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Autore: Marilu2003lulu    09/10/2022    0 recensioni
Inghilterra, inverno 1940. Due giovani e ardimentosi piloti dell'aviazione militare britannica, Edward Jones ed Albert Smith, trascorrono le loro giornate abbattendo aerei da caccia tedeschi, facendo a gara a chi ne colleziona di più. I due sono legati da un indissolubile sentimento di amicizia e stima reciproca, e condividono la dura vita del campo sostenendosi e spalleggiandosi a vicenda. Ma quando un Messerschmitt tedesco viene abbattuto a poche centinaia di miglia dal campo, i due dovranno fare i conti con una serie di complicanze suscitate dagli occupanti di quell'aereo, che metteranno a dura prova le loro vite..
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Il sole splendeva alto nel cielo illuminando, con i suoi cocenti raggi, ogni singola cosa rifulgesse sotto il suo cammino. Il trillo assordante della pioggia era cessato ed, in lontananza, si sarebbe addirittura riuscito ad intravedere un arcobaleno se qualcuno avesse aguzzato particolarmente la vista. Friedrich aprì i propri occhi con estrema lentezza, portandosi istintivamente una mano sulla fronte, e quando si rese conto che, ritraendola, quest'ultima era letteralmente cosparsa di un caldo liquido rosso, si riscosse torcendosi spasmodicamente in preda al terrore. Numerose ferite dalle quali strabordavano rivoli impressionanti di sangue gli ornavano l'intero corpo, una gamba era persino incastrata fra le macerie del velivolo; la testa era sul punto di scoppiargli in preda alle convulsioni, il battito cardiaco prese ad accelerare con incredibile rapidità, d'altro canto il sudore si avviò a scendergli lungo le tempie, arrivando ad impregnare copiosamente anche la sua uniforme. Non si arrischiava neppure nel tentare di ricordare cosa fosse effettivamente accaduto. Il capo gli doleva al punto tale da fargli quasi credere che sarebbe nuovamente svenuto da un momento all'altro. Provò a sollevarsi, nei limiti di quanto gli era concesso, e di assumere una posizione eretta. Doveva innanzitutto comprendere dove diamine fosse finito. Non arrivava a capacitarsi dell'essere stato sconfitto ed abbattuto dall'inglese. Sprazzi di immagini cominciarono a baluginargli nella mente a velocità intermittente; rivide sé stesso, nell'aereo, bersagliare di colpi il velivolo del giovane britannico, era giunto perfino ad intaccare in maniera irreparabile la sua fusoliera. E poi? Poi, cos'era accaduto? Non lo sapeva, non era in grado di rammentare alcunché. Era a conoscenza esclusivamente del fatto che, ad un certo punto, si era ritrovato a precipitare nel vuoto incessantemente, con sempre maggiore celerità, sin quando non vi era stato un fragoroso schianto. Aveva lottato ferocemente per mantenersi in volo, per continuare a conservare un controllo, seppur minimo, dei comandi, ma non ne era stato capace. E successivamente? Presupponeva avesse semplicemente perduto i sensi, per via del panico e dell'assoluta incredulità che quella situazione comportava.

Friedrich iniziò gradualmente a scrutarsi attorno, anche se ciò rivestiva una difficoltà specificatamente brutale in quanto la sua vista era completamente annebbiata, e, con uno sforzo immane, provò a mettere a fuoco il territorio circostante, con l'obiettivo fondamentale e primario di rendersi conto della zona in cui si trovava. La prima cosa che seppe con assoluta certezza, fu la circostanza, realmente fortuita, di non essersi schiantato nell'oceano. Attorno a lui, infatti, si estendeva un gigantesco campo, la presenza delle fronde degli alberi era costante, si sarebbe detta una campagna rigogliosa, dove la presenza dei rottami del suo aeromobile non poteva che rivestire un ruolo assolutamente non confacente.
Improvvisamente un timore infernale lo catapultò in uno stato d'animo dettato, unicamente, dall'orrore. Se quello era un suolo appartenente al territorio inglese, doveva necessariamente ipotizzare che dei comandi nemici avessero intercettato il suo tracollo, presumibilmente stavano anche giungendo in quel luogo! Non c'era un attimo da perdere. Doveva liberarsi da quell'intrico di frammenti che a breve, ne era certo, avrebbero preso fuoco, ed allontanarsi il più in fretta possibile. Avrebbe pensato in seguito a come fare per rientrare nei ranghi del proprio plotone. Se davvero si trovava in una regione straniera, era perfettamente consapevole delle complicazioni ulteriori che si sarebbero verificate, ma desiderava, in quel momento, non prestarvi alcun dettaglio. La coscia era finita incastrata sotto il sedile del passeggero, non poteva nemmeno sollevarla, forse, pregò con tutto sé stesso che non fosse così, l'osso era stato danneggiato irreparabilmente.  Si guardò attorno disperato ed affranto, ma le uniche cose che vedeva erano solamente rovine.

