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Autore: sakusadokja    28/09/2022    1 recensioni
[kurotsukki, 2100 parole]
Accade una piccola grande rivoluzione quando ci si innamora per la prima volta, c’è un prima e un dopo, e un non ritorno. Si segna un punto da qualche parte e da questo tutto il resto acquisisce un senso in sua precisissima funzione. E’ come vedere un corpo farsi cadavere, scoprire che quella cosa lì che ad un certo punto si dice capiti a tutti - morire ed amare, si intende - non è solo una macabra diceria: succede sul serio ed inevitabilmente.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akiteru Tsukishima, Karasuno Volleyball Club, Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Accade una piccola grande rivoluzione quando ci si innamora per la prima volta, c’è un prima e un dopo, e un non ritorno. Si segna un punto da qualche parte e da questo tutto il resto acquisisce un senso in sua precisissima funzione. E’ come vedere un corpo farsi cadavere, scoprire che quella cosa lì che ad un certo punto si dice capiti a tutti - morire ed amare, si intende - non è solo una macabra diceria: succede sul serio ed inevitabilmente.

*

“Non possiamo aspettare la mezzanotte insieme?”

“No, domani c’è scuola e devo dormire almeno - almeno - sette ore, quindi adesso attacco, ciao”

“Tsukki, tu vuoi proprio farmi prendere il primo shinkansen che trovo per Sendai, vero?”

“Lo sai benissimo per dove te lo farei prendere piuttosto. Ripeto, adesso chiudo”

E Kuroo di risposta ride dall’altra parte della cornetta ed è una cascata di vocali fastidiosamente ipnotica, come i frinii, i tuoni, il motore della sua stupida moto sotto casa, le molle del letto che cigolano quando ci si siede sopra e lo raggiunge.

“Allora facciamo così, ti concedo questo - dato che ci tengo al riposo dei miei kouhai…”

“Ti ripeto che non sono un tuo kouhai…” commenta un po’ tra sé e sé Kei, piano, tanto Tetsuro il commento lo sa benissimo, come sa benissimo che quei titoli da un bel po’ stanno stretti ad entrambi. 

“...Chiamami tu domani”

“E che ci guadagno”

“Così posso farti gli auguri come si deve. Ma decidi tu come e quando. E non potrai dirmi che ti ho disturbato, che ora non puoi, che devi fare questo o quello”

“Continuo a non vedere cosa ci guada-”

“Vai a dormire, Tsukki. Buonanotte”

“Notte”

Kei dorme a malapena quattro ore dopo quel Chiamami tu domani. 

Chiamami tu domani. 

Chiamami tu domani. 

Chiamami tu domani. 

*

A sei anni Kei palleggia distrattamente contro la parete di casa, fuori in giardino. Punta sempre ad una mattonella precisa, la stessa di ogni pomeriggio, quella alta come Aki, quella a cui deve imparare a mirare se vuole giocare con lui magari un giorno, quella con due lunghi graffi al centro. 

Ad ogni slancio aggiusta la traiettoria della sfera, soffia e si incazza con i suoi piccoli modi buffi da bambino, ma ancora stenta a fare un buon numero (e costante) di rimbalzi. Il colpo si alterna puntuale al canto disordinato delle cicale che lì intorno riempiono l’aria estiva, le orecchie e i pensieri di Kei, e forse è quello a distrarlo, a mandarlo definitivamente su tutte le furie, o a quello oggi ha semplicemente deciso di dare la colpa.

Quando la palla batte storta e cade a terra priva di forza, il ragazzino maledice a denti e pugni stretti quegli esserini innocenti oltre le siepi e per qualche secondo ha la vividissima impressione che lo abbiano sentito sul serio, che ora tacciano impauriti in mezzo al verde. Tsukishima si volta e attende, ma la natura è ferma, il vento appeso tra le foglie più in là sembra averlo lasciato da solo quando, accovacciato, recupera il pallone e scopre la morte per la prima volta. 

La morte ha il volto di una cicala impietrita nell’orma del prato umido curvato dal pallone. La morte non fa paura, è solo un insetto inerme che non vola più, né canta. La morte è l’immagine vuota di quello che c’era prima e che ora non può più essere. E’ la natura ferma. Non fa paura, è una cosa minuscola e immobile tra il verde di un prato, è una cosa che semplicemente accade, senza preavviso, anche per sbaglio.

*

Il 27 settembre è un giorno come tanti altri nel bel mezzo della settimana, quindi in quel giorno come tanti altri Kei rientra a casa dopo gli allenamenti - finiti troppo tardi per i suoi gusti -, si leva le scarpe ma non le cuffie. Anche oggi annuncia senza curarsi della risposta “Salgo in camera, chiamami quando è pronto”. 

Allora se questo 27 settembre è un giorno come tanti altri, perché ci ha messo così poco - meno canzoni del solito - da scuola a lì, perchè è quasi inciampato tra sé stesso, il gradino d’ingresso e i lacci mentre inforcava goffamente le pattine, perchè le scale verso camera sua gli sembrano più lontane dei collaudati due passi e un riff di chitarra? Soprattutto perché adesso Aki che gli si piazza davanti con una trombetta e un cappellino ridicolo in testa lo infastidiscono più del dovuto, in un modo assurdo che quasi vorrebbe spingerlo via con entrambe le mani?

