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Autore: My Pride    20/09/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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With your eyes, I saw your life Titolo: With your eyes, I saw your life (and the way to save you)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 5442
parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent, Damian Wayne, Giovanni Zatara, Zatanna Zatara
Rating: Arancione
Genere: 
Generale, Angst, Malinconico
Avvertimenti: What if?, Slash, Narratore inaffidabile, Descrizioni grafiche di violenza, Abusi
A summer of secret: Fanfiction/Originale: X sarebbe sicuramente morto se Y non avesse fatto qualcosa di estremo per salvarlo.
200 summer prompts: "Non pensavo mi saresti mancato così tanto" || "Non dirlo neanche" || Stanco di aspettare

 


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Nel sollevare le palpebre e cercare di trarre un respiro, Jon capì di trovarsi immerso in una pozza completamente nera che rendeva difficoltoso capire cosa lo circondasse, dall’odore denso e pungente che ricordava vagamente quello del catrame.
    Era strano come riuscisse tranquillamente a respirare nonostante si trovasse metri e metri sotto il pelo dell’acqua, ma non riusciva comunque a ricordare come ci fosse finito. La sua mente gli mostrava piccoli frammenti della missione che aveva affrontato, sporadici pezzi senza alcun significato che si mescolavano l’un l’altro e che non riusciva ad incastrare in nessun modo, ma il fatto che non sentisse la necessità di trarre lunghe bloccate d’aria o la sensazione di bagnato su pelle e vestiti avrebbe dovuto in qualche modo preoccuparlo. Eppure si sentiva… in pace. Stranamente libero, leggero, come se fosse solo una piuma sospinta dal vento che aspettava di essere adagiata da qualche parte, e si lasciò andare alle correnti nello stesso istante in cui quella pozza divenne completamente limpida e inodore.
    Non provava niente, non sentiva niente; era come se fosse circondato da qualcosa che lo avvolgeva in uno strano abbraccio fatto di ferro e fluidi, di fili tesi che si intrecciano fra loro e dita d’acciaio che gli tenevano sollevato il capo, eppure niente di tutto ciò lo turbava, niente lo spaventava. Aveva chiuso gli occhi, ma si lasciò cullare da mani estranee che lo tirarono fuori da quella sua bolla e lo tennero stretto, portandolo in luoghi altrettanto sconosciuti; la voce di una donna continuava a ripetere di mostrare la sua volontà, la sua forza, di mostrare l’acciaio nei suoi occhi e la potenza di fare ciò che era necessario, e Jon riaprì le palpebre solo per trovarsi ben presto in un lago rosso che puzzava di ruggine.
    Era tutto così incomprensibile che persino le parole di quella donna erano diventate solo un brusio sconnesso nelle sue orecchie, una melodia stridente che lo aveva accompagnato per quelli che gli erano parsi secoli, ma che aveva poi capito essere solo anni; non aveva ricordato un singolo istante di quei momenti, ma aveva ricordato benissimo la voce di quella donna che gli aveva consegnato un bokken fra le mani e lo aveva poi spronato a colpire e a non distrarsi mentre combatteva, cosa che Jon aveva preso molto seriamente. Ma nello specchiarsi nei grandi occhi della donna, tutto fu estremamente chiaro: il riflesso di un giovane Damian, tre anni o poco più, ricambiava attento lo sguardo della donna, che altri non era se Talia Al Ghul. Cosa ci faceva lì? Cosa stava succedendo?
    Jon provò ad aprire la bocca per dar voce a quei pensieri, ma più ci provava più l’acqua lo metteva a tacere, come se qualcuno cercasse di fargli capire che non avrebbe dovuto interferire; anche allungare una mano verso di lei fu inutile, poiché la mano grassoccia di Damian si sollevò al posto della sua e strinse maggiormente il bokken, che venne ben presto lanciato via da un colpo deciso di Talia. Parole senza alcun senso si accavallarono nuovamente nella sua mente e lui premette i palmi delle mani contro le orecchie nel tentativo di scacciarle e farle smettere, ma aveva come la sensazione che ogni lettera si artigliasse alle pareti dei suo cervello, scavando con forza dentro di esso.
