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Autore: Parmandil    09/10/2022    0 recensioni
Il pianeta Thalassa è un’isola di pace per gli avventurieri della Destiny, sperduti nel Multiverso senza le coordinate quantiche di ritorno. Ed è ancora più importante ora che l’esaurimento dei cristalli di dilitio minaccia di far restare la Destiny senza energia, il che equivale a morte certa. Ogni quarant’anni il pianeta appare nel Vuoto, rimanendovi un mese, per poi tornare nel nostro Universo. I suoi coloni appaiono pacifici e bendisposti. Per i nostri eroi è l’occasione perfetta per tornare a casa, o almeno per procurarsi il prezioso dilitio; ma gli abitanti si fideranno di loro? Non sarebbero più ospitali se li credessero veri ufficiali della Flotta Stellare? Intrappolati nella loro stessa rete di bugie e mezze verità, gli avventurieri dovranno decidere fin dove sono disposti a spingersi pur di ottenere ciò che vogliono.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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-Capitolo 1: Per un pugno di dilitio
Data Stellare 2611.22
Luogo: il Vuoto
 
   Nell’incommensurabile molteplicità del Multiverso, c’è una dimensione detta il Vuoto. Si tratta di un Universo totalmente buio, freddo e privo di materia. Non ci sono nebulose, né stelle, né residui stellari come nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri. Non ci sono pianeti, né gassosi né rocciosi, e non ci sono satelliti. Non ci sono nemmeno asteroidi, comete, pulviscolo spaziale. E in mancanza di alcunché a cui aggrapparsi, non ci sono forme di vita. L’unica cosa che abbonda è, come dice il nome, lo spazio vuoto.
   Ma in quel primo scorcio del XXVII secolo, dopo miliardi di anni senza eventi, qualcosa era cambiato. Per la prima volta il Vuoto era visitato da un’astronave, proveniente da un’altra realtà: l’USS Destiny, punta di diamante della Flotta Stellare. Sebbene l’equipaggio originale fosse stato barbaramente ucciso, un nuovo equipaggio lo aveva sostituito: una banda d’avventurieri che cercavano in ogni modo di ritrovare le coordinate quantiche dell’Universo d’origine. Tra un’incursione e l’altra tornavano a rifugiarsi nel Vuoto, dove almeno non correvano rischi. E così anche quel cosmo un tempo pacifico era diventato teatro di alterne vicende; talvolta persino di feroci scontri.
   Dal nulla comparve un bagliore dorato, che si allargò assumendo la forma di un vortice. Era la breccia interdimensionale che permetteva alla Destiny di viaggiare tra le realtà. Da quella distorsione vorticante emerse il vascello federale, a piena velocità d’impulso, con gli scudi alzati e le armi pronte a colpire.
   «È fatta Capitano, siamo tornati nel Vuoto» disse Talyn, l’addetto a sensori e comunicazioni. Il giovane El-Auriano era teso, dopo i rischi corsi nell’Universo appena visitato.
   «Yu-huuu! Beccatevi questa, brutti senza-naso!» esclamò Shati, la timoniera, all’indirizzo degli inseguitori. La Caitiana era su di giri: le vibrisse fremevano, la coda a ciuffo si agitava senza posa.
   «Aspettate a rallegrarvi» ammonì Naskeel, l’Ufficiale Tattico. Il Tholiano dal corpo cristallino era meno incline all’entusiasmo, forse perché era un ex militare di professione, o perché la sua gente era poco emotiva. Stavolta il suo pessimismo era pienamente giustificato. «Le Dreadnought si stanno avvicinando alla breccia, la varcheranno tra pochi secondi» avvertì. La sua voce tradotta elettronicamente suonava fredda e metallica come sempre, ma le sue mani erano già sui comandi delle armi.
