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Autore: moganoix    09/10/2022    0 recensioni
- SPIN OFF DI FIREFLIES sul passato di Chan -
Ma se si skippano il prologo e l'epilogo (in cui ci sono spoiler) è possibile leggerla senza aver già dato uno sguardo a Fireflies + non c'è nessun collegamento a Moths, quindi pure questa si può balzare :)

"Soldato senza macchia e senza paura"
Beh, quasi.
Chan ha sempre nascosto un passato di cui si vergogna e ora, dopo aver concluso il viaggio più estenuante della sua breve vita, sa che deve tornare a fare i conti con esso.
E se la burbera guardia che conosciamo, in realtà non fosse che una maschera di facciata per nascondere un Bang Chan completamente diverso?

SKZ + Ateez + NCT = storia con ship poco convenzionali ma è carina lo giuro
Genere: Commedia, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bang Chan, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender, Threesome, Triangolo
Capitoli:
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1
 
[quattro anni prima]
 
“… siete stati chiamati qui oggi perché il quartier generale vi ha scelti come prossimi candidati per l’addestramento speciale alle Fucine di Ghiaccio…”
Sette anni di allenamento…
“… come già avrete sentito, l’addestramento durerà tre mesi e prevede due fasi separate…”
Ottantaquattro mesi trascorsi a sputare sangue, sudore, lacrime…
“… durante i primi sessanta giorni seguirete un corso intensivo che vi permetterà di conoscere in maniera approfondita e di applicare le tecniche mimetiche e di sopravvivenza in ambienti estremi…”
Centinaia di settimane spese ad arrovellarsi su come evitare di farsi sbudellare da un novellino alle prime armi alle prese con alabarde e mazzafrusti…
“… durante gli ultimi trenta gli allenamenti si faranno meno intensi e sarete tenuti a progettare e costruire il vostro Pugnale personale, che sfoggerete alla cerimonia dei diplomi quando vi verrà consegnato lo spallaccio con la testa di lupo…”
Giorni, intensissimi, dedicati a discorrere con ogni gingillo che l’armeria del campo di addestramento metteva a disposizione…
“… sapete perfettamente che questi tre mesi saranno per voi un’esperienza importante. Partiremo tra quattro giorni, mettete in valigia solo lo stretto necessario per sopravvivere al clima del ghiacciaio e pochi effetti personali. Vestiti pesanti, coperte, stivali chiodati… Non vi sarà concesso fare ritorno qui nemmeno per un breve congedo.”
Minuti infiniti spesi a tollerare l’irragionevole arroganza dei Draghi Rapaci… Ma finalmente, gongolò Chan, era giunto il suo momento, quello che ogni recluta che, come lui, poteva vantarsi di contare diciannove inverni, attendeva dall’esatto momento in cui – presto o tardi – si era resa conto che l’accademia per Guardie scelte non era il posto più adatto per cercare divertimento facile lontano dalla famiglia. Piccoli dormitori e libere convivenze di ragazzi e ragazze avevano tratto molti in inganno.
Chan, nonostante le alte aspettative della sua fierissima madre, non faceva eccezione.
Si schiarì la voce, con il supporto dei compagni con cui condivideva un solo acciaccato neurone – Jaehyun e Doyoung – chiese la parola e, munito di un sornione faccino d’angelo, pose, con sfacciata nonchalance, la domanda del secolo: “Capitano, posso portare alle Fucine anche la voglia di scopare?!”


