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Autore: Chiririra00    01/10/2022    0 recensioni
[TodoBakuDeku]
[Omegaverse]
[attempted suicide!]
A volte le scelte che prendiamo ci sembrano le migliori, quello che è giusto che noi facciamo, ma spesso le azioni hanno delle conseguenze e noi dobbiamo dare un peso ad esse.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I capelli bianchi, con qualche ciocca verde, un pò lunghi, mi andavano negli occhi rossi come il fuoco ardente, offuscando la mia vista. Il vento fresco sul viso, mi sentivo un re, libero da ogni preoccupazione o peso, mi sentivo al di sopra di tutto e tutti, o forse, semplicemente lo ero, letteralmente. 
 
Le urla dei miei due amici mi arrivavano ovattate, confuse, ma non importava cosa dicevano, volevo godermi quel momento paradisiaco; alzai le braccia al cielo per sentire ancor di più quella libertà che mi avvolgeva, ma, in un istante, dall'essere in alto, a volare nel cielo ricoperto di nubi, mi ritrovavo a volare al contrario, verso il suolo, mentre un sorriso contornava il mio volto.
 
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Il corpo di Izuku fremeva a quelle sensazioni, a quelle labbra che bruciavano sulla sua pelle.
 
 I capelli tra le sue dita scompigliati, gli occhi che lo fissavano con bramosia ed amore, erano intensi, la sua voce che emetteva flebili gemiti, chiamava il suo nome "Shoto"; le mani dell'uomo dai capelli bicolore sotto alla sua maglia.
 
 "Shoto fermiamoci, non c'è nemmeno Kacchan, aspettiamo stasera, devi pure andare". 
 
Quelle labbra gelide, che al tocco emettevano quel feroce fuoco lasciarono un ultimo bacio sulla pelle chiara, per poi dargliene uno sulle morbide labbra. 
 
"Hai ragione, ora vado, a stasera" gli sussurrò ad un palmo di distanza, lasciandogli un affettuoso bacio tra i capelli verdi scompigliati. 
 
"A dopo" sussurrò. 
 
Shoto uscì dalla porta d'ingresso, e Izuku si appoggiò meglio al piano cottura sorridendo. 
 
Dopo qualche minuto si era già sistemato sul divano a continuare una serie tv horror che aveva interrotto il giorno prima. 
 
Il tempo passò così velocemente, ma si era già fatta sera, così Izuku decise di mettersi ai fornelli per preparare la cena. 
 
Era il suo giorno libero, quindi era rimasto a casa per sistemare il caos che creavano nel loro appartamento durante la settimana: amava dedicarsi alle faccende domestiche o sperimentare alcune ricette che vedeva sui social come facebook o instagram. 
 
Hiro, loro unico figlio diciassettenne, sarebbe rimasto a dormire fuori dal suo migliore amico, quindi avevano casa libera, ed Izuku non poteva non rallegrarsene. 
 
Ovviamente amava suo figlio, ma gli piaceva sempre avere del tempo da solo con i suoi compagni. 
 
All'improvviso la suoneria del suo cellulare risuonò nella stanza, Izuku canticchiava quella canzone che aveva applicato come suoneria, ovvero "I was made for lovin' you" canzone che gli aveva dedicato i suoi compagni. 
 
Prese il telefono, un numero sconosciuto lo chiamava, pensando che fosse uno dei soliti call center rispose con noncuranza. 
 
"Buonasera, la chiamo dall'ospedale Shinjuku, lei è uno dei genitori di Hiro Todoroki Bakugou Midoriya?" chiese una voce metallica dall'altro capo del telefono. 
 
Nella particolare società in cui si trovavano, suddivisa in: Alfa, Beta, ed Omega; ai piccoli che nascevano veniva dato il cognome dell'Alfa, o comunque della figura più dominante nella relazione, ma i tre ragazzi odiavano quel genere di stereotipi, così decisero di dargli tutti e tre i cognomi. 
 
Di solito, il ragazzo, veniva chiamato con il primo cognome, ma per i tre solo il fatto di ritrovare tutti i cognomi sui documenti di identità era già una vittoria. 
 
