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Autore: Koa__    01/10/2022    2 recensioni
Un anno e mezzo dopo il suo matrimonio, Magnus Bane vive una vita felice come Sommo Stregone di Alicante e marito dell’inquisitore Alec Lightwood. Ha una vita perfetta, un lavoro appagante e un uomo accanto che ama da morire. Da quando Clary ha riacquistato la memoria, poi, le cose non potrebbero andare meglio di così. Un giorno, però, mentre svolge il proprio lavoro di inquisitore presso l’istituto di Stoccolma, Alec scompare nel nulla. Magnus, Jace, Clary, Isabelle e Simon si recano in Svezia per indagare, ma una volta giunti lì si rendono conto che il mistero è ben più fitto di quanto non si aspettassero. Nel bel mezzo di una discussione, il gruppo riceve un messaggio nel quale si dice che, per ritrovare Alec, serviranno il Coraggio e la Magia, le abilità di Jace e Magnus dovranno quindi unirsi. Se inizialmente i due non fanno che discutere su come sia meglio agire, rinfacciandosi le cose a vicenda, a un certo punto si renderanno conto che saranno costretti ad andare d’accordo per il bene di Alec.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Coraggio






 

Quando la voce tremolante di Simon Lewis ebbe finito di leggere il messaggio di fuoco, questo si incendiò, finendo a terra in un cumulo di cenere. Per allora il silenzio era sceso sul sagrato della chiesa antistante l’Istituto di Stoccolma dove un piccolo drappello di Nascosti e Shadowhunters si era radunato. In lontananza poteva sentire i rumori della città farsi sempre più distanti, i suoni del traffico e della natura si mescolavano al vociare dei passanti. Più in là ancora, in direzione del mare, le sirene dei vaporetti esibivano sbuffi di fumo bianco che sporcavano un cielo altrimenti azzurro. Non faceva caldo, ma era passato mezzogiorno e il sole conferiva alla pelle bianca di Jace Herondale un piacevole tepore. E adesso, si chiese ripensando a quell’enigmatico messaggio, cosa sarebbe successo? Gli angeli proprio non li capiva, li aveva sempre invocati pregandoli di proteggere coloro che amava oppure ringraziando Raziel ogni giorno per ciò che aveva concesso loro, dando da bere il proprio sangue a Jonathan Shadowhunter. Da quando avevano cancellato la memoria di Clary facendola diventare una mondana, però, Jace aveva smesso di capirli. E ora che Alec era scomparso e che tracce di magia angelica lasciavano supporre che fossero stati proprio loro a farlo sparire, li comprendeva ancor meno. Aveva bisogno di calmarsi, anche se ormai era difficile persino il semplice concentrarsi senza esplodere di rabbia. Chiuse gli occhi e inspirò lentamente, accarezzato dalla brezza marina che spirava da sud riuscì a portare dentro di sé una pace che da ore sembrava sfuggirgli. Non era solo colpa loro, più di tutto, Jace rimproverava se stesso per quanto successo; come poteva non essersi accorto di niente? Aveva scaricato addosso a Magnus tutte le responsabilità, ma la verità era che lui non c’entrava. Se anche avesse commesso un errore, comunque sapeva che non avrebbe fatto nulla per fare del male all’uomo che amava. Contrariamente a lui, che in più occasioni aveva perso la testa, era anche stato bravo a mantenere la lucidità necessaria e ad andare in cerca di Alec senza lasciarsi dominare dalle emozioni. Jace non era sicuro di star facendo altrettanto bene, il che era ben più grave considerato che uno Shadowhunter non avrebbe mai dovuto lasciarsi influenzare dai sentimenti. Invece che restare freddo e ragionare con logica, aveva accusato Magnus di essere geloso. Era stato un modo per non pensare, per scaricare su qualcun altro la propria frustrazione. Clary gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco quando aveva accusato suo cognato di una cosa stupida come la gelosia, probabilmente gli avrebbe anche fatto una bella ramanzina, se quel fulmine non fosse piombato dal cielo a pochi metri da loro. Quando Simon aveva letto il messaggio, un pizzico di speranza gli aveva fatto sussultare il cuore. Era perso senza il suo Parabatai, era come se continuasse a girare a vuoto, quasi sentisse dentro di sé una mancanza asfissiante. Eppure era vivo, forse non era stato in grado di rintracciarlo, ma neanche gli angeli potevano frapporsi a un legame sacro come quello tra i Parabatai. La runa c’era ancora, questa era la sola consolazione che possedeva, ciò che lo spingeva ad andare avanti. Era a quel punto che i suoi pensieri si inceppavano e un tarlo si insinuava dentro la sua mente: e se stesse sbagliando anche a sentirlo oltre che a cercarlo? Si era intestardito sul fatto che Alec potesse essere finito in un’altra dimensione, ma in realtà era quasi sicuro che non fosse così.
«Cosa pensate voglia dire?» mormorò Clary, riportandolo bruscamente al presente. Jace volse lo sguardo al mucchietto di cenere che stava ai piedi di Simon, aveva smesso di leggere, ma la sua voce ancora gli rimbombava nelle orecchie. Cos’era quello che aveva appena sentito? Forse una sorta di indovinello? Magia, coraggio e lealtà, erano tre virtù molto importanti, due delle quali tipiche degli Shadowhunters, ma la magia invece non lo era. O, meglio, i Nephilim utilizzavano la magia angelica, che era molto diversa rispetto a quella dei demoni e molto più finalizzata a sconfiggere il male. Posando gli occhi su Magnus si disse che a quel punto era ovvio dove avrebbe potuto trovare la magia nel loro gruppetto, quello che non riusciva a non chiedersi era dove si trovasse Alec di preciso e perché gli incantesimi di uno stregone fossero una parte fondamentale per ritrovarlo. Che fosse protetto da barriere magiche? Poteva anche essere, ma da quando gli angeli ne usavano? In effetti però avrebbe spiegato perché riusciva a sentirlo, ma non a localizzarlo.