 
2
 
C’era mancato poco che il capitano della divisione a cui Chan apparteneva non lo espellesse seduta stante dall’accademia, ma per le risate in cui era esplosa l’intera aula magna avrebbe fatto questo ed altro. Valore? Giustizia? Patriottismo? Certo, al biondo interessavano, ma non quanto lo attizzava l’idea di mettere in bella mostra i propri muscoli d’acciaio di fronte alla nutrita percentuale di appartenenti al gentil sesso che si allenava ogni giorno assieme a lui. Se quando, appena dodicenne, aveva insistito per fare il soldato perché gli piaceva da matti l’idea di imparare a cavalcare un drago, ora – dopo anni di asfissianti privazioni – aveva rimesso i piedi per terra. Si accontentava di essere squadrato da lontano e si compiaceva quando sorprendeva una delle altre reclute a chiacchierare di lui, amava definirsi ‘ragionevolmente vanitoso’. Jaehyun e Doyoung gli avevano affibbiato un soprannome più appropriato: ‘cazzone arrapato’.
Non che Chan non potesse non dar loro ragione, comunque. Se il biondo, come presumibilmente tutti gli altri della sua divisione, non vedeva l’ora di intraprendere una scalata mortale di un giorno intero sulle pendici di un vecchio ghiacciaio vi era una sola ed unica ragione.
Le ninfe.
O, meglio, le ninfe d’inverno.
Non tutte le ninfe piacevano a Chan. A Sud, dove lui era nato, ve n’erano di varie etnie, ma spesso e volentieri non era possibile distinguerle dagli altri umani se non per le loro naturali facoltà magiche e, talvolta, per la colorazione azzurro-bluastra – totale o parziale – della loro foltissima chioma. A lungo andare il popolo delle ninfe marine aveva stretto amicizia con gli uomini, e non era raro che qualche giovane ne prendesse una in moglie. Allo stesso modo delle lontane cugine che colonizzavano i ghiacciai, possedevano tre peculiarità basilari. Come i troll venivano generati direttamente dai più svariati elementi naturali o gli elfi erano in grado di ascoltare la voce dell’ambiante che li circondava, a loro volta le ninfe erano in grado di variare il loro aspetto per adattarsi a quest’ultimo (particolare che a Chan poco interessava). Inoltre, inutile dirlo, possedevano una bellezza raffinata, diversa dalla casalinga quotidianità che segnava i lineamenti delle ragazze umane o dal guizzo ferino e selvaggio che caratterizzava elfi, e – soprattutto – erano tutte femmine.
Tuttavia – almeno, secondo il modestissimo parere di Chan – non vi era paragone tra l’etnia nordica e quelle meridionali. Abituate al gelo dell’inverno fin da piccole – si diceva che anche le culle in cui venivano accudite fossero ricoperte di neve e ghiaccio – le ninfe dei ghiacciai avevano conservato quell’aura nobile e mistica che condividevano con i parenti delle selve dalle lunghe orecchie a punta. Nonostante lavorassero a stretto contatto con i soldati, non avevano mai mostrato segni di voler barattare la loro aristocraticità e la loro fierezza con la sicurezza di una casa più vicina ai villaggi degli uomini. Preferivano nascondersi e continuare a mantenere la parvenza di mito che, almeno negli ambienti militari, continuava fantasiosamente ad aleggiare.
Le Fucine di Ghiaccio erano il paradiso perduto di ogni recluta, e ognuna di esse segnava sul muro del suo dormitorio i giorni che mancavano per poterlo raggiungere.
Perché sì, le ninfe c’erano ed erano bellissime, come spesso anche i superiori suggerivano, ma non sarebbero state con le mani in mano. Se il paradiso poteva essere definito tale era perché ogni ninfa avrebbe preso in custodia due cadetti e li avrebbe addestrati personalmente per i tre mesi successivi.
Inutile ripeterlo, Chan non vedeva l’ora. Il giorno prima di partire avrebbe dovuto dormire, invece la trascorse con Jaehyun e Doyoung ad inondarli di domande e problemi relativi alla storia d’amore che già sapeva avrebbe intrapreso con la sua maestra.
“Mi metteranno con la più bella, sono sicuro! Me la merito, no?”
“E se poi, dopo tre mesi, non volesse lasciarmi?”
“Ma secondo voi, come lo elimino il fottuto terzo incomodo?”
Il biondo aveva energia da vendere, il mattino seguente partì in quarta con spirito d’avventura e rischiò di scivolare anche un paio di volte giù da una delle tante ripide scarpate su cui si inerpicava (la seconda volta venne spinto giù da Doyoung, che si era stufato di sentirlo chiacchierare a ruota libera). Calmate le acque, verso fine giornata il capitano li guidò lungo una rampa di scale scoscese, e Chan si rese conto allora che erano praticamente giunti a destinazione.