Ritornando alla situazione di Izuku, i suoi piedi cedettero per poco da terra, aveva sgranato gli occhi, gli mancava l'aria, non riusciva ed esalarla.
 
 "Si" rispose flebilmente con difficoltà, non riuscì a dire altro.
 
 "Suo figlio ha avuto un grave incidente, si è arrampicato su una parete da arrampicata senza protezioni ed è caduto dal punto più alto, per fortuna non ha riportato gravi danni, è cosciente" il cuore di Izuku ricominciò a battere, l'aria tornò nei polmoni, per un attimo l'uomo dai capelli verdi aveva pensato che la più grande paura di ogni genitore si fosse avverata, ma per fortuna, loro erano stati graziati da qualche divinità che si trovava su nel cielo.
 
 "Arrivo subito" riuscì a dire chiudendo la chiamata e lasciando in sospeso qualsiasi attività stesse facendo in quel momento. 
 
Scese la rampa di scale arrivando al piano di sotto e bussò alla porta di un appartamento. Ad aprirgli c'era il sorriso della sua migliore amica, Ochaco, che lo guardò incuriosita. 
 
"Izuku, come mai questa visita? 
Ti serve qualcosa?" chiese piegando un pochino la testa di lato.
 
 "Hiro, caduta, ospedale, macchina" riuscì a dire tra un sospiro ed un altro cercando di riprendere fiato ancora affaticato dalla corsa e dallo stupore. 
 
La ragazza sgranò gli occhi capendo la situazione, rientrò dentro e rivolse due parole a suo marito IIda, spiegandogli la situazione e affidandogli i loro due gemelli, poi prese Izuku per un braccio e chiamarono l'ascensore. 
 
Quando si aprì, entrarono dentro e si diressero verso il garage dove si trovavano le auto parcheggiate.
 
 I due entrarono nella vettura, Ochaco al volante; dopo averle dato le indicazioni per l'ospedale, Izuku prese il suo telefono per chiamare i suoi due compagni per avvisarli della situazione.
 
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La pelle imperlata di sudore, i muscoli contratti per lo sforzo, i capelli più corti, che non potevano essere legati in un codino, appiccicati alla fronte, il rossore sulle sue guancie...
 
Si alzò dalla panca per i pesi, per bere un sorso d'acqua dalla sua boccetta, e asciugarsi il corpo sotto la leggere canottiera nera. 
Guardò l'ora sul cellulare: 19:30. 
 
Forse era l'ora di ritornare a casa, al solo pensiero del suo Deku che preparava la cena, magari indossando il suo grembiule, un sorriso che somigliava ad un ghigno si estese tra le sue labbra. 
 
Mise le sue cose nel borsone, e si diresse agli spogliatoi per farsi una doccia calda. Appena il getto d'acqua scese sulla sua pelle, i muscoli e lineamenti del viso che temeva sempre contratti per incutere timore si rilassarono. 
 
Dopo aver finito di sciacquarsi via la schiuma di dosso, chiuse l'acqua e prese un asciugamano che legò in vita, ed un altro che passò tra i capelli biondo grano per asciugarli. 
 
Accese il fono che si trovava davanti agli specchi dello spogliatoio vuoto, ed iniziò a sentire il tepore caldo emanato dall'oggetto invaderlo e riscaldarlo. All'improvviso "Bohemian Rhapsody" risuonò nella grande stanza. Katsuki spese il fono e decise di rispondere alla telefonata, era la suoneria del suo cellulare. 
 
Appena prese l'oggetto metallico dal borsone, lesse sul display il nome "Deku" con un cuore verde vicino, da quando era diventato così sdolcinato? 
 
Rispose tranquillamente alla telefonata con il suo solito ghigno che gli contorceva la faccia. Appena la dolce voce metallica, leggermente tremolante, gli arrivò all'orecchio, quel suo sorriso si spense, sgranò gli occhi, e rispose con un frettoloso.
 
 "Sto arrivando" chiuse la telefonata, il cuore galoppava, le orecchie fischiavano. 
 
Di fretta indossò i vestiti non curandosi della pelle e dei capelli bagnaticci, ripose tutta la sua roba nel borsone, e corse nel parcheggio della palestra per recarsi all'ospedale Shinjuku.
 
