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Autore: _Agrifoglio_    30/09/2022    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le catacombe di Parigi


Scala

 
Catacombe di Parigi, 2 novembre 1811
 
La scala a chiocciola si immergeva come un vortice di pietra nelle viscere della terra, tacito viatico verso la Parigi dell’oscurità.
Ogni nuovo passo appoggiato sul gradino inferiore incuteva l’idea di un lento, ma inesorabile sprofondare negli inferi e, come aveva fatto notare, con finta leggerezza, André, in un certo senso, era proprio così.
All’inizio della discesa, avevano camminato girando indietro lo sguardo, quasi a voler catturare ogni sempre più tenue bagliore di luce e, quando erano arrivati al punto in cui i raggi del sole non illuminavano più le pareti e i gradini di pietra, avevano avvertito una morsa opprimente serrare i loro cuori.
Di gradino in gradino, le tenebre si facevano sempre più scure, l’aria più viziata e l’atmosfera più claustrofobica.
Oltre a Oscar e André, erano presenti il Conte di Fersen, Alain che aveva offerto il suo aiuto incondizionato, dando la sua parola che non ne avrebbe parlato con Napoleone, il Colonnello de Valmy, dieci Guardie Reali e altrettante Guardie Municipali, addette al servizio d’ordine nelle catacombe che, con la loro esperienza, avrebbero scongiurato o perlomeno attenuato ogni rischio di smarrimento. Aveva insistito per unirsi al gruppo anche Lisimba, lo schiavo africano salvato da Oscar e da André sei anni prima e rimasto a servizio a Palazzo Jarjayes, dove, oltre a lavorare come valletto, riceveva anche un’approfondita istruzione. L’uomo, col suo sesto senso da cacciatore, aveva intuito la pericolosità della missione e aveva, perciò, voluto seguire i suoi salvatori, verso i quali nutriva un obbligo di riconoscenza e un forte affetto.


Cunicolo

 
Trecento chilometri di gallerie si diramano venti metri sotto Parigi, formando un labirinto inestricabile e soltanto in minima parte esplorato, effetto degli scavi che si protrassero dall’epoca gallo – romana a quella medievale. Le profondità della terra custodiscono, infatti, una sconfinata cava di calcare, per secoli sfruttata senza criterio dai popoli che si sono succeduti nel dominio di quei luoghi, al punto da causare crolli e voragini alla città sovrastante. Per questa ragione, gli scavi furono interrotti in epoca medievale e, tuttavia, i crolli continuarono anche successivamente, così da portare all’emanazione del divieto di costruire edifici più alti di cinque piani.
Al problema della stabilità, si aggiunse, ben presto, quello del sovraccarico di morti.
I cimiteri parigini, scavati tutti intorno alle chiese, in appezzamenti di terreno spesso piccoli e non espandibili, perché interclusi dalle case confinanti, erano stracolmi. I cadaveri dei più poveri erano sepolti l’uno sull’altro, in fosse comuni e lasciati a marcire in terra mista a calce che ne velocizzava la decomposizione. Quando il processo di scheletrificazione era completo, le ossa erano dissepolte e accatastate negli ossari, ai bordi delle fosse e nuovi cadaveri andavano a riempire la terra già putrida. A causa delle piogge, i liquami della decomposizione si riversavano nelle strade e avvelenavano i pozzi, causando numerose epidemie.
La situazione era ovunque drammatica, ma diventava insostenibile nel più grande camposanto parigino, il Cimitero degli Innocenti, che ospitava due milioni di morti. Tanto era colmo che, a un certo punto, i nuovi cadaveri furono sepolti sopra la superficie, in un terrapieno circondato da mura. Nel 1780, un violento temporale fece crollare uno dei muri e i cadaveri si riversarono nelle vie circostanti, finendo anche nella cantina di un vicino ristorante.
Il Cimitero degli Innocenti fu, quindi, chiuso, ma il problema rimase, finché, nel 1786, il Consiglio di Stato decise di trasferire le ossa di tutti i cimiteri di Parigi nei meandri delle gallerie sotterranee, così da svuotare le fosse e da riempire il vuoto lasciato dall’escavazione del calcare con i resti dei morti.
Per due anni, decine e decine di carretti trasportarono le ossa riesumate dai cimiteri parigini ai pozzi d’accesso alle gallerie, svolgendo il triste lavoro di notte, per evitare di attirare l’attenzione dei cittadini. Il trasferimento si protrasse, poi, per oltre un secolo, fino a che non furono stipati nel sottosuolo oltre sei milioni di morti.
Una piccola parte dell’ex cava di calcare divenne, così, l’ossario comunale, meglio conosciuto col nome di “Catacombe di Parigi” mentre le rimanenti gallerie, che si snodano nel sottosuolo per centinaia di chilometri, sono rimaste vuote, pericolanti e interdette all’accesso, perché luogo dove facilmente ci si perde.


