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Autore: Nike90Wyatt    30/09/2022    0 recensioni
Milano, 2016. Marinette Dupain-Cheng vive la nuova realtà di studentessa dell’Accademia di Moda Bellerofonte per coronare il suo sogno di diventare un giorno una stilista di livello internazionale. Quella borsa studio ottenuta grazie al suo immenso talento è stata una vera benedizione del cielo. Ma la strada verso la gloria è frastagliata e irta di imprevisti e le certezze di Marinette, lontana dal sostegno dei suoi amici, iniziano a vacillare fino a crollare del tutto quando una minaccia tanto pericolosa quanto imprevedibile inizia a incombere su Milano. I poteri di Ladybug potrebbero non essere sufficienti per affrontarla; pertanto, Marinette dovrà ricorrere a tutto il suo coraggio e fare delle scelte che cambieranno per sempre la sua vita.
[Cover Credits: https://www.instagram.com/my_bagaboo_/]
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nonna Gina, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il professor Ursi entra nella classe e rivolge a tutti il suo sorriso più splendente. Indossa giacca e cravatta eleganti e dei pantaloni di velluto che fanno venir caldo solo a guardarlo. Tuttavia, non gli si può negare che abbia un certo stile e portamento. Con i capelli grigi tirati all’indietro e quegli occhiali dalla montatura rossa, ricorda a tratti Gabriel Agreste. Solo più solare e meno orso.
Letizia e le sue amiche sedute intorno a lei si scambiano dei commenti a bassa voce, ridacchiando e gettando occhiate maliziose al professore, che si accomoda alla cattedra.
«Civette in calore,» borbotto.
Sotto al mio palmo sudato giace il quaderno dei bozzetti, chiuso. L’entusiasmo per il mio nuovo bozzetto si è subito spezzato appena ho posato la matita sul foglio. Quale casa di moda sceglierebbe di far vestire al proprio modello un abito dallo stile così antico?
Non ne combino una giusta. Spero che almeno la lezione mi riporti quel briciolo di passione per la materia, altrimenti, a fine anno, farò le valigie e tornerò con la coda tra le gambe a Parigi. Accantonerò per sempre il mio sogno di diventare una stilista e mi dedicherò alla pasticceria, sperando di non fallire anche lì.
Ursi si schiarisce la voce e il brusio della classe si spegne. «Prima di cominciare la lezione, ho un annuncio importante per voi. Nei prossimi giorni, voi studenti del mio corso inizierete a lavorare a un progetto di moda: dovrete progettare, disegnare e, infine, confezionare un abito maschile. I lavori verranno presentati ad una giuria, composta da me e da alcuni esperti del settore che ospiteremo.»
Un coro di entusiasmo si solleva dalla classe. Alcuni battono le mani, Letizia si schiaffeggia più volte la chioma bionda, Sonia mi guarda e agita le folte sopracciglia.
Ursi batte le mani due volte per moderare i toni dell’aula. «Giudicheremo il vostro operato e sarà sancito un vincitore, il cui capo verrà indossato all’ufficiale sfilata che si terrà a Milano tra due settimane.» Si spinge gli occhiali sul naso. «Voglio precisare che non è obbligatorio partecipare, ma chi deciderà di farlo, riceverà dei crediti che saranno aggiunti alla pagella di fine anno.»
Sonia alza la mano, il professore la dà parola. «È possibile lavorare in gruppo?»
Ursi si gratta la nuca. «Direi che non c’è nessun problema. Gradirei, però, che i gruppi non superino i due elementi. Ritengo che sia più pratico e limiterebbe il rischio che un solo elemento lavori e gli altri si prendano il merito.»
 Dal banco in prima fila, Sonia si volta a guardarmi, indica prima sé stessa, poi me, e infine unisce gli indici.
Vuole che faccia coppia con lei. Ma io non sono nemmeno sicura di partecipare: dopo le cocenti delusioni dei miei ultimi bozzetti, ho il morale sotto le suole e la mia creatività è pari a quella di un comodino.
Mi porto due dita alla tempia e le roteo, indicando che ci penserò. Sonia piega le labbra verso il basso e annuisce mesta.
Ecco. Ne ho sbagliata un’altra e ora la mia amica è delusa.