    Forse urlò, non ne fu davvero sicuro, ma le scene davanti ai suoi occhi cambiarono ancora e ancora, mescolandosi fra loro come un unico grande dipinto: un Damian di tre anni avvolto nel mantello di Batman spariva come una nuvola di fumo e lasciava spazio ad un ragazzino sporco di sangue che combatteva nella giungla, che a sua volta esplodeva in una miriade di mille colori per mostrare quello stesso giovane disteso di schiena con l’arma di Talia puntata alla gola; un Damian di un anno più grande che suonava il violino con tale foga da rompere le corde con l’archetto si fondeva con un Damian che dipingeva il quadro più meraviglioso che Jon avesse mai visto, e poi ancora Talia, ancora quella spada che riduceva Damian in fin di vita, il verde luminoso del pozzo e le grida di dolore all’interno di una prigione di carne e acciaio; un susseguirsi di memorie e momenti, di immagini che nella testa di Jon non avevano senso e che comparivano e scomparivano ad una tale velocità da far venire il voltastomaco, e Jon si portò automaticamente una mano alla bocca nel vano tentativo di contenere conati di cui non riusciva a liberarsi.
    Qualunque cosa stesse vedendo, non era affatto ciò che si era aspettato di vedere. Faceva male, gli martoriava il petto e afferrava violentemente il suo cuore come se fosse suo punto di strapparglielo, e sentì le lacrime bruciare agli angoli degli occhi mentre gli si bloccava il respiro; col fiato corto, cercò di trarre lunghe boccate e si portò due dita a sfiorarsi guance e zigomi, sentendole calde e umide mentre il mondo intorno a lui girava come una trottola e il fumo gli impregnava le narici, facendolo soffocare.
    «Sei un guerriero. Sei un Al Ghul. L’erede della potente Testa del Demone. Piangere non è contemplato».
    Talia si ergeva imperiosa come una regina, l’espressione dura di un volto scolpito nel marmo, le mani sporche del sangue del suo stesso figlio che, a capo chino e in ginocchio, si mordeva il labbro inferiore per ricacciare indietro quelle lacrime che rappresentavano solo un simbolo di debolezza.
    «Sì, madre».
    Jon avrebbe voluto fare qualcosa, fermare tutta quell’assurdità, ma nello stesso istante in cui provò a lanciarsi verso di lei il viso imperturbabile di Talia lasciò posto ad una fitta giungla in cui Jon si perse, sussultando quando un fruscio alle spalle richiamò la sua attenzione; scorse Damian nel bel mezzo del fogliame, nascosto così bene che persino con la sua vista faticò a riconoscerlo, e deglutì nel vedere il luccichio della canna di un fucile; Jon si portò automaticamente le mani premute contro le orecchie quando lo sparo risuonò nell’aria, e non si voltò a vedere l’uomo che aveva urlato, sentendo solo l’odore del sangue.
    Giorni, mesi e anni si accavallarono gli uni sugli altri, strascichi di una vita passata a lottare e ad allenarsi, ad affrontare sfide ai limiti dell’umano che avrebbero messo a dura prova chiunque, ma che Damian, per quanto bambino, sembrava affrontare con la fredda lucidità di un assassino. Doveva essere forte, si ripeteva anno dopo anno, Un Al Ghul non poteva essere sopraffatto dalle lacrime né cedere alle proprie emozioni, e Jon riusciva a sentirlo nella sua testa come se quei pensieri fossero i suoi, come se tutta quella rabbia e determinazione provenissero dalle sue membra, distruggendo nel profondo. Era impensabile che un ragazzino fosse costretto ad una vita del genere, che ogni istante della sua esistenza fosse atto solo a migliorare fisicamente e in ogni momento della campo, destreggiandosi tra cultura e arti marziali senza un attimo di tregua. Ogni interazione umana che aveva era con un uomo o una donna diversi, insegnanti che gli mostravano cosa è come doveva svolgere un lavoro e che venivano gettati nell’oceano una volta concluso il loro scopo, tutti osservati da Damian con la stessa sufficienza e gelo che aveva sempre mostrato Talia.
    «Buon compleanno, Damian. Hai perso».