Teschi

 
Giunti alla base di quell’infinita elica di pietra, con i sensi e l’equilibrio indeboliti dalle vertigini, si trovarono a scrutare, alla luce delle lanterne, tre ampi ambienti in successione oltre i quali si apriva un angusto corridoio. Lo percorsero in fila indiana, non senza avvertire un profondo senso di oppressione, amplificato dal buio e dalla vicinanza alle teste della volta a botte del soffitto che, in alcuni punti, costringeva i più alti a chinare il capo.
Le lanterne a olio illuminavano di rosso arancio piccoli tratti di quel percorso. Le pareti erano lastricate di pietra e riportavano delle targhe con incisi i nomi delle vie superiori. Questa circostanza arrecò ai visitatori un briciolo di conforto che fu subito attenuato dalla considerazione che, molto probabilmente, si trattava di una corrispondenza imprecisa, perché non necessariamente la topografia del sottosuolo doveva coincidere con l’intreccio di vie del mondo dei vivi e perché i nomi di queste ultime sarebbero anche potuti cambiare nel tempo.
Giunti al termine dell’asfittico cunicolo, si trovarono, quasi per una strana legge del contrappasso, in un ambiente molto ampio, ove alcuni pilastri univano il terreno al soffitto.
– L’accesso alle catacombe è questo, Generale – disse il Comandante delle Guardie Municipali a Oscar – Siete tutti pregati di non allontanarVi dal percorso da noi indicato. Ci sono parti delle gallerie estremamente pericolanti e altre sconosciute persino a noi Guardie e a chiunque altro. Il rischio di perdersi in questo dannato labirinto di pietra e di fare la fine del topo è altissimo.
– Le gallerie hanno un unico accesso, Tenente de Goncourt? – domandò Oscar, guardandosi intorno.
– No, Generale – rispose quello, incassando la testa nel pastrano – Gli ingressi sono svariati. Alcuni coincidono coi pozzi e con i tombini della rete fognaria. Altri sbucano in caverne o buche nel terreno, fuori le mura. Non saprei dire quanti siano. La maggior parte di queste gallerie è inesplorata.
La temperatura si aggirava intorno ai quattordici gradi centigradi e il freddo era acuito dall’umido degli ambienti.
Oscar e André, affiancati dal Conte di Fersen e da Alain e seguiti da Lisimba, dal Colonnello de Valmy e dalle due compagnie di Guardie, si avvicinarono a una porta monumentale, sulla quale lessero una lugubre scritta impressa sull’architrave di pietra: “Arréte! C’est ici l’empire de la mort”.
In molti fra loro si domandarono chi avesse avuto la macabra idea o il malsano umorismo di commissionare quell’incisione che, priva del contenuto moralistico e del religioso significato dei vari memento mori della tradizione cristiana, appariva una frase a effetto di pessimo gusto.
Varcata quella che ad André parve la Bocca dell’Inferno, il paesaggio mutò drasticamente. Al posto delle pareti di pietra, un’infinità di ossa delimitava il percorso a destra e a sinistra. Teschi e femori erano accatastati ordinatamente e, a volte, anche artisticamente ai bordi della via, in un lugubre e interminabile cammino di ossa. L’impatto visivo, accentuato dall’effetto prodotto dalla fioca luce artificiale delle lanterne che si insinuava nelle orbite vuote dei teschi e indugiava sulle curve dei femori in un inquietante chiaroscuro, fu tale che persino alcune Guardie Reali non di primo pelo, entrando, si bloccarono involontariamente, col fiato spezzato.