 
***
 
Pigio il pulsante del quarto piano e l’ascensore parte con un sussulto. All’uscita da scuola ho deciso di rientrare a casa a piedi, percorrendo a passo lento strade, stradine, dedali e vicoli. Chilometri e chilometri sotto al sole cocente, con l’umidità che penetra fino alle ossa.
Ho le piante dei piedi che bruciano, i muscoli delle gambe che dolgono. Chiederò alla nonna di prepararmi un pediluvio rilassante. Pinzo la maglietta che mi si è appiccicata addosso; se la spremessi, potrei riempire metà di un secchio. L’altra metà la riempirei con il sudore che mi gronda dalle tempie.
Almeno ho avuto del tempo per riflettere e rimuginare sulla decisione che dovrò prendere. Questa storia della gara è arrivata all’improvviso e mi ha colta totalmente alla sprovvista. Non ci avrei nemmeno badato molto se non fosse che Sonia ha subito percepito la possibilità di lavorare insieme e unire le nostre idee, le nostre abilità.
Avrei dovuto esprimerle prima le mie difficoltà nel creare abiti decenti, così non sarebbe rimasta delusa da un eventuale rifiuto a concorrere in coppia.
Rientro in casa, sfilo le scarpe e i calzini. Le dita dei piedi somigliano a dei salsicciotti rossi. Poso la pianta sul pavimento, le piastrelle fredde mi danno un lieve sollievo, e gemo di dolore. Spero non mi venga qualche vescica.
Claudico fino alla cucina, da cui giunge il suono della tv accesa, sintonizzata sul telegiornale.
La nonna è seduta su uno degli sgabelli che circondano l’isola. Sta sfogliando un libro di ricette. Solleva gli occhi su di me. «Marinetta! Non ti ho sentita rientrare.»
La mia espressione deve assomigliare a quella di Gollum de Il Signore degli Anelli, perché la nonna chiude di scatto il libro e si fionda al mio fianco. «Cos’è successo, piccola?»
Mi accarezza la guancia e io, travolta dall’affetto, le circondo la vita con le braccia.
Un gemito di frustrazione mi sfugge da bocca. «Sento di star sbagliando tutto, nonna.»
«Marinetta cara.» La nonna scioglie l’abbraccio. «Se hai qualche problema, non c’è niente di meglio che buttare tutto fuori per alleggerirti il peso dell’anima.»
«Hai ragione. È che non so da dove iniziare… è tutto così diverso da quando stavo a Parigi.» Mi accomodo su uno sgabello e lascio sfilare a terra la borsa a tracolla. Mi sembra di aver corso tre maratone.
In tv, alle spalle del mezzobusto del giornalista, compare l’immagine del duomo di Milano.
Prendo il telecomando posato sul ripiano dell’isola e alzo il volume.
Il giornalista fissa la telecamera di fronte. «E non si fermano le scorribande dei cosiddetti Satiri dell’Anarchia, che da mesi ormai si rendono protagonisti di atti vandalici in tutta la città di Milano. Proprio pochi minuti, è stato pubblicato sul web il video di un elemento appartenente alla banda, che minaccia il sindaco di forzare la mano se questi non asseconderà le loro richieste. Il servizio…»
Le immagini scorrono sullo schermo e mostrano un tizio incappucciato, con una maschera rossa striata di nero a coprirgli il volto.
«Signor sindaco,» la voce è metallica, alterata da un modificatore vocale. «Lei continua ad ignorare le nostre richieste di incontrarla pacificamente. Evidentemente, non le hanno insegnato le regole diplomatiche che un buon politico deve rispettare.» Nella mano guantata compare un coltello seghettato, sul manico è disegnato il simbolo dei Satiri. «Vorrà dire che le manderemo un messaggio che difficilmente lei e i cittadini di questa città potranno dimenticare; ci sarà sofferenza e si ricordi che sarà tutta colpa sua.»
Nonna Gina spegne la tv, emettendo un versaccio. «Questi idioti finiranno per fare del male a poveri innocenti.» Addolcisce i tratti del viso. «Raccontami tutto, mia cara.»
Mi chino e prendo dalla borsa il mio quaderno dei bozzetti. Lo porgo alla nonna e le racconto del progetto di cui ci ha parlato il professor Ursi, del fatto che io ho tutta l’intenzione di non parteciparvi e che, a causa di ciò, ho deluso la mia amica Sonia.
«Io…» Sbuffo. «Io non sono più sicura di voler proseguire a frequentare l’Accademia. Non sono più sicura che la moda sia la strada che devo seguire.»