    Jon si sentì sprofondare nuovamente nell’oscurità e nell’acqua gelida che gli congelò le membra, aprendo e chiudendo la bocca nell’inutile tentativo di riportare aria nel polmoni; cercò di nuotare verso l’alto, ma qualcosa dai denti aguzzi gli afferrò la caviglia e lo trascinò nuovamente verso il basso, impedendogli di risalire in superficie per respirare; bolle d’aria scapparono dalle sue labbra e Jon sentì il petto bruciare come non mai, ma la sua mano si mosse per squarciare il ventre di quello che si rivelò essere uno squalo. Incredulo, si spaventò per quanto aveva fatto e aprì la mano per lasciar andare il coltello, capendo che non era stato lui a farlo, ma Damian; lo squalo si dissolse in uno scoppio di sangue e lasciò spazio ad una stanza in penombra, dove un uomo stava parlando di schemi e strategie e la mano di Damian si muoveva per prendere appunti, con l’aria di un normalissimo studente annoiato. Ogni momento sembrava più straziante dell’altro e Jon dovette deglutire più e più volte quando, con le orecchie colme di voci sconosciute che sembrava osannare qualcuno, si ritrovò dinanzi ad una scalinata di pietra che portava ad un altare sul quale era inginocchiato Damian, il volto sporco di sangue e lo sguardo fisso sul volto di Ra’s Al Ghul. I bracieri rendevano l’atmosfera soffocante e tetra, gli occhi di Damian sembravano brillare di un rosso accecante alla luce del fuoco, e la grande caccia cominciò nello stesso istante in cui la Testa del Demone urlò il nome “Hafid”.
    Tutto cominciò a diventare confuso e opprimente, immagini su immagini di cadaveri lasciati a marcire su campi di battaglia e il volto e le mani di Damian sempre più sporchi di sangue, il tutto affrontato senza battere il minimo ciglio, senza provare alcun dubbio o timore. Ogni giorno una prova, ogni giorno un premio che Damian riportava al cospetto della Testa dei Demone dopo aver lasciato morte dietro di sé, e Jon desiderò mettere fine a tutto, non vedere più niente, di affondare la testa nella sabbia e urlare e urlare finché ogni cosa non fosse sparita dalla sua testa, con lo stomaco in subbuglio che non riusciva a sopportare di più; grandi bestie dalle ali enormi si pararono dinanzi ai suoi occhi e vennero trucidate con una tale freddezza che Jon vomitò l’anima, implorando che tutto finisse al più presto possibile mentre Damian puntava la spada completamente sporca di sangue verso un’ombra fra le tenebre.
    «Affrontami!»
    L’urlo di Damian rimbombò nella caverna in cui erano ormai ammassati i corpi dei guardiani di quel luogo, antichi draghi-pipistrello che avevano vegliato per secoli su un oggetto tanto prezioso come lo scettro dei re che Damian reggeva nell’altra mano e i cui tridenti erano ghermiti dalle fiamme.
    «Non disonorare la causa della tua famiglia! Tutte le loro speranze ora ricadono su di te… combatti per loro!»
    Damian colpì il terreno col tridente, le scintille volarono in ogni dove e lui e quel cucciolo si fissarono negli occhi per attimi che parvero interminabili, ma fu lì che qualcosa cambiò, che qualcosa si spezzò dentro di lui e dentro Damian quando quel cucciolo allungò il muso e gli leccò il naso; Damian sgranò gli occhi, si portò una mano sporca di sangue al viso nello stesso istante in cui lo fece Jon e si toccò una guancia, rendendosi conto che il calore che avvertiva erano lacrime. E Jon si inginocchiò con lui, coprendosi il volto per piangere tutte le lacrime che non aveva pianto fino a quel momento, avvertendo la compassione che pensava fosse sparita del tutto dal cuore di Damian mentre il mondo intorno a lui tornava ad essere inghiottito dalle tenebre.
    Quei momenti scivolarono via dalle dita di Jon come granelli di sabbia, perdendosi fra lande desolante e deserti immersi nella notte; le stelle vorticarono sopra di lui e si fusero insieme nella vasta coltre celeste che lo sovrastava, gettandolo nello sconfinato nulla che si parò improvvisamente dinanzi ai suoi occhi. Niente aveva più senso, parole in lingue sconosciute si susseguirono le une alle altre mentre le sagome di Damian e Talia si intrecciavano tra loro per divenire una e poi nessuna, per sparire con la stessa rapidità con cui erano apparse prima di tornare all’attacco con grida disumane, accompagnate da spari nella notte e stridii di grosse ali e cartilagine che si spezzava, finché il corpo di Talia non cadde riverso di schiena con una lama puntata alla gola, il sangue che sporcava il viso di entrambi e colava vischioso dalle ferite che si erano inferti.
    «Buon compleanno, Damian. Hai vinto».