Cunicolko-2

Nel progredire, si accorsero, gettando l’occhio oltre la parete di ossa, che i corridoi non erano stretti, ma amplissimi, perché, oltre la prima linea di teschi e di femori disposti ordinatamente, c’era un’immensa distesa di ossa gettate alla rinfusa nelle profondità della roccia. Ogni tanto, il macabro e uniforme panorama era spezzato da lapidi, croci appese alle pareti, sarcofagi, statue e altri ornamenti portati giù dai cimiteri dai quali provenivano le ossa. Di quando in quando, nei corridoi o in alcune cappelle che si aprivano ai lati, delle targhe riportavano il nome del cimitero da cui erano stati esumati gli scheletri e la data del trasferimento nell’ossario.
– Mi è stato riferito che, in queste gallerie, sono stati trasportati anche i resti di Robespierre, Danton, Desmolulins e quelli di Madame de Pompadour, prelevati, questi ultimi, dal Cimitero dei Cappuccini – disse Oscar, con tono che voleva essere didascalico, ma che celava disagio e fastidio mentre, con le dita guantate, stringeva la mappa consegnatale da Suor Leonilde.
Con mesta ironia, pensò che a Danton, che tanto aveva fatto per mettere insieme quel tesoro e per celarlo agli occhi di persone più voraci di lui, era toccato rimanerci eternamente vicino senza poterselo godere.
– Speriamo che i rivoluzionari non siano finiti accanto alla Marchesa de Pompadour – celiò, con poca convinzione, André – se no, sai le litigate!
– Dovrebbero esserci anche le spoglie mortali di La Fontaine e di Perrault – si inserì il Conte di Fersen, implementando l’elenco delle celebrità ormai ospiti del regno delle ombre.
– E’ proprio vero che la morte elimina le differenze! – esclamò Alain con un fischio – Non saprei distinguere le ossa di un Professore della Sorbona da quelle di un operaio!
– Così, Robespierre sarà finalmente soddisfatto – osservò sarcasticamente il Conte di Fersen, memore dell’odio che l’Avvocato di Arras aveva nutrito per la Regina Maria Antonietta.
– Non è del tutto vero, Generale de Soisson – precisò il Colonnello de Valmy – Lo scheletro di un operaio o di un qualsiasi altro uomo di fatica è sicuramente più usurato e variamente deformato, a seconda del mestiere svolto, di quello di un uomo di scienza.
– Non partecipi alla discussione, Lisimba? – chiese André.
– Ho la sensazione che non siamo soli – borbottò il grosso africano il cui istinto da cacciatore della savana lo portava a fiutare il pericolo a leghe e leghe di distanza.
L’osservazione non fece la felicità di alcuno e fu accolta da più di un sospiro.
– Be’, questo è sicuro! – rise Alain, indicando l’interminabile distesa di morti.
Attraversarono un labirinto di corridoi, inframmezzati da stanze amplissime, le cui volte erano sorrette da pilastri interamente formati da ossa. Ambienti di varie dimensioni si susseguivano e, in uno di essi, trovarono un’acquasantiera di pietra, usata per la benedizione dei resti.

