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Autore: Persefone26998    22/09/2022    0 recensioni
"... lo sa che forse neanche può davvero aspirare a definire il significato di vita; ma cos’è essa se non l’atto cosciente di provare emozioni e di imparare dal mondo attorno a sé..."
Liberamente ispirato alla Story Quest di Tighnari
P. S. Cyonari... sì, sono in fissa con sta coppia, c'è sempre la coppia fluff con cui entro in fissa in ogni nazione di Teyvat XD
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Bimbis, va da sé che prendendo spunto dalla Story Quest di Tighnari, ci sono spoiler giganteschi qui; lettore avvisato, mezzo salvato
 
Il clima a Gandharva Ville ha sempre quell’umido stagnate delle foreste che si attacca alla pelle come un vestito troppo stretto, una patina sudaticcia che ai meno esperti potrebbe increspare i capelli sul capo senza avvisaglie; per Tighnari, nonostante il fastidio per la complicata routine di cura della propria coda che quelle case appollaiate sul fiume comportano, c’è un certo che di confortante nell’ambiente così denso e impregnante, in quella sorta di abbraccio della foresta stessa a memento del non esserne altro che una sua parte staccata dipendente da essa. Che gli esseri umani della natura spesso si considerino solo nelle differenze e non nella rete invisibile che serpeggia e unisce i singoli al tutto, è qualcosa di talmente comune che Tighnari ha smesso di farci caso da quando ha iniziato il suo lavoro come leader dei Forest Ranger di Avidya; che questo comporti il totale disrispetto per la natura che li circonda, quasi non fossero essi stessi parte di quel circolo vitale, è qualcosa che probabilmente non riuscirà mai a scendere sotto pelle.

Questo ai tempi dell’Accademia gli era costato gli sguardi stralunati di chi vedeva in lui solo un illuso sognatore – e lo sa Tighnari dei sogni cosa si pensa tra le aule dell’Accademia – occhi che, nel silenzio ipocrita degli adulatori che cercano continuamente di tirarlo di nuovo in quella bolgia infernale, ancora oggi erano in grado di renderlo sempre più fiero del modo in cui aveva reciso i suoi rapporti con quel teatrino imbellettato; per essere persone che disprezzavano l’arte, Tighnari non poteva dire che i maestri dell’Accademia non fossero bravi nelle loro recite da sapienti, tesi ad imbonire le menti brillanti per piegarle agli scopi di un sistema rigido che più che ricercare la conoscenza la ingabbiava in un complesso di regole spesso insensate.

Che senso c’è nella sapienza se non è nella curiosità il suo motore primario? Che senso c’è nel piacere della scoperta se essa non scivola assieme al flusso dell’esistenza in cui tutti sono legati e divisi su Teyvat? Che senso ha la ricerca se essa non rispetta quel mondo in cui gli è concesso di vivere? Le persone tendono a dimenticare così facilmente quanto loro non siano che un pezzo di quella terra, come un fiore, un albero o un qualsiasi altro animale; quanto la vita di ogni essere vivente abbia più dignità di un esperimento o di una tesi, anche se fatta di viti e bulloni.

Forse è per questo che Tighnari sente che non sarà mai se stesso in nessun altro posto al di fuori della foresta di Avidya, lì dove le stelle sembrano fiammelle appuntate nel cielo notturno e dove la terra sa di pioggia e di humus, dove seduto sul ramo più alto si può ammirare il girotondo del sole e della luna fino a cadere addormentati nella disattenzione; perché tutto diventa armonia nella foresta.

La lama del coltello con cui sta tagliando gli ingredienti per la cena per poco non gli recide un dito mentre si perde in quei pensieri, un piccolo graffio insignificante campeggia sull’indice e brucia come se fosse stato immerso in una ciotolina di peperoncino; pensa che in fondo non lo sa perché si stia perdendo in tutto quel risentimento stasera, perché il rimuginio continuo nel fondo delle sue orecchie sembra non volergli dare pace come un Aranara dispettoso che si diverte a sussurrargli nelle orecchie.