Nonna Gina sfoglia il quaderno soffermandosi di tanto in tanto a percorrere con i polpastrelli i contorni dei disegni.
Chiude il quaderno con una mano, le labbra tinte di rosso si distendono in un sorriso. «Io non sono per nulla d’accordo con te. Trovo che le tue creazioni siano ottime.»
«Lo dici solo perché mi vuoi bene. In realtà, sono zeppe di errori, sbavature e imprecisioni. Roba da dilettanti.»
«E tu non lo sei?»
«Nonna…» Batto le punte degli indici l’una contro l’altra. «L’Accademia Bellerofonte richiede una perizia di gran lunga superiore a quegli sgorbi; persino i bidelli che lavorano lì farebbero meglio di me.»
«Potresti avere ragione, ma dubito che in una scuola dove si va per imparare pretendano che una studentessa di sedici anni abbia le stesse competenze degli stilisti più famosi.»
Un nodo mi stringe la gola. So che ha ragione, ma una vocina dentro di me continua a ripetermi che non ce la farò mai, che farei meglio a mollare tutto e intraprendere una strada più sicura, senza rischi.
«Io tenterei lo stesso.» Nonna posa il quaderno sull’isola, lo apre, e si sofferma su uno degli ultimi bozzetti, l’outfit da donna completo di tacchi a spillo, quello che avrei voluto far vedere al professor Ursi. «Lavora su questo: correggi quello che ritieni vada corretto, confeziona l’abito e presentalo alla giuria. Potrai contare anche sull’aiuto della tua amica e, nel caso non andasse bene, potrai almeno dire di averci provato.»
Mi sfugge una risatina. «In realtà, il progetto prevede che si debba presentare un abito maschile.»
«Oh, un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto sfoggiare questo look aggressivo. Fa molto… me.» La nonna ammicca. «Ricorda sempre Marinette: non tentare è come fallire già in partenza.»
 
***
 
Rientro in camera mia, con lo stomaco che pesa quanto un macigno. Per risollevarmi il morale, la nonna mi ha preparato un timballo di maccheroni estratto dal libro di ricette che sta studiando con tanto ardore.
Il risultato era squisito, ma devo accettare anche le conseguenze del mio peccato di gola.
Leon mi sfiora le ginocchia e va ad accucciarsi accanto alla scrivania. Tikki lo segue con lo sguardo, appollaiata sulla mensola in alto, tra la foto di mamma e papà e quella con i miei compagni di classe.
Durante il pranzo, non si è toccato più l’argomento moda e di questo ne sono stata contenta. Staccando per un po’ i pensieri dai miei turbamenti mi aiuterà a prendere una decisione definitiva sul mio futuro.
Dal computer arriva il suono di una notifica, seguito subito dal trillo di una videochiamata. Lo schermo si anima, in basso compare l’icona di un paio di occhiali da vista.
È Alya.
Mi accomodo sulla sedia girevole e accetto la chiamata.
Il volto olivastro di Alya riempie lo schermo, negli occhiali si riflette la luce del suo computer. «Salve, Miss Moda.»
«Hai cambiato pettinatura?»
Alya si passa una mano nella frangia ramata. «Almeno tu l’hai notato. Quando sono uscita dal parrucchiere, Nino ha avuto il coraggio di chiedermi ‘Cos’hai di diverso da prima?’.» Mette su il broncio. «Certe volte mi fa davvero impazzire.»
«Forse dovresti provare a indossare di nuovo il tuo bel costume da martello di Thor.» Sogghigno. «In quel modo, ti noterà di sicuro.»
«Ah-ah. Come vanno le cose nel bel paese
«Alti e bassi. Non ti nascondo che provo tanta nostalgia delle nostre riunioni segrete, dei miei piani assurdi… di un po’ tutto direi.»
«Anche tu ci manchi tanto, Marinette. Però siamo tutte felici che stai sulla strada per coronare il tuo grande sogno. Magari, un giorno, prenderai il posto di Gabriel Agreste oppure fonderai una tua casa di moda, col tuo nome, e gli farai concorrenza spietata.»
Sollevo le gambe sulla sedia e le circondo con le braccia. «Non sono più sicura di voler proseguire.»
L’ho detto senza mezzi termini. Con Alya diventa molto semplice confidarmi, esprimere le mie incertezze. Lei e Tikki sono le mie due voci della ragione; spesso i loro consigli coincidono, e spesso io li ignoro come se parlassero al vento.