«La prima delle tre credo si riferisca a Magnus» disse Simon, indicando il suddetto. «Nessuno è più magico di lui mentre il coraggio penso sia tu, Jace.»
«Cosa? E perché dovrei essere io, scusa?» si impuntò, anche se in realtà aveva senso, ma era nervoso e trovava molto più consolatorio dare contro a chiunque. «Potrebbe essere Izzy o persino tu, sai?»
«Io non credo» gli diede manforte Clary, ovviamente lei stava dalla sua parte. Non lo faceva con cattiveria e non ne era davvero geloso, nonostante si divertisse a convincere entrambi del contrario. Però di tanto in tanto pensava che se Simon fosse stato uno Shadowhunter invece di un vampiro quei due sarebbero diventati Parabatai, perché si completavano a vicenda e ragionavano nello stesso identico modo. In effetti c’erano momenti in cui in loro rivedeva se stesso e il rapporto che aveva con Alec, anche loro erano molto uniti e si trovavano a loro agio uno a fianco all’altro, anche per questo non riusciva a stare calmo.
«Il messaggio diceva “Appianando le divergenze” ricordate?» proseguì Clary, testarda. «E voi due non avete fatto altro che litigare da quando il nostro amico è scomparso.»
«Penso tu abbia ragione, biscottino» intervenne anche Magnus, ma non sembrava davvero convinto. Di certo non ne era contento, e come poteva esserlo? Lo aveva attaccato dal primo minuto in cui era arrivato in Istituto!
«Penso tu abbia ragione, biscottino» lo scimmiottò Jace, facendo delle smorfie e beccandosi una gomitata di Clary nello sterno, gli aveva anche sussurrato un: “Piantala” a mezza bocca, di modo che soltanto lui potesse sentirla, ma lo sguardo omicida che gli aveva rivolto era piuttosto ovvio.
«Anche se fossimo noi due» continuò, massaggiandosi lo sterno. «Il messaggio non spiega dove dovremmo iniziare a cercarlo e poi che significa che io sono il coraggio? A questo punto se lo stregone è la magia, Alec dovrebbe essere la lealtà. Ma perché? Cos’ha a che fare tutto questo con la sua scomparsa? Il messaggio diceva anche che sta proteggendo qualcosa, ma che cosa?» Jace non si aspettava davvero delle risposte a tutte quelle domande, neanche lui aveva idea di cosa volesse dire. Gli angeli agivano per vie misteriose e in quel momento non riusciva a pensare che ne esistesse una più misteriosa di quella. Era certo di una cosa però: Clary aveva ragione, anche se al momento la sola idea di dover collaborare con Magnus gli faceva venire l’orticaria, e lo faceva anche sentire in colpa perché nonostante si rendesse conto di star sbagliando, continuava a trattarlo male, era la sola cosa sensata al momento.
«Di qualsiasi cosa si tratti la scopriremo presto» se ne uscì Isabelle, indicando con il mento un punto imprecisato alle loro spalle. Non fu necessario voltarsi per sapere quello che stava succedendo, un battito di ciglia più tardi, una bellissima luce calda lo avvolse. Jace sentì tutte le rune attivarsi e illuminarsi, aveva la sensazione che quel poco del sangue di Ithuriel che aveva nelle vene stesse scorrendo ancora più velocemente. Grazie a quello era più abile e veloce di un comune Shadowhunter, ma quando quella luce lo avvolse, Jace si sentì invincibile. E allora chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal calore e baciare da una beatitudine che non aveva mai sperimentato prima. Quando tutto svanì e si ritrovò a sbattere le palpebre, ancora accecate, Stoccolma era sparita. Non era più nel piazzale antistante l’Istituto, ma in una radura circondata da alberi verdeggianti. Al suo fianco c’era Magnus, era avvolto in un cappotto bordeaux pieno di lustrini con dei pantaloni di pelle aderenti e in quel momento si guardava attorno dandogli le spalle. Jace pensava che fosse un po’ meno scintillante rispetto al solito e che i suoi capelli apparissero ancora più flosci, ma un’angoscia come quella che di certo stava provando, avrebbe piegato anche il più gelido degli stregoni immortali. Decise che distogliere le attenzioni da lui fosse una buona idea e quindi guardò verso il basso, notò che stava appoggiando i piedi su un prato verdeggiante, umido di brina. Il sole filtrava a fatica attraverso la fitta schiera di altissimi alberi che li circondavano, era giorno, ma erano all’ombra e faceva anche freddo. Non aveva la minima idea di dove si trovassero, ma se le teorie di Magnus erano corrette, l’angelo doveva averli trasportati altrove.


«Non siamo in una dimensione infernale, questo è sicuro. In genere quelle sono molto meno accoglienti di così» osservò il suo compagno di viaggio, voltandosi verso di lui soltanto allora. Fu in quel momento che notò che aveva il glamour abbassato, un paio di occhi da gatto color ambra lo fissavano intensamente. Era sempre un po’ inquietante quando gli stregoni mettevano in risalto la loro parte demoniaca, ma quel giorno stranamente sentì uno sfrigolio strano dentro lo stomaco. Sembrava eccitazione, anche se non aveva granché senso.
«Che c’è?» gli chiese poi, notando che era indietreggiato e che lo fissava con occhi sgranati. Lo sfrigolio non se n’era andato, anzi aumentava.
«Il glamour… Voglio dire i tuoi… Il marchio da stregone è esposto.»
«Davvero?» replicò lui in risposta, sembrava sorpreso in effetti, come se non se ne fosse reso conto sino a quel momento. Non era un qualcosa che mostrava poi così spesso a dire il vero, gli era capitato di vederli in passato, ma era sempre stato per pochi attimi e il più delle volte mentre compiva un incantesimo. Con uno schiocco di dita, Magnus materializzò tra le proprie mani un piccolo specchio che utilizzò per controllare che stesse dicendo la verità. Lo vide arricciare le labbra e sforzarsi come se stesse provando a nasconderli, ma qualsiasi cosa stesse facendo non sembrò funzionare perché qualche istante più tardi lo specchio sparì e lui, innervosito, incrociò le braccia al petto.
«Penso che i glamour non funzionino qui. Ovunque qui sia» sentenziò. Jace annuì, rendendosi conto del fatto che avesse ragione. Non ne comprendeva il motivo, ma per sicurezza era meglio controllare che le sue rune avessero un qualche effetto. Iniziò dal un semplice glamour quindi estrasse lo stilo dalla tasca dei pantaloni, ma sorprendentemente la runa si attivò da sola, illuminandosi di luce angelica.
«Wow e quello cos’era?»
«Stavo provando a vedere se avevi ragione, ma la runa si è attivata da sé» spiegò, notando che adesso questa era illuminata, ma che niente era successo al proprio corpo. D’accordo, il “Niente glamour” valeva anche per lui, ma a quanto pareva i suoi poteri erano aumentati. Jace chiuse gli occhi e si concentrò su qualcos’altro, la runa della forza si attivò immediatamente senza che lo stilo avesse neanche sfiorato la pelle. Per testarla, si avvicinò a una grossa roccia che stava loro accanto e senza troppa fatica la sollevò fin sopra la propria testa.
«Va bene» mormorò Magnus. Pareva visibilmente colpito dal suo gesto, ma subito un qualcosa di radicalmente diverso adombrò il suo sguardo. «Questo luogo dev’essere speciale.»
«Mh, beh» borbottò, senza davvero sapere cosa dire. Si guardò attorno come a voler cercare di capire se anche gli altri avevano dei problemi a riguardo, ma notò soltanto allora che erano soli. «Dove sono tutti?» Non si aspettava per davvero una risposta a quella domanda, anche perché inconsciamente lo sapeva: se lui e Magnus erano le persone destinate a trovare “La Lealtà”, allora gli altri erano rimasti a Stoccolma.
«Penso che il messaggio dell’angelo fosse letterale, Shadowhunter» se ne uscì Magnus, iniziando a guardarsi attorno come se cercasse di capire in quale direzione procedere. «Temo tocchi a noi due salvare Alexander.»
«Se è così muoviamoci» mormorò, con fare spiccio, sfoderando la spada ed entrando nel bosco, gli era sembrato di intravedere un sentiero appena dopo il limitare e comunque dovevano iniziare da qualche parte. Certo, ragionò facendo qualche passo, quel posto non gli trasmetteva niente di buono. Poteva anche non essere una dimensione infernale, ma almeno se fossero stati a Edom sapeva cosa aspettarsi ovvero orde di demoni inferociti, qui aveva la sensazione che letteralmente qualsiasi cosa sarebbe potuto spuntare da dietro il tronco di un albero. Non che avesse paura, ovviamente, non impersonificava forse il coraggio? 


 

