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Autore: Parmandil    18/09/2022    0 recensioni
Danneggiata dai perfidi Shriek, la Destiny tenta di fuggire dal loro cosmo, restando vittima di una scissione quantica. Nave ed equipaggio si trovano frazionati in sei piani d’esistenza, ciascuno contrassegnato da un colore e un’emozione base. Ogni individuo si trova nel piano corrispondente alla sua emozione dominante e infatti ne è del tutto invasato. Spetta a Talyn, l’unico individuo misteriosamente integro, ricostituire l’unità prima che la scissione diventi definitiva. Per farlo dovrà scendere tutto lo spettro luminoso ed emotivo, scontrandosi con gli Shriek ancora a bordo, ma anche coi colleghi fuori di senno. Il suo unico aiutante, in quest’ardua missione, sarà il robot riparatutto Ottoperotto. Dalla paura alla tristezza paralizzante, dal disgusto alla felicità edonistica, dalla sorpresa fino alla collera devastatrice, il giovane El-Auriano scoprirà la forza incontenibile delle emozioni, mentre lui stesso lotta per capire chi è realmente.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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-Capitolo 1: Shriek
Data Stellare 2610.171
Luogo: Spazio Shriek
 
   «Wow... avete mai visto niente del genere?» chiese il Capitano Rivera, osservando lo sconcertante panorama alieno sullo schermo.
   «Mai, signore» rispose Talyn, cui era affidata la postazione sensori e comunicazioni. «E non c’è nulla del genere nel nostro database. Mi chiedo come si siano formati quei corpi celesti e come facciano a restare integri. Qui le leggi fisiche devono essere diverse rispetto al nostro Universo» ipotizzò il giovane El-Auriano.
   Nei sei anni trascorsi da quando i contrabbandieri lo avevano adottato, erano successe molte cose. Nuovi membri erano entrati a far parte della banda, che tuttavia si era trovata sempre più braccata dalle forze dell’ordine. Ma a stravolgere le loro vite era stato il ritrovamento di una nave federale abbandonata e alla deriva, l’USS Destiny. Quando l’avevano abbordata, la nave era stata risucchiata nello Spazio Fluido, la realtà parallela in cui l’equipaggio era stato ucciso. Gli avventurieri se l’erano cavata di stretta misura, subendo gravi perdite: il DaiMon Grilk era morto e così pure l’Ingegnere Capo Brokk. Perciò avevano dovuto riformare la catena di comando, integrando i nuovi arrivati: la dottoressa Giely, unica superstite della Destiny; l’Ingegnere Capo Irvik, un passeggero in viaggio verso la Terra; l’Ufficiale Tattico Naskeel, che dapprima era un concorrente nel recupero della Destiny. Tutti loro dovevano collaborare per tornare a casa; impresa disperata poiché dal computer erano state cancellate le coordinate quantiche di ritorno. Non restava che affidarsi alle coordinate recuperate con un programma di deframmentazione dati: cifre spoglie che non dicevano nulla sulla destinazione. Solo tentandole tutte gli avventurieri potevano sperare nel ritorno.
   Stavolta bastava un’occhiata per capire che avevano raggiunto il cosmo sbagliato. Davanti a loro si stendeva un panorama mozzafiato, eppure disturbante nella sua impossibilità. Una mezza dozzina di pianeti orbitavano a distanza ravvicinata, troppo ravvicinata per non scontrarsi; eppure rimanevano in posizione. La cosa più assurda era la loro forma: erano piatti. Si trattava di dischi perfetti, con la faccia inferiore rocciosa e quella superiore abitabile. La loro inclinazione sul piano orbitale faceva sì che le facce superiori fossero illuminate dalla stella, godendo di un eterno giorno. Ciascun mondo ospitava un ecosistema diverso: l’acqua marina traboccava dall’orlo dei più elevati, cadendo con immense cascate in quelli inferiori. Giunta nel più basso evaporava, risalendo fino al mondo più alto, dove il ciclo ricominciava. Immensi arcobaleni scintillavano tra un disco e l’altro, senza mai sbiadire. I loro colori erano nitidi: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, violetto...
   «Hai detto che qui le leggi fisiche sono diverse?» chiese Rivera, riscuotendosi dall’ammirazione.
   «Devono esserlo o non si spiegherebbero quei corpi celesti» rispose Talyn. «Dovremmo studiare il fenomeno, prima di passare alle prossime coordinate».
