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Autore: My Pride    03/10/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The time of our life Titolo: The time of our life (Five hundred, twenty five thousand, six hundred minutes)
Autore: My Pride
Fandom: 
Super Sons
Tipologia: One-shot [ 6190 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent, Thomas Wayne-Kent (OC), Damian Wayne
Rating: 
Giallo
Genere: Generale, Fluff, Sentimentale
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
The time of our life challenge:
✮ Infanzia, Album Prompt, 176. Di luce by Noa Colore
✮ Adolescenza, Album Citazioni, 27. Lascia che io cada se devo cadere. Quello che diventerò mi prenderà (Baal Shem Tov)
✮ Gioventù, Album Prompt, 9. Luogo lontano
✮ Età adulta, Album Luoghi, 128. Signori distinti giocano a scacchi
✮ Vecchiaia, Album Luoghi, 163. Negozio d'abiti (mensola colma di borse sulla sinistra, con abiti appesi al di sotto di essa, idem a destra; donna che si osserva allo specchio mentre prova un capo e altri abiti alla sua destra, un tavolo colmo di piccole cianfrusaglie e gioielli)


 

BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    «Jon! Dove sei, Jon!»
    La voce della sua mamma era alta e squillante, Jon riusciva a sentirla distintamente nonostante si trovasse a chilometri di distanza e con le mani premute sulle orecchie, rannicchiato sul terriccio e con le gambe strette al petto; aveva serrato le palpebre, sentiva le guance completamente bagnate di lacrime e aveva come la sensazione che qualcosa gli stesse strisciando contro la caviglia, ma non voleva aprire gli occhi per accertarsi di cosa fosse per timore che un altro raggio di calore potesse colpire con furia incontrollata come poche ore prima.
    Si trovava a scuola, quand’era successo. Seduto contro il muro mentre disegnava a ricreazione, troppo perso nei suoi pensieri per dar retta a ciò che accadeva intorno a lui, Jon si era reso conto troppo tardi del trambusto e aveva alzato la testa dal foglio con fare incuriosito, sbattendo le palpebre alla vista del litigio che aveva coinvolto un gruppetto di bambini. Qualcuno era corso dentro a cercare un responsabile e qualcun altro aveva invece cominciato ad incitare gli altri, mentre alcuni suoi amici avevano provato a sedare la rissa; essendo figlio di suo padre, Jon aveva provato a sua volta a separarli e a calmare gli animi, ma qualcuno gli aveva dato un pugno su una guancia e lo aveva buttato a terra, coinvolgendo anche lui; aveva cercato di allontanarli da sé, si era coperto il viso e aveva provato ad alzarsi, ma si era ritrovato comunque con uno dei bambini addosso che lo tempestava di pugni e lo riempiva di insulti. Jon aveva provato a mantenere la calma, davvero. Ma, quando aveva urlato di smetterla, aveva sentito gli occhi bruciare e uno strano potere si era impossessato del suo corpo finché non era convogliato nei suoi occhi e un raggio di luce aveva ferito la guancia del bambino che lo aveva attaccato.
    Al suo grido, Jon era sbiancato. Non avrebbe voluto ferirlo, non aveva mai desiderato ferite nessuno; era un bambino e aveva semplicemente pensato di essere come suo padre e di difendere i più deboli, ma non a discapito di fare del male a qualcuno. Era scappato dal cortile della scuola prima ancora che arrivasse qualche insegnante, piangendo e correndo il più velocemente possibile per allontanarsi da lì e scappare, scappare, scappare senza una meta da ciò che aveva fatto, finché non era rimasto senza fiato e non si era perso; si era accasciato in lacrime sul terreno umido, rannicchiato su se stesso e terrorizzato da ciò che era e che sempre sarebbe stato: un mostro. Un ibrido alieno che non avrebbe mai trovato il suo posto nel mondo e che non sarebbe mai stato uguale agli altro bambini della sua età.
    «Jon! Va tutto bene, tesoro! Jon!»
    La sua mamma stava urlando ancora, ma Jon scosse la testa e strinse più forte i palmi contro le orecchie, desiderando di farsi esplodere i timpani con la sola pressione. Alla sua voce si era sovrapposta quella lontana degli insegnanti, dei bambini che gridavano che era stato solo un gioco e del preside che aveva chiamato la sua mamma per dirle che era scappato, ma voleva che tutto tacesse e che i suoi stupidi poteri non fossero mai esistiti. Li odiava, odiava tutto questo, odiava non riuscire a controllarsi e odiava quello stupido sole che gli ricordava quanto fosse diverso e odiava suo padre per… a quel pensiero pianse più forte e seppellì il viso nelle ginocchia, tirando su col naso.