Camminarono a lungo, senza avere idea di dove stessero andando, ma con la certezza che dovessero continuare. Potevano aver inceduto per ore o giorni, Jace a un dato momento si rese conto che non aveva la minima idea di quanto tempo fosse passato. Il bosco era molto fitto, composto da altissimi alberi di sequoie e larici che consentivano di rado alla luce del sole di filtrare attraverso le fronde. A brulicare sul terreno c’era una quantità di vita delle più straordinarie forme e dimensioni, Jace ne era inevitabilmente affascinato. Era una foresta magica, tanto che a tratti aveva avuto l’orribile sensazione di trovarsi all’interno della corte dei Seelie. Quell’impressione, però, subito era svanita perché in quei casi si sentiva a disagio, come se ogni filo d’erba lo stesse sorvegliando. Adesso invece stava bene, anzi era più potente che mai. Piccoli arbusti crescevano lungo quello che era a tutti gli effetti un sentiero battuto. Cespugli di rovi pieni di more e bacche, che Magnus aveva rubato in un paio di occasioni lanciandosele in bocca come se fossero stati popcorn. I funghi erano giganteschi mentre i fiori avevano dei colori tra più sgargianti. Gocce di resina grandi come pugni gocciolavano giù dai pini e poi favi penzolavano dai rami dei lecci, con il viavai incessante delle api che ronzavano, cariche di polline. C’erano farfalle enormi e coloratissime, uccellini che cinguettavano, esseri magici sfuggenti che con la coda dell’occhio riusciva a catturare. Era piuttosto sicuro di aver visto una Pixie a un certo punto e quella che gli era passata di fianco prima era probabilmente una Ninfa.
«Questo posto è davvero strano» commentò Magnus a un certo momento, spezzando il silenzio teso che era sceso su di loro dopo che avevano lasciato la radura. Stavano continuando a seguire il sentiero perché inoltrarsi tra gli alberi era escluso, già faticavano a stare una strada battuta, ma non avevano proprio mai parlato.
«In che senso?» replicò Jace, brandendo la spada e spezzando così l’ennesimo cespuglio di rovi che intralciava il tragitto.
«Non so se te ne sei accorto, Shadowhunter, ma questa foresta è incantata.»
«Certo che l’ho capito, per chi m’hai preso?» replicò, piccato. Non era mica cieco!
«Beh, avrai senz’altro notato che ci sono sia creature Seelie che Unseelie. Unicorni e Satiri che vivono uno a fianco dell’altro? Questo sicuramente è un luogo unico nel proprio genere, forse una terra di confine. Non lo so, non ho mai visto niente di simile in vita mia.» Jace avrebbe voluto rispondere dicendogli che era una novità anche per lui, che non gli era mai successo di trovarsi in una situazione del genere, ma proprio quando stava per parlare, ciò che avrebbe avuto da dire gli morì sulla punta della lingua. Il sentiero volgeva a sinistra e, oltre un altro paio di alti alberi, la strada si apriva al di fuori della foresta dove un pallido sole illuminava l’erba fresca. Jace accelerò il passo, forse erano arrivati, forse… Di nuovo le parole morirono in gola ancora prima di nascere, non erano arrivati proprio per niente. Si trovavano invece al limitare della boscaglia, la quale si apriva su un precipizio che aveva tutta l’aria di essere profondo quanto il cratere di un vulcano. Sulla riva opposta della montagna, a una cinquantina di metri, il sentiero continuava, ma per arrivarci avrebbero dovuto superare un ponte fatto di corda e assi di legno. Niente di complicato, se soltanto questo non fosse stato sorvegliato da un tizio che, appoggiato a un bastone, ora li osservava con un sorrisino salace. Non era alto più di un metro ed era chiaramente una creatura magica, ma Jace non era sicuro a quale specie appartenesse.
«Finalmente siete arrivati, voi due!» esclamò questi, rimproverando entrambi con un’occhiataccia. Sembrava piuttosto impaziente perché batteva freneticamente un piede a terra e ora aveva puntato in direzione di entrambi il rugoso ramo d’albero che aveva in mano e che usava come sostegno.
«Tu» disse indicando Magnus, il quale subito si irrigidì. «I tuoi abiti brillano e anche le tue palpebre. Perché?» chiese, rudemente.
«Mi piacciono le cose che luccicano» ribatté lui, alzando un sopracciglio. «La cosa ti causa problemi, per caso?»
«Per quanto me ne può fregare… solo che lui lo aveva detto» rispose, enigmatico.
«Lui chi? E poi tu chi sei? Una fata?» si azzardò a chiedere Jace e lo stregone al suo fianco sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Che aveva detto di tanto strano? A suo modo di vedere era una domanda lecita.
«Ehi dico, ti sembro forse una fata?» sbottò questi, irritato, indicando se stesso con un gesto plateale della mano.
«Non vedi che è un Leprecauno?» gli fece presente Magnus, intanto che quel tizio sollevava il cappello che aveva sopra la testa, mostrando con orgoglio la pelata ed esibendosi in una sorta di buffo inchino. A ben guardarlo in effetti non ne aveva proprio l’aspetto. Niente orecchie a punta, niente fiori o foglie, nessuna somiglianza ad alberi o piante di varia natura e soprattutto pareva del tutto privo della grazia tipica delle fate. Al contrario era bassetto e molto nervoso, vestiva interamente di verde, portava un cappellone dello stesso colore e aveva una folta barba che arrivava fino a terra.
«Leprecauno?» ripeté Jace, confuso «significa che siamo in Irlanda?» * Ma perché? Fino a un attimo prima erano in Norvegia… D’accordo erano entrati in un portale o, meglio, il portale si aveva completamente avvolti e trasportati altrove. Anche se in effetti non sembrava propriamente un portale, considerato che se ne oltrepassi uno senza sapere dove conduce finisci nel limbo. Erano forse nel limbo? Jace non lo sapeva, ma se così era non se l’era mai figurato in questo modo.
«Puoi ben dirlo che siamo in Irlanda» annuì il Leprecauno, con fierezza. Era né più né meno uno gnomo, ma da quelle parti si facevano chiamare in un’altra maniera, ovvero Leprecauni e andavano molto fieri della loro identità. Guai a confondere gnomi e Leprecauni! Per distinguersi quest’ultimi si vestivano di verde, erano ancora più avari rispetto ai loro simili, stavano tutto il tempo a trafficare con la loro pentola d’oro che custodivano gelosamente. Jace non era sicuro del perché uno di loro stesse a guardia di un ponte invece che pensare ai propri affari.
«Tzé, una fata…» sputò questi, ancora risentito. «E pensare che voi Nephilim dovreste essere quelli intelligenti, ma forse tu sei un’eccezione, Jace Herondale» disse e poté giurare di aver sentito Magnus sghignazzare al suo fianco. Quel maledetto rideva di lui, come si permetteva?
«Ehi, come conosci il mio nome?» si inalberò, in effetti quello era l’ultimo dei suoi problemi attuali.
«So molte più cose di quelle che credi, Shadowhunter. Senz’altro ne so molto di più voi sul vostro amico scomparso» concluse, furbescamente, accennando a un ghigno sarcastico. Gli gnomi, e i folletti irlandesi in particolare, erano famosi per le loro prese in giro. Si divertivano alle spalle della gente dopo aver fatto loro degli scherzi o avergli rubato questo o quello, erano delle scimmie dispettose e quel tizio probabilmente sapeva davvero qualcosa riguardo Alec. Se così era, avrebbe anche potuto rassicurarli, non era il caso di ridere in quel modo.
«Marito, prego» lo corresse Magnus, incrociando le braccia al petto visibilmente risentito. Si intestardiva molto su quella definizione e con tutto quello che ancora passavano per farsi accettare come coppia mista e omosessuale, poteva capire l’oroglio con cui aveva replicato.
«Quello che è» borbottò quel tizio, quindi sollevò il bastone a mezz’aria e con la punta indicò l’altra parte del ponte. «Colui che rappresenta la lealtà si trova in una torre a due giorni di cammino da qui. Il percorso che vi attende è accidentato, si snoda attraverso le Terre Perigliose ** popolate da demoni, fate malvagie e tentatrici, pericolose creature ben diverse da quelle che fino a qui avete incontrato. Per sopravvivere dovrete unire le vostre forze, diventare ciò che ora non siete e che, a ben vedere, non siete mai stati.» A quel punto il Leprecauno si spostò, lasciando loro libero accesso. Jace e Magnus si guardarono negli occhi, aveva già capito che dovevano collaborare, ma aveva l’orribile sensazione che questa loro unione arrivasse a toccare corde che fino ad allora aveva fatto di tutto per non sfiorare nemmeno. Ed era questo a preoccuparlo davvero. Distogliendo lo sguardo, Jace prese a camminare senza guardarsi indietro. Erano arrivati circa a metà del ponte fatto di assi di legno e corde, quando la voce del folletto che li chiamava da lontano, fece voltare entrambi: «Ehi tu, stregone spilungone» gridò questi, Jace non riuscì a trattenere una risatina intanto che Magnus sbuffava.
«Che c’è?» replicò, voltandosi.

«Ciò che ti aspetta alla fine del viaggio è molto più dolce di quanto tu non possa immaginare.»
«Che diavolo vorrebbe dire?» sbottò, facendo per tornare indietro, ma Jace lo fermò tenendolo per una spalla. Non era il caso di far innervosire quel tipetto indisponente o avrebbe potuto anche impedire loro di passare.
«Seguite il sentiero!» urlò il Leprecauno in risposta, la sua voce si spense nella fitta coltre di nebbia scesa improvvisamente sulle loro teste. Non avevano neanche fatto in tempo a fare un passo che il folletto era sparito, la sua risata beffarda aveva riecheggiato a lungo e poi era scomparso. Erano soli in una terra sconosciuta e potevano fare affidamento unicamente su chi avevano accanto.