   «Frell, giriamoci e pronti a far fuoco!» ordinò il Capitano Rivera. Ne era passato di tempo da quando, espulso dalla Flotta Stellare, si era unito a quella scalcagnata banda d’avventurieri. Ne era divenuto Capitano, dopo la morte del predecessore, e si era anche impadronito della Destiny; ma la sua fortuna finiva qui. Perché lo scotto da pagare era trovarsi sperduto nel Multiverso, con trecento furfanti che si affidavano a lui per trovare la via di casa. E ogni volta che visitavano una nuova realtà, si trovavano immancabilmente sotto attacco. Stavolta si erano trovati nientemeno che nello Spazio Bianco, il luogo d’origine dei Tuteriani, che sessant’anni prima avevano invaso e semidistrutto la Federazione. Si erano appena resi conto di dov’erano capitati che tre Dreadnought, le potenti navi da guerra dei Tuteriani, li avevano assaliti, obbligandoli a riaprire in tutta fretta una breccia per andarsene. Ma una volta che la breccia era aperta, chiunque poteva varcarla: anche gli inseguitori.
   «Arrivano!» avvertì Talyn, leggendo i dati dei sensori.
   «Frell, se solo ci fosse modo di chiudere quella dannata breccia dopo che siamo passati!» esclamò Losira, il Primo Ufficiale. L’avvenente Risiana mostrava tutta la sua condizione di aristocratica decaduta e bandita dalla patria. L’aspetto era ancora affascinante, con le vesti eleganti e i capelli a caschetto così cangianti che nessuno ne aveva mai scoperto il vero colore. L’atteggiamento però si era fatto amaro e sprezzante, salvo che nei confronti del figlio adottivo Talyn.
   «La breccia si chiuderà da sola fra pochi attimi, resta da vedere quante navi passeranno» commentò il Capitano. Lui era l’esatto opposto di Losira. Dopo l’espulsione dalla Flotta il suo aspetto s’era fatto piratesco, come indicavano i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo e la corta barba incolta. Indossava una tenuta da mercenario con tanto di frusta neurale in cintura, un cimelio ereditato dal precedente capobanda. L’atteggiamento invece era ancora improntato alla nostalgia per la Flotta Stellare, tanto che cercava sempre di mettere in riga l’equipaggio, instillandogli un po’ di disciplina. Finora i risultati erano scarsi.
   La prima Dreadnought attraversò la breccia, irrompendo nel Vuoto, e subito aprì il fuoco contro la Destiny. A sua volta la nave federale rovesciò il suo vasto arsenale sul vascello nemico: raggi phaser e anti-polaronici, siluri di vario tipo. Per il momento nessuna delle astronavi riusciva a prevalere; ma la Destiny era sola mentre i Tuteriani avevano rinforzi in arrivo.
   «Arriva la seconda Dreadnought... no, un momento!» si corresse Talyn. Il vortice luminoso prese a girare più rapido, segno che la breccia si era destabilizzata e stava per richiudersi. La seconda Dreadnought rallentò, appena in tempo: la breccia le si richiuse davanti. Se i Tuteriani non avessero frenato, la chiusura del vortice avrebbe tranciato in due la loro astronave. Anche così, la prima Dreadnought che lo aveva incautamente varcato restò sola contro la Destiny.
   «È possibile che i Tuteriani riaprano la breccia?» si preoccupò Losira.
   «Non direi, almeno non a breve» rispose Rivera. «Gli servono particolari attrezzature per farlo. Tra l’altro credo che non conoscano nemmeno le coordinate quantiche del Vuoto. E non le sapranno mai, se riusciamo a eliminare questa Dreadnought. Signor Naskeel, è tutta sua!».
   «Ricevuto» disse il Tholiano, bombardandola con una raffica di siluri quantici. Gli scudi della Dreadnought sfarfallarono, assorbendo l’energia. L’ultimo siluro riuscì a superarli, aprendo una piccola breccia nello scafo. La Dreadnought cambiò rapidamente assetto: invece di rivolgere il fianco alla Destiny ora le puntava contro la prua affusolata.
   «Vogliono offrire minor bersaglio» ragionò il Capitano.
   «Non è solo questo» avvertì Talyn. «Rilevo un enorme aumento d’energia a prua della Dreadnought. Credo stiano caricando il deflettore di navigazione».
   In quella un raggio bianco scaturì dal deflettore della Dreadnought, andando a colpire quello della Destiny. La nave federale prese a vibrare; in plancia e in sala macchine squillarono allarmi.