    Non era vero, non odiava suo padre, non odiava nemmeno sua madre e nemmeno quello che era, ma voleva essere solo un bambino. Perché non poteva essere solo un bambino? Perché suo padre in realtà era Superman, ecco perché. E lui aveva cominciato a sviluppare i suoi stessi poteri a causa del sole giallo intorno cui ruotava la terra. A differenza di suo padre, però, non aveva alcun controllo su di essi e si attivavano nei momenti più disparati, a volte quando le sue emozioni erano troppo forti per essere tenute a bada. E quello che era successo a scuola ne era la prova. Sarebbe stato così per sempre? Avrebbe dovuto avere paura di sé stesso e di ferire gli altri ancora e ancora, anno dopo anno? Non lo sapeva, ma al pensiero tirò ancora una volta su col naso e cercò di calmarsi, singhiozzando e tossendo.
    «Jon».
    Il sussurro del suo papà gli giunse alle orecchie e parve inghiottire tutti i suoni circostanti ma, seppur avvertendo la sua presenza, Jon non alzò lo sguardo né si mosse. Non aveva la forza di affrontarlo, non voleva vedere il disappunto sul suo volto e la sua delusione, così si strinse in sé stesso e cercò di soffocare i singhiozzi finché la mano grande e forte del suo papà non si poggiò stabilmente sulla sua spalla.
    «Ehi, campione. Va tutto bene».
    «N-Non va tutto bene, p-papà». Jon si strofinò gli occhi con una manica della felpa, furente. Non li aveva ancora aperti. «Gli ho f-fatto del male, ho fatto d-del male a Bill».
    «L’abbiamo saputo».
    Le lacrime tornarono a scendere copiose lungo le guance, il moccio al naso gli colò sulle labbra e lui cercò di ripulire, indietreggiando quando suo padre provò ad avvolgergli i fianchi per prenderlo in braccio. «Non v-volevo, io--»
    «So che non faresti mai del male a qualcuno, Jonno».
    Jon singhiozzò ancora, sentendo il terreno bagnargli i jeans e le foglie scricchiolare sotto il suo peso mentre si agitava e tentava di pulirsi la faccia. Non riusciva a dimenticare lo sguardo spaventato del suo compagno di classe, il bagliore che aveva visto riflesso nei suoi occhi e l’odore pungente del sangue uscito dal taglio sul suo viso, e si gettò lui stesso fra le braccia del genitore, piangendo a più non posso. «Non volevo, non volevo!» urlò tra i singhiozzi, stringendo la stoffa del mantello nel quale suo padre lo avvolse qualche istante dopo.
    «Lo so, figliolo. Lo so», sussurrò il suo papà e, stretto nelle sue braccia e bisognoso di conforto, Jon credette a quelle parole e pianse più forte, sentendo anche le braccia della sua mamma avvolgerlo poco dopo. «Non è stata colpa tua».
    «D-Dovevo controllarmi, v-ve lo avevo promesso, io--»
    «Sei un bambino, Jon». La sua mamma gli diede un bacio sulla testa, carezzandogli i capelli. «Ti insegneremo a farlo».
    «N-Non siete arrabbiati?»
    «No, tesoro».
    «Anch’io non sapevo come fare, ho imparato esattamente come farai tu. Andrà tutto bene».
    Andrà tutto bene. Jon voleva crederci, voleva crederci davvero. Aveva solo sei anni e, per un singolo istante, aveva sentito il peso del mondo sulle sue spalle prima di riuscire a vedere quel piccolo spiraglio di luce.

___

    Le cose erano migliorate solo in seguito. Aveva avuto paura di usare le sue capacità per tutta la sua vita, l’aveva fatto un'altra sola volta per sbaglio e ucciso il gatto di sua madre quando aveva dieci anni, ma era stato ironicamente grazie a Damian, attuale Robin e figlio di Batman, se aveva cominciato ad avere davvero il pieno controllo dei suoi poteri. Sembrava strano da dire, eppure era successo esattamente questo.
    Damian l'aveva rapito, considerato una minaccia, era stato costretto a fare squadra con lui proprio dai loro padri e alla fine avevano cominciato a diventare più di semplici conoscenti... e adesso che aveva tredici anni era contento di poter considerare Damian il suo migliore amico. C'erano stati alti e bassi, momenti in cui suo padre aveva pensato che la vicinanza con Damian potesse metterlo in pericolo a causa di quant'era successo con i Titani del futuro, ma entrambi avevano difeso la loro amicizia con le unghie e con i denti e avevano promesso che si sarebbero presi cura l'uno dell'altro, così che nessuno dei due potesse trovarsi in situazioni pericolose; suo padre aveva provato a dar loro una possibilità, aveva cercato di non ostacolarli e di farsi da parte, ma c'era stato un momento in cui aveva davvero temuto che la sua amicizia con Damian sarebbe potuta finire.