E poi, il cuore quasi non gli sobbalzò nel petto. Acuendo l'udito fino agli estremi, ebbe, d'un tratto, la sconvolgente consapevolezza dell'arrivo di qualcuno. Percepiva il parlottare sommesso di alcuni uomini in una lingua che a stento intendeva, di sicuro non era inglese, e quel particolare non poté che rassicurarlo, generandogli una piacevole e tranquillizzante sensazione nell'animo, magari le sue erano unicamente paranoie, forse non era atterrato in Inghilterra, c'era ancora la speranza che potesse trovarsi da qualche parte in Francia!
Si distese verticalmente cercandosi di nascondere, per quanto gli era dato, negli anfratti del suo aereo. Non che temesse un eventuale ritrovamento da parte dei francesi, se davvero essi erano tali, ma avrebbe preferito di gran lunga passare del tutto inosservato. All'istante si diede dello stupido da solo per aver riposto fiducia in quell'assurda fantasia. Davvero si illudeva che i detriti di una macchina di simili dimensioni venissero totalmente ignorati? Piuttosto che stare lì a rimuginare senza sosta, doveva agire. Per un attimo, mentre persisteva nel fissare ostinatamente il paesaggio circostante, nella speranza di scorgere un qualcosa che potesse aiutarlo a liberarsi dagli opprimenti resti della macchina che gli schiacciavano, letteralmente, la gamba, gli attraversò la mente il pensiero di Stefan. Si chiese cosa, e, soprattutto, come avrebbe reagito il fratello nel momento in cui sarebbe giunta, al plotone, la notizia del suo abbattimento e del suo presunto decesso. A quest'ora, di certo, si sarebbero dovuti rendere conto del fatto che qualcosa non andasse come sarebbe dovuta andare. Erano passate più di due ore da quando era decollato con il proprio aereo, ricordava ancora con assoluta precisione le sensazioni paradossali che aveva sperimentato nell'attimo in cui si era seduto ai comandi; agitazione ingiustificata ed un profondo turbamento interiore, uniti alla consapevolezza dell'attuazione, di lì a breve, di un inesorabile e tragico fato. Un senso di ingombrante rabbia lo pervase da capo a piedi; quella maledetta mattina si era talmente tanto avviluppato sui propri oneri e sulla strenua volontà di portarli a compimento fino in fondo, da aver persino dimenticato di salutare in maniera consona il fratello prima di partire. Gli aveva esclusivamente lanciato un'occhiata di sottecchi, come se non sopportasse l'idea di lasciarlo solo quella giornata, angoscia accentuata ulteriormente dal saperlo malato ed estremamente debole, come se avesse preferito non pensare all'eventualità di un suo fallimento. Si era sforzato di credere che tutto sarebbe andato per il meglio, che ce l'avrebbe fatta a sconfiggere l'inglese, che sarebbe atterrato vittorioso e glorificato oltremodo dall'aver portato a termine la sua agghiacciante missione. Ed ora, a dispetto dei suoi desideri più intimi e radicati, si trovava in quella sottospecie di selva ombrosa e fitta, non sapendo neppure in quale paese fosse finito, dolorante dalla testa ai piedi, con gli abiti intrisi di un miscuglio contenente sangue rappreso unito ad un'abbondante quantità di sudore e, come se queste cose non contribuissero già ad alimentare assiduamente la sua pena, con una gamba che