanchezza gli piombò addosso tutta insieme, come se si fosse trattenuta sul soffitto e improvvisamente quest’ultimo fosse crollato, concentrato sul suo petto, proprio lì dove faceva più male.
Lars gli slacciò i pantaloni, e fece quel che poteva per farglielo drizzare; Nathan tentò di pensare al profumo di gelsomino di River, e pianse calde lacrime perché non poteva averla, e perché presto ciò non sarebbe più stato neanche un problema.
Se solo non avesse dovuto indagare su di lei sin dal principio, forse quella situazione terrificante non si sarebbe mai verificata.

   
 
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