    Una sera, da ritorno da una missione piuttosto complicata, suo padre l'aveva preso in disparte e lo aveva fissato attentamente negli occhi, dicendogli che sapeva cos'era successo; Jon era rimasto in silenzio per tutto il tempo, un pugno stretto lungo il fianco e i denti affondati nel labbro inferiore, conscio che suo padre avesse avuto il rapporto di Batman e avesse saputo che aveva rischiato di farsi seriamente male per mettere in salvo un gruppo di civili contro cui avevano sparato un raggio di kryptonite. Ma Jon, dopo averlo ascoltato, era stato irremovibile. Guardando suo padre dritto negli occhi, gli aveva detto che aveva fatto il suo lavoro e che come eroe aveva pensato prima al benessere dei cittadini, quindi non si sentiva in colpa per averlo fatto, aggiungendo che avrebbe dovuto lasciarlo fare le sue scelte e prendere le sue decisioni, buone o sbagliate che fossero; che avrebbe dovuto lasciarlo cadere, poiché se fosse caduto e si fosse fatto male, sbattendo contro la dura verità delle sue azioni, si sarebbe rialzato con le sue stesse gambe e quella caduta avrebbe solo fatto sì che diventasse più forte, spingendolo a non commettere lo stesso errore... ed era servito davvero.
    A tredici anni appena compiuti non poteva considerarsi ancora un eroe di tutto rispetto, qualcuno su cui il mondo intero avrebbe potuto fare affidamento, ma era fiero dei suoi progressi e di tutto ciò che aveva fatto da quando aveva conosciuto Damian, che aveva seguito pazientemente lo sviluppo dei suoi poteri e lo aveva aiutato a incanalare le sue energie per non perdere il controllo. Erano i Super Sons, e niente avrebbe potuto cambiare le cose. Nemmeno tutte le discussioni, i litigi e le parola che si erano urlati contro in quegli anni, anni in cui erano cresciuti insieme e avevano avuto i loro diverbi, anni in cui avevano pensato che la cosa giusta da fare fosse tutt'altra e avevano passato giorni e giorni a tenersi il muso come due perfetti idioti, ma alla fine erano sempre arrivati alla conclusione che, seppur essendo l'uno l'opposto dell'altro, erano complementari.
    Ricordava la prima volta che Damian era venuto da loro, da solo, senza che suo padre sapesse che aveva volato fino a Metropolis alle due del mattino dopo la pattuglia, e tutto perché avevano litigato e non aveva voluto saperne di tornare a casa. Pioveva, Damian era rimasto sul tetto dell'edificio per cinque minuti buoni prima che Jon si rendesse conto del suo battito cardiaco, e alla fine l'aveva costretto a scendere e ad entrare in casa, offrendogli dei vestiti puliti e invitandolo a farsi una doccia. Avevano cercato di fare tutto il più silenziosamente possibile, ma niente sfuggiva al vigile occhio di Lois Lane: li aveva beccati proprio mentre Jon stava aiutando Damian e venir fuori dall'uniforme che gli si era appiccicata addosso, e nonostante l'imbarazzo iniziale alla fine avevano riso di quel piccolo incidente e Damian era andato a lavarsi. Erano finiti tutti e tre in cucina a bere cioccolata calda una buona decina di minuti dopo, Jon e Lois in pigiama e Damian con una felpa di Jon che gli stava il doppio, ma nessuno dei tre si era preoccupato di nulla se non mettere a su agio Damian e capirlo.
    «Piantala di distrarti, J! Abbiamo ancora due ore di allenamento davanti a noi!»
    Il flusso dei pensieri di Jon sfumò, la sua camera da letto divenne la palestra della loro Fortezza e la voce che parlava non era più quella di sua madre, bensì quella di Damian che, con le braccia incrociate al petto, lo fissava innervosito dall'alto del suo metro e sessantadue. Jon non poté comunque fare a meno di ridere, vista l'espressione così seria che aveva in viso nonostante sembrasse abbastanza ridicolo. Ma guai a dirglielo se non voleva che partisse uno sproloquio che sarebbe aumentato di un'ottava ogni secondo e che probabilmente gli avrebbe rotto i timpani.
    «Oh, dai, D. Possiamo rilassarci un po'? Possiamo? Mhn?» domandò nel fissarlo con il miglior sguardo da cucciolo che possedeva e, nel vedere Damian storcere il naso e trattenere il respiro, capì di essere benissimo riuscito a farlo cedere. Difatti alla fine l'amico sbuffò, roteando gli occhi e abbandonando le braccia lungo i fianchi.
    «D'accordo», borbottò prima di sollevare un dito. «Ma solo quindici minuti».
    Tre quarti d'ora dopo, avevano finito con l'ordinare della pizza, bere un mucchio di bibite gassate e addormentarsi l'uno addosso all'altro ad appena metà film.

___

    Da quei momenti, in cui tutto sembrava più facile, erano trascorsi così tanti anni ed erano successe così tante cose che Jon ne era stato terrorizzato.
    L'amicizia con Damian si era consolidata a tal punto che Jon aveva creduto di esserne diventato dipendente, che non sarebbe riuscito a stare lontano dal suo migliore amico e che andare al college avrebbe potuto allontanarli poiché avevano scelto facoltà diverse, luoghi lontani che sarebbero stati a portata di volo se solo non fosse stato per gli studi, ma alla fine quel timore si era dissipato con la stessa rapidità con cui il vento trasportava le nuvole e Jon si era scrollato di dosso tutti quei pensieri.