era sul punto di spezzarsi per la pressione esercitata da un pezzo di lamiera che le ostruiva il passaggio. In un vano tentativo di calmarsi e di focalizzare attentamente le ultime energie rimastegli per liberarsi, estrasse dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di stoffa che era solito portarsi sempre appresso; se lo passò delicatamente attorno alle tempie, per poi giungere a tamponarsi con estrema accortezza uno squarcio enorme localizzato in prossimità della guancia, che bruciava a tal punto da fargli quasi male, comparsogli, presumibilmente, per via del tragico impatto occorso quando si era schiantato con il velivolo. Sentiva le forze venirgli progressivamente meno, era certo che sarebbe svenuto da un momento all'altro se non procedeva ad uscire da quell'ammasso di frantumi rapidamente. Con uno sforzo immane, che non tardò a procurargli estrema sofferenza, spinse indietro la coscia nello sforzo colossale di sollevarla quanto più possibile all'esterno, per poi, successivamente, cacciarla fuori interamente. La carne prese a lacerarsi per ciascun movimento azzardato che compiva, mentre numerosi fiotti di sangue cominciarono a scaturirgli da ogni singolo lembo di pelle; infatti, lo strazio che era costretto a sopportare era a tal punto intenso da averlo indotto a gridare più volte in preda ad un dolore lancinante. Ma, in definitiva, ebbe un esito positivo : la gamba riuscì a svincolarsi da un gigantesco pezzo di lastra metallica che la ostruiva per metà, ed inoltre, nonostante fosse dilaniata quasi per intero, Friedrich constatò che non doveva essersi fratturata irrimediabilmente. Appoggiandosi con entrambe le mani a ciò che rimaneva del suo originario sedile, provò ad alzarsi verticalmente e, se la misericordia divina non lo abbandonava in quel preciso frangente, a balzare fuori dal finestrino dell'aeromobile. Il suolo era ancora bagnato a causa della recente pioggia, mentre l'aria si manteneva fredda ed umida, e a tratti vi erano addirittura dei leggeri accenni di nebbia. Friedrich si mosse con circospezione, scrutando attentamente il territorio che lo circondava; frattanto, il rumore dei passi che sembrava stessero dirigendosi nella sua stessa direzione aumentava ininterrottamente, forse appartenevano addirittura a più di una persona. Le voci si andavano lentamente intensificandosi, si distinguevano chiaramente due persone che discutevano con fare concitato. Una sembrava essere, dal tono della voce, più giovane ed immatura, mentre l'altra pareva a momenti un uomo adulto, anche se non particolarmente in là con gli anni. Il borbottio stava, nel frattempo, assumendo un tono sempre più distinguibile ed apertamente riconoscibile, e Friedrich ebbe la disgustosa e ripugnante consapevolezza del rendersi conto che quel mormorio indistinto e, per certi versi, quasi incomprensibile, fosse effettivamente inglese, e questo lo inquietò oltre ogni dire. Anche se non era in grado di comprendere la totalità di cose che si scambiavano quei due, riconosceva molti dei termini adoperati, ricordava di averli studiati lui stesso a scuola non molto tempo prima, e la cadenza con cui terminavano le frasi faceva palesemente riconoscere l’inconfondibile accento britannico.