Alya muove l’indice come un metronomo. «Sciocchezze, amica mia. Stai solo vivendo la fase della discesa: l’entusiasmo che avevi all’inizio per l’esperienza nuova è scemato pian piano e adesso stai facendo i conti con le prime difficoltà. È normale.»
«Lo pensi davvero?»
«Certo! Credi che per me sia sempre tutto facile? Sono settimane che né Ladybug né Chat Noir si fanno vedere in giro e, intanto, il mio Ladyblog perde follower ogni minuto, causa assenza di materiale.»
«Mi dispiace…» Non posso fare a meno di sentirmi in colpa per questo. La decisione di limitare al minimo le apparizioni pubbliche di Ladybug è stata mia e Chat l’ha accettata, seppur con riluttanza. Non potevo fare la spola da Milano a Parigi di continuo, ma non avevo pensato all’impatto che la nostra assenza poteva avere sui cittadini.
Alya fa schioccare le labbra. «Non pensare che questo mi abbia fermato, mia cara. Ho già predisposto un nuovo progetto che mi ripopolerà in un lampo il mio blog.»
«Di che si tratta?»
«Ah, no. Non ti dirò nulla finché non mi darai prova che ti rimetterai subito in carreggiata e avrai cancellato ogni traccia di dubbio sul tuo percorso.»
Scuoto la testa. «Non lo so, Alya. Forse, questa gara che ci sarà a breve testerà sul serio la mia capacità di reggere la competizione con gli altri stilisti.»
«Devo forse ricordarti la bombetta che confezionasti per Adrien?»
Il cuore salta un battito. «Meglio di no.»
Il solo sentire nominare Adrien fa riaffiorare in me ricordi spiacevoli, di quando lo vidi avvinghiato a Katami, pronti a darsi un bacio da veri fidanzati. Lo stesso giorno in cui, a causa di un mio errore, ho dovuto dire addio a una persona a cui tenevo tanto.
Mi mordicchio l’unghia dell’anulare. Ho timore a chiedere ad Alya come sta, cosa sta facendo, come passa le giornate e se frequenta ancora la sua compagna nipponica.
Prima, conoscevo a memoria ogni suo spostamento, ogni suo appuntamento era segnato con precisione certosina nella mia agenda. Allontanarmi da Parigi ha significato allontanarmi anche da lui. Non riuscii nemmeno a salutarlo il giorno della mia partenza, a causa dell’incidente che ebbe il padre.
Alya dà voce ai miei pensieri come se mi leggesse nella mente. «Pensi ancora a lui?»
«Meno di quanto credessi quando sono partita. Però, sì. È difficile togliersi dalla testa un ragazzo che occupava gran parte dei miei pensieri fino a un anno fa.»
«Anche a lui manchi, come amica ovviamente. Non voglio darti false illusioni.» Si morde il labbro inferiore e sospira. «Tanto prima o poi lo verrai a sapere comunque: da qualche mese si frequenta molto più assiduamente con Katami. Non c’è ancora ufficialità – e sospetto che in questo c’entri molto il padre – ma ritengo che siano una coppia a tutti gli effetti.»
Annuisco, frizionandomi le gambe. Non mi aspettavo qualcosa di diverso, ma sentirlo dire da una come Alya, sempre attenta alla validità delle notizie che diffonde, è come immergersi in un lago ghiacciato senza indossare vestiti.
«Marinette…» Alya posa le dita sullo schermo, quasi a volermi accarezzare. «Devi andare avanti. Non restare ancorata a questo amore che si allontana sempre di più, che ti causa solo sofferenze. Non esiste solo Adrien Agreste a questo mondo.»
«L’unica persona che posso incolpare di tutto questo sono io. Ho avuto migliaia di occasioni per dichiararmi, ma non ho mai trovato il coraggio.» Sono perfetta solo quando vesto i panni di Ladybug; quando Marinette si intromette, accadono solo guai. «Potrei scrivere un libro sulle occasioni perse.»
«Motivo in più per iniziare a muoverti.» Sul volto di Alya affiora un ghigno. «Dubito che in Italia non ci siano ragazzi affascinanti e sensuali, tanto da scatenare succose fantasie.»
Il volto mi va in fiamme. «Alya!»