    Un sorriso soddisfatto, un viaggio dall’altra parte del mondo; l’odore stagnante delle strade di Londra e il puzzo delle fogne, l’alito fetido di grossi uomini pipistrello e le loro urla nella notte, mentre due grandi occhi azzurri si stagliavano sullo schermo davanti a lui. Conosceva quegli occhi, erano gli occhi di Bruce, e allungò un braccio per indicarli con la mano di Damian, affermando che era lui, che quello era suo padre, mentre la voce soddisfatta di Talia gli mormorava che sarebbero andati presto a trovarlo e sorrideva compiaciuta. Tremori, puzzo di tappeti bagnati, alito di cane e incenso; un odore forte, acre, un odore che avvolgeva ogni cosa e schiaffeggiava il viso, trecento chili di carne, pelle e cartilagine che crollavano sul pavimento con un rumore sordo di ossa che si spezzavano; le grida dei Man-Bat si fecero più potenti, Jon fu costretto a chiudere gli occhi e a premere le mani contro le orecchie per contenere tutto quel rumore, finché l’odore delle fogne non tornò sotto le sue narici e lui sollevò il capo, fissando negli occhi la maschera del pipistrello.
    «Padre… ti credevo più alto».
    Passarono giorni, settimane, mesi: flashback dei momenti più disparati, l’orrore di Darkseid, la morte di Bruce e Richard che si avvolgeva nel mantello per portare sulla spalle il peso che comportava l’essere Batman, cadendo e rialzandosi per continuare a recitare quella parte sotto le luci dell’enorme palcoscenico che era il mondo; la rabbia sempre più crescente, il dolore, la negazione, il timore di non essere accettato e la determinazione a fare di più, a far capire quanto poteva dare e quanto poteva valere, una R stampata sul petto e la breccia dentro al cuore. Più il tempo passava, più Damian accettava il suo ruolo come Robin, crescendo e mostrando l’empatia sempre sopita dentro di lui.
    Jon seguì quel percorso passo dopo passo, lo vide maturare e aprirsi, lasciarsi andare alla figura paterna che Dick era stata per lui fino al ritorno di suo padre, troppo simile a lui per riuscire a farsi capire. La rabbia ritornò, la vicinanza di Bruce aprì la crepa e Jon venne inghiottito da essa, cercando inutilmente di aggrapparsi al bordo di quel barlume di speranza prima di sprofondare con un grido senza voce; il sussurro di un uomo chiamato Nessuno, un uomo che si insinuava nella mente e gli ricordava l’assassino che era stato, anche se Damian cercava di combattere; fuoco, fiamme, l’urlo di Bruce che richiamava Ducard e il salvataggio, poi ancora il guizzo delle fiamme che danzavano davanti ai suoi occhi e scioglievano le immagini una dopo l’altra, riducendole in una poltiglia priva di significato.
    «…vostro figlio è un maledetto testardo».
    Delle tombe circondate dalle lucciole, il volto di Damian che fissava impassibile la fredda pietra; il suo sussurro nella notte diretto a quelle lapidi, la scelta di seguire Nessuno, la guerra senza fine e la morte in agguato, e Jon tremò quando le sue dita affondarono nel cranio di quel Ducard e si voltò verso suo padre, lo sguardo spento e il volto stanco.
    «Perdonami, padre, perché ho peccato».
    La testa di Jon vorticò così tanto che fu costretto a chiudere gli occhi mentre immagini su immagini tornavano a mescolarsi prepotentemente, un Bruce che gli sussurrava che avrebbe voluto che fosse il miglior Damian Wayne possibile lasciava il posto al volto di Talia trasfigurato dalla rabbia, per tornare poi da tutti i fratelli e ancora una volta a Talia; Jon si ritrovò dinanzi all’edificio delle Wayne Enterprises e sgranò gli occhi nel rendersi conto che era sotto attacco, correndo all’interno senza nemmeno pensare che fosse tutta un’illusione della sua mente. Il suo cervello gli ripeteva di muoversi, di prestare aiuto alle persone presenti e di non gingillarsi, ma invece dei suoi poteri usò i pugni, invece della vista calorifica lanciò un birdrang, ma niente di tutto questo servì contro il gigante dalla spada fiammeggiante che lo sovrastò, osservandolo attraverso la maschera che indossava.
    «Richiamalo… madre».