   «Ci colpiscono con un raggio anti-protonico ad alta energia» avvertì Naskeel, senza scomporsi. «È una tattica nuova, i Tuteriani non l’avevano mai tentata prima. Evidentemente hanno capito che non possono sconfiggerci con le armi tradizionali. Credo che vogliano sovraccaricare il nostro nucleo».
   «Possiamo disimpegnarci?» domandò Rivera.
   «Farlo adesso rischia di far saltare il deflettore» avvertì Talyn, mentre la Destiny vibrava sempre più forte.
   «Plancia a sala macchine, potete contrastare quell’impulso?» chiese il Capitano, consapevole che restavano pochi secondi per agire.
   «Ci sto provando!» rispose Irvik, l’Ingegnere Capo. Il Voth era indaffarato alla consolle principale dell’ingegneria, mentre attorno a lui era un caos d’allarmi, ordini e contrordini. Il nucleo quantico pulsava a un ritmo mai visto prima, in una spirale di sovraccarico che l’avrebbe fatto esplodere entro pochi secondi. «Potrei espellere il nucleo, ma senza quello resteremo bloccati nel Vuoto» avvertì il sauro.
   «Questa non è un’opzione! Alternative?» chiese Rivera, sudando freddo. Intanto Naskeel continuava a martellare la Dreadnought, ma ancora non riusciva a penetrarne gli scudi anteriori. Era evidente che i Tuteriani avevano potenziato le difese, nei cinquant’anni trascorsi dalla fine del conflitto.
   «Attenzione, sovraccarico d’energia nella camera del dilitio. Rottura del nucleo imminente» avvertì il computer.
   «Vediamo... potrei invertire la polarità del nucleo, generando un’onda di ritorno nel flusso» mormorò Irvik. Mentre parlava prese a inserire i comandi, senza aspettare l’autorizzazione del Capitano: non c’era tempo.
   Qualcosa cambiò nelle pulsazioni del nucleo quantico: il ritmo era diverso. Gli allarmi cessarono, segno che l’energia era nuovamente entro i livelli di guardia. «Sì, funziona!» esultò l’Ingegnere Capo, osservando i grafici dell’energia: il flusso si era invertito. Il raggio anti-protonico era ora diretto verso il deflettore della Dreadnought, che sebbene fosse un’astronave potente, non generava – e quindi non poteva gestire – tanta energia quanta la Destiny.
   La fine giunse con rapidità. I Tuteriani presero a espellere plasma surriscaldato, in un estremo tentativo di scaricare l’energia in eccesso, ma era una misura del tutto insufficiente. Di lì a pochi attimi il loro nucleo sovraccaricato esplose. La Dreadnought fu obliterata da un’accecante esplosione, che disegnò un anello in espansione nello spazio. La Destiny sussultò per l’onda d’urto subspaziale.
   «Nemico eliminato» riferì Naskeel con la solita calma.
   «Evvai!» strepitò Shati, meno composta.
   «La Dreadnought è stata completamente disintegrata, non ci sono detriti più grossi di un’unghia» confermò Talyn, consultando i sensori. «Nessuno dell’equipaggio ha fatto in tempo a lasciarla».
   «È quel che si rischia ad attaccarci» commentò Rivera, torvo. Non riusciva a dispiacersi per i Tuteriani, sapendo cos’avevano fatto alla Federazione pochi decenni prima. Avevano distrutto interi mondi, sterminato interi popoli. Se ora una loro astronave veniva distrutta, peggio per loro: gli avrebbe ricordato che la Federazione aveva ancora la superiorità militare. «Fine Allarme Rosso» ordinò, rilassandosi.
   Per tutta risposta l’illuminazione venne meno, lasciando la plancia in un buio pesto. Persino le consolle si erano disattivate.
   «Ehi, ho detto fine allarme, non spegnete tutto!» protestò il Capitano.
   Entro pochi secondi l’illuminazione tornò, sotto forma di faretti d’emergenza, e le consolle si riattivarono.
   «Insomma, che succede?» chiese Rivera. Aveva la sgradevole sensazione che i guai non fossero affatto finiti, anzi forse erano appena cominciati.