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Dopo essere uscito di casa, Shoto aveva preso la sua macchina, e con il suo completo formale, si dirigeva all'ultimo appuntamento di lavoro di quella sfiancante giornata. 
 
Non era ancora arrivato a causa del traffico, e già prevedeva che ci sarebbe voluto un po'. 
 
Non vedeva l'ora di ritrovarsi a casa, magari con indosso un vestiario più comodo, tra le lenzuola del letto con i suoi compagni, quello si che si poteva chiamare paradiso.
 
Però in quel momento si ritrovava a guidare tra le strade affollate della città, ascoltando le notizie alla radio, ovviamente negative, per Shoto non dovevano chiamarlo notiziario ma negazionario. 
 
Decise di cambiare stazione radio sbuffando, girando la rondella vicino al piccolo schermo: tra pubblicità e canzoni o preghiere di chiesa, Shoto non riusciva a trovare della buona musica. 
 
Finché all'ultima stazione radio, la canzone "Take me to church" lo salvò. 
 
Poggiò entrambe le mani sul volante rilassandosi di più contro il sedile, e iniziò a canticchiare la melodia di quella canzone battendo le dita sullo strato di gomma che si trovava tra le mani. 
 
Arrivò il ritornello, ma un'altra canzone gli fece perdere il ritmo ed interruppe il suo canto, una melodia classica di qualche famoso pianista, Shoto amava anche quel genere di musica, era molto rilassante per le sue orecchie.
 
Schiacciò il tasto verde sul display mettendo il vivavoce, senza però guardare chi fosse il suo interlocutore. 
 
Quando una indistinguibile voce rauca si fece largo nella macchina, il ragazzo dai capelli bicolore non poté trattenere un sorriso, però quello che gli fu comunicato lo rabbuiò.
 
Chiuse la chiamata congedando il suo compagno tranquillamente, e poi chiamò il cliente che lo aspettava per l'appuntamento. 
 
Appena gli rispose, Shoto disse queste parole. 
 
"Mi scusi, ma dobbiamo disdire l'incontro, ho avuto un grave contrattempo che richiede la mia presenza, le farò sapere, arrivederci" e senza sentire la risposta dell'altro chiuse la chiamata sfrecciando verso una terribile meta che faceva riaffiorare cattivi ricordi alla mente, l'ospedale.
 
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La ragazza alla reception dell'ospedale Shinjuku di Tokyo, aveva i capelli argentati, lunghi, raccolti in una coda disordinata, gli occhi rossi, come le mele caramellate che tanto amava, annoiati, erano rivolti verso il telefonino, dove il classico gioco di Candy Crush le faceva compagnia durante quelle ore lavorative. 
 
Accanto a lei, un ragazzo dai capelli corvini e dagli occhi nero pece, aveva risposto con la stessa aria annoiata ad una telefonata proveniente dal telefono fisso dell'ospedale. 
 
Era sera, il loro turno sarebbe terminato a breve, ma quel piccolo lasso di tempo stava sembrando un'eternità a parere loro. Un uomo, sulla trentina probabilmente, dagli stravaganti capelli scompigliati, entrò in quel via vai di gente, insieme ad una ragazza dai corti capelli castani, dirigendosi verso di loro. 
 
Lo sguardo annoiato della ragazza incontrò quello preoccupato di Izuku, che in fretta e furia gli spiegò la vicenda.
 
 "Mio figlio è stato portato qui dopo un incidente, si chiama Hiro Todoroki Bakugou Midoriya, in che stanza posso trovarlo?" la ragazza rivolse lo sguardo al computer pigiando mogiamente sui tasti sulla tastiera del computer per cercare il nome del paziente. 
 
"Lei è il padre, non lo metto in dubbio, ma invece lei chi è? La madre?" chiese rivolgendo i suoi occhi alla figura di Ochaco.
 
 "NO! Lei è-" cercò di dire Izuku provando a trovare una scusa ragionevole.
 
 "Si, sono la zia" disse sorridendo nervosamente la castana poggiando un braccio sulla spalla di Izuku.
 
 "Sisi, la zia" diede retta alla farsa il ragazzo dai capelli verdi. 
 