    Avevano trovato del tempo da poter passare insieme, erano riusciti ad incastrare qualche uscita di pattuglia con normali serate tra ragazzi, e Jon aveva capito, notte dopo notte, che la stretta che aveva sempre sentito al cuore non era stata causata dal suo credere di essere dipendente da Damian... ma dal fatto che, senza rendersene conto lui stesso, aveva cominciato a provare dei sentimenti per il suo migliore amico. E una notte si era ritrovato a piangere come un idiota, frustrato e impaurito come quando aveva sei anni, per timore che quei sentimenti avrebbero potuto incrinare per sempre l'amicizia con Damian. Aveva quindi ingoiato ogni cosa, si era tenuto tutto in uno scrigno in fondo al suo cuore e aveva cercato di sorridere e di essere felice per lui quando gli diceva che sarebbe uscito con qualche ragazza durante i Gala delle Wayne Enterprises, giungendo alla conclusione che Damian non lo avrebbe mai guardato come guardava tutte le giovani donne con cui si intratteneva in quelle lunghe notti.
    Era stato un pensiero che lo aveva logorato dentro per anni, qualcosa che aveva tenuto nascosto fino alla fine finché quel giorno non si erano ritrovati a guardare distrattamente un film romantico. Non ne avevano mai visti insieme, Damian li aveva sempre reputati noiosi nonostante leggesse manga shoujo, quindi Jon si era meravigliato non poco quando era stato proprio lui a proporlo e si era persino accoccolato contro il suo braccio, tanto che Jon aveva sentito il cuore galoppare nel petto ed era stato contento che Damian non avesse il super-udito per sentirlo.
    Imbambolato come un idiota, aveva guardato per tutto il tempo Damian anziché il film. Lo aveva visto trattenere qualche sbadiglio, allungare distrattamente una mano per afferrare qualche pop corn dalla ciotola che Jon aveva abbandonato fra le cosce e stiracchiarsi come un grosso gatto solo per spingersi maggiormente contro di lui, e Jon aveva davvero fatto ricorso a tutto il suo autocontrollo per non usare accidentalmente i suoi poteri e avere reazioni ben più sconvenienti. Non che Damian ci avesse fatto davvero caso, a ben vedere. E la cosa aveva reso Jon così sconcertato che tuttora lo stava fissando, non riuscendo proprio a capire che cosa passasse per la testa del suo migliore amico.
    Forse era stato un caso, forse no, ma aver scelto Serendipity come film da vedere gli era sembrato fin troppo strano. E ancor più strano fu il modo in cui Damian sembrò estremamente concentrato nella visione, soprattutto il suo mordersi il labbro inferiore quando Jonathan - il tipo del film, ecco perché Jon non riusciva a capire se fosse stato davvero un caso - prese un volo per San Francisco e corse dalla ragazza che aveva sempre amato.  Perché Damian gli aveva fatto questo? Perché, tra tutti i film che avrebbe potuto scegliere, aveva scelto proprio quello in cui Jon piangeva sempre come un dannato bambino? 
    «Ti amo, D», disse d'un tratto, sgranando gli occhi e portandosi subito una mano alla bocca. L'aveva detto. L'aveva semplicemente detto e adesso non poteva più rimangiarselo.
    Un “Ti amo” era qualcosa di davvero pesante da dire. Una frase così semplice che nascondeva in sé un significato tanto complesso, il peso di un sentimento che si era tenuto dentro per anni e che alla fine era esploso in quelle due parole così di punto in bianco, parole che avrebbero potuto cambiare il mondo di Jon per sempre e da cui non sarebbe più potuto tornare indietro.
    Deglutì più e più volte, osservando l'espressione curiosa di Damian che, sbattendo le lunghe ciglia, si era finalmente voltato verso di lui e il cui profilo era illuminato dalla luce dello schermo della tv. Jon non lo aveva mai visto così, non aveva mai visto Damian fare quella faccia né quelle labbra carnose aperte in una specie di “o”  muta, e il battito frenetico del suo cuore era la cosa più bella che Jon avesse mai sentito. Conosceva il battito del cuore di Damian, lo aveva sempre riconosciuto tra mille altri e seguito in ogni angolo del mondo, in luoghi lontani e sconosciuti, e averlo lì, così furioso come un uccellino che sbatteva rapidamente le ali contro le sue mani, era una sensazione talmente strana da lasciare Jon scombussolato. Ancor più quando, contro ogni sua altra aspettativa, Damian si sporse col viso verso di lui e lo baciò, lasciandolo senza fiato.
    Jon fu quasi certo che, in quel momento, qualunque kryptoniano nel raggio di chilometri avesse sentito il suo cuore fermarsi di colpo. D'accordo, forse stava esagerando, ma era proprio così che si era sentito quando la bocca di Damian aveva sfiorato la sua. Non aveva mai immaginato che baciare il suo migliore amico sarebbe stato così: le labbra di Damian erano calde, un po' screpolate a causa del freddo ma anche morbide al tatto, e Jon aprì automaticamente la bocca per lasciare che la lingua di Damian, timida e insicura, si insinuasse fra di esse e si intrecciasse con la sua, baciandosi finché il fiato non venne meno e loro si fissarono con le labbra gonfie e rosse e brillanti di saliva.