   «Succede che l’energia principale è venuta meno. Il nucleo quantico è disattivato» rispose Talyn, consultando la sua consolle. «Per sopperire si sono attivati i generatori autonomi d’emergenza».
   «Plancia a sala macchine, spiegatemi la ragione di questo blackout!» ordinò il Capitano, con un nodo allo stomaco.
   «Signore, si tratta di una faccenda seria» rispose Irvik, in un tono che lo spaventò più del blackout stesso. «Venga giù in ingegneria, deve vedere di persona».
 
   «Ebbene?» fece Rivera, entrando in sala macchine. Trovò gli ingegneri affaccendati attorno al nucleo quantico, intenti a un’insolita procedura. Avevano aperto la camera del dilitio, facendo uscire il dispositivo cilindrico in cui erano inseriti i preziosi cristalli. Come tutti i federali sapevano, il dilitio era cruciale per regolare la reazione materia-antimateria che alimentava le navi stellari, grazie alla particolare configurazione del suo reticolo cristallino. Il fatto che non si potesse replicare, e dovesse quindi essere estratto alla vecchia maniera, lo rendeva la sostanza più ambita e preziosa della Via Lattea. Senza dilitio il viaggio interstellare sarebbe stato impossibile e quindi ogni governo interstellare, compresa la Federazione, sarebbe miseramente crollato. Peggio ancora, ogni reazione ad alto consumo energetico sarebbe divenuta impossibile: quindi niente replicatori per sfamare la popolazione, niente teletrasporto per viaggiare sulle brevi distanze. Era il dilitio a tenere in piedi da secoli le civiltà evolute della Galassia.
   «Presto Capitano, venga a vedere!» lo chiamò Irvik con una strana urgenza. Il sauro stava esaminando i cristalli di dilitio con un bizzarro strumento, simile a un visore con lenti telescopiche. Quando Rivera gli fu accanto, le lenti si allungarono in avanti per aumentare la risoluzione dell’immagine.
   «Insomma, che succede?!» incalzò l’Umano. Osservò i cristalli esagonali e, pur guardandoli a occhio nudo, ebbe l’impressione che qualcosa non andasse. Erano spenti e opachi, anziché luminosi e traslucidi come dovevano essere.
   «Ha presente poco fa, quando i Tuteriani hanno cercato di mandarci in sovraccarico?» fece Irvik.
   «Certo, lei è riuscito a distruggerli con un’onda di ritorno» annuì il Capitano.
   «Troppo tardi, temo» ammise il Voth, torcendosi le mani tridattile. «Quel breve sovraccarico d’energia nella camera del dilitio ha avuto conseguenze nefaste. La matrice s’è de-cristallizzata, Capitano. I cristalli sono da buttare, tutti quanti».
   «Non potete ricristallizzarli? Tutte le navi federali lo fanno in continuazione» obiettò Rivera.
   «Non con un danno così esteso. La matrice cristallina è completamente perduta, non c’è una zona sana da cui ricominciare il processo» spiegò l’Ingegnere Capo.
   «Beh, allora buttateli! Non vedo quale sia il problema» fece il Capitano
   «E con che cosa dovremmo sostituirli?» chiese educatamente il Voth.
   «Che razza di domande! È lei l’Ingegnere Capo, lo saprà pure dove teniamo i cristalli di scorta!» s’innervosì l’Umano.
   «È questo il problema, Capitano. Non abbiamo scorte».
   «Come sarebbe?! Abbiamo quelle stive enormi, piene di robaccia che non usiamo mai... e ci manca la cosa più importante?!» sobbalzò Rivera.
   «Stando all’inventario delle stive c’era una scorta di dilitio, quando la Destiny fu varata sei anni fa» chiarì Irvik. «Solo che adesso non c’è più. Gli Undine devono averlo sottratto, nel periodo in cui controllavano la nave. Immagino che fosse un’ulteriore contromisura per non farsela soffiare. Noi gliela abbiamo soffiata lo stesso, ma così facendo ci siamo esposti a questo rischio».