Cappella

– La mappa mostra quella direzione – disse Oscar, indicando un cunicolo.
– Quel corridoio non fa parte del percorso consentito alla popolazione e conosciuto da noi Guardie Municipali – avvertì seccamente il Tenente de Goncourt.
– Ma la mappa indica quel cunicolo e un diverso sentiero renderebbe del tutto inutile questa missione – ribatté Oscar, con tono che non ammetteva repliche.
– Generale de Jarjayes, quel percorso è ad alto rischio di smarrimento – insistette il Tenente de Goncourt, allungando uno sguardo nervoso e infastidito ai teschi ghignanti che si estendevano nel sentiero proibito.
– Se c’è chi vi ha accatastato le ossa, vuol dire che quel tratto di galleria non è del tutto inesplorato – notò giustamente Alain – Qualcuno c’è già stato almeno una volta e mi auguro che ne sia anche tornato indietro.
– Tranquilli – disse André, afferrando dalla bisaccia alcuni gomitoli di lana – Il mito di Teseo e di Arianna ci avrà pure insegnato qualcosa!
Detto ciò, assicurò il capo di un filo a un femore ingiallito.
– E chi glielo doveva dire a questo che sarebbe finito a fare da asse di un telaio! – scoppiò a ridere Alain, con umorismo che, come di rado accadeva, non contagiò alcuno.
– Vi seguo perché inferiore di grado, ma con estrema riluttanza – si arrese, con pignoleria stizzita, il Tenente de Goncourt.
– Sai che dolore – farfugliò, a bassa voce, Alain, guadagnandosi un’occhiataccia dall’altro che lo aveva udito ugualmente.
– Silenzio! – sbottò, infastidita, Oscar, al culmine della sopportazione e della tensione emotiva – Chi non vuole più partecipare alla missione è libero di tornare in superficie. Gli altri proseguano in silenzio e senza fare troppe storie o, lo garantisco io, riceveranno una nota di demerito dal loro superiore! Io, qui, sono l’ufficiale più alto in grado e, nell’odierna missione, rispondo soltanto a Sua Maestà il Re!
Si incamminarono per il cunicolo indicato dalla mappa, procedendo sotto il basso soffitto sovrastante le ossa, quando udirono il tonfo secco di qualcosa di duro che rimbalzava al suolo, in una delle gallerie limitrofe.
– Lo dicevo che non siamo soli – sentenziò, con la sua voce gutturale, Lisimba.
Proseguirono loro malgrado, incerti se temere di più quella lugubre cornice, lo strano rumore o le reprimende di Oscar. Giunti in un ambiente ampio e circolare, con al centro un enorme pilastro convesso, interamente formato da ossa, si guardarono intorno e tacquero tutti, ma nulla udirono.