La ragazza, scettica, li fissò per un'altra manciata di minuti, poi disse "Camera 69." 
 
I due ringraziarono e velocemente si incamminarono verso il corridoio di sinistra. 
 
"No, a destra!" urlò il ragazzo che prima si trovava al telefono. 
 
I due tornarono indietro e imboccarono la strada di destra ringraziando i due ragazzi. "Certa gente è proprio strana" sbuffò la ragazza dai capelli argentati.
 
 "Già Eri-Chan, tutti gli strambi ti capitano, addirittura ci lavori con il re degli strani" disse l'altro indicandosi sorridendo.
 
 "Certo, come dici te Koda" continuò annoiata, ridando la sua totale attenzione all'apparecchio elettronico tra le sue mani. 
 
Qualche minuto dopo uno sguardo rabbioso ma preoccupato, con passi pesanti entrò nella sala, e camminò fino alla reception sbattendo le mani su di essa. 
 
Koda sobbalzò spaventato, mentre Eri era rimasta impassibile, con quella sua aria annoiata e di noncuranza che gli avevano passato il fratello maggiore ed il padre nel crescere. 
 
"Come posso aiutarla?" chiese irremovibile dalla sua espressione. 
 
"Cerco un ragazzo di nome Hiro, in che stanza lo avete ficcato?!" sbottò Bakugou. 
 
La ragazza roteò gli occhi, un altro di quella famiglia di strambi.
 
 "Il padre è già arrivato, lei chi è? Il nonno per caso?" chiese tranquillamente la ragazzina. 
 
Koda spalancò la bocca alla provocazione mentre osservava il viso dell'uomo dai capelli biondi diventare di un colore rosso, una bomba pronta ad esplodere.
 
 "A chi hai dato del vecchio mocciosa? 
Sono anch'io suo padre, guarda i fottuti documenti, il suo secondo cognome è Bakugou proprio come il mio" sbraitò Katsuki lanciando sulla reception un documento preso dal portafoglio. 
 
La ragazza lo prese con noncuranza osservandolo attentamente, più che una segretaria sembrava una poliziotta.
 
 "Mhh...Stanza 69" disse porgendogli il documento. 
 
Katsuki lo prese e sogghignando disse
 "Si vede proprio che è per mio figlio" poi corse nella direzione di sinistra senza nemmeno salutare.
 
 "Signore, deve andare a destra" urlò come prima Koda. 
 
"Non mi dire quello che devo fare comparsa!" urlò a sua volta Bakugou sparendo verso i corridoi di destra. 
 
Koda rabbrividì al tono di voce rude e poi sospirò.
 
 "Quel tipo mette i brividi, come si fa a stare con uno come lui." 
 
"Nello stesso modo in cui vorresti stare con me" disse tranquillamente Eri rivolgendo lo sguardo al computer per sistemare alcune pratiche lavorative. 
 
Koda sgranò gli occhi arrossendo e fissò il pavimento rigirandosi le dita tra le mani. 
 
Passarono un po' di minuti, i due pensarono che finalmente il loro turno di lavoro si sarebbe concluso tranquillamente, e così fu per Eri che si alzò dalla sedia sgranchendosi le articolazioni. 
 
"Il mio turno è finito, vedi di rimanere vivo fino a domani" e dicendo questo sparì attraverso la porta dietro di loro. 
 
Koda sbattè per alcuni secondi gli occhi, poi si rigirò, non lo avesse mai fatto, quasi non cadde dalla sedia dallo spavento. 
 
Un uomo dai capelli bicolori e gli occhi eterocromatici lo fissava con aria neutra. Quando era arrivato? 
 
Non lo aveva proprio sentito. 
La sua pelle bianca cadaverica lo faceva sembrare un fantasma, possibile fosse una figura soprannaturale?
 
 "B-buonasera come posso aiutarla?" chiese rabbrividendo il ragazzo.
 
 "Cerco mio figlio Hiro Todoroki Bakugou Midoriya, in che stanza si trova?" anche la voce di quello strano essere umano era apatica come il suo sguardo.
 
 "Anche lei è uno dei padri?" chiese piegando la testa di lato.
 