   «Sta dicendo che non c’è alcun modo di reintegrare le scorte? E il dilitio delle navette? Quello lo abbiamo ancora!» esclamò il Capitano, aggrappandosi all’ultima speranza.
   «Le navette, compreso il Centurion, hanno cristalli troppo piccoli per questo nucleo» sospirò l’Ingegnere Capo. «Potrei costruire una nuova camera del dilitio, su misura per i cristalli più piccoli. È un lavoraccio, ma potrei riuscirci. Però anche così non avremo energia sufficiente per aprire una breccia interdimensionale. Capisce cosa intendo, signore? Il Multiverso ci è precluso, siamo intrappolati nel Vuoto!» disse, levandosi finalmente il visore telescopico. I suoi occhi erano dilatati dal terrore e tutto il suo volto pareva una maschera tragica, nell’incerta luce del salone.
   Rivera indietreggiò di qualche passo e si appoggiò a una consolle, cercando di digerire la notizia. Questa era un’eventualità sulla quale non aveva mai riflettuto seriamente. Eppure il timore doveva averlo sfiorato a livello inconscio, perché ora si sentiva come colui che vede avverarsi il suo peggior incubo. Essere bloccati nel Vuoto, nell’impossibilità di aprire altre brecce, significava non rivedere mai più il loro Universo d’origine. Significava dire addio agli amici, alle famiglie, alle loro case. Peggio ancora, significava vagare in un Universo completamente buio e senza risorse finché sarebbero morti di vecchiaia. Oppure finché l’energia di riserva si sarebbe esaurita, il che comportava una lenta morte per asfissia, per il freddo e per la fame. In ogni caso, erano spacciati.
 
   Nei cinque giorni seguenti gli avventurieri rovistarono da cima a fondo la Destiny, in cerca di qualche scorta di dilitio. Cominciarono dalle stive di carico, che furono setacciate con cura maniacale. Proseguirono con il resto dell’astronave, dal settore ingegneristico alle armerie, dalle sale di controllo ai laboratori scientifici, fino agli alloggi privati. Infine controllarono persino le navette, una per una, nell’improbabile caso che vi fosse del dilitio della giusta misura nascosto a bordo. Tutte le ricerche furono fallimentari: sulla Destiny non c’era un solo grammo di dilitio adatto ad alimentare il nucleo. In compenso furono trovate un sacco di altre cose utili per la vita di bordo, che finora erano rimaste nascoste in container o negli alloggi inutilizzati. Ma niente sarebbe servito davvero, se non si trovava il modo di ridare piena energia all’astronave.
   Per il momento la vita di bordo proseguiva in modo non troppo diverso dal solito, grazie ai generatori d’emergenza. L’unica differenza era che gli avventurieri cercavano di risparmiare più energia possibile, in previsione dei tempi grami a venire. Dopo essersi consultato col Capitano, Irvik aveva disattivato tutti i sistemi non essenziali. Così ad esempio i replicatori erano spenti e ci si nutriva con le scorte d’emergenza. Anche il ponte ologrammi era disattivato e così le cabine di teletrasporto per gli spostamenti interni alla nave. Si arrivò persino a spegnere le luci nei corridoi dei ponti inferiori, che venivano utilizzati di rado. Per il momento erano sacrifici sopportabili; ma l’incognita del futuro gravava sugli avventurieri come la spada di Damocle. Qualunque cosa facessero, quel pensiero continuava a ossessionarli: «Risparmia, perché da qui in poi le cose possono solo peggiorare».
   Il Capitano si accorse ben presto che il malumore serpeggiava tra l’equipaggio. Non era ancora tale da scatenare una rivolta, ma la situazione peggiorava giorno dopo giorno. Sarebbe servito un obiettivo comune, una speranza per tenere concentrata la ciurma. Ma quale speranza poteva dargli, che non fosse rapidamente delusa? E dare false speranze, presto smentite, non era forse peggio che non darne affatto? Se avesse mentito all’equipaggio, Rivera era certo che avrebbe perso ogni residuo d’autorità e di credibilità, aprendo la strada a pericolosi ammutinamenti. Così si astenne dal dare ulteriori comunicazioni. Ma quando Losira venne a informarlo che la Destiny era stata rivoltata come un calzino, senza trovare una briciola di dilitio, il Capitano sentì che doveva assolutamente fare qualcosa.