    «Anch'io ti amo, J. Lo sai».
    Un sussurro contro le sue labbra, il sapore salato dei pop corn e quello dolce del burro che si confondevano nella sua bocca e sopra di essa, tanto che Jon rimase instupidito per quelli che gli sembrarono interi secoli prima di riprendersi e, sgranando gli occhi, fissare il volto di quello che fino a quel momento era sempre stato il suo miglior amico.
    «Aspetta, cosa?» domandò come un perfetto idiota - forse lo era -, vedendo Damian sbattere le palpebre come se avesse davvero fatto una domanda stupida.
    «Credevo fosse ovvio».
    «Beh, no, quando avrebbe dovuto esserlo?»
    «Vengo sempre a casa tua, tua madre mi tratta come se fossi uno di famiglia, tuo padre mi chiede sempre come sto e come mi comporto con te, usciamo insieme anche fuori dalle pattuglie...» elencò, e stavolta fu Jon a non seguire il filo del suo discorso, scompigliandosi energicamente i capelli con una mano.
    «Siamo amici, D, è normale fare queste cose tra amici».
    «Ti compro dei regali», tenne ancora il punto Damian, lasciando Jon ancora più sconcertato. No, adesso stava davvero cominciando a sentirsi piuttosto confuso e aveva come la sensazione che il cervello stesse fumando da ogni parte, tanto che per un po' rimase in silenzio a fissare l'espressione stranita di Damian.
    «Quindi... mi ami?» ripeté a quel punto e, vedendo Damian sollevare lo sguardo al soffitto prima di annuire, Jon boccheggiò per un istante; poi aggrottò la fronte, mettendosi a sedere e gettando un braccio oltre lo schienale del divano. «Perché non me l'hai mai detto?»
    «Perché magari eri minorenne?»
    Jon aprì la bocca per replicare, ma ad un certo punto si sentì stupido nel farlo. D'accordo, Damian non aveva tutti i torti da un certo punto di vista ma... che diavolo! Non è che gli avesse chiesto di scopare! Oh, accidenti, passava troppo tempo con Conner. «E le ragazze con cui uscivi?» domandò con quel pizzico di gelosia che risalì le sue viscere come una corrente, ma Damian arcuò un sopracciglio sotto il suo sguardo stranito.
    «Non che lo facessi di nascosto, ti ho sempre detto che uscivo con loro quando si trattava di eventi delle Wayne Enterprises».
    «...aspetta, era per questo che me lo dicevi?»
    «E per cos'altro pensavi lo facessi?»
    La domanda di Damian fu così sinceramente curiosa che Jon non seppe davvero che cosa rispondere, limitandosi a fissarlo come se l'alieno, lì, fosse stato proprio Damian. Oh, Rao. Oh, Rao. Oh, Rao. Oh, Rao. Tutti quegli anni a struggersi, e alla fine... alla fine quello stupido provava le stesse cose che aveva sempre provato lui. Non sapeva se prenderlo a pugni o baciarlo fino a mozzargli il fiato nel petto. Avrebbe potuto fare benissimo entrambe le cose, Damian avrebbe risposto per le rime e alla fine avrebbero potuto sfruttare l'adrenalina e... oh, Rao. Ancora. Stava cominciando a pensare più velocemente di un treno in corsa e non era un buon momento.
    Jon si portò le mani al viso, gemendo frustrato contro i palmi. «Cristo, D, sei un completo idiota». Lo fissò attraverso la fessura fra le dita per qualche secondo, aggrottando la fronte prima di abbassare le mani. «Ho passato gli ultimi anni a struggermi d'amore per te, perché diavolo non parli chiaro una volta per tutte?»
    «Pensavo tu potessi sentire il battito del mio cuore», replicò Damian con la sua solita aria di sufficienza, e Jon lo fissò come se fosse pronto ad arrostirlo con la sua vista calorifica.
    «E con questo?»
    «E con questo, campagnolo...» Damian si avvicinò pericolosamente alle sue labbra, soffiando via quelle parole nel poggiargli una mano sul petto. «Avresti dovuto sentirlo battere furiosamente ogni volta che eri accanto a me».
    Jon lo ribadiva: se Damian avesse avuto il super-udito, sarebbe stato più che in grado di sentire il suo cuore battere all'impazzata. Ma era certo che ci stesse comunque riuscendo benissimo mentre premeva la mano contro il petto. «...sono un idiota?» sussurrò dopo attimi di silenzio, e Damian sbuffò ilare.
    «Sì, J. Lo sei decisamente. Ma, per tua fortuna, mi piacciono gli idioti». Gli fece l'occhiolino e Jon deglutì, sentendosi un po’ arrossire. «Ora torniamo a guardare il film? Mi piace la scena finale sulla pista di pattinaggio», accennò, e la mascella di Jon parve toccare il pavimento.
    «Allora mi hai mentito, lo conosci già!»
    Damian rise divertito, sollevando un angolo della bocca in un ghignetto. «Non posso rivelarti tutto al primo appuntamento». Si sporse di nuovo verso le sue labbra, sfiorandole con un bacio leggero e un sussurro. «Buon diciannovesimo compleanno, Jon».