   Il Capitano esitò. Erano avventurieri dediti al profitto, non zelanti ufficiali della Flotta Stellare. Non avevano alcun obbligo d’esplorare e mappare gli Universi che visitavano. Inoltre più si attardavano nelle realtà sbagliate e più rischiavano di fare incontri spiacevoli. La condotta più prudente prevedeva di passare immediatamente alle prossime coordinate della lista. Ma Rivera si opponeva a questo, per varie ragioni. In primo luogo era stato un ufficiale della Flotta Stellare, prima che il fato avverso lo trasformasse in avventuriero, e aveva l’esplorazione nel sangue. Secondariamente questi Universi inesplorati racchiudevano grandi possibilità di profitto. Nessuna nave federale era mai stata lì e nessuna vi sarebbe tornata per chissà quanto tempo. Questo costituiva una straordinaria opportunità per un gruppo d’avventurieri ambiziosi e pronti a tutto. Infine Rivera nutriva la vaga speranza che, se fossero riusciti a tornare, avrebbero potuto vendere i dati raccolti sul Multiverso alla Flotta Stellare, in cambio dell’assoluzione per i loro numerosi reati. Forse era solo un’illusione, ma ancora non vi aveva rinunciato. Così, ogni volta che visitavano una nuova realtà, trascorrevano giorni o anche settimane a esplorarla. Finora però i guadagni erano stati pochi e i pericoli molti; il Capitano vedeva avvicinarsi il giorno in cui l’equipaggio avrebbe preteso un cambio di condotta. «Avviciniamoci a quei mondi, analisi sensoriale completa» ordinò, sperando che quel giorno fosse ancora lontano.
 
   Nelle ore successive la Destiny orbitò attorno a quel singolare sistema planetario, esaminandolo da tutte le angolazioni, mentre gli avventurieri cercavano di capire come facesse a tenersi assieme. Sulle prime ipotizzarono che le quattro forze fisiche fondamentali – gravità, elettromagnetismo, nucleare forte e nucleare debole – fossero diverse rispetto al cosmo noto.
   «Questo però non spiega come hanno fatto a formarsi quei dischi» commentò Rivera.
   «Forse non si sono formati naturalmente» ipotizzò Talyn. «Forse sono stati... costruiti da qualche civiltà. Potremmo essere di fronte alla più grande opera d’ingegneria planetaria mai scoperta dopo la Sfera di Dyson».
   A quelle parole l’attenzione generale si spostò dall’analisi fisica alla ricerca di vita intelligente. La Destiny sondò i pianeti in cerca di città e lo spazio circostante in cerca d’astronavi, ma entrambe le ricerche dettero esito negativo.
   «Niente da fare, non rilevo alcuna struttura artificiale» disse Talyn al termine di lunghe analisi. «Però quei mondi piatti ospitano molte forme di vita. Ci sono interi ecosistemi che interagiscono tra loro in modi complessi. Alcuni animali si tuffano giù con le cascate, passando dai mondi superiori a quelli inferiori. Altre creature riescono addirittura a risalire, volando in un modo che non riesco a comprendere. Non sembrano provviste di ali...». Il giovane s’interruppe, aggrottando la fronte.
   «Che succede?» chiese Losira, venendogli accanto per osservare i dati. La Risiana aveva abbandonato il suo vecchio ruolo di tesoriera dell’Ishka, per divenire Primo Ufficiale della Destiny.
   «Uno sciame di creature s’è levato in volo dal mondo superiore e sta venendo qui» avvertì l’El-Auriano. «Volano attraverso lo spazio come se non gli desse alcun fastidio. Il loro sistema di propulsione... ah, non capisco quale sia!» sbottò. Ogni cosa, in quel cosmo alieno, era così estranea che gli mancavano termini di paragone.
   «Sullo schermo, massimo ingrandimento» ordinò il Capitano.
   Talyn visualizzò lo sciame in volo, zoomando fino a inquadrare le singole creature. A vederle parevano una via di mezzo fra insetti e pesci. Degli insetti avevano l’esoscheletro e almeno un paio d’arti segmentati. Le lunghe code guizzanti invece erano più da pesce. «I loro movimenti rapidi e coordinati indicano che seguono una logica di sciame. Saranno qui tra pochi minuti» avvertì il giovane.