 
   «Ebbene?» chiese Rivera con impazienza.
   «Ebbene, non è cambiato nulla rispetto alle analisi fatte in passato» rispose Talyn. «Il Vuoto continua ad essere vuoto come quando l’abbiamo scoperto. Non ci sono stelle, pianeti o asteroidi. Frell, non c’è un solo atomo di materia!» imprecò. Lui e gli altri erano nel laboratorio astrometrico e stavano esaminando lo spazio circostante, in un estremo tentativo di trovare qualcosa. L’ideale sarebbe stato qualche asteroide o pianeta che avesse un giacimento di dilitio. Ma nella loro disperazione qualunque segno di materia solida sarebbe già stato una vittoria, perché avrebbe dimostrato che non erano in un cosmo completamente vacuo.
   «Tutte le analisi concordano con la tua ipotesi iniziale. In questo Universo materia e antimateria si annichilirono totalmente nel primo istante dopo il Big Bang, senza lasciare atomi che potessero assemblarsi in strutture più complesse» commentò Naskeel.
   «Sarà meglio che troviamo qualcosa, invece!» ringhiò Rivera, non volendo arrendersi.
   «È inutile, signore, non rilevo nemmeno galassie lontane!» insisté Talyn. «Non ci sono neanche residui stellari che suggeriscano una maggior presenza di materia in passato. Niente di niente!» esclamò, sull’orlo di una crisi nervosa.
   «Prova a usare i sensori subspaziali a lungo raggio per esaminare a fondo una porzione di spazio lontano» suggerì Losira.
   «Quale porzione? Dovrei sceglierne una a caso» obiettò il giovane El-Auriano.
   «Non a caso» corresse Losira. «Tu hai la capacità istintiva di capire quando e come fare le cose. Forse puoi anche intuire dove guardare».
   «Beh, non mi sta venendo nulla in mente!» protestò Talyn.
   «Sei troppo teso. Cerca di non pensare ai nostri problemi» esortò la Risiana. «Prova semplicemente a pensare dove ti piacerebbe guardare. Anzi, no... pensa a dove ti sembra giusto guardare» suggerì.
   Esitante, l’El-Auriano osservò gli altri ufficiali, che annuirono. Scosse la testa cercando di schiarirsi la mente, di liberarsi dalle paure che lo attanagliavano. Pose le mani sui comandi e chiuse gli occhi, in cerca d’ispirazione. Infine premette alcuni tasti, praticamente a caso.
   «Hai avuto una visione?» chiese Shati con ansia.
   «Ma quale visione, ho pigiato a caso!» sbuffò il giovane. «Mi sento così stupido...» borbottò, mentre analizzava la regione di spazio prescelta. A un tratto inarcò un sopracciglio: sull’interfaccia era apparso un riscontro.
   «Allora, hai trovato qualcosa?!» incalzò la Caitiana.
   «Si direbbe... di sì» mormorò Talyn, sempre più meravigliato. «Stento a credere a ciò che vedo. Secondo i sensori c’è un intero sistema stellare a 30 anni luce da qui. È una stella di tipo G, con almeno tre pianeti».
   «Ah, lo sapevo che avevi un dono!» si congratulò il Capitano.
   «Però la faccenda è molto strana» disse l’El-Auriano, per nulla rallegrato dalla sua scoperta. «Voglio confrontare le letture con quelle raccolte la prima volta che giungemmo nel Vuoto. Ecco, vedete? Un anno fa quella stella e quei pianeti non c’erano!». Indicò le due colonne di dati che scorrevano sullo schermo. La differenza era evidente: nelle letture più vecchie non c’era alcuna traccia dei corpi celesti.
   «Forse le prime scansioni non erano così accurate» ipotizzò Losira.