Forse è la continua pressione delle lettere gettate alla meno peggio sulla sua scrivania, quella gabbia soffocante in cui sente mille spuntoni spingergli lungo la carne con su la firma del suo maestro; forse è la recente visita dei delegati dell’Accademia, con quel loro tono saccente e quello sguardo di mascherato disprezzo che deve farsi piccolo davanti alla prospettiva di tirarlo nei loro piani; forse sono gli occhi di Collei che sembrano sempre troppo grandi e coraggiosi per la sofferenza che si portano dentro, che fanno germogliare l’orgoglio del maestro che vede la propria allieva sbocciare per scontrarsi con quegli assurdi manierismi dell’Accademia; forse è la sua piccola avventura con Lumine e il senso di responsabilità che sente tirargli il collo ogni volta che guarda la foto di Abattouy o che Karkata gli fa le feste quando lo vede.

Non avrebbe saputo dire esattamente cosa l’avesse spinto a portare con sé quella foto, ricorda a mala pena i dettagli di quando sia stata scattata o che genere di persona fosse quella accanto a lui; non aveva mai avuto un carattere abbastanza socievole e solare da farsi dei veri amici ai tempi del suo percorso di studi, molto spesso dubita ancora che possa dire di averne qualcuno nella sua attuale posizione all’infuori dei suoi allievi. Non che la solitudine l’avesse mai spaventato, lui che spesso la ricercava con ardore pur di non sentirsi ingabbiato in una messa inscena di salamelecchi e rumori assordanti per le sue orecchie, né era davvero in grado di definire dove terminasse il rapporto di rispetto e orgoglio reciproco con Collei e dove iniziasse l’affetto per quella ragazza, né sapeva quanto amore e amicizia si mischiassero in un equilibrio perfetto sulla bilancia della sua vita con Cyno; è che guardando la foto di Abattouy, un po’ si sentirà sempre responsabile del suo triste destino.

- Hai intenzione di restare lì a fissarmi ancora per molto?

Si asciuga velocemente le mani e si ripromette di applicare un unguento prima di andare a dormire, gli occhi di Cyno gli rendono difficile concentrarsi su quelle domande troppo complesse e polimorfiche in quel momento; l’altro ha sempre quel passo felpato e gentile che sembra levitare sulla terra, tanto che per qualcuno che non è della sua specie sarebbe impossibile sentirlo arrivare, soprattutto con la pioggia che ha cominciato a cadere fuori dalla stanza e si allieta nell’ovattare il mondo.

- Non commetto nessun crimine nell’ammirarti

Eppure, in verità, è l’odore di Cyno quello che arriva sempre prima del rumore dei suoi passi; lo riconoscerebbe anche in mezzo alla tempesta più violenta, anche nella folla brulicante dove gli odori si mescolano e diventano uno, lo riconoscerebbe anche se fosse cieco e sordo e brancolasse nel buio delle notti senza stelle: sa di deserto Cyno, del sole caldo che fa evaporare l’acqua nelle oasi e disperde l’odore dei tamarindi e delle Ajilenakh, sa della terra nuda e delle rocce calcaree che fanno sembrare l’aria salmastra nelle loro vicinanze, sa della legna bruciata attorno a un falò e dello zafferano in fiore. Sa di Cyno e Tighnari è sicuro che questo è qualcosa che anche la foresta non potrà mai dimenticare.

- Cos’è quello sguardo arrabbiato allora?

Lo osserva appoggiato indolentemente al tavolo, solo la pioggia e lo stufato che bolle sulla stufa spezzano il silenzio in cui sono immersi e può dire, qualsiasi sia il motivo dello sguardo così serio di Cyno, che vorrebbe essere un po’ più egoista e avvicinarsi per quell’abbraccio che sente il bisogno di avere dopo tutto quel senso di colpa che sembra aver deciso di annodarglisi nel petto; specialmente se quell’abbraccio viene dall’uomo che ama.

- Karkata

- Spero che tu non sia qui per sciorinarmi la legislazione dell’Accademia, preferisco le tue battute orribili onestamente

- Cosa ti passa per la testa? Hai la vaga idea di quello che sarebbe successo se la tua lettera non fosse arrivata direttamente a me, ma a qualcun altro del Matra?