 ''Dunque, cosa mi stavi dicendo?'' mugugnò il più piccolo in maniera alterata.

L’altro sbuffò sonoramente passandosi una mano sulla fronte sudata.

''Sai, Thomas caro, vorrei che la smettessi di pensare ogni secondo di tempo libero che ti ritrovi a quella poco di buono della tua fidanzata, e ti concentrassi almeno un dannatissimo momento su quello che la gente ti dice!''

''Stai forse insinuando qualcosa, vizioso di un gallese?'' replicò Thomas fissandolo dall’alto in basso.

Quello proruppe in una sonora risata e ricambiò il suo sguardo assumendo un’espressione sarcastica.

 ''L’ho detto semplicemente perché sapevo che in questo modo avrei catturato la tua attenzione, sciocco. Sai perfettamente quanto io apprezzi la graziosa Edith.''

Thomas gli fece un sorriso ambiguo e lo invitò, con un gesto di stizza, ad affrettarsi nello spiegargli per quale assurda motivazione si trovassero in quel luogo.

 ''Te lo ricordi Jones, Edward Jones? Il tipo che viene dall’Hampshire, se non mi sbaglio, quello di cui un tempo ci facevamo beffe dicendo che era invertito per quanto stava appiccicato a quel beota del suo amico? Stamattina, a quanto sembra, deve avere abbattuto un crauto non molto lontano da qui, ma per uno sfavorevole imprevisto il crucco pare essere precipitato a terra, e non in mare. Prima ho stilato assieme ad altri che mi sono sembrati particolarmente interessati una casistica dei luoghi in cui c’erano probabilità evidenti di ritrovare il suo velivolo schiantato, e questa ha tutta l’aria di essere la più promettente. Collins mi ha detto di andare a fare un sopralluogo ed eventualmente, se ne avevo voglia, una ricognizione. Per questo ti ho portato con me, piccolo babbeo, non mi sognavo neanche per tutto l’oro del mondo di andare da solo. Il comandante mi ha anche riferito che, se avevo la fortuna di rinvenire quella sottospecie di barbaro ignorante ancora in vita, glielo dovevo consegnare intatto senza torcergli un solo capello; ipotesi che, non so per quale ragione, mi è assolutamente odiosa, ma non gli ho naturalmente detto nulla.''

All’improvviso si sentì un grido talmente assordante da aver, letteralmente, squarciato il silenzio penetrante che regnava sino ad allora. Il maggiore si voltò in direzione del suo amico e vide Thomas indicare, con gli occhi completamente sgranati e luccicanti, tremante ed allo stesso tempo visibilmente eccitato, un punto indefinito all’orizzonte.

''Eccolo! Ho trovato l’aereo!'' bofonchiò con voce rotta dall’emozione.

Infatti, l’intero paesaggio circostante era, nel vero senso della parola, cosparso di una smisurata accozzaglia in cui confluivano enormi frammenti di rottami e macerie. Alcuni avevano persino preso fuoco, mentre altri erano sul punto di farlo; in lontananza, invece, si distingueva chiaramente una nube di fumo grigiastra che si muoveva indistintamente nella loro direzione.

''Per l’amor del cielo, quel farabutto si sarà come minimo disintegrato..non ho mai visto una cosa del genere, neppure negli incidenti più tragici.'' esordì Thomas con uno sguardo che esprimeva evidente perplessità ed esitazione.

''E se invece fosse sopravvissuto e si aggirasse nei meandri di questa terrificante foresta?'' replicò l’amico assumendo un tono volutamente inquietante.

Thomas gli rivolse un’occhiata infastidita.

''Sei un autentico imbecille, Carl, smettila di cercare di spaventarmi..piuttosto, non avvicinarti troppo a quei detriti, non vorrei che ci lasciassi le penne.''

''Davvero credi che io possa..''

Thomas, dopo aver atteso una buona manciata di secondi, si voltò pigramente in direzione dell’amico, domandandosi internamente per quale ragione non avesse terminato la frase; era sempre stato fondamentalmente molto loquace, e quell’improvviso zittirsi senza alcuna spiegazione plausibile non poté che turbarlo notevolmente. Carl sembrava essersi paralizzato sul posto, assumendo una posizione rigida e controllata; non accennava movimenti evidenti, e non pareva nemmeno sentirlo, e l’amico, guardandolo con maggiore concentrazione, come non aveva mai fatto sino ad allora, si sentì invadere da una profonda sensazione di inquietudine.

''Carl? Che ti prende, amico? Rispondimi, ti prego.''

 ''Thomas, credo..credo di aver sentito un rumore.''