   «Qualche riscontro sul database?» chiese Rivera, inquieto.
   «Sto verificando... sì, ce n’è uno!» s’illuminò Talyn, lieto di avere finalmente qualcosa da riferire. Ma il suo sorriso si spense subito. «Sono forme di vita nucleogeniche, capaci di spostarsi da una realtà all’altra senza bisogno di tecnologia. Il loro nome è ignoto; erano dette “Spiriti della Fortuna” nel Quadrante Delta, mentre i federali li hanno soprannominati “Shriek” per via dei loro versi striduli. Sono intelligenti e il loro linguaggio è stato decodificato, quindi possiamo comunicare con loro. Ma non le consiglio di farlo, Capitano... anzi dovremmo andarcene subito» avvertì.
   «Perché?» si allarmò Rivera.
   «Perché il Primo Contatto è stato catastrofico» disse Talyn, scorrendo rapidamente i dati. «Nel 2375 l’USS Equinox dispersa nel Quadrante Delta li contattò, trattenendone alcuni per studiarli. I federali non sapevano che, nella nostra dimensione, gli Shriek sono come in apnea. Quando ne trattennero alcuni con un campo di forza, li uccisero involontariamente. Ma c’è di peggio» aggiunse, sgranando gli occhi mentre leggeva. «Queste sono creature nucleogeniche, vale a dire che trattengono immani quantità d’energia nei loro corpi. Quei disgraziati dell’Equinox scoprirono che potevano usare le loro carcasse come carburante, per viaggiare più rapidi e abbreviare il viaggio di ritorno. Così ne attirarono e ne uccisero intenzionalmente molti altri. Come risultato gli Shriek divennero furiosi e attaccarono a più riprese sia l’Equinox, sia la Voyager che era intervenuta in aiuto. Alla fine distrussero l’Equinox, uccidendo quasi tutto l’equipaggio, mentre la Voyager sfuggì di stretta misura; da allora non ci sono stati contatti».
   «Se ci riconoscono come federali, penseranno che abbiamo invaso il loro spazio con intenti ostili» ragionò il Capitano. «Andiamocene subito!».
   «Mi sto allontanando, ma c’è un problema» disse Shati, la timoniera. «Ci sono sciami più piccoli che vengono da altre direzioni. Non credo di poterli evitare tutti. Quelle creature si muovono a una velocità incredibile, non fanno che accelerare!».
   La Destiny eseguì alcune manovre evasive, ma ben presto si trovò circondata. Gli sciami si erano sparpagliati in gruppetti più piccoli, chiudendo ogni via di fuga. E gli alieni continuavano ad avvicinarsi, nuotando nel loro modo misterioso.
   «Allarme Rosso, su gli scudi!» ordinò Rivera, maledicendo la sua curiosità, che li aveva messi ancora in pericolo. «Talyn, spiegami in che modo distrussero l’Equinox. Come attaccano?».
   «Con tutta l’energia che hanno in corpo possono colpire i sistemi di bordo, mandandoli in sovraccarico» rispose l’El-Auriano, scorrendo affannosamente i dati. «All’epoca aprivano dei portali direttamente all’interno delle astronavi, superando scudi e scafo. Adesso a rigor di logica non possono farlo, visto che siamo già nel loro Universo. Ma con esseri del genere non si sa mai, potrebbero variare la loro struttura atomica per attraversare lo scafo. Suggerisco di far oscillare le armoniche degli scudi, per non dargli il tempo d’adattarsi».
   «Ricevuto» disse Naskeel, l’Ufficiale Tattico. Era indubbiamente il membro più alieno dell’equipaggio, trattandosi di un Tholiano con sei zampe e il corpo cristallino, ma si era dimostrato un ufficiale competente. «Contatto sugli scudi. Gli Shriek stanno variando il loro campo bio-elettrico nel tentativo d’oltrepassarli. Continuo a oscillare le armoniche». Gli scudi della Destiny riverberarono mentre gli alieni premevano a centinaia, cercando d’attraversarli.
   «Questo è un palliativo, prima o poi si adatteranno. Saremo al sicuro solo tornando nel Vuoto» disse Losira, alludendo al cosmo senza stelle in cui la Destiny si rifugiava tra un’esplorazione e l’altra.
   «Plancia a sala macchine, torniamo nel Vuoto. Aprite subito un portale!» ordinò il Capitano.