 

Oltrepassato il ponte si resero conto che era quasi sera e che avevano camminato per gran parte della giornata, quindi stanchi e con i piedi gonfi, scelsero un punto nel quale accamparsi. Non aveva senso mettersi a correre, perché due giorni per arrivare a quella famigerata torre erano molti da percorrere a piedi. Ovunque Alec si trovasse stava bene, la runa che lo legava a lui non era scomparsa e Jace non aveva percepito nessun lancinante dolore. Al contrario, quegli strani sentimenti che provava sin da quella mattina, ovvero un miscuglio di paura e felicità, non avevano smesso un solo attimo di fargli vibrare il cuore. Adesso non doveva fare altro che riposarsi in attesa del sorgere del sole. Jace si ritrovò a benedire Magnus e i suoi poteri da stregone perché quando finalmente si misero d’accordo sul posto migliore nel quale accamparsi, impresa per altro non facile considerato che neanche su quello si erano detti d’accordo, decisero per una piccola radura accanto a un fiumiciattolo, Magnus aveva fatto apparire un’enorme tenda di superlusso dove avrebbero potuto riposare.
«Wow!» fischiò di approvazione notando la ricercatezza dell’arredamento. C’erano due letti singoli con pesanti coperte, morbidi materassi e pigiami puliti. Diverse lanterne erano sparpagliate ovunque e illuminavano una radura altrimenti buia. Da una parte, oltre i letti, c’era un separé e dietro di esso una vasca da bagno piena di bollicine. Al centro della tenda, invece, oltre a un fuoco magico che riscaldava dal freddo, si poteva trovare un tavolo imbandito di cibarie. Magnus aveva appena finito di innalzare una barriera protettiva, quando Jace iniziò a spogliarsi, lasciando cadere il giaccone di pelle sul letto. Non voleva abusare della runa della resistenza, ogni Shadowhunter sapeva che quando si era in missione non bisognava usarle se non era necessario. Dormire quando si poteva e mangiare in abbondanza, questo era quello che avrebbe dovuto fare perché non sapeva quando avrebbe avuto un’altra possibilità di riposarsi. E poi il suo compagno di viaggio gli stava offrendo tutto quello su un piatto d’argento, perché non approfittarne? Doveva ricaricare le batterie e distendere i nervi, cominciare da un bel bagno caldo era la cosa migliore. Fu ciò che fece, senza fare troppi complimenti e accettando anche il cibo caldo che gli aveva offerto e che, a suo dire, aveva comprato a seguito di una lauta mancia a una taverna non molto distante. Jace avrebbe giurato su quanto di più sacro che lo aveva rubato, ma non disse comunque niente, al contrario lo ringraziò timidamente. Ancora una certa tensione si tendeva tra loro, avevano parlato davvero poco, giusto lo stretto necessario o qualche stupido convenevole. Si sentiva in imbarazzo e non tanto per la gentilezza e l'ospitalità di Magnus, ma perché lo aveva accusato di cose inesistenti fino a qualche ora prima mentre adesso il sapere di dover unire le forze lo metteva a disagio. E in più c’era quella sensazione che non passava, uno sfrigolio strano nello stomaco che provava ogni volta che lui lo guardava. Neanche questo era un qualcosa a cui era abituato. Decise di non pensarci sopra troppo, aveva bisogno di dormire e quindi si buttò sul letto, cadendo infine in un sonno profondo.

 

Jace Herondale non poteva proprio dire di aver trascorso una notte serena, se aveva riposato era stato unicamente per via della stanchezza. Le foreste erano rumorose, ma quella lo era molto di più di quelle di Idris che ben conosceva. Nonostante le barriere di Magnus li avessero protetti dalle creature magiche, aveva comunque la costante impressione di essere osservato. Era stato spiacevole, aveva commentato subito dopo che il suo compagno di viaggio aveva fatto sparire la tenda e loro si erano incamminati in direzione dell’imbocco del sentiero, che si immetteva alla fine della radura nuovamente nel bosco. Magnus non aveva neanche fatto in tempo a rispondere, il primo attacco da parte dei demoni arrivò a quel punto. La spianata di erba verde e fresca non era esageratamente grande, ma li trovò comunque allo scoperto, senza un riparo di fronte a un branco di creature demoniache sbucate letteralmente dal nulla, ma soprattutto li trovò poco coordinati. Si trattava di una ventina di demoni, Jace vi si buttò in mezzo a testa bassa senza neppure mettersi d’accordo su come agire. Non lo aveva mai fatto in tutta la vita, non gli venne neanche da pensare a cosa avrebbe dovuto dire allo stregone che gli stava alle spalle e con il quale, in teoria, avrebbe dovuto unire le forze. Era abituato a lottare con Alec, che lo capiva con uno sguardo e gli parava sempre il fianco esposto. Il suo Parabatai spesso lo precedeva nei movimenti, era dentro la sua testa e nella lotta la loro sincronia era perfetta. Da soli, quei venti demoni li avrebbero uccisi tutti in un batter d’occhio. Con Magnus fu più complicato, quasi impossibile a dirla tutta. Ognuno agiva per sé, senza alcun tipo di coordinamento e con modi di lottare del tutto differenti. Spesso si scontravano, dando modo ai loro nemici di farsi ancora più sotto e metterli in difficoltà. C’era stata un’occasione in cui aveva addirittura perso la spada angelica per colpa di un movimento imprevisto da parte di Magnus, e aveva dovuto fare un salto mortale all’indietro per andarla a recuperare. In risposta, lo stregone aveva anche sbuffato come se gli stesse dando dell’esaltato che desidera unicamente mettersi in mostra. Jace si era sentito ribollire di rabbia, ma aveva taciuto per far fuori il demone che gli stava di fronte e che, a quanto pareva, moriva dalla voglia di staccargli la testa.
«Mettiamoci d’accordo!» urlò lo stregone a un certo momento, «ne sono rimasti otto, tu prendi i quattro di sinistra e io i quattro di destra. Va bene?»
«Ok» annuì Jace, brandendo la spada e facendola roteare un paio di volte prima di lanciarsi addosso a un demone che gli stava arrivando da sinistra. Aveva caricato a gran velocità, aprendo le fauci e soffiandogli addosso quel fiato che sapeva di morte. Jace gli amputò la testa con un colpo netto di spada. Quindi si dedicò agli ultimi tre rimasti. Avrebbe dovuto portare più armi con sé, pensò maledicendo se stesso, intanto che squarciava il torace di uno e passava a quello successivo. Ci mise un bel po’ prima di farli fuori tutti e quando si girò in cerca di Magnus si rese conto che la sua metà di demoni era stata letteralmente vaporizzata, tanto che uno strato impalpabile di cenere si era depositato sul prato. I vantaggi di essere il figlio di un Principe dell’Inferno, immaginò. La cosa strana era che non sembrava felice della vittoria ottenuta, se ne stava invece in ginocchio a terra, teneva la testa di un demone tra le mani e piangeva disperato. Jace non ci mise che un istante a rendersi conto che qualcosa non andava. Non sembrava esser stato ferito, il che era il primo aspetto positivo considerato che non aveva la minima idea di come curare uno stregone. Eppure non stava bene, la sua sembrava sincera commozione per la morte di un demone.