Non serve rispondergli, a Cyno basta uno sguardo per capire che non gli sarebbe importato, che le regole dell’Accademia sono quanto di più assurdo possa esserci per lui e che l’avrebbe difesa con le unghie e con i denti la sua posizione; è suo compito proteggere la vita, come guardia della foresta e come figlio che prende da essa e deve restituire, è suo dovere e diritto tenere le proprie posizioni di fronte all’ingiustizia, perché sente che se anche solo un punto verrà perso allora tutto smetterebbe di avere un senso, come le ceneri di un falò.

Lo sa cosa tutti penserebbero di quel suo modo di vedere le cose, lo sa che per nessuno a parte lui e la viaggiatrice il piccolo granchio meccanico è vivo, lo sa che forse neanche può davvero aspirare a definire il significato di vita; ma cos’è essa se non l’atto cosciente di provare emozioni e di imparare dal mondo attorno a sé, tanto che forse un agglomerato biologico non ha più diritto di definirsi vita rispetto a qualcosa di più complesso come un robot? Come sia possibile definire il limite entro cui circoscrivere la vita, quali meccanismi biologici e quali connessioni di pensiero imbriglino a pieno questo concetto, Tighnari non crede che nessuno potrebbe mai scoprirlo davvero; c’è forse qualcosa di molto più filosofico che scientifico in quelle domande, c’è forse un concetto molto più astratto che potrebbe costargli di scoperchiare il vaso di Pandora del Cataclisma, un abisso che se solo ci guardasse dentro finirebbe ad inghiottirlo.

- Ha cercato di riparare il suo proprietario, anche se non è mai stato programmato per farlo, ignorando la sua stessa conservazione

- Non è questo il punto, hai falsificato il rapporto nascondendo delle ricerche illegali... senza contare che quel robot potrebbe essere pericoloso

- Se sei qui per arrestarmi, Generale Mahamatra, aspetta almeno che Collei abbia cenato!

Ci sono quei brevi folli momenti in cui detesta Cyno con tutte le sue forze, quando si comporta più come il Generale Mahamatra ligio ai dogmi dell’Accademia e meno come l’uomo giusto che è in grado di scardinare dall’interno il marcio di quella nazione, tanto che girarsi verso la tavola pur di non vederlo sembra l’unica soluzione per non finire ad alzare la voce e rovinare i pochi attimi che gli sono concessi assieme, pochi istanti lunghi quanto il battito d’ali di una falena in cui possono mettere da parte i loro ruoli ed essere solo se stessi; e non vuole passarli a litigare, hanno già sprecato troppo tempo negli anni precedenti in quella rincorsa vaga ai loro sentimenti.

Lo sa che in fondo ha ragione, che a furia di esporsi sempre a pericoli finirà per bruciarsi la coda un giorno, come una continua passeggiata sulla fune in cui si ostina a non guardare lo strapiombo sotto i suoi piedi. Ma sa anche che l’altro capisce quanto Tighnari non possa neanche pensare di piegarsi a quel sistema vile e sconsiderato di ricerca, metodi amorali che avviliscono il senso stesso della conoscenza piegandola ai propri scopi e non alla fame naturale che porta le innovazioni; e Karkata è vivo, lo sente che in qualche modo Abattouy sia riuscito a creare qualcosa di impensabile in una forma primitiva, sente che se lasciasse i Saggi smantellarlo per una legge che potrebbero cambiare solo a proprio beneficio, se ne pentirebbe per sempre ed è suo compito salvaguardare la vita in qualsiasi forma essa si presenti.

Le braccia di Cyno gli circondano la vita delicatamente, potrebbe spostarle in qualsiasi momento e mettere una distanza ferma in quel litigio silenzioso in cui si sono chiusi; ma il suo odore è così forte in quel momento che Tighnari si sente debole, con quei sensi di colpa che gli stanno rosicchiando le orecchie da giorni anche se niente di quello che è successo ad Abattouy sarà mai responsabilità sua. Com’è vile l’uomo nel cercare conforto in qualcun altro; e com’è vile chi per questo lo chiama vile.