   «Subito non esiste, quando si seguono le procedure di sicurezza!» protestò Irvik, l’Ingegnere Capo. «Servono almeno venti minuti per aprire una breccia interdimensionale stabile...».
   «Fatelo!» insisté Rivera. Chiuso il canale, si rivolse di nuovo a Talyn: «Che succede se riescono a entrare? Sono un pericolo per l’equipaggio, possiamo affrontarli?».
   «Sono estremamente pericolosi» confermò il giovane, sempre scorrendo il database. «Gli basta un breve contatto fisico per uccidere mediante reazione termolitica. Solo un campo di forza multifasico li può trattenere. I phaser li infastidiscono, più che ferirli; un fuoco concentrato dovrebbe metterli in fuga. Vista la situazione, suggerirei di trattare...» disse, asciugandosi il sudore dalla fronte.
   «Ci proverò, ma prepariamoci al peggio» disse il Capitano. Aprì un canale con tutti i ponti, avvertendo l’equipaggio delle capacità degli alieni e ordinando di armarsi. Anche gli ufficiali di plancia presero i phaser dagli scomparti segreti. Infine Rivera ordinò a Talyn di trasmettere agli Shriek, attivando la matrice di traduzione messa a punto sulla Voyager. Stando ai precedenti, gli alieni erano in grado di percepire la chiamata e rispondere sulla stessa frequenza.
   «Qui è il Capitano Rivera dell’USS Destiny. Vi chiedo d’interrompere il vostro attacco, dal momento che non abbiamo intenzioni ostili. Siamo qui in missione pacifica, siamo semplici esploratori» disse, addomesticando un po’ i fatti. «Se siete contrariati dal nostro arrivo, allora ce ne andremo. Dateci solo qualche minuto per aprire un nuovo portale» tentò.
   «Nessuna risposta» disse Talyn dopo qualche attimo. «Vorrei capire se almeno hanno ricevuto il messaggio. Provo a ritrasmetterlo su altre frequenze...». In quella ci fu uno scossone.
   «Breccia nella sicurezza, gli alieni hanno oltrepassato gli scudi» avvertì Naskeel. «Sono sullo scafo... lo stanno attraversando».
   «Capitano a equipaggio, gli Shriek ci abbordano!» avvertì Rivera. «Teneteli il più possibile a distanza. Usate i phaser, se necessario, ma attenti a non danneggiare la nave. Agli ingegneri ordino di aprire la breccia il prima possibile!».
   Gli avventurieri si guardarono attorno innervositi, con le armi in pugno. Il nemico poteva spuntare ovunque: dal soffitto, dalle pareti. Nessun luogo era al sicuro. Poco alla volta udirono delle strida acutissime, dapprima appena percepibili, poi sempre più forti. Facevano pensare a unghie che graffiano una lavagna. Tutti avrebbero voluto turarsi le orecchie, ma dovevano restare sul chi vive, coi phaser in pugno.
   «Urgh... sono proprio Shriek!» si lamentò Shati, il cui fine udito di Caitiana era torturato dalle strida.
   In quella una sagoma traslucida emerse da una paratia. Poi un’altra e un’altra ancora. Erano Shriek, più vicini e minacciosi di quanto avrebbero voluto vederli. Erano relativamente piccoli: la lunga coda li faceva sembrare più grossi, ma in realtà avevano la stazza di un tacchino. Il loro esoscheletro era di un verde-azzurro cangiante a seconda dei riflessi. L’elemento più inquietante era la testa quasi umanoide, posta su un tozzo collo, con due occhi gialli e una bocca zannuta. Volavano nell’aria con la stessa facilità con cui si libravano nello spazio.
   «Non sparate!» ordinò Rivera ai suoi. Poi si rivolse agli alieni, assicurandosi che la matrice di traduzione rendesse comprensibili le sue parole: «Fermi, non c’è bisogno d’attaccare. Ce ne stiamo andando!» promise. Gli Shriek risposero con le loro strida acute, che parevano chiodi conficcati nel cervello.
   «Dicono che parliamo di pace, ma intanto ci siamo armati» tradusse Talyn dalla sua postazione. «Temo che non ci credano... ah!».