«Che succede?» gli chiese, avvicinandosi di qualche passo, ma comunque mantenendo una certa distanza. Lui non alzò neppure il viso per guardarlo, non gli prestò alcuna attenzione, ancora piangeva e pareva non importargli di altro che di quell’essere, o di ciò che ne rimaneva.
«Lo hai ucciso» lo sentì mormorare quando gli fu abbastanza vicino. «Tu lo hai ucciso!»
«Certo che l’ho fatto» disse, quasi ridendo. Non avrebbe dovuto? Nel senso, lui ne aveva fatti fuori altrettanti agitando le mani in maniera molto più teatrale di quanto lui non eseguisse salti e piroette, era forse invidioso perché arrivato per primo? E comunque quello non era il momento di dispiacersi per una cosa del genere, avevano ancora due giorni di viaggio davanti e di esseri come quello ne avrebbero trovati degli altri molto presto, se non si fossero dati una mossa.
«Lui non è un demone, io lo amavo e tu l’hai ucciso!» gridò, con quanto fiato aveva in corpo. La sua voce riecheggiò per in quella radura, stormi di uccelli volarono via dalle fronde degli alberi e, per un istante, tutto si quietò in un silenzio drammatico. «Io lo amavo e tu lo hai ucciso» sussurrò, di nuovo, cantilenando quelle parole mentre le lacrime non smettevano di solcargli il viso. Jace si era sbagliato, non era dispiaciuto perché era arrivato per primo a far fuori quel demone, era disperato per la sua morte. Aveva capito bene, giusto? Aveva detto che lo amava. E questo era davvero troppo strano perché non ci fosse qualcosa sotto. Per istinto indietreggiò di qualche passo quando Magnus si alzò in piedi con uno scatto agile, se riuscì a evitare la sfera di energia che gli lanciò addosso fu unicamente per via dei suoi riflessi da Shadowhunter. La palla di magia bluastra che aveva tentato di colpirlo aveva agitato i suoi capelli dorati e, in risposta all’averlo mancato, lo stregone aveva emesso uno sbuffo stizzito e quindi sibilato un insulto a mezza bocca.
«Ma che fai? Sei impazzito?» gli chiese, parando altri colpi con la lama angelica ed evitandone invece alcuni con qualche salto agile. Sì, quello non era proprio l’uomo che conosceva e che poteva chiamare cognato, gli era successo qualcosa. Ma cosa? Se aveva detto di amare quella creatura voleva dire che era convinto che fosse Alec o magari un qualcosa gli stava facendo credere di provare dei sentimenti per un qualcuno di diverso da suo marito. Ma il veleno dei raull non causava allucinazioni, quindi doveva trattarsi di qualcos’altro.
«Hai ucciso il mio unico amore, il mio Alexander e pagherai per questo.» Nel dirlo aveva urlato, con ancora più cattiveria rispetto a prima. Avanzando con fare sicuro sull’erba non più fresca. I demoni morti che gli stavano ai piedi di tanto in tanto venivano spinti lontano dalla potenza delle sue sfere magiche mentre, in altre occasioni, venivano polverizzati. Doveva pensare alla svelta perché avanti di quel passo lo avrebbe ucciso per davvero. Cosa poteva essere stato a causargli un miraggio del genere? Fu allora che si ricordò delle parole del Leprecauno: aveva definito la foresta che avrebbero dovuto attraversare come un luogo incantato pieno di pericoli. Terre Perigliose, le aveva chiamate così e aveva anche aggiunto che avrebbero trovato fate malvagie pronte a incantarli e a far vedere loro cose orribili. Doveva essere stato vittima di una di quelle fantasie, non c’era altra spiegazione. Il che significava che c’era una fata nei dintorni e che questa lo aveva irretito in qualche modo.
«Magnus, concentrati, sei stato stregato» tentò di dire, ma lui di nuovo gli lanciò contro una palla di fuoco, che riuscì a evitare per puro miracolo. «Alec è vivo.»
«Menti per salvarti la vita, ma io ti ho stanato.»
«Ti sto dicendo la verità!» esclamò Jace, disperato. «Lui è vivo, guarda» aggiunse, scoprendo la spalla sinistra e mostrando la runa che simboleggiava il legame Parabatai. «Se fosse morto sarebbe sparita e poi non lo ucciderei mai. Stiamo parlando di mio fratello, è il mio migliore amico e darei la vita per salvare la sua.» A fronte di quelle parole, Magnus parve tentennare. Aveva smesso di camminare e lanciare incantesimi, adesso guardava fisso nel vuoto. Non lo aveva convinto, serviva qualcosa di più potente, un… Lo vide in quel preciso momento, lo sguardo cadde in basso, all’altezza dei polsi. Magnus aveva un bracciale molto strano che penzolava giù sulla mano. Ne aveva diversi, in effetti, forse per questo all’inizio non ci aveva fatto caso. Sembrava di un materiale naturale come fili d’erba o… rami d’albero, ma certo! Le fate agivano in questo modo quando avevano necessità di irretire qualcuno, ma non erano in grado di avvicinarsi. La fata si era tenuta lontano e manipolava la sua mente, facendogli credere ciò che non era vero. Arrivare a prenderlo non sarebbe stato facile, quindi Jace decise che la cosa migliore era approfittare del suo momento di distrazione. Scattò in avanti con un movimento deciso, Magnus ne fu talmente sorpreso che non oppose resistenza. Si lasciò buttare a terra e spingere contro il terreno freddo e umido, ma quando gli bloccò entrambe le mani, impedendogli di lanciare incantesimi, questi iniziò a scalciare. Si beccò una ginocchiata in pancia, fino a quando non diede un sonoro strattone a quel dannato bracciale, lanciandolo lontano.
«Ti prego dimmi che non vuoi uccidermi.»
«Lo vorrò se non scendi subito dal mio inguine, Shadowhunter!» Oh, grazie al cielo, pensò rotolando via e stendendosi sull’erba, sfinito. Lo aveva stancato più quello, che la battaglia contro i demoni. Magnus pareva stanco tanto quanto lui, aveva usato un bel po’ di energia e neanche lui aveva dato segno di volersi alzare. Al contrario aveva allargato le braccia, inspirando l’aria frizzante e ora stava ammirando il cielo terso del primo mattino.
«Sei stato incantato dalle fate a proposito.»
«Mh» mormorò, annuendo con consapevolezza. «Lo immaginavo. Non è un dramma. Beh, a parte il fatto che ho baciato un demone.»
«Andiamo» scherzò Jace, ridacchiando. «Ti sei fatto di peggio in vita tua.» Lui in risposta soffiò fuori uno sbuffo divertito, probabilmente sapeva che aveva ragione, ma comunque non lo diede troppo a vedere. Al contrario si alzò subito in piedi, schioccando le dita e cambiandosi d’abito. Il lungo cappotto bordeaux che aveva indossato fino ad allora era stato sostituito da una giacca nera con ricami d’argento, mentre le ciocche dei capelli erano diventate rosa e spiccavano in quella pettinatura a porcospino.
«Molto meglio» commentò, aggiustandosi il ciuffo. «Ah, se lo dici ad Alexander ti trasformo in un’anatra, così avrai paura di te stesso.» Jace rabbrividì al solo pensiero, non dubitava che lo avrebbe fatto se avesse rivelato a suo fratello di quella piccola disavventura. Per quanto lo divertisse l’idea di prendere in giro Magnus con quella storia da lì all’eternità, era sicuro che non avrebbe mai azzardato tanto. Alec era drammaticamente insicuro sulle questioni sentimentali e aveva la tendenza a diventare geloso e a costruirsi castelli in aria per un nonnulla. Non voleva certo essere lui la causa di una crisi matrimoniale ad appena un anno e mezzo dal lieto evento, quindi si ritrovò ad annuire concorde. Sarebbe stato il loro piccolo, sporco segreto. Molto sporco, considerato cosa c’era nella bocca di quei cosi.
«Comunque grazie, Jace» se ne uscì Magnus, esibendosi in un inchino teatrale e incamminandosi in direzione del sentiero. Lo aveva chiamato per nome! E senza storpiarlo o far finta di non ricordarlo. L’ultima volta che era successo probabilmente era stato al matrimonio, quando si erano accorti che Clary era sparita e allora i novelli sposi erano accorsi in suo sostegno, Magnus lo aveva anche abbracciato, dicendogli di non preoccuparsi e che sarebbe andato tutto bene. Jace sorrise, l’idea che lo avesse ringraziato in questo modo senza usare stupidi nomi storpiati, gli scaldava un qualcosa di indefinito al centro del petto.
«Prego» mormorò. Lo stregone però era già lontano e sembrava non volerlo neppure aspettare. Jace si levò in piedi in tutta fretta, correndogli appresso per non rimanere indietro. Stranamente era contento. 