    Il colpo della spada che lo trafisse fu così devastante che Jon si accasciò in avanti e si premette una mano contro il petto, portandosela poi davanti agli occhi solo per sgranare le palpebre e vederla completamente sporca di sangue; tossì e altro sangue si accumulò nella sua bocca, scivolando agli angoli delle sue labbra fino a scendere verso il mento e il collo, con le forze che lo abbandonavano e le palpebre pesanti. Udì delle voci intorno a lui che chiamavano il nome di Damian e cercò inutilmente di sollevare le palpebre, sentendole come cucite mentre il buio si impossessava ancora di lui; gli occhi bruciavano sotto il velo delle ciglia e la testa gli scoppiava, ogni volta che provava ad aprire la bocca aveva la sensazione che una grossa mano gliela tenesse chiusa a forza e gli mozzasse il respiro, agitandosi in uno spazio sempre più ristretto e freddo. Si sentiva piccolo, compresso, il cuore gli era schizzato via dal petto e grattò spaventato su quelle quattro mura in cui era rinchiuso, strappandosi le labbra per riuscire ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola; grosse catene gli afferrarono i polsi per trascinarlo verso il basso nonostante lui cercasse di lottare con tutte le sue forze, di attingere ai suoi poteri kryptoniani e di spezzarle, ma ogni tentativo sembrava più inutile del precedente e lui sprofondò fra le fiamme, gridando il nome di suo padre. Ma non era davvero suo padre quello che cercava, urlava il nome di Bruce: chiedeva perdono per le sue azioni, per ciò che aveva fatto, per i peccati che aveva commesso, e lo ripeteva in un ciclo infinito mentre quelle catene si stringevano intorno al suo collo, spezzando il respiro.
    Jon non aveva mai provato niente di simile in tutta la sua vita. Era soffocante, gli stritolava il cuore e gli impediva di respirare, aveva la sensazione che i suoi occhi fossero iniettati di sangue e che esso fuoriuscisse anche dalle sue orecchie, e scalciò a più non posso nel disperato tentativo di scacciare quel dolore. Era troppo, più terribile della kryptonite e più caldo delle fiamme dell’inferno, e Jon si sentì sciogliere mentre i capelli prendevano fuoco e la carne sulle sue ossa veniva strappata senza sosta, ancora e ancora, come se piccole bestie si stessero cibando di essa e lo stessero dilaniando, incuranti del dolore che sentiva e che gli stavano infliggendo. Tornare alla vita fu una liberazione, fu una boccata d’aria fresca in quello zolfo che aveva respirato per quelli che gli erano apparsi secoli, e Jon ruppe con forza le catene che lo avevano tenuto ancorato lì, piangendo e urlando fino a ritrovarsi fra le braccia di Bruce e del resto della famiglia.
    Non c’era più sofferenza, non c’erano più lacrime; il senso di colpa e gli incubi erano però rimasti e c’era ancora molto da fare, molto da mettere al proprio posto, in un viaggio solitario in groppa a quel cucciolo di drago-pipistrello che aveva risparmiato e che era diventato nel corso degli anni suo fedele compagno. La vera redenzione lo aveva portato a farsi domande su se stesso, a capire quante cose aveva sbagliato e a quante ancora avrebbe potuto porre rimedio, e anche Jon sentì il proprio cuore più leggero, sorridendo mentre ogni piccolo tassello tornava al proprio posto e lo portava finalmente ai giorni che lui stesso aveva vissuto insieme a Damian. Il loro primo incontro, il momento in cui avevano cercato di prendersi a botte e avevano poi collaborato per superare delle prove, la costrizione nel fare squadra e il successivo avvicinarsi, finché entrambi non si erano considerati l’uno amico dell’altro e, dopo l’incidente con i Titani del Futuro, Damian non aveva promesso a suo padre che non sarebbe mai stato in pericolo.
    Tutto cambiò ancora, si sgretolò fra le dita di Jon mentre pareti di metallo si innalzavano intorno a lui, una prigione metaforica che Damian si era creato quando lui era partito per lo spazio e dove aveva chiuso tutti i suoi sentimenti, senza permettere a nessuno, nemmeno a sé stesso, di entrare ancora. Jon batté i pugni contro quelle pareti nel tentativo di abbatterle, ma erano solide e fatte di piombo, e fu difficile persino guardare attraverso; il solo provarci faceva male agli occhi e gettarsi contro lo faceva rimbalzare all’indietro, così come volare lo sbatteva nuovamente a terra come se una mano invisibile lo afferrasse per il mantello e lo schiacciasse al pavimento; sporadicamente comparivano dei cassetti sui quali Jon provava ad arrampicarsi, ma quei cassetti si aprivano e lo inondavano delle emozioni e dei ricordi che Damian aveva chiuso fra quelle quattro mura, soffocandolo finché non mollava del tutto la presa. Un minimo di sollievo si era fatto spazio quando Jon era tornato sulla terra, seppur invecchiato di sette anni, salvo poi scomparire un paio di anni dopo quando lui era stato richiesto dalla Legione, anche se stavolta si erano lasciati con la promessa che sarebbe tornato presto.