Le Fucine di Ghiaccio altro non erano che la carcassa della vetta di una vecchia montagna, una groviera di cunicoli e caverne distribuite su quattro enormi livelli di pietra e ghiaccio collegati tra loro da irte scalinate costruite dalle stesse ninfe. Queste ultime abitavano il primo piano, quello più basso, mentre gli altri tre erano adibiti all’addestramento dei soldati e contavano dormitori, armerie e vere e proprie fucine, più uno striminzito quartier generale al                quarto livello.
Proprio in questo spazio il capitano aveva voluto radunare tutte le reclute e, finalmente, anche l’oggetto del desiderio di ognuno dei cento cadetti lì presenti. Le cinquanta ninfe, vestite di lunghi abiti di neve e freddo metallo, squadravano con superiorità ogni singola testa sbavante. Per i cadetti fu amore a prima vista (o, beh, a prima occhiataccia), e anche il cuore di Chan – o, forse, qualcosa un po’ più in basso – si riempì di immediato affetto e spontanea commozione.
(Per essere precisi, alle ninfe non dispiaceva affatto il riguardo che quei ragazzini dimostravano nei loro confronti, ma trovavano comunque disgustosa la loro maniera di incrementare a dismisura la produzione di saliva e di lasciare che questa scivolasse e pendesse dalle loro zozze labbra.)
“Ehi, Chan…” Jaehyun, ritto al suo fianco per l’attenti, richiamò la sua attenzione “Lo sai che uno si è tirato indietro all’ultimo?”
Chan sollevò un sopracciglio: “In che senso?”
“Un certo Park Seonghwa.” bisbigliò il più alto “Doyoung l’ha sentito da un suo amico e mi ha detto che ha ricevuto una lettera ieri sera dalla famiglia. Ha la madre malata, ha chiesto un congedo per prendersi cura di lei.”
Il biondo storse il naso e borbottò con scherno, come se lo stesso appellativo non potesse calzare a pennello anche a lui: “Santarellino verginello.”
Jaehyun alzò gli occhi al cielo e trattenne il prurito alle mani. Dopotutto era il primo incontro con le ninfe, sarebbe stato veramente maleducato ed indecoroso mollargli un gancio sulla mascella per farlo tacere.
Due a due, il capitano cominciò, dopo qualche breve ed impacciato convenevole (Chan poteva scommetterci, anche il suo superiore aveva riempito la bisaccia di voglia di scopare e, in quel momento, pareva emozionato), a declamare i nomi delle coppie che si era personalmente occupato di comporre. Inizialmente Chan non volle credere alle parole dell’amico accanto a sé – nessuno al campo d’addestramento avrebbe mai davvero rinunciato a quell’occasione – ma, mano a mano che il loro gruppo si sfoltiva, si rendeva sempre più conto dell’evidenza. Erano dispari, mancavano si e no una trentina di persone e pareva che ci fosse sempre qualcuno di troppo, o, meglio, un dannatissimo bastardo baciato – anzi, limonato – dalla fortuna che avrebbe avuto la possibilità di intraprendere un promettente tête-à-tête con la maestra designata.
Prima trenta, poi venti, poi dieci… Chan, ricolmo di speranza, guardava gli ultimi cadetti farsi avanti – Jaehyun e Doyoung erano addirittura finiti insieme – e poi allontanarsi accompagnati dalla dea che aveva scelto di addestrarli. E, in ultimo, rimase solo lui.
“Benedetto verginello!” esclamò Chan nella sua testa, prima di sentir snocciolare le rapide sillabe del suo nome. Avrebbe potuto baciarlo, quel Park, se lo avesse rivisto; l’occasione che gli aveva servito era più unica che rara! Scattò quindi con passo molleggiante e dinoccolato verso il capitano, l’adrenalina gli metteva le ali ai piedi, il cuore pareva volergli schizzare fuori dal petto. Già da lontano, non aveva potuto fare a meno di notare la sottigliezza dei suoi fianchi avvolti da una morbida candida pelliccia, così come le spalle timidamente raccolte in una nobile postura da principessa. I capelli rossicci, corti, leggermente scarmigliati, ne incorniciavano il viso latteo e mettevano in risalto le baluginanti perle che possedeva al posto degli occhi. A differenza dei suoi compagni, Chan era uno zoticone di classe. Prima era solito concentrarsi sul viso, poi scendeva appena un po’ più giù – di solito le ragazze sembravano apprezzare questa raffinatezza – ma questa volta, più che un dono, il suo proverbiale riguardo divenne la sua rovina. Solo quando giunse di fronte alla ninfa, infatti, si rese conto che, per trovare una sporgenza, avrebbe dovuto cercare molto più in basso del solito.
Era un maschio.
La sua ninfa era un maledettissimo maschio.
In un momento di assoluta angoscia e costernazione, la voce ovattata del capitano parve a Chan una vera e propria presa per il culo: “Recluta numero 10379, Bang Chan, questo è Kim Hongjoong. Seguirà il tuo programma di allenamento da oggi alla fine dei prossimi tre mesi.”