 

C’era una cosa che in tutte quelle ore non era proprio passata, la strana sensazione che provava ogni volta che Magnus posava gli occhi su di lui. Stava ancora cercando di decifrare per quale motivo si sentisse tanto scombussolato e siccome non trovava una risposta sensata, fu ciò su cui ragionò nelle ore a venire. I glamour ancora non funzionavano e Magnus manteneva quel suo sguardo da gatto, con tanto di iridi color ambra e fascino felino. Jace ne era turbato e non avrebbe dovuto esserlo, non in questo modo perlomeno. Ne era così ossessionato che poteva comodamente dire di aver fatto di tutto pur di evitare il suo sguardo anche mentre erano impegnati a fare tutt’altro che camminare in rigoroso silenzio. Non era stata una mattinata facile né tantomeno noiosa, ma aveva passato la maggior parte del tempo a procedere a fatica lungo quell’accidenti di sentiero, facendosi strada attraverso cespugli di rovi che diventavano sempre più fitti. Tagliava rami d’alberi a ripetizione e più ne falciava, più si convinceva che fosse tutto inutile e che questi diventassero sempre di più. Se non fosse stato ben allenato avrebbe avuto già male al braccio, da quanto aveva brandito la spada. Jace, però, alla fatica non ci pensava. Ringraziava l’angelo che non avessero incontrato altri demoni o fate assassine, e tanto gli bastava almeno per il momento. Avevano avuto un problema con una pixie che aveva rubato l’anello di matrimonio di Magnus, sfilandolo dal suo dito e poi scappando nel fitto della foresta, al di là del sentiero. Jace l’aveva rincorsa per miglia, fino a quando quella stramaledetta non aveva gettato il suddetto anello nuziale in una pozzanghera e lui era stato costretto a gettarvisi dentro, sporcandosi di fango dalla testa ai piedi. La cosa tragica di tutto era che a Magnus era stato proibito di lanciarsi in quella pozza sporca. Delle radici gli si erano attorcigliate attorno alle caviglie, impedendogli i movimenti mentre un satiro seduto su una roccia, intento a suonare il suo flauto e a guardarli con aria di sufficienza, aveva dichiarato che avrebbe dovuto essere il Nephilim a buttarsi là dentro per recuperarlo, perché se lo stregone avesse toccato l’acqua sarebbe morto all’istante. Alla fine per colpa di quel tuffo inaspettato aveva maledetto Magnus e tutta la sua stirpe, mantenendo il broncio anche quando lui per ringraziarlo lo aveva ripulito dalla testa ai piedi con un po’ di magia. No, non aveva detto un accidenti di niente ed era tornato indietro nella speranza di non aver perso l’orientamento e ricordare dove fosse il sentiero. Jace poteva comunque dire di essersi vendicato una mezzora più tardi quando un falco, beh non era sicuro che lo fosse, ma di certo si era trattato di un essere volante a lui sconosciuto, gli aveva rubato la spada posandola sulla cima di un altissimo albero. Sulle prime aveva lanciato imprecazioni affatto degne di un figlio dell’angelo, poi però aveva sorriso maligno quando Magnus era stato obbligato da un fungo parlante, forse era un fungo perché neanche di questo poteva dirsi sicuro, ad arrampicarsi fin lassù per recuperare la spada angelica. Probabilmente era stato peggio del fare il bagno in una pozza lurida, ma questo Jace si era guardato bene dall’osservarlo. Il suo compagno di viaggio non era certo un Nephilim allenato che poteva usare rune a suo piacimento per potenziare le proprie abilità, inoltre il fungo parlante aveva specificato che non avrebbe dovuto usare la magia, pena la morte di entrambi. Era piuttosto comico, doveva ammetterlo, ma anche tragico soprattutto quando a Magnus era sfuggita la presa, rischiando di cadere da più di dieci metri d’altezza. Jace non era sicuro di come avrebbe detto ad Alec che suo marito era morto per colpa di un piccione e un fungo parlante, ma per fortuna poi era riuscito a riprendere la salita senza ulteriori intoppi. Se arrivare in cima era stato complicato, scendere era stato peggio e a nulla erano valsi i tentativi di Jace di aiutarlo, abbaiando ordini su come fosse meglio muoversi. Era nuovamente stato minacciato di venire trasformato in un’anatra, a fronte di quell’intimidazione si era improvvisamente zittito lasciando che facesse tutto quanto da sé. Alla fine, Magnus se l’era cavata con un banale graffio sul braccio e la camicia strappata, alla quale aveva riparato con uno schiocco di dita. Dopo l’ennesimo cambio d’abiti e un’altra buona dose di insulti che si erano urlati vicendevolmente contro, erano ripartiti.

 