   Uno degli alieni si gettò proprio su di lui, forse attirato dai movimenti della sua mano sui comandi. Al giovane non restò che aprire il fuoco con la mano libera. L’attimo dopo anche Losira e Rivera spararono alla creatura. Tutti i colpi andarono a bersaglio. Lo Shriek lanciò un richiamo acutissimo e si ritirò, scomparendo in una paratia. Ma gli altri due si lanciarono all’attacco, presto seguiti da altri che spuntavano da tutte le parti. Si accese la battaglia, in plancia e non solo: da ogni ponte giungevano rapporti di scontri analoghi.
   I phaser avevano un effetto moderato sugli Shriek: non li uccidevano, ma sembravano infliggergli dolore, inducendoli alla fuga. Purtroppo per ogni invasore respinto ne spuntava un altro; ed era probabile che anche i fuggitivi tornassero ben presto all’attacco. Quanto alle capacità offensive degli Shriek, tutti le constatarono quando uno di loro mise le zampe addosso a un ufficiale ausiliario. Il contatto durò pochi secondi, nei quali il Ferengi gridò come se lo stessero scorticando. Poi l’alieno lo mollò ed egli cadde a terra, morto stecchito. Tutti videro che il suo corpo era rinsecchito, come se l’avessero privato dei liquidi.
   «Capitano, ci sono centinaia di Shriek attorno a noi! Altre migliaia in arrivo! Questa è una battaglia che non possiamo vincere!» avvertì Talyn, gridando per farsi udire sopra le strida degli alieni. Vedendo che uno Shriek stava per colpire Losira alle spalle, lo centrò con un raggio a piena potenza, mettendolo in fuga. Poi saltò agilmente sopra la sua consolle, per recarsi al centro della plancia, dove aveva più libertà di movimento.
   «Mettiamoci schiena contro schiena!» ordinò il Capitano, per evitare che altri fossero attaccati alle spalle. «Plancia a sala macchine, quanto ci vuole per aprire quella dannata breccia?!» chiese poi, sparando a destra e a manca. Non ottenne risposta, ma di lì a un attimo fu il computer a informarlo.
   «Allarme Nero inserito, un minuto all’apertura della breccia» riferì la voce femminile automatica.
   «Un minuto!» si disse Talyn. In quelle condizioni pareva un’ora. E ormai la Destiny era infestata da centinaia di quei mostri. «Anche se andiamo via, resteranno a bordo. Speriamo che il Vuoto gli sia sgradito e tornino a casa loro!» si augurò il giovane, sapendo che altrimenti era tutto perduto.
   Gli avventurieri rimasero schiena contro schiena, formando un cerchio al centro della plancia e sparando all’impazzata contro gli Shriek che uscivano dalle pareti. Le strida degli alieni erano sempre più alte, i loro attacchi sempre più frequenti e rabbiosi. Ormai il tempo era agli sgoccioli.
 
   In sala macchine regnava il caos. Già in condizioni normali la procedura per aprire una breccia interdimensionale era complessa; farlo mentre si combatteva era un’impresa disperata. Gli Shriek svolazzavano ovunque, lanciando strida insopportabili. Ogni pochi attimi calavano sugli ingegneri, cercando di ucciderli. Ne avevano già colpiti due, che giacevano al suolo rinsecchiti come mummie. Irvik e gli altri si erano armati di phaser per respingere gli aggressori, aiutati da una squadra della Sicurezza. Con una mano i tecnici manovravano i comandi per la difficile procedura, con l’altra sparavano agli Shriek. Ogni tanto correvano da una consolle all’altra, approfittando del fuoco di copertura delle guardie.
   Vedendo i raggi phaser che balenavano nella sala macchine, minacciando di colpire il nucleo e altri apparati vitali, l’Ingegnere Capo si sentì morire. Le sue scaglie trascolorarono verso il blu, come accadeva ai Voth quando si spaventavano. Quello non era un viaggio, era un suicidio. Mai come allora temette di non rivedere sua moglie e i suoi figli, che erano rimasti a casa. «Siamo al 50% del potenziale, aprite le griglie di trasferimento ausiliarie!» ordinò, cercando di farsi udire sopra il marasma. In quella si avvide di un nuovo pericolo: gli Shriek si erano distolti dall’equipaggio e avevano preso a colpire le apparecchiature. Trasmettevano una violentissima scossa, tale da danneggiare tutto ciò che toccavano. Presto squillarono gli allarmi, segnalando guasti a cascata.