«Andiamo, ragazza. Non hai nemmeno dato il tuo primo bacio. Vuoi forse diventare vecchia in attesa di trovare il coraggio di dichiararti ad Adrien, se e quando tornerà libero, oppure accantonare il belloccio di casa Agreste e guardarti un po’ intorno?»
«Io…» Mi mordo la lingua. Ero in procinto di dichiarare alla mia amica che in realtà io ho già dato il mio primo bacio e anche il secondo. Peccato che, in entrambi i casi, non provassi nulla più di un sincero affetto per il ragazzo con cui ho provato l’esperienza.
La prima volta fu per emergenza: Chat Noir doveva essere liberato dall’influsso malefico di Dark Cupido e baciarlo era l’unica opzione percorribile. La seconda volta, nemmeno ricordo il perché l’ho fatto. Di sicuro lui non rappresenta lo stereotipo di ragazzo che può suscitarmi le fantasie di cui parla Alya. Non solo non conosco il suo vero aspetto, ma è anche un supereroe e avere una relazione con lui significherebbe pericolo. Pericolo ad ogni angolo, pericolo ogni minuto della vita.
«Marinette!» Alya schiocca le dita davanti allo schermo. «Sei ancora nel mondo dei vivi?»
Mi riscuoto. «Scusami. Stavo riflettendo su ciò che hai detto e… credo tu abbia ragione. Devo essere più ferma nelle mie decisioni.»
«Dunque, cercherai il tuo bell’italiano da sbaciucchiare?»
«No!» Le guance avvampano. «Intendevo dire che proverò a partecipare al progetto di moda. Accetterò la collaborazione con Sonia e, insieme, lavoreremo per portare a casa un risultato che soddisfi la giuria.»
Alya sbuffa. «Immagino che dovrò accontentarmi per ora.»
 
***
 
Scanso un paio di persone che camminano nel senso opposto a mio e accelero il passo. Sono in ritardo colossale.
Ho perso tempo ad aiutare la nonna a scegliere il look per il suo incontro nella Galleria del Duomo e non ho badato ai minuti che scorrevano. Spero che almeno a lei vada tutto per il meglio.
Svolto l’angolo, l’Accademia compare in fondo alla strada. Inciampo in una mattonella, allargo le braccia per mantenere l’equilibrio e riprendo a correre.
Proprio oggi che la borsa è stracolma di libri, i mezzi pubblici dovevano interrompere il servizio. La mia solita fortuna.
In prossimità del cancello, rallento il passo e mi strofino il braccio sulla fronte zuppa di sudore. Ciocche di capelli mi si sono attaccate alle tempie, la t-shirt è diventata una seconda pelle.
Ho bisogno di riprendere fiato o i polmoni mi scoppieranno. Mi fermo e poso i palmi sulle ginocchia. In soli due giorni, avrò bruciato le calorie di un anno.
Davanti all’ingresso sono raggruppati alcuni ragazzi dell’ultimo anno, alcuni seduti sui loro motorini. Cori di risate e nuvolette di fumo si sollevano dal gruppo.
Lancio un’occhiata all’orologio al polso: le 9:10. Le lezioni sono iniziate quaranta minuti fa, che ci fanno quelli a bighellonare all’esterno?
Mi accosto a loro e mi paralizzo. Il cancello è chiuso.
Diavoli!
Sono arrivata talmente in ritardo che hanno chiuso l’ingresso. Oltre all’assenza, ho perso anche l’occasione per parlare con Sonia e dirle che volevo fare squadra con lei per il progetto.
Artiglio un paletto del cancello e ci batto la fronte contro. Una corsa inutile.
Una voce maschile si leva dal gruppo. «Ehi, ragazza!»
È un ragazzo bruno con i capelli a spazzola, a cavallo di un motorino. Schiocca via il mozzicone dalle dita, la cicca descrive una parabola in aria e atterra sull’asfalto.
Smonta dal motorino e schiaccia con il calcagno il mozzicone. «La scuola è chiusa oggi.»
«Chiusa?» Apro la bocca. «Non c’erano avvisi, ieri.»
«Infatti l’hanno deciso stamattina, dopo quello che è successo in piazza Duomo.»
«Cos’è successo?»
Il ragazzo storce la bocca. «I Satiri hanno preso d’assedio la stazione della metropolitana. Ci sono degli ostaggi nei vagoni. La situazione è critica.»
   
 
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