Le avventure non propriamente piacevoli che avevano vissuto in tutto l’arco di quella faticosa giornata avevano ottenuto come risultato l’aver perso una quantità di tempo spropositata dietro a questioni che alla fine non erano altro che sciocchezze. Jace era più arrabbiato che mai con quella stupida foresta e le sue strambe creature che ogni due per tre spuntavano da dietro un angolo, pronte a dargli fastidio. In effetti, però, era arrabbiato soprattutto con se stesso. Quello sfrigolio allo stomaco non aveva accennato un solo istante a volersene andare, anzi persisteva e lo tormentava con sempre più ferocia. Più Jace ci ragionava sopra e più si ripeteva che doveva riguardare Alec. Da quando era arrivato in quella strana foresta aveva la sensazione che il loro legame Parabatai fosse ancora più profondo, che potesse percepire le emozioni di suo fratello con ancora più intensità. Era come se quel pezzetto dell’anima di Alec che stava dentro al suo corpo non fosse più relegato in fondo al suo stomaco, ma ben più presente dentro al suo cervello. Fu proprio con l’intenzione di toccare con mano questo legame potenziato, e anche per esasperazione doveva ammetterlo, che a un certo momento smise di camminare, ficcò con forza la spada nel terreno e si mise a sedere sul tronco di un albero caduto che stava di traverso al sentiero, impedendo loro di proseguire. Di norma lo avrebbero saltato agilmente, ma Jace quella volta rinunciò all’idea di andare avanti, Magnus già lo stava osservando con una punta di divertimento.
«Stanco, Shadowhunter?» lo provocò il suo beffardo compagno di viaggio. Si divertiva piuttosto spesso a stuzzicarlo, ma era praticamente certo non era realmente arrabbiato con lui, sebbene ne avesse tutte le ragioni. Non gli aveva mai chiesto scusa per averlo accusato della scomparsa di Alec o per aver insinuato che fosse geloso di lui, non aveva neppure smesso di sbraitargli contro a ogni buona occasione o di contestare tutte le proposte che suggeriva, persino quelle con le quali in teoria si sarebbe trovato d’accordo. Era più forte di lui e se Clary fosse stata lì lo avrebbe certamente obbligato a essere gentile. Avrebbe avuto ragione, pensò Jace, incrociando le gambe e rilassando la postura. Ora però non poteva pensarci.
«Zitto, devo sentire» sussurrò, chiudendo gli occhi intanto che prendeva lunghi e profondi respiri. Percepiva la terra bagnata che sporcava la corteccia sotto al suo sedere, inumidirgli i pantaloni. Aveva l’odore di erba nelle narici e quello intenso e dolciastro di un grosso fiore viola alto almeno cinque metri, i cui petali gli accarezzavano una tempia. Inspirò una seconda volta ancora più lentamente mentre svuotava la testa da ogni pensiero e si concentrava su suo fratello. Aveva bisogno di calma per scavare a fondo dentro se stesso e cercare quel punto di confine dove finiva Jace e iniziava il suo Parabatai.
«Cosa devi sentire?»
«Alec» disse a voce bassa. Era suonata come una risposta, ma forse era più un’invocazione a suo fratello, un modo per richiamare la sua attenzione ovunque egli si trovasse al di là di quei rovi. Ovviamente tanto bastò perché Magnus si mettesse in allarme. Se fino ad allora era stato in piedi a una certa distanza, subito gli fu vicino, in ginocchio di fronte a lui.
«Sta bene, vero?»
«Sta bene» replicò, aprendo un occhio e spiandolo di traverso «ma c’è una cosa che devo capire quindi ora sta’ in silenzio.» E Magnus lo fece, obbedendo a quanto gli aveva detto e sedendosi tra l’erba bagnata di rugiada, non meno agitato né per davvero rassicurato. Nonostante l'apparenza giocosa e disinteressata, quello stregone petulante aveva ancora paura di perderlo. E Jace poteva capirlo forse meglio di chiunque altro, ma invece di fargli comprendere realmente cosa provava in quel momento, decise di tacere. Forse più tardi avrebbe detto tutte quelle parole che gli erano rimaste incastrate in gola e che non si azzardava a dire, ora doveva pensare soltanto ad Alec. Magnus lo guardava intensamente, ma questa volta non si sentiva a disagio. In effetti, Jace era già altrove. A essere incredibile fu il fatto che non avesse bisogno di usare lo stilo né di ricorrere a incantesimi da stregone per amplificare il contatto, questo era già molto più forte di quanto non fosse di solito. Per certi versi il legame dei Parabatai restava ancora un mistero perché, a seconda delle persone, funzionava in modo diverso. C’era chi era in grado di sentirsi con molta più facilità, chi invece faticava. Alcuni avevano una grande affinità di coppia, altri molto meno. Lui e Alec appartenevano alla categoria di chi aveva un legame intimo e profondo, ma quello che sentiva adesso era diverso da tutto ciò che aveva sperimentato in precedenza. In alcuni momenti, come quando Magnus lo guardava con i suoi occhi da gatto, aveva la sensazione che l’anima di Alec fosse molto più presente rispetto a quanto non fosse di solito. I suoi stessi sentimenti, che percepiva in un miscuglio di felicità e paura, così com’era da qualche giorno a questa parte, erano ancora più definiti. Queste erano cose che già sapeva, ma chiudere gli occhi e concentrarsi gli diede modo di comprendere ciò che aveva bisogno di sapere. Alec era lì con lui e gli bastò crederci perché se lo trovasse davanti. Era come se lo vedesse dietro le palpebre chiuse, non era un sogno o l’illusione di una fata, era incredibilmente reale. Aveva la strana sensazione di galleggiare nel vuoto, in una sorta di limbo inconsistente fatto di un’atmosfera gelatinosa. Non c’era nulla attorno a loro, non vedeva il luogo in cui era tenuto prigioniero, ma soltanto la sua anima a volare a mezz’aria. Subito cercò di capire se aveva qualche ferita o se riusciva a notare segni di corde o catene ai polsi, ma nulla di tutto questo gli saltò agli occhi. Era sempre il solito, soltanto un po’ più sorridente di quanto non ricordasse.
«Stai bene? Sei ferito?» chiese, in un sussurro. Sapeva già la risposta, ma aveva bisogno di sentirselo dire. Avrebbe anche voluto toccarlo e abbracciarlo per accertarsi che tutto quello fosse reale, ma aveva la brutta impressione che se lo avesse anche solo sfiorato, il contatto sarebbe svanito.
«Sto bene, non sono ferito» annuì lui, deciso. Non smetteva di sorridere, notò. Aveva tante domande, troppe forse per quel momento fugace. Quindi si concentrò su quanto di più urgente aveva: accertarsi che fosse vivo e fargli sapere che sarebbe arrivato prestissimo.

«Io e Magnus siamo vicini, stiamo arrivando» cercò di rassicurarlo, memore di quella paura che ancora sentiva provenire da lui.
«Lo so, lui me l’ha detto» replicò Alec, misterioso. Lui chi? Come faceva a sapere dove si trovavano? Certo quella non era una foresta magica comune, ma ugualmente era assurdo. A essere ancora più strano era proprio Alec, pareva sereno e in pace con se stesso. Simon aveva ipotizzato che potesse essere drogato, ma Jace si rese conto che non era un sentimento falsato da una sostanza illegale, ma pura e semplice gioia di vivere. Alec era stupendamente felice, la sprizzava dagli occhi sorridenti ed era come se ogni tessera di quel complicato puzzle che era la sua vita fosse finalmente andata a posto.
«Chi te lo ha detto? Il demone?»
«No» negò Alec, scrollando il capo e sorridendo. «L’angelo.»
«L’angelo?» ripeté, ancora stentando a crederci. Magnus aveva avuto ragione nel dire che era magia angelica quella che aveva portato via Alec da Stoccolma, sulle prime Jace non aveva proprio voluto crederci. E ancora adesso non aveva idea del motivo per cui gli angeli avrebbero dovuto far sparire l’inquisitore degli Shadowhunter, per portarlo in una torre protetto da una foresta pericolosa come quella. Non aveva minimamente senso.
«Devi dire a mio marito che lo stiamo aspettando» aggiunse, intanto che la sua voce diventava un’eco lontana. «E che lo amo, digli che lo amo.» Poi le immagini svanirono e Jace si ritrovò a sbattere le ciglia, portandosi una mano a coprire gli occhi perché infastidito dalla luce che filtrava attraverso le fronde degli alberi. Davanti a lui, a meno di un palmo dal suo naso, Magnus Bane lo guardava con aria preoccupata. 

 