- Non volevo alzare la voce, mi dispiace, sono solo preoccupato per te

- Tranquillo, so cavarmela nel caso qualcuno decida di impicciarsi dei miei affari

- Non lo faranno, ho garantito personalmente, quel granchio è ufficialmente le tue chele da giardino

Si lascia scivolare nell’abbraccio dell’altro senza cercare di nasconderlo, i capelli bianchi liberi da quel suo ingombrante cappuccio gli solleticano il collo mentre reclina la testa per guardarlo; vorrebbe dire talmente tante cose che non trova le parole in quel momento, vorrebbe tanto scusarsi per tutte le volte che l’altro si era ritrovato a usare la sua influenza per coprire tutte le sue infrazioni, piccole o grandi che fossero. Vorrebbe non metterlo sempre nella stessa situazione, come un cane che rincorre in circolo la sua stessa coda, e vorrebbe ringraziarlo per tutte le volte che si era sentito compreso e sostenuto, specialmente questa.

- E le mie battute non sono orribili, dovresti ascoltarle... sai per sentirti meglio

- Ci tieni così tanto a dormire sotto la pioggia stasera?

Vorrebbe, ma il sorriso sbilenco di Cyno gli dice che non sono necessarie parole tra di loro, quasi quegli occhi rossi potessero aprirgli in due la mente e leggere qualsiasi pensiero dal fondo della sua pupilla; è quasi spaventoso il modo naturale che hanno di capirsi, quasi nel tempo l’uno fosse diventato l’altro fino a che Tighnari spesso non sa più distinguere dove inizi lui e finisca Cyno.

Può distinguere i limiti fisici tra di loro, lo spazio che occupano, il profumo che hanno e il ritmo diverso dei loro respiri, anche quando le labbra dell’altro si appoggiano sulle sue come una foglia che danza nel vento autunnale fino al suolo e tutto il mondo sembra avere l’odore e il sapore dell’albino; può distinguere le loro divergenze, i diversi ruoli che ricoprono in quella società e il diverso approccio che essi comportano nei confronti di ciò che accade. Può distinguere tanti aspetti concreti, eppure ci sono dei momenti in cui quando si guarda gli sembra di vedere se stesso negli occhi di Cyno e sa che per l’altro è lo stesso.

- Maestro Cyno!

La voce di Collei fa esplodere la bolla in cui si sono rinchiusi, la pioggia sembra scrosciare solo con più insistenza mentre la ragazza si toglie le scarpe bagnate e si lascia abbracciare da Cyno, un fiume di parole le scorre dalle labbra mentre comincia a snocciolare i dettagli dei suoi miglioramenti occhieggiando a lui per avere sostegno; gli si scalda il cuore a vedere quanto Collei voglia rendere orgoglioso anche Cyno dei suoi progressi, quasi vorrebbe poter scambiare i loro occhi e permetterle si guardarsi nel modo fiero in cui lui e l’altro la vedono.

La foto di Abattouy scivola nel cassetto della sua scrivania, mentre gli altri due parlano in sottofondo e l’albino si lamenta di come lo stufato senza peperoncino sia insipido; forse, pensa guardandoli, capisce cosa abbia spinto Abattouy a continuare nelle sue ricerche, quanto sottile sia la linea tra egoismo e l’amore, quell’amore che si manifesta anche nel lottare per poter stare con le persone che si ama o nel cercare assiduamente uno scopo alla propria esistenza. Forse è questo il senso ultimo nel definire la vita, forse è questo che rende Karkata qualcosa in più di un agglomerato di metallo e comandi: i legami che spingono a mettere da parte anche un programma preimpostato di sopravvivenza per l’amore verso il proprio creatore.

Forse nessuno potrà mai arrivare davvero a discernere cosa sia la vita da cosa no, quale che sia la risposta per lui saprà sempre della risata di Collei, del profumo di Cyno e della terra umida delle foreste di Avidya sotto la pioggia scrosciante.
 
Angolino del disagio
Piccole note a piè di pagina: ci tengo a far presente che questa storia è stata scritta prima della release di Cyno, quindi mi sono basata molto sulle voiceline di Tighnari e Collei e sulla live della 3.1 per scrivere il suo personaggio; prendete tutto con le pinze
E niente, vi comunico che Tighnari è ufficialmente la mia guida spirituale di Genshin, un applauso a chi lo scrive e al VA.
Alla prossima
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