Poi sulle labbra tirate fino ai confini delle guance gli legge un enorme “SORPRESAAA!” e capisce di essere circondato e che la risposta a tutte quelle domande non è il suo compleanno - quel 27 settembre -, ma il nome del tizio a cui inizia a scrivere un messaggio che non poi non manda. 

“Cena a sorpresa. Dammi un’or-” 

Sicuro di voler cancellare il messaggio? 

Indietro | Cancella.

Cancella.

*

A undici anni Kei passeggia distrattamente su e giù per una stanza che non ha mai visto prima. C’è scritto obitorio, sa di acetone e stantio. Non gli piace per niente, vuole già andare via.

“Non devi vederlo per forza” gli fa sua madre arrivandogli da dietro. La mano di Akiteru che avvolge la sua più o meno gli dice lo stesso.

Invece deve, perchè è domenica e di solito la domenica si va comunque dal nonno, quindi deve, deve vederlo. E anche perché pensa cosa ci sarà mai di diverso da quella cicala morta sotto l’ombra del pallone in giardino. Quando si apre la porta è lo stesso, la natura ferma e il vento appeso. Ma lì l’aria non tira perchè sono un piano sotto terra e le cicale di appena cinque centimetri per altri pochi in larghezza - ali e antenne comprese -, nonno come tutti gli Tsukishima sfiora i duecento. 

La morte ha il volto di un anziano - “Non chiamatemi vecchio, mi fate passare per un rincoglionito. Sono solo uno con tanti compleanni alle spalle” -, un volto familiare, accigliato come sempre, ma stavolta freddo. La morte fa paura, è il nonno inerme che non si incazza, nè parla proprio più. La morte è l’immagine vuota di quello che c’era prima e che ora non può più essere - Che faremo domenica prossima, mamma? E’ la natura ferma. Fa paura, è una cosa enorme, alta due metri, una cosa complicata che semplicemente accade, senza preavviso, anche per sbaglio. 

Il nonno era un tipo scorbutico e sveglissimo, nonostante gli anni. Un giorno ha attraversato con il verde e la strada libera, è finito sotto una macchina comunque e adesso la domenica Tsukki non sa più bene cosa fare.

*

A Tsukishima Kei i videogiochi a livelli non sono mai piaciuti. Soprattutto quelli a tempo. 

23:35

Soprattutto quelli che assomigliano ad una cena a sorpresa - una cena a tradimento, si corregge. Soprattutto quelli in cui Tanaka è più fastidioso, Noya più rumoroso, Sugawara più ficcanaso e incredibilmente più acuto del solito - “Come mai guardi tanto spesso il telefono, Tsukishima? Aspetti gli auguri di qualcuno in particolare?”, “No, controllo solo l’orario”, “Ah– Oh. Ricevuto. Dai ragazzi, si è fatto tardi, leviamo le tende, su su”.

23:40

Quelli in cui zia Fumiko ha un improvviso attacco di incontinenza verbale proprio dopo i saluti generali, a tanto così dall’andarsene finalmente via, proprio quando ha già un piede fuori l’uscio. E pure il suo stupido chihuahua non riesce proprio a tenersela dentro, non l’ennesima cosa da dire, ma una scarica di feci e urina.

23:53

Quelli in cui Akiteru alza il gomito e crede di potersi permettere tutti gli atti sconsiderati che da sobrio invece misura. Allunga le braccia, anima i pugni a mo’ di invito verso il fratello che di rimando lo guarda scocciato: sa già cosa sta per chiedergli, cosa vogliono quelle due mani tese verso di lui.

“Dieci secondi?”

Kei annuisce, rassegnato, “Dieci secondi…”, e si lascia stringere dall’altro per quel tempo limitato che una volta ogni tanto, in occasioni rare, gli concede. Dieci è il risultato di una stima precisa di affetto variabile, una vittoria recente. Quei secondi sono stati cinque, otto, poi zero, niente. 

“Tre?”, “Tre, va bene”

“Aki?”, “Sì?”, “Torniamo a dieci”.

“Tempo scaduto” annuncia Tsukki divincolandosi dalla morsa dell’altro. Lo tira via come può, ma l’alcol oggi lo ha reso straordinariamente forte. E pesante. E melodrammatico. 

“Altri cinque, daiiiii” gli preme il volto contro “E’ il tuo compleanno!”

“Appunto! E’ il mio compleanno, non il tuo. Tempo scaduto. Molla”

23:56

“Kei?”

Tsukishima ha sbattuto fuori di casa ogni invitato personalmente - compagno, parente o chihuahua. Non ha bisogno di voltarsi per sapere chi lo ha appena chiamato.

“Mh?”

“Posso averne uno anche io?” 