 "Si, Shoto Todoroki. 
Ecco a lei un documento" rispose porgendogli la tessera della patente. 
 
Koda pensò che nonostante l'apparenza, la persona davanti a lui era estremamente composta ed educata, non sembrava nemmeno che stesse andando a trovare il figlio che aveva appena subito un grave incidente, forse era un bene per lui essere quel tipo di persona che riesce a mantenere la calma durante i momenti difficili, oppure no perché dal punto di vista di qualcun altro poteva sembrare un tipo senza emozioni o sentimenti verso il prossimo. 
 
Dopo tutti quei pensieri, così profondi, che nemmeno Koda pensava di poter formulare, ridiede il documento all'altro indicandogli la stanza e la direzione visto che come gli altri stava per andare verso sinistra.
 
Koda poté tirare un sospiro di sollievo, mancava poco e finalmente avrebbe potuto tornare a casa e raggomitolarsi tra le coperte calde del letto leggendo un buon libro. 
 
Dopo qualche minuto vide la figura di Eri sbucare davanti a lui, diretta verso un ragazzo dai capelli viola e distrattamente lo salutava con la mano. Koda ricambiò ricevendo, però, lo sguardo infuocato del fratello della sua collega su di lui. 
 
"Hey fratellone, andiamo?" salutò Eri il più grande.
 
 "Si, ho preso la moto. Non mi piace quel tizio, ti osserva troppo" rispose passandole un casco ma continuando ad osservare il ragazzo dietro la reception.
 
 "Dai, non guardarlo in quel modo, non è così male" disse Eri sempre con la sua aria noncurante ma accennando un piccolo e tenero sorriso. 
 
Il ragazzo dai capelli viola sbuffò ed insieme alla sorella uscì dall'ospedale.
 
 Koda si rilassò finalmente sulla sedia, troppa pressione quel giorno, troppi sguardi strani. 
 
Finalmente mancavano solo cinque minuti al cambio e alla fine della sua lunga giornata lavorativa, se non solo un grande ammasso di gente non entrò dentro l'ospedale e andò verso di lui chiedendo della stessa identica persona, quel ragazzino di nome Hiro. 
 
Koda roteò gli occhi ma fu felice per quel ragazzino che aveva tante persone che lo circondavano e gli volevano bene. 
 
Riferì loro che i padri erano già in stanza e che dopo, a turni, avrebbero potuto vedere il ragazzo. I parenti e gli amici si sedettero sulle sedie in attesa, e Koda finalmente potè dare la parola "fine" a quella stancante giornata. 
 
   
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Il ragazzo faticava ad aprire gli occhi. 
Appena ci aveva provato la luce lo aveva accecato, così aveva preferito rimanere con gli occhi chiusi rimanendo avvolto dall'oscurità.
 
 La testa gli doleva per qualche strano motivo che non ricordava, sentiva le ossa a pezzi, come se qualcuno le avesse spezzettate e fatte in piccoli pezzetti lasciando solo con le sue articolazioni dolenti. 
 
Una mano però, che stringeva la sua, lo fece distogliere dai suoi pensieri, riconoscendo subito a chi apparteneva quel calore.
 
D’istino la strinse e sentì il ragazzo accanto a lui sussultare, con la poca forza che aveva mise sù un sorriso. Prese forza, e con qualche difficoltà, aprì i suoi occhi rossi rispecchiandosi in due eterocromatici: rosso e giallo, un mix che aveva pian piano imparato ad adorare e poi ad amare. 
 
“Hiro sei sveglio!” il ragazzo gli saltò letteralmente al collo ignorando le varie fasciatura sul suo corpo. 
 
Hiro gemette, leggermente, di dolore, ma ignorò la cosa ricambiando, per quanto il braccio fasciato permetteva, l’abbraccio. 
 
“Già, è difficile sbarazzarsi di me, Haruki”. 
Il ragazzo si sollevò di poco dall’altro, le lacrime ai lati degli occhi e le loro fronti a contatto. 
 
Fece scontrare, lievemente, le loro labbra, dando vita ad un bacio affettuoso, delicato. Un colpo di tosse, però, li fece immediatamente staccare e girare verso dove proveniva il suono. 
 