   «Lo erano, invece. Dopo la prima disavventura nello Spazio Caotico passai settimane ad analizzare minuziosamente il Vuoto, in cerca di qualunque corpo celeste» assicurò Talyn. «Per questo adesso ero così scettico sulla possibilità di trovare qualcosa che mi fosse sfuggito. Eppure adesso quel sistema c’è. E guardate qui!» aggiunse, richiamando un’altra lettura. «Ho scoperto quei corpi celesti grazie ai sensori subspaziali, che operano a velocità superiore alla luce. Ma se cerco le emissioni luminose, o anche le onde gravitazionali, non rilevo nulla. È come se quel sistema non esistesse».
   «Come possono quei pianeti esserci e non esserci allo stesso tempo?» chiese Shati. «Non ci sarà un difetto in uno degli strumenti?».
   «Ah, può darsi. Farò una diagnostica per controllare» promise il giovane.
   «C’è anche un’altra possibilità» intervenne Naskeel. «Quel sistema stellare potrebbe essere abitato da una specie tecnologicamente progredita. E i suoi abitanti potrebbero averlo occultato».
   «Occultare un intero sistema stellare?! Ma è possibile?» si stupì la Caitiana.
   «Beh, nel nostro Universo il pianeta Aldea fu occultato per secoli dai suoi abitanti» ricordò Rivera. «Ma non ho mai sentito di un intero sistema occultato, inclusa la stella. E poi l’occultamento può schermare le onde luminose, ma non quelle gravitazionali».
   «Qui nel Vuoto le cose potrebbero essere diverse» insisté il Tholiano.
   «Sì, potrebbero» concesse il Capitano. «In ogni caso vale la pena di controllare. Questo è il primo segno di materia solida – forse anche di vita intelligente – che troviamo nel Vuoto. Non possiamo ignorare la faccenda. Svelti, torniamo in plancia e tracciamo la rotta per...» s’interruppe.
   «Ehm, come avrà intuito, in mancanza di dilitio questa nave non può entrare a cavitazione quantica» confermò Irvik. «Siamo bloccati anche nello spazio, temo. La buona notizia è che le navette sono in piena efficienza. Possiamo andarci col Centurion e magari con qualche navicella di scorta...».
   «Già, andiamo con le navette ad affrontare una civiltà così potente da occultare un intero sistema stellare!» sospirò Rivera. «Se sono ostili, ci spazzeranno via in un lampo».
   «Se sono così potenti da occultare il loro sistema, significa che potrebbero spazzare via anche la Destiny» obiettò Losira. «Forse è un bene avvicinarci con le navette, per saggiare la loro reazione».
   «Ben detto! Comandante Losira, ti affido il primo contatto!» ordinò il Capitano nel suo tono più autoritario, per saggiare la reazione.
   «Io?!» si sgomentò la Risiana. «Ma io sono solo una truffatrice da quattro soldi. Sei tu il veterano della Flotta Stellare...».
   «Hai accettato di farmi da Primo Ufficiale. Cos’è, credevi di prenderti solo i vantaggi? Comincia ad assumerti anche le responsabilità!» insisté l’Umano.
   «Ma... ma...» fece Losira, guardandosi attorno in cerca d’aiuto.
   «Capitano, la prego di ripensarci» intervenne Talyn, in difesa della madre adottiva. «Prenda me nella squadra, ma lasci qui lei».
   «Oh, adesso sono gli ufficiali a decidere chi va in missione e chi no?!» s’impuntò il Capitano. La faccenda era iniziata come uno scherzo, ma stava diventando seria.
   «Devo interpretare queste proteste come un ammutinamento? Perché in tal caso siete in arresto» disse Naskeel agli ufficiali recalcitranti. «Sempre che non li voglia disintegrati, affinché non consumino le nostre risorse» aggiunse, rivolto al Capitano.
   «No, niente disintegrazione!» lo fermò Rivera. «Era tutto uno scherzo, Naskeel. In realtà ho sempre avuto intenzione di dirigere io la missione. Losira, tu gestirai la Destiny in mia assenza» ordinò.
   «Grazie, Capitano» fece la Risiana, sollevata.