    Le pareti si chiusero ancora, sempre più strette, soffocando Jon che cercava di scostarle da sé. Sentiva la voce di Damian, le sue discussioni con Bruce, l’affermazione su quanto i suoi metodi fossero ormai obsoleti e Bruce che gridava a Damian di tornare indietro, ma Jon non riusciva a capire che cosa stesse succedendo davvero. Qualche immagine faceva raramente breccia e gli mostrava una tuta rossa e nera, un costume abbandonato su di un tetto e delle montagne innevate, ma era tutto ancora così vago che Jon fu costretto a strofinarsi le palpebre per cercare di mettere a fuoco qualcosa.
    Stava quasi perdendo le forze quando un piccolo spiraglio di luce sbucò in un angolo di quella prigione, è Jon arrancò fra la neve nel tentativo di raggiungerlo; affondò le dita in esso e tirò, gridando per lo sforzo che parve strappargli i muscoli, e fu costretto a schermarsi gli occhi per riuscire a vedere qualcosa e capire dove si trovasse. Era la stessa landa innevata che aveva visto la prima volta, lo stesso posto fra le montagne che per lui non aveva alcun senso, ma che per Damian doveva significare sicuramente qualcosa. E Jon perse un battito quando vide quell’uomo di schiena, quell’uomo dal battito inconfondibile e dall’odore penetrante, e per poco non pianse quando fece un passo avanti. Era lì, ci era riuscito.
    «Damian…» sussurrò, e stavolta fu la sua voce, una voce roca e tremante, ma non se ne curò, cercando solo di afferrare Damian quando quest’ultimo stavolta parve voltarsi verso di lui e sorridergli per un istante prima di muovere le labbra.
    «Jonathan!»
    Jon annaspò e cadde in avanti sulle ginocchia, le palpebre spalancare e i palmi premuti contro il pavimento mentre cercava di riportare il fiato nei polmoni. Aveva la mente ancora confusa a causa di ciò che aveva visto fino a quel momento, ma ben impressi negli occhi le iridi verdi di Damian. C’era vicino. C’era così vicino che avrebbe potuto allungare una mano e toccarlo con un dito, invece…
    «Perché hai interrotto l’incantesimo, Zee?!» urlò arrabbiato mentre si rimetteva in piedi, le emozioni offuscate da quelle che aveva provato nei ricordi di Damian. La testa gli faceva male e sentiva ancora nelle orecchie le voci di tutti quegli uomini che osannavano la Testa del Demone, un mormorio continuo che cresceva sempre più come un’onda anomala.
    «Stava diventando pericoloso, avresti potuto--»
    «L’avevo quasi trovato!»
    «Jon… se Damian avesse voluto farsi trovare, la mia magia lo avrebbe già localizzato e tu avresti sentito il battito del suo cuore. Forse dovresti cominciare a pensare alla possibilità che Damian sia--»
    «Non dirlo nemmeno per scherzo, Zatanna!» si alterò Jon, prestando così forte un piede a terra nel fare un passo verso di lei che, per un istante, parve creare un piccolo terremoto. «Rimandami indietro».
    «I ricordi di un Al Ghul sono un luogo infido, Figlio di Kal-El».
    La voce di Giovanni Zatara fece sussultare entrambi, poiché nessuno dei due aveva sentito la sua presenza finché non era stato lui stesso a mostrarsi a loro. Ma Jon non aveva tempo per quei giochetti, aveva sentito qualcosa e voleva seguire quella sensazione anche a costo della propria vita, se fosse stato necessario.
    «Quando vorrò sentire qualcuno farmi la morale per le mie decisioni andrò da mio padre, Zatara. Grazie».
    «Jonathan, mio padre ha ragione». Zatanna gli poggiò una mano su una spalla, osservandolo nonostante lo sguardo del giovane fosse infuocato. «Hai attraversato una marea di ricordi, un piccolo cosmo che si è plasmato nel palmo della tua mano e nei meandri del tuo cervello; concediti del riposo, e se vorrai riprovare tra qualche settimana, noi--»
    «Qualche settimana?» la interruppe di nuovo, scacciando quella mano dalla spalla prima di puntarle contro il dito. «Sono stato via per sei settimane e ho scoperto che qui erano passati anni, Zatanna. E in questi anni nemmeno Bruce si è preso la briga di cercare suo figlio!»
    «Non puoi sapere per quali ragioni non l’abbia fatto».