Dovette raccontargli quanto successo per ben due volte e non fu sufficiente, perché quello stregone diffidente credesse a quanto da minuti stava inutilmente cercando di fargli capire. Jace lo obbligò a usare la magia, dandogli il consenso d'entrare nella sua mente ed estrapolare quanto appena vissuto. Soltanto allora parve convincersi, non che questo fosse effettivamente servito a dargli la spinta necessaria ad andare avanti in quell’assurdo viaggio attraverso la foresta incantata, era stato utile soltanto a far sì che crollasse a terra, affondando il volto tra le mani. Non era sicuro che stesse piangendo, se così era lo mascherava perfettamente, ma il dolore e la confusione erano cose che era in grado di notare nonostante si impegnasse a darsi un tono. Vedere Alec dopo giorni doveva aver fatto crollare quella granitica resistenza che aveva costruito attorno a sé per non morire dalla paura. Si era tenuto tutto dentro e ora il dolore era esploso davanti ai suoi occhi. Jace mai prima di allora si era sentito così tanto impotente, avrebbe voluto aiutarlo e fare qualcosa di utile per farlo sentire meglio, ma non era mai stato molto bravo con le parole. Aveva sempre preferito la spada ai bei discorsi sui sentimenti, Clary avrebbe saputo cosa dire, pensò. Probabilmente lei avrebbe detto che se non era capace di esprimersi, allora poteva agire dato che in quello era tanto bravo. Sì, Clary avrebbe detto così. Jace decise di lasciare le parole per un altro momento e scelse di abbracciarlo. Un abbraccio sentito, soffocante, rassicurante. Fu incredibile, ma parve funzionare davvero perché dopo qualche attimo, Magnus si riscosse tornando a essere l’uomo pimpante e propositivo che era sempre stato. 
«Andiamo, forza! O il mio forellino invecchierà nel frattempo» trillò, entusiasta. Tutta quella felicità lo aveva un attimo sconvolto, sì ed era probabile che se ne sarebbe andato per davvero, obbligandolo ad alzarsi da quel tronco, se la sua voce non l’avesse fermato.
«Ti chiedo scusa» disse a voce ben alta, gli uscì un po’ dal cuore e questa volta sì, che era a disagio soprattutto perché Magnus si era voltato e ora lo stava fissando. Dannati occhi da gatto!
«Avevi ragione sugli angeli, anche se non capisco il perché di tutto questo.»
«Non preoccuparti, qualcosa mi dice che lo sapremo presto» lo rassicurò lui.
«E mi dispiace anche per averti accusato di essere geloso e di averti incolpato della scomparsa di Alec, so che non faresti mai niente per ferirlo, è solo che…»
«Che è più facile prendersela con qualcun altro, che ammettere di essere preoccupati per chi amiamo.» In quel momento gli sembrò incredibilmente saggio ed era straordinario questo aspetto della sua personalità, a tratti sembrava un ragazzino che badava solo alle frivolezze e quello dopo pareva un vecchio di mille anni, incredibilmente saggio e consapevole di come va la vita. Ecco, Magnus gli sembrò proprio in questo in quei frangenti.
«Anch’io me l’ero presa con te quando non avrei dovuto» riprese, qualche istante più tardi. «Non volevo fare la parte del marito ansioso, perciò ho aspettato così tanto prima di venire da voi, ma non immaginavo niente del genere» commentò, infine, ridacchiando intanto che indicava il bosco attorno a loro. Jace sorrise in rimando, e chi avrebbe mai potuto immaginare che sarebbero finiti in un luogo strambo come quello? Rise ancora al pensiero di funghi parlanti e uccellacci ladri, ma il suo divertimento si spense subito dopo.
«Lo avrai capito anche da te, ma i miei poteri sono aumentati da quando mi trovo qui.»
«L’ho notato, sì» mormorò Magnus, sedendosi al suo fianco sul tronco e iniziando a giocherellare con i petali di un fiore che, accarezzati, emisero come una piacevole melodia. Fiori canterini, ovviamente, era forse finito in quel cartone animato che Clary gli aveva fatto vedere una volta? Quello di Alice qualcosa? Perché quel posto ne aveva tutta l’aria in effetti.
«Anche il mio legame con Alec è più intenso, in genere percepisco i sentimenti a un livello base: felicità, ansia, preoccupazione, paura… Ho ben presente quanto riescano a essere intensi, credimi la vostra luna di miele è stata piuttosto complicata da gestire.» In tutta risposta, Magnus scoppiò in una fragorosa risata di fronte alla quale Jace non riuscì a trattenersi, ridacchiando a sua volta.
«Non mi scuserò per i dieci giorni di sesso più belli della mia lunga vita, Shadowhunter!»
«Oh, non farlo proprio con me» scherzò di nuovo lui. «Al vostro ritorno, Alec aveva quell’espressione da: “Se fossi una donna sarei già incinta”. Immagino che siano i quattrocento anni di esperienza a letto.»
«Mh, può essere sì. Ma guarda che quattrocento anni non vogliono dire proprio niente, sono stato con gente che ne aveva ottocento e a letto era una vera frana. Non ti va sempre bene ecco, ma tuo fratello rende tutto più facile ed eccitante.»
«A proposito di questo» mormorò, visto che erano entrati in confidenza poteva anche permettersi di chiederglielo. «Cosa rappresentano i tuoi occhi da gatto per lui?» Magnus lo guardò di traverso, era chiaro che se non si fosse aspettato una domanda del genere e Jace dal canto proprio poteva anche capirlo, era la prima volta che indagava in quel modo nella loro vita privata. Per quanto ne sapeva poteva anche odiarli, sebbene quello sfrigolio lasciasse intendere ben altro.
«Perché lo vorresti sapere?»
«Da quando hai il marchio esposto… Beh, quando ti guardo provo cose che non ho mai provato prima per te.»
«Che tipo di cose?» indagò Magnus, questa volta un po’ scettico. Aveva arricciato le labbra e assunto un’espressione curiosa.
«Anzitutto sappi che non sono emozioni mie, ma di mio fratello. E hanno a che fare con l’eccitazione, ti dico soltanto questo.»
«Beh» sussurrò lui, facendo spallucce intanto che si alzava dal tronco e si allontanava di qualche passo. «Se lo vuoi davvero sapere, Alec è attirato dai miei occhi da gatto, quando facciamo l’amore vuole sempre che tolga il glamour. Quindi quella percepisci è piuttosto probabile che sia eccitazione sessuale.» Oh… OH! Cavolo, sì, beh, in effetti aveva perfettamente senso. E bravo il fratellone, questa cosa non gliel’aveva mai detta, non che gli avesse rivelato altro della sua vita sessuale con Magnus, al contrario aveva detto poco o niente, riservato com’era non c’era da stupirsene. Non era come con Isabelle che non mancava mai di far presente a tutti quanto straordinario fosse Simon a letto, come se gliene fosse importato qualcosa di quel vampiro sotto le lenzuola, poi. Alec era sempre stato il più riservato della famiglia, ma doveva ammettere di essere felice per lui.
«Sai» esordì Jace, attimi più tardi, alzandosi dal tronco su cui era rimasto seduto per tutto quel tempo. «All’inizio non mi piacevi.»
«Oh, lo so, Shadowhunter. Non piaccio mai a voi Nephilim, comunque non subito.»
«Eri andato a letto con mio fratello e, diciamocelo, la tua reputazione ti precede. Ero preoccupato per lui, ma poi ho capito quanto lo amavi e adesso sono felice che abbia trovato te. Non te l’ho mai detto, Magnus, ma sei una brava persona. Un po’ eccentrico, ma bravo.» Detto questo, Jace lo abbracciò di slancio. Come gli avrebbe fatto notare lui stesso minuti più tardi, si erano abbracciati due volte nel giro di cinque minuti. Ben oltre i loro standard fatti di silenzi e pacche sulle spalle imbarazzate. Forse non era il caso di dire ad Alec neanche questo, oltre del bacio al demone. In effetti negli istanti a venire si dimenticò anche di essersi appuntato mentalmente una cosa del genere, perché successe proprio in quel momento. La fitta coltre di rovi che impediva loro il passaggio svanì come per incanto, lasciando libero il sentiero. Allora, la speranza tornò potente in lui e Jace riuscì a vedere uno scorcio tra gli alberi che diventavano via via sempre più radi e la foresta lasciare spazio a una distesa di erba fresca. Scambiandosi un’occhiata complice con Magnus, iniziarono a correre, entrambi consapevoli del fatto che Alec sarebbe stato là fuori. Quando uscirono dalla foresta, il sole stava tramontando dietro la linea del mare in lontananza. Riuscivano a vederlo molto chiaramente, l’oceano era là a chilometri e chilometri di distanza. Era colorato d’arancio e di rosa, ed era bellissimo! Sfumature dorate illuminavano i contorni di un Magnus, che per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo dalla sola costruzione che si stagliava in solitaria tra loro e il mare: una torre altissima che svettava tra i campi erbosi di erica e brugo, sulle colline verdi d’Irlanda. Si trovava alla fine di una vallata lunghissima, non molto lontana dal mare. Sarebbe occorso un altro giorno di cammino per arrivarci ed era probabile che avrebbero incontrato ancora demoni e fate assassine, Jace scelse di non abbattersi. Alec era là, adesso lo poteva vedere. Il viaggio suo e di Magnus attraverso la foresta incantata, stava per finire.



 

Continua
 




 

*I Leprecauni sono praticamente degli gnomi della foresta, ma sono tipici del folclore e della mitologia irlandese. Vengono anche soprannominati “Folletti” e vestono interamente di verde.
**Terre perigliose: è così che vengono chiamate nella puntata di Merlin a cui questa storia è ispirata.

 

Note: La foresta incantata è una metafora, ovviamente, non è un caso che i rovi si infittiscano con il loro silenzio e poi scompaiano quando si parlano a cuore aperto. Mi sono divertita a inserire molte creature magiche, la maggior parte prese dalla mitologia di Shadowhunter, alcune da Alice nel “Paese delle meraviglie” (come i funghi parlanti o i fiori che cantano) mentre il Leprecauno alla guardia del ponte fa parte della trama della storia, che ricordo essere ispirata a un episodio di Merlin: "The Eye of the Phoenix". Anche la definizione di “Terre Perigliose” fa parte di quell’episodio.

Un ringraziamento alle tre, davvero tre di numero, persone che tra Efp e Wattpad stanno apprezzando questa storia. Il prossimo capitolo, dedicato ad Alec, sarà l’ultimo. Sono già a buon punto con la stesura e finalmente capirete cosa gli è successo e perché.
Koa

   
 
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