Pilastro

– André! – esclamò Oscar, rompendo d’improvviso il silenzio – Il filo di lana del tuo gomitolo è stato reciso!
Si voltarono tutti a guardare il filo mozzato e un brivido freddo percorse loro le schiene.
Un altro secco rumore di ossa cadute a terra si udì in lontananza, seguito da una lunga eco.
– Deve essersi impigliato da qualche parte – disse André senza convinzione, perché non aveva avvertito resistenze né attriti e il bordo mozzato, oltretutto, non era sfilacciato, ma reciso di netto – Corro a riannodarlo. Deve essersi spezzato da pochissimo, perché il filo, dietro di me, è corto, sebbene io non abbia mai smesso di srotolare il gomitolo.
Tornò indietro per il cunicolo, finché, alla fioca luce della lanterna, vide a terra l’altro capo mozzato del filo di lana. Accelerò il passo e fece il gesto di chinarsi per annodare le due estremità, quando, da una galleria laterale, piombò fuori un uomo alto e massiccio che gli si fiondò addosso armato di un pugnale. André si scansò con prontezza di riflessi ed estrasse la spada, ma l’altro, dopo essersi girato, si avventò di nuovo contro di lui con furia cieca, a testa bassa e col pugnale puntato alla gola. Anche questa volta, André fu più lesto, lo schivò di nuovo e gli squarciò il petto con la lama della spada.
Dall’ampia sala circolare, gli altri udirono i rumori della colluttazione e Lisimba ribadì:
– Lo avevo detto che non siamo soli.
In quel mentre, l’ambiente fu invaso da un’orda di uomini urlanti, vestiti da poveri, ma armati fino ai denti, che vi si riversarono dagli altri cunicoli lì confluenti.
– Guardie Reali, allerta! – urlò Oscar, sguainando la spada.
Uno sgherro si avventò, di lato, contro Oscar che, avendolo visto con la coda dell’occhio, lo schivò per un soffio. Quello arrestò la corsa, si girò e puntò di nuovo la donna che, nel frattempo, aveva ingaggiato un duello con un altro malvivente. Lisimba, vedendo la padrona attaccata da due lati, diede una spinta poderosa al primo assalitore che andò a schiantarsi contro una parete di ossa che, per l’urto, si sparpagliarono a terra. Oscar affondò la lama nel petto dell’uomo con cui stava combattendo e, raccolto un femore, lo abbatté sul capo dell’altro che si stava rialzando.
Ciò che vide André, al ritorno dal cunicolo nel quale si era addentrato per riannodare il gomitolo, fu la bolgia degna del luogo in cui si trovavano. Oscar e il Conte di Fersen combattevano con due avversari alla volta mentre Lisimba si difendeva a colpi di ossa. Alain aveva afferrato due uomini, facendo sbattere le loro teste l’una contro l’altra come dei cimbali e il Colonnello de Valmy aveva dato una pedata a un lestofante che era planato su un teschio, fracassandolo con un tonfo secco mentre i denti si staccavano dalla mascella da secoli senza vita e si sparpagliavano ovunque. Le Guardie Reali e Municipali tenevano a bada gli altri, in un fragore di spade incrociate e di spari.
Dopo un quarto d’ora di scontri, le Guardie ridussero in catene gli assalitori rimasti in vita e tutti si rimisero in sesto.
– Proseguiamo per il sentiero riportato nella mappa – ingiunse Oscar, col fiato corto, ma più determinata di prima.
– E se ci fossero altri di questi ribaldi? – domandò il Tenente de Goncourt, indicando i prigionieri incatenati.
– Li vedremo – tagliò corto Oscar, con voce sorda – Rimettiamoci in cammino.
– Ehi, dove andate?! Ci lasciate qui?! – iniziarono a protestare i prigionieri in catene – Non potete abbandonarci così! Questo luogo dà i brividi…
– Silenzio! Potevate pensarci prima! – tuonò Oscar – Verremo a riprendervi a missione terminata. Smettetela di piagnucolare e riflettete sulle vostre azioni!
Mentre lei si voltava, due dei prigionieri le fecero gli sberleffi, rimediandoci un ceffone da parte di Alain.
Dopo dieci minuti di gallerie percorse e di angoli svoltati, giunsero in un altro ambiente ancora più ampio del precedente, occupato, per tre quarti, da uno specchio d’acqua.