   «Idioti, non capite che vogliamo solo andarcene? Così ce lo impedite! Che volete fare, esplodere assieme a noi?!» inveì il Voth, all’indirizzo degli alieni. Dato che quelli persistevano negli attacchi, eresse un campo di forza attorno al nucleo, così da proteggere almeno quello. Per un attimo si prese la soddisfazione di vedere gli Shriek che rimbalzavano contro il campo multifasico, stridendo scornati. Poi corse a una postazione diagnostica per rilevare i guasti. Ogni volta che ne trovava uno, lo isolava e cercava di bypassarlo. Ma per quanto la Destiny avesse sistemi ridondanti, non poteva continuare a lungo. Presto i danni sarebbero stati troppo gravi.
   Richiamati dagli allarmi giunsero gli Exocomp, robottini riparatutto simili ad angurie per forma e dimensioni, che svolazzavano grazie a un repulsore gravitazionale. Alcuni Exocomp si misero a riparare i guasti mentre altri, più audaci, affrontarono gli Shriek in una spettacolare battaglia aerea. I robottini colpivano con saldatori e altri strumenti di cui erano provvisti, riuscendo talvolta a respingere gli alieni; ma difficilmente reggevano alle scosse ricevute.
   «Attenzione, rilevata perdita di gravitoni nel generatore primario» avvertì il computer.
   Irvik richiamò un grafico per esaminare il problema. Era una grossa perdita e non c’era modo di sigillarla, non con l’Allarme Nero in corso. Non restava che abortire la procedura. Le sue mani erano già sui comandi, pronte all’arresto manuale d’emergenza, quando si fermò a riflettere. Se rimanevano nello spazio Shriek erano spacciati. L’unica era andarsene subito, sperando che la nave non esplodesse e che gli alieni smettessero di tormentarli. Se tutto andava bene, avrebbero avuto tempo per riparare i danni.
   «Signore, deve interrompere la procedura!» gridò un collega. Indicò il generatore incassato nella parete, che sfrigolava come se dovesse esplodere.
   «No, se rimandiamo la fuga ci distruggeranno!» obiettò l’Ingegnere Capo, mentre la nave sussultava. «Abbiamo una sola possibilità, non ci resta che sperare. Ma voi lasciate la sala macchine, qui basto io. Mi avete sentito? Tutti fuori!» ordinò, sovrastando gli allarmi e il frastuono della battaglia.
   I tecnici evacuarono il salone, seguiti dalle guardie. Irvik rimase solo, alle prese con un generatore gravitonico che perdeva come un colabrodo. Così concentrato era del tutto vulnerabile agli attacchi Shriek. Fortunatamente gli alieni lo ignorarono, presi com’erano dalla battaglia aerea contro gli Exocomp. Il Voth spremette tutta l’energia del nucleo, isolando le linee di trasferimento danneggiate, e la incanalò al generatore gravitonico, sperando che bastasse per raggiungere la soglia critica. Erano all’80% del potenziale... 85... 90... 95...
   «Forza, forza!» esclamò l’Ingegnere Capo, togliendo energia a ogni altro sistema della nave, compresi scudi e armi che ormai erano inutili. Erano al 98%... 99... 100%!
   «Sì, sono un genio!» esultò Irvik, alzando le braccia in segno di trionfo.
   In quella ci fu un’esplosione assordante alle sue spalle. Lo spostamento d’aria lo gettò contro la consolle, facendogli battere la fronte scagliosa, dopo di che il Voth cadde a terra. Perfino gli Shriek si dettero alla fuga, stridendo spaventati. Sconvolto, l’Ingegnere Capo si asciugò il sangue dalla fronte e si girò con fatica, per constatare l’entità del danno. Rimase atterrito nel vedere che una porzione del guscio protettivo del generatore gravitonico era saltata via, mettendo a nudo il nucleo. Era un miracolo che non fosse già esploso, disintegrando la nave... e l’energia era al culmine! Dalla falla brillava un’accecante luce bianca.
   «NOOO!» si disperò il sauro, certo che l’esplosione fosse imminente. Si coprì gli occhi con le mani, rivolgendo un ultimo pensiero ai suoi cari. L’attimo dopo tutto divenne bianco ed egli ebbe l’impressione d’essere strappato via dal suo corpo. 
 
   
 
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