___

    Quegli anni che trascorsero in seguito furono i più belli che Jon avesse mai vissuto.
    Era stato strano uscire allo scoperto con le loro famiglie come fidanzati, in particolar modo per alcuni commenti straniti da parte di Conner e Jason riguardo al fatto che avessero creduto che fossero fidanzati da secoli – lo pensavano tutti tranne Jon, che stregoneria era mai quella? –  ma avevano accettato la loro relazione e i loro stessi padri, seppur guardandosi straniti, alla fine avevano sorriso e si erano congratulati con loro, per quanto Bruce avesse insistito di averlo capito… accennando al fatto di essere il miglior detective del mondo e di aver capito le intenzioni del figlio anche a causa di tutti i regali costosi che aveva fatto nel corso degli anni. Nessuno gli aveva creduto, ma persino Damian era stato abbastanza civile da non farlo presente al padre solo per tenere a bada il trilione di domande che gli erano piombate addosso da parte di Dick riguardo il non essersi confidato prima e bla bla bla.
    Jon aveva trovato estremamente divertente – e anche un po’ troppo preoccupante – il fatto che Damian avesse voluto dirlo persino a sua madre, anche se trovare Talia era stato più difficile del trovare un ago in un pagliaio. Aveva dovuto concentrarsi lui stesso sul battito del cuore della donna e, seppur non conoscendolo così bene, era riuscito a localizzarla al Cairo, confusa con la moltitudine di persone che affollavano gli enormi mercati all’aperto; seppur conscio di non essere tenuto a farlo, Damian aveva ugualmente parlato a sua madre della loro relazione, chiedendo a Jon di restare in disparte per evitare possibili azioni ostili da parte di Talia. Però, contro ogni aspettativa, la donna aveva portato su di lui la propria attenzione e sollevato entrambe le sopracciglia, con una mano a sfiorare l’elsa della sua spada e l’aria di chi era pronta a dar battaglia; poi aveva sorriso, un lieve stiramento di labbra dal quale Jon aveva capito da chi avesse preso Damian, e poi la donna si era sporta un po’ per afferrare fra i palmi il viso del figlio e baciargli entrambe le guance, offrendogli un pugnale cerimoniale per sancire la loro nuova unione.
    Non che lo avessero usato o qualunque altra cosa avrebbero dovuto fare con quell’arma, a ben vedere. Erano passati altri due anni da allora e quel pugnale era ancora nascosto in un cassetto, e Damian aveva espresso più e più volte di volerlo lasciare esattamente dov’era invece di sbarazzarsene. Jon non aveva replicato, né aveva insistito, conscio di quanto profondo fosse per Damian quel gesto: a modo suo, Talia aveva dato la propria benedizione e per loro aveva significato davvero molto, soprattutto conoscendo i retroscena che avevano sempre mosso la donna nei confronti di Damian e delle persone che la circondavano.
    In realtà, a ben vedere, non era cambiato granché: i litigi e le discussioni non erano finite e non tutto era stato esattamente rose e fiori, lui e Damian avevano avuto le loro divergenze e i momenti in cui non erano stati d’accordo riguardo l’una e l’altra cosa, ma i loro sentimenti erano solo diventati più forti, il loro amore era solo cresciuto in maniera esponenziale, e Jon aveva stupito tutti quando, a soli venticinque anni, aveva chiesto a Damian di sposarlo. Dopo una missione, nel bel mezzo di un bosco a pochi chilometri da Gotham, sporchi di sangue e terriccio e di melma di palude; Damian l’aveva guardato con fare stralunato e aveva sgranato gli occhi al di sotto della sua maschera, aveva boccheggiato come un idiota e aveva lasciato andare il rampino che sorreggeva, ma alla fine aveva riso così fragorosamente che qualche rapace era volato via dai rami degli alberi con qualche verso infastidito e c’erano voluti cinque minuti buoni prima che Damian dicesse il fatidico “Sì”. Minuti in cui Jon aveva quasi desiderato che il terreno lo inghiottisse, ma in cui si era poi ritrovato stretto nella braccio di Damian e con la bocca incollata alla sua.
    Avevano pensato di fare una cerimonia modesta, una cosa in famiglia che non avrebbe coinvolto molte persone se non la comunità di eroi, ma Jon aveva sottovalutato la stampa di Gotham e soprattutto Vicki Vale. Senza sapere né come né quando, un mattino avevano aperto il giornale e sull’inserto del Gotham Gazette aveva trovato una sua foto insieme a Damian scattata a tradimento, con Damian che sembrava sussurrargli qualcosa all’orecchio mentre se che stavano fermi davanti ad un negozio di abiti da sposo, con la scritta a lettere cubitali che recitava “Matrimonio a villa Wayne” e in piccolo, come sottotitolo “Il giovane rampollo della famiglia Wayne ha trovato l’amore?”. In realtà Damian aveva cercato di togliergli il comunicatore incastrato nell’orecchio ed era stato un caso se si erano fermati proprio davanti a quel negozio, ma la stampa ci aveva sguazzano a tal punto che era stato Bruce stesso a cogliere al volo l’occasione e volgere la cosa a proprio vantaggio.