Alla vista del laghetto, Oscar e gli altri sgranarono gli occhi, guadagnandosi un sorriso di sufficienza dalle labbra del Tenente de Goncourt.
– Ce ne sono vari di questi bacini, nelle catacombe. Si formano con la pioggia, coi fiumi sotterranei o che so io… Non bevete, Ve lo sconsiglio. Il terreno sovrastante era colmo di cadaveri fino a una ventina di anni fa ed è ancora putrido.
– Secondo la mappa, il tesoro dovrebbe essere qui – disse Oscar, sempre più eccitata.
Dopo qualche istante, le lanterne fecero scintillare un luccichio nell’azzurro. Si avvicinarono al bordo della vasca e videro dei lingotti d’oro immersi nell’acqua.
– I lingotti degli inglesi! – esclamò André.
In alcune nicchie laterali, scorsero dei forzieri, delle statue, delle armature e molti quadri impacchettati, tutti provenienti dai palazzi, dai castelli e dai conventi depredati dai giacobini.
– Stando alla mappa, altri forzieri e bauli dovrebbero essere sotterrati in questo luogo – disse Oscar – Nei prossimi giorni, porteremo delle squadre di operai.
Le Guardie Municipali assicurarono delle torce alle pareti e, quando l’ambiente si fu illuminato, scorsero un isolotto al centro della piscina, anch’esso carico di forzieri e bauli e rilucente di lingotti.
Mentre tutti spalancavano la bocca dallo stupore, Oscar notò, sulla sponda opposta del bacino, un altro luccichio, verde e scintillante di sfida e di minaccia. Piantò dritti gli occhi su quel volto ben noto e anche l’altra fece lo stesso e, dopo tanti anni, le due nemiche tornarono a fissarsi.
– Ève! – esclamò Alain – Cosa ci fate qui?!
– Jeanne de Valois de la Motte! – urlò Oscar.
– Ci rivediamo, infine, Generale de Jarjayes – disse la ladra più famosa di Francia – E in un’altra circostanza emozionante e misteriosa!
Detto ciò, scoppiò in una risata fragorosa mentre Alain balbettava e gemeva e Oscar dardeggiava la sua antica rivale con occhi di fuoco.
– ArrendeteVi, Jeanne de Valois! Voi siete sola mentre noi siamo più di venti e i Vostri sgherri sono stati sbaragliati!
– Quanto poco mi conoscete! – disse Jeanne de Valois, scoppiando a ridere di nuovo – Quegli uomini non erano ai miei ordini. Io non ho sgherri, ma soltanto alleati. E, comunque, no, non mi arrendo, non è nel mio stile. Non mi arrenderò mai né ora né in futuro!
In quell’istante, da una galleria laterale, corse verso la donna un giovane uomo agile e scattante.
– Jean – sussultò, nervosa, lei – Fuggi via, mettiti in salvo!
– Fuggite anche Voi, Madre! Sono in troppi… e – aggiunse, poi, a bassissima voce – abbiamo già messo al sicuro una parte del tesoro, in questi due giorni.
– Voi chi siete? – tuonò Oscar, messa in allerta dal nuovo arrivato.
Il giovane si voltò lentamente, facendo un elegante inchino alla donna.
– Albrecht von Alois! – esclamò Oscar, in preda allo stupore, con André che sgranava gli occhi accanto a lei.
– Ogni mistero che si rispetti richiede almeno un riconoscimento finale! – rise il Conte.
von AloisValois! – proseguì Oscar, sempre più sbalordita.
– Congratulazioni, Generale de Jarjayes! – rispose il giovane, con tono provocatorio e faccia da schiaffi – Vi ci è voluto un anno e mezzo, ma, alla fine, ci siete arrivata!
– Complimenti per l’emozionante scena madre, ma, adesso, deponete tutti le armi o le faccio saltare le cervella! E, a proposito, gli sgherri erano i miei. Pagherete anche questo, Oscar François de Jarjayes!
Da una galleria opposta a quella da cui era entrato, pochi minuti prima, Albrecht von Alois, fece il suo ingresso il Conte di Compiègne, trascinando per un braccio, a mo’ di scudo, Bernadette, imbavagliata, con le mani legate dietro la schiena e con una pistola puntata alla tempia.
– Arrendetevi voi, Conte di Compiègne! – ingiunse Oscar, sempre più nervosa, ma anche esaltata dall’ennesimo colpo di scena – I vostri sgherri sono stati sbaragliati, siete solo e, se farete del male a Mademoiselle Châtelet, sarà l’ultimo atto che compirete in questo mondo!