   «Per il resto, però, non posso fare sconti. Mi servono gli elementi migliori» ammonì l’Umano. «Shati, tu mi farai da copilota. Talyn, tu sarai ai sensori. Verrà anche lei, Naskeel, nel caso incontriamo opposizione. E lei, Irvik, per esaminare il dilitio – se ne troveremo – e verificare che sia compatibile».
   «Confesso che ho un po’ di tremarella» ammise il Voth. «Una civiltà capace di nascondere un intero sistema stellare... diamine, dev’essere veramente progredita. Sempre che sia questa la spiegazione! Forse c’è una ragione del tutto diversa per l’improvvisa comparsa di quel sistema».
   «Lo scopriremo solo andando a controllare di persona» disse Rivera. «Beh, non perdiamo tempo! Fate i bagagli, si parte oggi stesso».
 
   L’hangar 1 della Destiny conteneva navette d’ogni foggia e dimensione, adatte a una molteplicità d’incarichi. C’erano navicelle di classe Hornet e Gryphon, caccia d’assalto di classe Valkyrie, persino alcune Work Bee con tenaglie e altri strumenti per le riparazioni. E c’era infine il Centurion, lo shuttle personale del Capitano. Per dimensioni, prestazioni e autonomia era una vera astronave. Aveva una forma a boomerang, come la classe Altair di un secolo prima. Lo scafo principale ospitava numerosi ambienti: la cabina di guida, la cucina con replicatore alimentare e tavolino, il vano-notte con le cuccette, una piattaforma di teletrasporto, i servizi igienici. Nel vano d’ingresso c’erano l’armadietto delle armi, quello dei medicinali, la rastrelliera con le tute spaziali. Sulle ali laterali si trovavano i motori a impulso e le gondole quantiche, oltre ai poderosi armamenti. C’erano persino una piccola stiva sul lato destro e una cameretta che faceva da prigione sul lato sinistro. Il tutto era rivestito da una sofisticata corazza ablativa che dava al vascello un aspetto cromato. Dulcis in fundo, il Centurion aveva un dispositivo d’occultamento ultimo modello. Era a tutti gli effetti un’astronave a sé stante, adatta a compiere missioni a lungo raggio in completa autonomia. Nel vederla Rivera si sentì un po’ rincuorato.
   «Svelti, tutti a bordo» ordinò, non volendo perdere un solo istante.
   Gli avventurieri salirono in fretta la pedana di sbarco, sul retro della navicella, e se la richiusero dietro. Una volta dentro percorsero il Centurion in tutta la sua lunghezza, fino alla cabina posta anteriormente. Qui occuparono le loro postazioni. Rivera era il pilota e Shati la copilota, mentre Naskeel stava al tattico e Talyn ai sensori, come sulla plancia della Destiny. Irvik infine si accomodò a una piccola postazione ingegneristica, che gli dava una panoramica dei sistemi.
   «Centurion a Destiny, siamo pronti al decollo» disse il Capitano, mentre il portello esterno dell’hangar si sollevava, mostrando l’oscurità senza stelle.
   «Ricevuto, Centurion. In bocca al drakoulias» disse Losira, riferendosi a un famigerato predatore di Delta Vega.
   «Crepi» rispose Rivera, con un sorriso fanciullesco. A dispetto della loro situazione disperata, sentiva il brivido dell’avventura. In quel sistema stellare fantasma avrebbero trovato qualcosa di significativo... doveva essere così. Del resto i pianeti non apparivano senza motivo. Doveva per forza esserci qualcuno, laggiù.
   Con questi pensieri il Capitano eseguì il decollo e portò il Centurion fuori dall’hangar. Uscito nella vastità dello spazio, il vascello cromato acquisì rapidamente velocità, lasciandosi dietro la Destiny. Rivera inserì le coordinate del misterioso sistema stellare, calcolando la durata del viaggio. «A massima velocità saremo a destinazione fra ventisei ore» disse. «Vi consiglio di approfittarne per riposarvi, perché una volta lì potrebbe succedere di tutto».
   Fatta questa raccomandazione, il Capitano attivò la cavitazione quantica. Il piccolo deflettore anteriore del Centurion si attivò, proiettando il tunnel, e la navicella vi schizzò dentro, diretta verso l’ignoto. 

 
   
 
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