Il compagno lo fissò con il volto deformato dallo sconcerto e per poco non incespicò su sé stesso, nel mentre che si ritraeva terrorizzato. Ne aveva abbastanza di quella situazione paradossale oltre ogni limite; aveva accettato di accompagnarlo in quella perlustrazione solamente perché gli dispiaceva che andasse da solo, ma adesso stava iniziando a spazientirsi. Quell’intrico insormontabile di abeti e betulle gli dava la sgradevole impressione di essere sul punto di soffocare, oltre al fatto che lo angustiava molto più di quanto sarebbe riuscito ad esprimere a parole; sentiva la necessità impellente di allontanarsene all’istante, prima che, ne era certo, accadesse qualcosa di irreparabile.

''Se stai cercando di prenderti gioco di me, Carl, ti assicuro che possiamo anche porre fine alla nostra amicizia in questo preciso..''

''Attento!'' urlò Carl alla vista di Friedrich che balzava addosso al suo amico come una tigre inferocita, colpendolo con violenza alla testa. Thomas cadde a terra, battendo brutalmente il cranio contro una pietra del terreno; Friedrich non aspettò altro, e gli si gettò addosso tutto d’un peso, afferrandogli la gola e usando, contemporaneamente, entrambe le mani, con l’intenzione di strangolarlo. Il più piccolo si divincolò più e più volte, battendo incessantemente le mani e i piedi per tentare disperatamente di liberarsi, ma la stretta dell’aggressore era decisa e non lasciava via di scampo alcuna, essendo che era enormemente più robusto e possente di lui, e Thomas, compreso di non potere sfuggirgli, ad un certo punto gli si arrese placidamente, e non oppose più nessuna resistenza.
E poi, ad un certo punto, si udì un colpo fragoroso. Thomas vide il compagno battere con decisione il calcio della pistola sul capo del crauto, e quello crollargli incosciente sul petto, invadendolo totalmente con la sua sgradita presenza.

Carl lo aiutò a rivoltarlo dall’altro lato, per poterlo scrutare accuratamente in faccia; il risultato ottenuto fu piuttosto penoso. Non si differenziava molto dalla maggioranza dei soldati tedeschi che avevano avuto l’occasione di incontrare sino a quel momento : capelli biondi, carnagione pallida ed occhi, presumibilmente, azzurri.

''Hai aspettato che quasi mi ammazzasse per intervenire..grande amico che sei! Potevi almeno sparargli, accidenti!''

''Ecco la dimostrazione della tua eccelsa capacità di comprendonio. Hai forse dimenticato cosa ti ho detto non meno di dieci minuti fa? Collins mi ha detto di riportarglielo intero se lo ritrovavo vivo. Non avrei potuto ucciderlo neanche se lo avessi voluto.''

Thomas lo squadrò con diffidenza, palesemente a disagio.

''Ma come avrà fatto a sopravvivere ad uno schianto del genere? Mi sembra abbastanza inverosimile come cosa.''

''Non ne ho la più pallida idea. Comunque non è messo bene. Ha ferite gravi..avrebbe bisogno di essere ricoverato, quantomeno, per un mese intero. Ma queste non sono cose che ci riguardano, e non ci devono nemmeno interessare. Aiutami a caricarlo sul furgone; in fretta, potrebbe svegliarsi da un momento all’altro. Una volta arrivati, avremo portato a termine il nostro compito, e potremo goderci lo spettacolo.''

Thomas lo assecondò fiaccamente.

''Carl?''

''Sì? Dimmi."

''Grazie..per prima. Se non ci fossi stato tu, non so come sarebbe andata a finire.''

Il compagno gli fece un grande sorriso sincero e, poggiatagli una mano sulla spalla, lo invitò a dirigersi insieme verso la loro vettura.