    «E nemmeno me ne importa». La mascella di Jon si indurì, il volto divenne come pietra per attimi scanditi dai rintocchi dell’orologio a pendolo, finché Jon non sentì qualcosa ruzzolare via dai suoi occhi e si portò due dita ad asciugarsi una guancia, rendendosi conto che aveva cominciato a piangere. «Glielo avevo promesso. Gli avevo promesso che sarei tornato presto». Si morse il labbro inferiore, strofinandosi gli occhi con furia. «Com’è potuto accadere tutto questo?»
    Comprendendo il suo dolore, fu Zatara stesso a cingergli un braccio, stavolta senza essere respinto da quel giovane che tremava e sussultava nel suo dolore. «Non lo sappiamo, ragazzo. Ma ti promettiamo che ti aiuteremo a ritrovare Damian».
    Jon voleva credere a quelle parole, voleva farlo davvero. Aveva passato le ultime sei settimane a pensare a come avrebbe fatto a confessare a Damian ciò che provava, a quanto significasse per lui e che nulla di quello che aveva sempre sentito nei suoi confronti era cambiato dalla sua partenza… ma aveva perso tutto. Aveva perso anni preziosi prima e dopo, aveva sentito qualcosa spezzarsi e non avrebbe mai più potuto recuperare quello che si erano lasciati indietro; era partito con la Legione a vent’anni e ne avrebbe compiuti ventuno tra pochi mesi, lasciando Damian quasi alla soglia dei diciotto… salvo più scoprire che anziché sei settimane, erano passati altri sei anni. Per quanto sembrasse uno strano scherzo del destino e fossero tornati ad avere la stessa differenza d’età che avevano avuto al principio, nulla avrebbe potuto guarire il cuore di Jon al pensiero di tutti quegli anni sprecati, anni in cui avrebbero potuto imparare a conoscersi ben più come amici, ad affrontare insieme il cambiamento e la crescita e superare insieme quelle sfide. Tutto era distrutto esattamente come nei ricordi che aveva attraversato per ore ed ore, e sentiva il cuore così pesante da fargli male il petto.
    «Solo un’ultima volta», pregò, sentendosi soffocare nelle sue stesse lacrime. «Soltanto un’ultima volta».
    Giovanni e Zatanna si scambiarono un’occhiata, poi osservarono la figura del figlio di Superman. La schiena curva, le mani al viso, le spalle tremanti e accasciato nuovamente in ginocchio… lì, in quella casa, in quell’istante, non era affatto l’uomo d’acciaio. Era un giovane che aveva sofferto e il cui cuore continuava a sanguinare come quello di qualsiasi essere umano.
    «Un’ultima volta», dissero in coro, prendendo posto alla destra e alla sinistra di Jon prima di trarre un lungo respiro; si guardarono e, sollevando entrambe le braccia, l’aria intorno a loro parve cominciare a crepitare come se fosse sul punto di incendiarsi, finché la luce non esplose in un lampo azzurro. «Icartsom i idrocir ni otseuq etnatsi!»
    Jon venne nuovamente catapultato nel gelo, risucchiato dall’oscurità, ripercorse passo dopo passo ciò che aveva provato fino a quel momento ma ad una velocità più alta del normale, sentendo il cuore balzare forte nel suo petto ad ogni ricordo che attraversava a nuoto; faceva male, molto più male di prima, e fu senza fiato che arrivò nuovamente a destinazione, fra la coltre di neve bianca e accecante. Stavolta non c’era nessuno, e Jon temette di aver ormai perso la propria occasione, che discutere con i due maghi gli avesse fatto sprecare del tempo prezioso in cui avrebbe potuto trovare Damian, e si sentì male al solo pensiero che forse non avrebbe potuto rivederlo mai più.
    «Ero stanco di aspettare».
    Jon per poco non sussultò, voltandosi alla sua destra: non aveva sentito alcun battito, eppure un uomo in una pregiata tunica verde e oro era seduto su una roccia che sporgeva fra la neve, le mani abbandonate in grembo per stringere un elmo dalle fattezze di Anubi; aveva il volto nascosto a metà da una maschera, ma Jon non avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi verdi che lo stavano osservando con estrema attenzione.
    «Damian… D… mi dispiace, mi dispiace così tanto…»
    «Non dirlo neanche».
    La voce di Damian era dolce, più dolce di quanto Jon ricordasse, per quanto fosse resa più roca e profonda dall’età e dal continuo cercare di rendere il tono più autoritario possibile. Jon non sapeva cosa gli fosse successo, non aveva la minima idea di cosa avesse dovuto passare Damian in quegli anni e quanta sofferenza avesse dovuto sopportare, ma il suo corpo si mosse prima ancora che il suo cervello potesse dare segnali ai nervi e volò dritto verso di lui, stringendolo in un abbraccio da togliere il fiato.