“Mamma…”

“A me ne basta solo uno di secondo. Promesso”

“Va bene…”

“Fatto” E’ così breve un secondo? “Tanti auguri, Kei…”

Tsukki tiene ancora la donna per le spalle sul punto di dirle qualcosa che non gli esce quando si accorge che qualche metro più in là, sulla parete del corridoio, le lancette dei minuti sfiorano pericolosamente la mezzanotte. Deve correre all’ultimo livello e in camera sua: c’è il boss finale che lo attende. Allora la bacia in fronte e scappa. Aki si lamenta in lontananza, perché a lui non lo bacia mai? Se la prossima volta fanno sette, di secondi, gli può porgere la guancia? “No, Aki, scordatelo!”. 

23:56

Entra in camera e chiude la porta con un colpo di schiena e di tosse.

Aspetta un secondo…

Perché cazzo ha il fiatone? 

Aspetta un minuto.

Perché è corso fin lì?

23:57

Perché non ha detto a sua madre grazie? Perchè non ha concesso ad Aki un altro secondo? Né un bacio la prossima volta? Perché nessuno sembrava voler lasciare andar via? Forse sapevano? Lo avevano visto anche loro? Perché a tavola, a cena, non c’era nemmeno una sedia vuota eppure a Kei ne sarebbe bastata piena una sola? Perché non un augurio gli ha fatto sul serio capire che oggi, il 27, non è un giorno come tanti altri nel bel mezzo della settimana?

23:58

Che oggi è il suo compleanno?

23:59 

Perché ora prima di digitare quel numero ci pensa su un attimo, un altro minuto intero, mentre svuota giacca, zaino, scrivania e i cassetti tutti alla ricerca delle cuffie giuste, quelle per sentirlo meglio? Per sentirlo lui e lui solo, fin dentro le ossa, geloso che persino l’aria possa rubargliene un pezzo? 

23:59:11

Perché ne vuole ogni goccia di quella cascata di vocali, e consonanti, e lunghissime sequenze di sillabe fastidiosamente ipnotica, la sua voce come pezzi dai bpm altissimi che lui detesta ma che comunque fanno ballare tutti, fanno ballare chiunque, anche Tsukki?

23:59:28

Fa un respiro, lo cerca in rubrica. 

23:59:39

Il cavo delle cuffie è ancora tutto attorcigliato ma Kei il primo squillo lo sente benissimo. Gli vibra giù per la pelle.

Tuuuuuuun.

23:59:45

“Tsukki”

23:59:50

“Kuroo”

23:59:58

E’ così lungo un secondo? Kei riflesso nel vetro della finestra di camera sua intravede un ragazzo che non conosce. Ha il fiatone anche quello come lui, lascia l’alone. Le guance rosse, lo sguardo vitreo, la divisa e le cuffie tutte storte in disordine, i fili che pendono in un grosso nodo fino al telefono.

23:59:59

“Tsukki” ripete Kuroo, piano come fosse lì davanti e lo tenesse tra le dita, lento come avesse tutti i secondi dell’infinito “Tanti auguri”

Nessuna formula d’augurio, men che meno quella di buon compleanno, dovrebbe suonare così, eppure Kei ha proprio quell’impressione, l’impressione che Tetsuro lo abbia appena condannato a morte. 

Accade una piccola grande rivoluzione quando ci si innamora per la prima volta, c’è un prima e un dopo, e un non ritorno. Si segna un punto da qualche parte e da questo tutto il resto acquisisce un senso in sua precisissima funzione. E’ come vedere un corpo farsi cadavere, scoprire che quella cosa lì che ad un certo punto si dice capiti a tutti - morire ed amare, si intende - non è solo una macabra diceria: succede sul serio ed inevitabilmente.

L’amore ha il volto di Tsukishima Kei, 16 anni appena compiuti, riflesso sul vetro di camera sua: volto paonazzo, atti sconsiderati e disordine. L’amore fa paura, è un’immagine nuova di quasi centonovanta centimetri. E’ la natura ferma fuori dalle cuffie e oltre l’alone sulla finestra, a circa 300 km da lì. 

L’amore è una cosa complicata che semplicemente accade, senza preavviso, anche per sbaglio, sicuramente per sbaglio, il 27 settembre 2012, il giorno del suo compleanno. La macabra diceria, la rivoluzione, il non ritorno, Tsukishima Kei, 16 anni appena compiuti, che si accorge di essersi innamorato di Kuroo Tetsuro.

00:00:00

"Grazie, Kuroo"

00:00:01

"Lo sapevo che mi avresti fatto aspettare fino all'ultimo, sei veramente tremendo, Tsukki"

"No, tu lo sei, non sai quanto"

 



Ho aspettato tutto il giorno che mi venisse l’ispirazione per qualcosa e solo quando ho capito che era quasi mezzanotte ho preso sul serio a scrivere - poi qualcosa di cui non ho ancora la certezza assoluta e che parla di nuovo di morte e countdown. Quindi scusa Tsukishima, lo so che non te ne frega un cazzo del tuo compleanno, però avrei dovuto farlo comunque prima. 

Tanti auguri di buon compleanno (in ritardo) K. 

   
 
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