    All’inizio né lui né Damian erano stati molto entusiasti della cosa ma, conoscendo la stampa e la volubilità delle testate giornalistiche – Jon stesso era figlio di giornalisti, sapeva come lavoravano –, alla fine, per una volta, avevano deciso di dar retta a Bruce e organizzato il più grande matrimonio che Gotham avesse mai visto. C’erano stati fiumi di champagne, decorazioni intorno alle colonne, cibo a non finire dietro lunghe tavolate gestite da un catering, ortensie azzurre in ogni dove ad addobbare l’enorme giardino della villa e Jon aveva stretto mani su mani e ringraziato per la presenza, seguendo l’esempio di Damian sebbene non avesse riconosciuto nemmeno la metà delle persone con cui aveva parlato. I festeggiamenti erano durati ire, Dick aveva pianto e Tim aveva dovuto consolarlo prima di essere rapito da Conner per le danze, Jason e Cassandra avevano ballato a loro volta e persino suo padre e Bruce si erano emozionati più delle loro madri e di Selina, la quale aveva ridacchiato e borbottato divertita con Lois e Talia su quanto fossero dei piagnucoloni.
    La notte di nozze non era stata la loro prima notte, ma con l’emozione e l’adrenalina del momento, l’aria impacciata per la nuova fase della loro vita e l’aria divertita di Damian per qualche bicchiere di champagne che si era concesso, si erano risvegliati il mattino dopo senza sapere che fine avessero fatto i loro smoking e con il letto King size della loro suite riverso sul pavimento senza più un supporto di legno. Jon si era vergognato come un ladro, Damian invece aveva riso e gli si era lanciato di nuovo addosso, riprendendo da dove avevamo interrotto quando si erano infilati sotto la doccia.
    In quell’anno di matrimonio, Jon aveva conosciuto le gioie e i dolori di essere un Wayne: eventi di beneficenza, i Gala di qualche nuova compagnia, le presentazioni di nuove tecnologie, l’essere sempre a contatto con la stampa – sua madre aveva riso al pensiero, dato che aveva sempre insistito di non volerne sapere niente – e i momenti di stress dovuti ai paparazzi, ma Jon aveva sempre affrontato tutto con il sorriso sulle labbra e l’aria raggiante, sempre al fianco di Damian. Solo una cosa non era riuscito e non sarebbe mai riuscito a sopportare: le serate in cui erano circondati da vecchi ricconi con la musica classica che risuonava in ogni dove. Esattamente come in quel momento. Jon non avrebbe davvero voluto trovare la cosa noiosa, ma vedere quegli uomini anziani seduti sul divano a chiacchierare di affari, altri a sorseggiare scotch e a discutere con Bruce sulle ultime azioni della compagnia e altri ancora vestiti di tutto punto in giacca e cravatta mentre giocavano a scacchi, facevano davvero venire a Jon la voglia di filarsela da una finestra seduta stante.
    «Ripetimi un po' perché siamo qui, D?» domandò di punto in bianco Jon, trattenendo uno sbadiglio mentre resisteva all’impulso di strozzarsi con la propria cravatta, allentandola. Amava Damian con tutto il suo cuore, ma quelle erano cose che avrebbe evitato volentieri. Di contro, Damian si allungò verso di lui per rassettarlo lui stesso, guardandolo poi negli occhi con estrema attenzione.
    «Perché adesso sei anche un Wayne, sei mio marito e se devo soffrire per le riunioni della compagnia tu devi farlo con me».
    «Credevo che mi amassi, non che complottassi per ammazzarmi di noia».
    «Nella buona e nella cattiva sorte, Jonathan», replicò Damian, sollevando un angolo della bocca in un sorrisetto prima di dargli una pacca su una spalla. «Ora perché non vai a giocare a scacchi col signor Williams? Sembra molto interessato». Accennò ad un uomo ben distinto che sollevò due dita nella loro direzione, mostrando il bicchiere di whisky che aveva in mano. «Oppure puoi unirti a me e mio padre mentre discutiamo col signor Loeb di--»
    «Sai cosa, vado a giocare a scacchi», lo frenò subito, ignorando la risatina che fece Damian quando gli diede le spalle. Intrattenersi in chiacchiere col signor Loeb equivaleva a morte certa: dopo l’ultima volta in cui aveva sproloquiato per ore riguardo al cambiamento climatico e quanto poco gli eroi facessero per esso – Jon aveva dovuto mordersi la lingua per non ribattere che nemmeno lui e suo padre avevano tanto potere da riuscire a fermare un’alluvione –, aveva  convenuto con Damian che quelle conversazioni per lui erano off limits.
    Per quanto odiasse quelle serate, però, la gioia che provava ogni volta che sentiva la risata serena di Damian era indescrivibile come la prima volta in cui l’aveva sentita.