Sulla soglia si ergevano le tre sagome dei genitori di Hiro, che con aria preoccupata si avvicinarono al figlio. 
 
Haruki si spostó dando la possibilitá ad Izuku di abbracciare dolcemente suo figlio e iniziare a singhiozzare sulla sua spalla. Le lacrime scendevano sul suo viso, il risultato della tensione accumulata fino a quel momento. 
 
“Papá, tranquillo sto bene” cercò di calmare il genitore, Hiro, accarezzandogli lievemente la schiena.
 
 “No, non va tutto bene. Abbiamo parlato con i tuoi amici che erano presenti, e non è stato un incidente, tu-” ma non riuscì a terminare la frase che nuove lacrime e singhiozzi fuoriuscirono dal suo corpo tremolante, stringendo il figlio più che poteva come se avesse paura che tra un momento all’altro potesse sgretolarsi tra le sue mani.
 
Dall’altra parte del letto, inginocchiato alla sua altezza, Shoto osservava il figlio con un'aria davvero preoccupata, aveva paura di cosa passasse per la sua testa, di scoprire il perché delle sue azioni, di scoprire il dolore che teneva dentro e non aveva mai mostrato a loro, mettendolo da parte, in un angolino, e poi esploso all’improvviso. 
 
Accarezzò i capelli bianchi di suo figlio, simili ai suoi, e quando incontrò il suo sguardo ebbe la conferma che si, aveva paura di scoprire quale fosse il suo tormento, perché suo figlio bramava tanto la morte?
 
 “Hiro… Quello che hai fatto, per quanto giusto ti potesse sembrare, è sbagliato, ed è davvero il modo peggiore per affrontare i problemi che puoi avere alla tua etá. Molti ragazzi pensano che il su- che quella scelta sia la migliore per sentirsi finalmente liberi da ogni peso, posso comprenderti, davvero, ma qui hai tante persone che ti amano, indipendentemente da quello che pensi, noi ti vogliamo qui, vogliamo che riempi le nostre giornate, che c’è le migliori, sei la cosa migliore che ci potesse capire e noi vorremmo che tu continui a capitare nelle nostre vite, che continui a vivere, perché non è sotto terra che vogliamo vederti ogni giorno”. 
 
Gli occhi di Shoto erano lucidi, la voce tremante mentre parlava. Hiro sgranò gli occhi vedendo suo padre in quelle condizioni, così vulnerabile e privo della compostezza che lo caratterizzava. In quel momento comprese la grande cazzata che stava facendo, e riuscì a confermarlo appena sentì un singhiozzo provenire dall’ultima persona che si sarebbe mai aspettato. 
 
Suo padre Katsuki si trovava davanti al suo letto, lo sguardo rivolto in un angolo impreciso e una mano sulla bocca per trattenere quei singhiozzi che lo avrebbero reso debole, intanto una lacrima solitaria solcava il suo volto. 
 
Hiro non poteva crederci di vedere quel suo genitore sempre rude anche se amorevole a modo suo, piangere per quella situazione, aveva davvero provato a fare qualcosa di imperdonabile, e solo in quel momento aveva preso coscienza di ciò.
 
 Katsuki intanto non riusciva a smettere di tremare, di piangere, anche se non sembrava lui aveva bisogno di affetto, di una rassicurazione, di sapere che tutti stavano bene, che suo figlio stava bene…
 
E fu Shoto ad alzarsi per abbracciarlo, consolarlo e dirgli che andava tutto bene, che non era successo nulla e tutto sarebbe andato a migliorare, e Katsuki si aggrappò a quelle parole, a quelle rassicurazioni infondate. 
 
Izuku, intanto, non si decideva a staccarsi dal figlio, non ci riusciva, era terrorizzato all’idea che Hiro avesse potuto compiere di nuovo quel gesto. 
 
Un “mi dispiace” riuscí a sussurrare soltanto, poi il vuoto più totale, non sapeva come farsi perdonare, ma in fondo non c’era alcun motivo per chiedere scusa, spesso, presi dall’emozione, noi esseri umani prendiamo scelte sbagliate dettate dalle sensazioni del momento, cerchiamo un modo di fuggire dalla realtà pur di non affrontarla, ma a volte ci dimentichiamo che a soffrirne non ci siamo solo noi, chi ci sta intorno ne puo’ pagare le conseguenze, e questa è una delle responsabilitá che ci dobbiamo prendere quando veniamo al mondo. 
 