 
3
 
Quando quella sera Chan sgusciò nella camera di Jaehyun e Doyoung avrebbe dovuto aspettarselo che i due, nel sentirlo raccontare con tanto pathos del suo trauma, sarebbero praticamente morti dal ridere. Non che la cosa lo sconvolgesse troppo comunque, se fosse stato al loro posto probabilmente avrebbe fatto lo stesso.
“Spero che la saliva vi vada di traverso” borbottò con tono greve.
“Ti sta bene” lo rimbeccò Jaehyun “è una settimana che rompi il cazzo con queste ninfe.”
“Certo, tu parli perché intanto te ne sei andato con una gran figa. Non che a te comunque sia andata molto meglio, eh. Vedete di non litigare per lei o dovrò essere io a farvi ragionare” brontolò allora il biondo.
“Litigare?” Doyoung sollevò un sopracciglio e rivolse a Chan un sorriso storto “Se lei è d’accordo possiamo farlo anche in tre per quello che mi riguarda.”
Jaehyun scrollò a sua volta le spalle: “Lo stesso per me.”
Chan storse il naso: “Ma siete due…”
“… Maschi?” rincarò il maggiore dei tre “Dai, non devo fidanzarmici con Jae, che vuoi che sia qualche toccatina ogni tanto? È solo un po’ di sesso senza impegno, e poi potrebbe essere divertente. Dovresti iniziare a pensarci visto che, guarda un po’, anche tu e la tua ninfa siete due bei maschietti.”
Chan scrutò Doyoung con occhi sbarrati, quasi a domandargli che genere di eresie stesse mai blaterando.
“Comunque non ci hai parlato di lui, io sono curioso” si intromise Jaehyun per evitare di far scoppiare un putiferio, o di far andare Chan ancora più in crisi “Che tipo è questo Hongjoong?”
Il biondo sospirò e si passò una mano sul viso: “Mh… Non gli ho prestato molta attenzione, ma non è niente di che. Quando abbiamo lasciato il quartier generale mi ha accompagnato fino al secondo livello a posare la mia roba nella cella che mi hanno assegnato, poi mi ha fatto fare il giro del terzo e del primo piano. Ha detto che è lì che ninfe e soldati mangiano sempre tutti insieme. Forse potrei conoscere una di loro a colazione?”
“Ma di carattere com’è?” insistette il più alto, ignorando la domanda.
“Non è che sia stato molto simpatico a dire il vero” ammise l’interpellato “Si è presentato e poi si è limitato ad elencare i nomi di tutto quello che c’è qui dentro. Domani mattina viene a svegliarmi a quanto pare, ha la fissa di essere puntuale.”
“Dagli una possibilità di essere almeno tuo amico, Chan… Magari è solo un po’ teso. Nessuno aveva mai visto prima una ninfa con fattezze maschili, può darsi che sia il suo primo anno” Doyoung scherzava volentieri, ma tra i tre amici era certamente l’unico abbastanza maturo da comprendere quando era necessario tornare serio.
“Perché? Che ci guadagno? Lui è qui per farmi allenare, non c’è il caso che diventiamo amici.”
“Chan, non iniziare a fare il bastardo con lui. Ti è andata male, ma non è colpa sua.”
“Ripeto, tanto capiresti solo se fossi al mio posto” il biondo si mise a braccia conserte.
“Chan” lo richiamò Jaehyun “Doyoung ha ragione, dovresti almeno provare ad andarci d’accordo. Magari si rivela simpatico! Però… Se proprio lui non ti piace puoi chiedergli se diventa donna per te, no? Tutte le ninfe possono modificare il loro aspetto a loro piacimento, quindi non dovrebbe essere un problema per lui.”
Chan strabuzzò gli occhi, per una volta uno dei suoi hyung aveva partorito un’idea tutt’altro che stupida. Sorrise immediatamente e, recuperata un minimo di speranza, esclamò: “Ma certo, farò così! Glielo chiederò domattina a colazione!”
Se era vero che il… ninfo? Ninfetto? – Chan non aveva la più pallida idea di come chiamarlo senza essere troppo scortese – era davvero così timido, allora avrebbe solamente dovuto fargli capire che, tra loro, a comandare sarebbe stato lui, e che era necessario che facesse tutto ciò che lui desiderava.