___

    Gli anni passarono come un battito di ciglia, emozioni e parole accavallate le une sulle altre e momenti insieme e con la famiglia, tutto affrontando insieme le sfide più difficili e ansie e le paure: la morte di sua madre a causa di un cancro, le lacrime e il dolore che aveva seppellito nel petto di Damian quando aveva pianto durante il funerale; la dipartita di Alfred, il vuoto che aveva lasciato in un’intera famiglia e il rimpianto di Damian nel credere di non aver mai fatto abbastanza per lui, così come il suo essersi chiuso un po’ in se stesso quando aveva organizzato anche il funerale di Bruce anni dopo. Ma, insieme a tutto quel dolore, era arrivata anche la gioia.
    Traguardi raggiunti, matrimoni, nipoti su nipoti che avevano riempito la loro vita e che avevano fatto crescere in Jon il desiderio di avere dei figli, per quanto lui e Damian non ne avessero mai parlato né avessero avuto l’occasione di discuterne davvero; il discorso era uscito una sera un po’ per caso, un po’ perché era stato Jon stesso a spingerlo verso l’argomento, ma alla fine Damian l’aveva guardato e, sospirando, aveva confessato che gli sarebbe piaciuto avere dei figli… ma aveva anche condiviso con lui il dubbio e la paura che sarebbe potuto essere un pessimo padre per il passato che aveva avuto. Jon non aveva voluto insistere, ma aveva almeno provato a rassicurarlo sui suoi pensieri, tenendolo stretto nel suo abbraccio e confortandolo come aveva potuto fare nel limite delle sue possibilità.
    Ironicamente, il destino aveva riservato loro ben altro e quel punto della loro vita era stato come un cerchio che si ripeteva: una notte, durante una pattuglia, Jon aveva sentito piangere un bambino in un vicolo… trovandolo avvolto in coperte sporche del sangue dei suoi stessi genitori. Aveva sgranato gli occhi ed era planato sull’asfalto, calpestando la sporcizia e le pozze d’acqua per avvicinarsi piano; il fruscio di un mantello gli aveva fatto capire che anche Damian l’aveva raggiunto, ma nessuno dei due era riuscito a spiccicare una sola parola. Ma era stato Damian, chinandosi su quel piccolo fagotto, ad afferrarlo per avvolgerlo nel suo mantello di Batman e tenerlo al caldo fino all’arrivo della polizia, che aveva affidato il bambino ai servizi sociali.
    Giorni dopo, beccando Damian a prepararsi e a parlare al telefono con Tim per chiedergli di fare alcune ricerche, Jon si era stupito quando Damian gli aveva detto che aveva chiesto di cercare per lui dove fosse stato inserito quel bambino, guardandolo dritto negli occhi per confessargli che avrebbe voluto adottarlo; quando Jon era rimasto in silenzio, Damian aveva subito replicato che non erano obbligati a farlo, che avevano altre priorità e che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa per qualunque cosa avrebbe risposto, ma Jon l’aveva messo a tacere con un bacio e non aveva tardato a dirgli che era pronto ad essere padre insieme a lui. Quando tutte le carte erano state firmate e loro si erano ritrovati a stringere quel bambino fra le braccia, avevano potuto dare in lacrime il benvenuto a Thomas Alfred.
    Lo avevano visto crescere, avevano pianto e sorriso con lui, passato bei momenti e situazioni in cui avevano pensato che la sua salute potesse peggiorare, gli avevano insegnato tutto ciò che sapevano e avevano cercato di tenerlo fuori dai guai finché non aveva scoperto la loro doppia vita, e il discorso era stato un po’ strano, visto che si era reso conto di essere un fanboy di suo padre e di non averlo mai saputo, guardando con occhi diversi tutta la sua collezione di gadget di Superman. Adesso che era vecchio, Jon non avrebbe cambiato una virgola di ciò che aveva fatto fino a quel momento… e vedere Damian discutere animatamente con uno dei commessi del negozio in cui si trovavano, insistendo di non voler badare a spese per il matrimonio di suo figlio, lo faceva sorridere come un idiota.
    Sembrava ieri che tutto era iniziato. La paura per i suoi poteri, l’amicizia con Damian, l’amore che si erano confessati l’un l’altro fino al matrimonio, l’adozione di Tommy… e adesso, a sessant’anni suonati, avrebbe potuto assistere al suo matrimonio con l’uomo che amava. Perché sì, era vero, non avrebbe cambiato nemmeno una virgola di ciò che aveva passato… e si sarebbe goduto ogni istante di quel che restava della sua vita.






_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #thetimeofourlife indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom
Comunque. Io mi ero ripromessa che avrei fatto una cosa piccina, un piccolo spaccato quotidiano dell'infanzia di Jon, alla fine invece mi sono ritrovata con un altro mattoncino che segue passo dopo passo la vita di Jon (secondo la mia visione, ovviamente) anche per unire gran parte dei prompt che mi erano stati proposti e seguire la vita dall'infanzia alla vecchiaia, proprio come la challenge richiedeva dal principio E va beh. Parte del titolo, ovviamente, è tratto da una strofa di Seasons of Love dei Rent perché io sono un clown
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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