Anche Hiro, dettato dalla confusione, dalla rabbia, dalla tristezza e dalla paura, si era gettato tra le braccia della disperazione, della morte, sperando di essere preso al volo, ed invece, mancò l'obiettivo.
 
Appena voltò lo sguardo verso sinistra incontrò gli occhi del suo ragazzo, ancora lucidi, ma che lo rassicuravano, che in fondo sapevano la veritá, ma toccava a lui raccontarla. 
 
“Volevo soltanto che le voci smettessero” ed i tre genitori con quelle parole presero coscienza di cosa fosse successo.
 
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Nonostante il mondo in cui vivessero era abbastanza aperto mentalmente, a parte qualche brutto stereotipo o varie discriminazioni che riguardavano alcuni membri della società (in particolare gli omega). 
 
La maggior parte della popolazione vedeva una coppia come un’altra, come normale che sia, non contavano il genere o il numero, l’importante che tutti fossero consenzienti e ci fosse amore e affetto. 
 
Ma purtroppo anche nella loro società esistevano quegli individui che non vedevano bene alcune coppie specifiche: uomini e uomini o donne e donne non potevano stare insieme, una regola che nessuno aveva imposto, se non loro. 
 
E purtroppo anche nella politica, anche se in minoranza, si trovavano individui di questo tipo che nessuno aveva richiesto eppure tenevano ancora i loro sederi sulle loro lussuose poltrone. In più, quando queste relazioni riguardavano più di due individui, le cose si complicavano, e a subire di tutto quello si ritrovò Hiro. 
 
A scuola era stato subito preso di mira a causa dei suoi genitori, le battutine non mancavano, insieme a qualche sgambetto o messaggio lasciato nell’armadietto. 
 
E lui subiva in silenzio, sentiva sempre quelle voci che sussurravano, che ridacchiavano, quegli sguardi maligni sulla propria figura, le dita che lo indicavano come se fosse un fenomeno da baraccone. Eppure lui non capiva cosa ci fosse di tanto sbagliato nella sua vita, non capiva perché la sua felicitá doveva essere cancellata da qualche chiacchiera che poi dilungava, prendeva la fantasia, di bocca in bocca la storia cambiava, prendeva strane pieghe, e all’improvviso si ritrovó ad essere
“il ragazzo delle orge". 
 
Tutti a scuola lo conoscevano, tutti sapevano chi era, o almeno, credevano di sapere, ma in veritá non conoscevano cosa ci fosse dietro al suo sguardo indifferente, non sapevano dei sentimenti che come ogni essere umano covava dentro, non sapevano che le parole lo stavano distruggendo portandolo ad un punto di non ritorno. 
 
E alla fine, dopo un mese dall’incidente, tutti avevano preso consapevolezza del male che avevano creato, della cattiveria che avevano covato con cura dentro, e delle radici oscure che si erano insediate dentro di loro. 
 
Ora i responsabili “delle voci” stavano pagando le conseguenze delle loro azioni, ed Hiro, dopo mesi di sofferenza, poteva vivere una vita serena da normale adoleacente insieme al suo ragazzo e agli amici fidati che aveva. 
 
Izuku, Shoto e Katsuki erano diventati più premurosi e attenti verso i bisogni del figlio, non mancava un attimo per parlare o per dargli un abbraccio, per dirgli quanto gli volevano bene e quanto aveva migliorato le loro vite. 
 
Dai nostri errori tutti impariamo, e così era successo ad Hiro, aveva sbagliato a tenersi tutto dentro, a non confidarsi, a fingere in continuazione di stare bene, a prendere la decisione di lasciarsi tutto quanto alle spalle e andare via per sempre dal mondo. 
 
Anche se lui era la vittima aveva sbagliato e ne era consapevole. 
 
Però nei momenti bui possiamo sempre ritrovare la luce, la felicitá, in quei momenti si crolla, per poi ricostruirsi e diventare più forti prima, per essere più uniti come mai erano stati.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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