Vedendo la nipote tenuta sotto tiro, Jeanne de Valois estrasse una pistola che aveva nascosto in una piega del vestito, la puntò contro il nuovo arrivato, prese bene la mira senza sforzo e fece fuoco.
Il Conte di Compiègne cadde riverso a terra con gli occhi sbarrati e un buco in fronte mentre Bernadette, a causa delle gambe tremanti, finì in ginocchio e, poi, stesa su un fianco, visibilmente in stato confusionale per il terrore. Due Guardie Reali si precipitarono a soccorrerla.
– Andiamo via, Jean – sussurrò la Contessa de la Motte al figlio – Per noi, qui, è finita. Avremo tempo, nei prossimi giorni, di recuperare i preziosi che abbiamo già nascosto nei cunicoli di Cagliostro e, poi, c’è ancora il tesoro dei Cavalieri di Malta da recuperare!
Madre e figlio fuggirono attraverso una galleria sita oltre il bacino e si nascosero in altri cunicoli, un tempo utilizzati da Cagliostro per i riti esoterici egizi. Due Guardie Reali entrarono in acqua per raggiungerli, ma Oscar le fermò.
– Le Guardie Municipali conoscono soltanto le gallerie iniziali mentre la mappa di Suor Leonilde si ferma qui. Inseguendoli, si correrebbe il serio pericolo di smarrirsi.
Oscar si guardò intorno, stanca per la fatica accumulata e per la tensione che era, ormai, calata. Fece mente locale e proseguì:
– Cinque Guardie Reali rimarranno qui a guardia del tesoro e riceveranno il cambio, al massimo, entro ‘sta sera. Io andrò subito a fare rapporto e a dare disposizioni per portare via i morti e per la formazione delle squadre di operai che preleveranno il tesoro. Quanti sono i feriti?
– Otto, Comandante – rispose una Guardia Reale.
– Trasportiamoli in superficie.
Si avvicinò, poi, a Bernadette che, nel frattempo, aveva perso conoscenza, si accertò che ci fosse battito e le passò una mano sulla fronte e su una gota. Lisimba prese in braccio la ragazza per ricondurla in superficie.
In un angolo, André consolava Alain, fortemente scosso per la dolorosa e inaspettata scoperta dell’identità della donna che amava.
Vinta dalla stanchezza, Oscar si appoggiò a una parete, poi notò le orbite vuote e il ghigno del teschio che stava toccando e ritrasse la mano.
La spossatezza non le consentiva riflessioni elaborate e varie sensazioni sconnesse e incontrollabili le attraversavano la mente. Pensò al fulmine a ciel sereno del rapimento di Bernadette di cui non era a conoscenza e alla doppiezza di Albrecht von Alois che così facilmente si era insinuato nella famiglia Jarjayes. Come era stato facile avvicinarli e perforare la corazza della loro diffidenza! Pensò a Jeanne de Valois che credeva morta e sepolta e che era ricomparsa nel regno dei morti, ma viva e vegeta e non come fantasma, con quegli occhi verdi di perenne sfida. La riteneva morta, ma era tornata. Esistevano certezze che non potevano essere sovvertite? Diresse lo sguardo verso il Conte di Compiègne, freddato in un istante, al termine di una vita mal spesa. Il destino lo aveva gratificato di molte doti, tutte inficiate da difetti e intemperanze, in gran parte frutto di un’educazione sbagliata e di molta vanità. L’assoluta incapacità di disciplinare se stesso lo aveva condotto a sprofondare sempre più nel vizio e nel delitto e a quella fine ignominiosa. Le parve quasi impossibile che fosse cugino del prode e nobile Girodel.
Ne erano successe di cose nel giro di un’ora, ma era troppo stanca e confusa e non poteva pensarci, se no, sarebbe impazzita. Ci avrebbe pensato domani. Dopo tutto, domani è sempre un altro giorno.


Piscina








Il capitolo ricco d’avventura è finalmente arrivato e, con esso, il ritrovamento del tesoro dei giacobini, la soluzione di tanti misteri e il morto annunciato. L’avventura proseguirà nel prossimo capitolo, all’inseguimento del secondo tesoro, quello dei Cavalieri di Malta.
Le catacombe di Parigi sono tuttora visitate e sono spesso meta di party e rave non autorizzati.
Il capitolo termina con la citazione di una notissima frase che tutti sicuramente individueranno.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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