La prospettiva lo allettava così tanto che, nonostante il gelo si infiltrasse anche sotto gli spesso strati di coperte di lana confezionate appositamente da sua madre, non fece affatto fatica ad addormentarsi. Quando però, la mattina seguente, Hongjoong – altero – fece capolino nella sua stanzetta per scortarlo verso l’edificio in cui avrebbero consumato la colazione, Chan dovette arrendersi all’evidenza. La ninfa gli aveva concesso un paio di convenevoli e, in silenzio, si era poi diretta verso la rampa che conduceva al primo piano, pretendendo che il cadetto la seguisse. Chan gli stette a distanza – ovviamente non perché aveva il terrore di scivolare giù dalla scalinata ghiacciata… – e si prese un momento per osservare il maestro che gli era toccato in sorte. Se non fosse stato per le spalle larghe, i capelli corti e il piattume sul lato A (sì, doveva ammettere che il lato B non era mal fornito) sarebbe stato il suo tipo di ragazza. A vederlo da dietro poteva quasi immaginarsela, la ninfa dei suoi sogni, in fondo Hongjoong utilizzava abiti e manti pressoché identici a quelli delle sue cugine.
Quando il rosso gli fece prendere posto accanto a sé ad uno dei lunghi tavoli apparecchiati per la colazione e gli sporse qualche galletta da intingere nel the che venne servito ad entrambi, Chan pensò che fosse finalmente il momento giusto di farsi avanti. Sorrise all’altro e si sporse leggermente verso di lui con fare – a dirla tutta – vagamente molesto: “Senti, Hongjoong, vedi che tutti qui hanno una ninfa?”
Il soldato calcò particolarmente la ‘a’ finale, per poi proseguire: “Non è che, per me, anche tu faresti la femmina?”
Hongjoong si strozzò con il the, incapace di elaborare la domanda del ragazzo accanto a sé. Tossì un paio di volte e si girò poi a guardarlo con occhi sgranati: “Come, scusa?”
La ninfa era agitata, era vero che Chan era il primo cadetto con cui aveva a che fare, quindi pensava che l’aver dormito solamente sì e no un paio d’ore gli stesse giocando brutti scherzi.
“Dicevo” ripeté invece il biondo con espressione tranquilla, mentre sorseggiava con fare sonnolento dalla sua tazza mezzo piena “Non è che puoi fare la femmina anche tu? Puoi trasformarti in quello che vuoi, giusto?”
Non fu la domanda in sé a sconvolgerlo – Hongjoong sapeva già che, a meno che non gli capitasse come allieva una soldatessa, chiunque si sarebbe lamentato del suo aspetto – ma l’assoluta, impavida, arrogante e sprezzante nonchalance che la recluta aveva stillato assieme ad ogni singola parola. Fino a quel momento – che, in fondo, non era per niente molto tempo – aveva cercato di mostrarsi superbo e misterioso come le sue compagne, ma una domanda come quella di Chan meritava una punizione esemplare (e poco gli importava se anche lui avrebbe dovuto sopportarne una altrettanto crudele). Fu un istante, attese che Chan sollevasse nuovamente la tazza di the bollente per portarla alle labbra e, prima che potesse rendersene conto, mollò una manata sulla ceramica calda e ne fece versare il contenuto proprio sul cavallo dei pantaloni di Chan. Il biondo, colpito prima dal liquido fumante e dopo dalla stessa tazza, sgranò gli occhi ed ebbe la forza per emettere solamente una sibilante parolaccia appena mugolata. Hongjoong si alzò in piedi e – per caso, ovviamente – urtò il tavolo con un ginocchio, riversandogli addosso anche ciò che rimaneva della propria bevanda. Inclinò il collo di lato e assottigliò lo sguardo: “Oh, che sbadato. Mi dispiace, il the era caldo, se ti si sono bruciate le palle puoi farla tu la femmina, ti va?”
Scavalcò la bassa panca su cui erano seduti e si stiracchiò: “Fammi sapere come sta il tuo amichetto più tardi. Ti aspetto al terzo livello appena ti sei messo in ordine.”
Gli fece un cenno di saluto – più di quanto Chan si sarebbe meritato – e marciò fuori dal refettorio.
   
 
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