    Damian non lo scostò, poggiò la fronte contro la sua spalla e chiuse gli occhi, artigliando la stoffa del suo mantello come se non volesse più lasciarlo andare. «Non pensavo mi saresti mancato così tanto», mormorò, e Jon affondò il viso fra i suoi capelli, inspirando l’odore di incenso e the al gelsomino.
    «Mi sei mancato anche tu, D», sussurrò, sentendo Damian sospirare contro la sua spalla qualche momento dopo.
    «Come mi hai trovato?»
    «Zatanna. Magia antica».
    Jon si prese un attimo, conscio di come sarebbero potute essere lette quelle parole, e le sue aspettative non furono deluse: Damian si scostò per un istante, quanto bastava per guardarlo in viso con quei suoi occhi smeraldo e abbassare la maschera per mostrare le labbra arricciate. Aveva compiuto un gesto estremo, lo sapeva lui come lo sapeva Damian, ed era il motivo dell’espressione che aveva adesso dipinta in viso.
    «Sei per metà kryptoniano, siete refrattari alla magia. Avresti potuto morire. Più resti qui nel limbo di Nanda Parbat, più sei in pericolo».
    «Era un rischio che ero disposto a correre. Se non lo avessi fatto, non avrei mai saputo dove sei. Non hai reso le cose facili».
    Tacquero entrambi, stretti in quell’abbraccio desiderato da tempo e da anni sognato, senza sentire la necessità di proferire parola riguardo ciò che provavano; i loro gesti parlavano per loro, urlavano i loro sentimenti e li avvolgevano come una calda coperta nel bel mezzo di quella neve, finché Damian non sospirò, poggiandosi una mano contro il petto mentre il volto si contraeva in una maschera di dolore sotto lo sguardo incerto di Jon.
    «Stai bene?» chiese, ma Damian scosse il capo.
    «Il mio tempo è agli sgoccioli, c’è un traditore nella Lega e sta cercando di rovesciarmi per prendere il controllo. Mentre parliamo, il mio corpo sta lottando contro di loro insieme ai pochi che mi sono rimasti fedeli».
    Jon gli afferrò il viso fra le mani, fissando quegli occhi che lo osservavano a loro volta con fare vagamente smarrito. Per quanto fossero solo un’illusione, a Jon si strinse il cuore nel leggervi quella che sembrava essere paura. «Non ti lascerò morire, D. Verrò a salvarti».
    «Jon…»
    «Mi hai capito? Non ti lascerò morire!»
    Quella visione sparì e Jon si ritrovò ad abbracciare la fredda inconsistenza del fumo, abbassando il capo per fissarsi le punte degli stivali sotto lo sguardo accorato di Zatanna. Ma una nuova speranza era sbocciata in lui, una speranza che aveva un nome e un cognome, una speranza che credeva ormai spenta da tempo e che non doveva far altro che raggiungere. E con un ultimo ringraziamento spiccò il volo, lasciandosi alle spalle solo candele consumate, odore di fumo e cera e fogli sparsi in aria, con la mente volta ad un unico attimo.
    Volò, volò tutta la notte e attraversò deserti e oceani, lunghe distese montuose e catene innevate, verso un luogo in cui avrebbe potuto salvare Damian e stringerlo davvero fra le sue braccia.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora. Questa storia non solo è stata scritta per per l#200summerprompt indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom, ma anche per il Summer of Secrets (che sarebbe una specie di Secret Santa in cui un autore scrive una storia per qualcun altro come regalo) del gruppo  facebook Hurt/comfort Italia
Diciamo che è stato un vero e proprio ottovolante di emozioni e ricordi, poiché durante l'arco della storia Jon si immerge letteralmente nelle memorie di Damian grazie alla magia. Dal momento della sua nascita (nell'incubatrice) al momento in cui si allena, cresce, incontra suo padre... la sua morte e la sua rinascita, la sua redenzione e la sua scomparsa. Insomma, in maniera romanzata, quella è la vera vita di Damian Wayne. E non è stata facile nemmeno per Jon.
Due note veloci: i maghi come Giovanni e Zatanna usano la magia esprimendo incantesimi al contrario, e quello che usano per Jon dice praticamente «Mostraci i ricordi in questo istante!». Tutto qui. Ah ah cme sono spiritosa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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