Edward stentava a ricordarsi l’ultima volta in cui si fosse sentito talmente male come gli stava capitando in quell’occasione. Aveva rischiato di perdere la vita maggiormente in quella circostanza che in tutto il resto della propria esistenza, e lo scontro inevitabile con il tedesco lo aveva lasciato assolutamente privo di qualunque residuo di energia rimastagli, oltre che con una profonda tristezza e malinconia nell’animo. Aveva lottato assiduamente, si era sforzato di mantenere intatti i comandi del velivolo, di non precipitare e schiantarsi, conseguentemente, al suolo, di non andarsene all’altro mondo prima che fosse arrivata realmente la sua ora. Aveva sperimentato una miriade di sensazioni diverse in quei maledetti frangenti, che erano state in grado di lasciarlo senza fiato, sconvolto, totalmente paralizzato. Dall’ammirazione smodata per quel pilota dalle capacità eccezionali senza volto e senza nome, al risentimento provato nei confronti della nazionalità cui apparteneva, al timore intrinseco ed infernale dell’eventualità che riuscisse effettivamente ad abbatterlo. Il terrore, la disperazione e l’angoscia percepite alla sua vista gli avevano invaso ogni singolo centimetro di corpo, penetrando con sfrontatezza ovunque potessero. L’ansia gli aveva letteralmente divorato il petto, il cuore era improvvisamente saltato in gola, i peli gli si erano rizzati su entrambe le braccia, ed infine non era più stato capace di usufruire di alcuna facoltà motoria. La rappresentazione materiale dell’incubo che lo assillava e tormentava da settimane intere era stata quanto di più raccapricciante e spaventevole si potesse umanamente concepire ed immaginare. Non avrebbe neppure saputo palesarsi nella mente la maniera in cui era riuscito a prevalergli. C’era stato un momento in cui aveva seriamente temuto di poterci lasciare le penne. Era stato quando il crauto lo aveva bersagliato di colpi intaccando irreparabilmente la sua fusoliera, e lui si era messo a strillare come un forsennato in preda ad una crisi isterica, scendendo in picchiata con l’intenzione di sfuggirgli. E poi? Poi, cosa diamine era accaduto? Come diavolo aveva fatto a ribaltare diametralmente le sorti? Rammentava esclusivamente di aver avvertito una rabbia profonda instillarsi nel suo animo, una collera micidiale gli aveva pervaso ferocemente l’organismo, ed allora aveva preso a contrattaccare con tutta la forza e la costernazione di cui gli era rimasta traccia. Ed alla fine aveva prevalso. Il tedesco aveva perduto il controllo dell’aeromobile ed era stramazzato, generando un tonfo assordante e fragoroso, sul terreno che circondava il plotone del proprio reggimento. E lui si era scoperto, con un cupo presentimento nello spirito, completamente sorpreso ed attonito nel seguire la lenta ed inesorabile discesa di quella diabolica macchina.

Un pensiero fulmineo gli attraversò di scatto il cervello, andandosi a fissare rapidamente nei suoi pensieri. Cos’era accaduto al crucco che aveva affrontato quella mattina? Era morto per le ferite riportate? O, contrariamente alle aspettative di tutti, si era miracolosamente salvato? E dove si trovava adesso? Ancora nel suo aereo? E se si fosse disintegrato a causa dell’impatto verificatosi?

Rimembrava che, quando era rientrato tra i ranghi del suo distaccamento, atterrando nelle file del drappello, aveva trovato Collins ad attenderlo sull’uscio dell’edificio grigiastro da cui, ogni giorno, si innalzava e partiva, trafelato e con le guance imporporate da cima a fondo per aver corso come un forsennato sin lì. Aveva scorto di sfuggita il ragazzo mentre si apprestava a varcare la soglia dello stabile, notando il pallore e la stanchezza sul suo viso. Lo aveva scrutato con un misto di incertezza ed apprensione nello sguardo, avvicinandoglisi con impazienza e trepidazione, per poi domandargli, con una gentilezza che contribuì a stupire il giovane enormemente, visto quel che era accaduto solo poche ore prima, se si sentisse bene e fosse tutto nella norma, o se avesse la necessità di recarsi in infermeria per farsi dare qualche punto di sutura.

''Mi dispiace, Jones. Mi dispiace terribilmente. Sono estremamente affranto per il trattamento riprovevole che le ho riservato questa mattina, io..la prego di perdonarmi. Le responsabilità che mi gravitano addosso quotidianamente, i reparti che assillano da ogni dove, ed ora anche quel benedetto servizio di intelligence..purtroppo esistono miriadi di questioni che non può neanche immaginare. Sono davvero molto stressato in quest’ultimo periodo..le chiedo nuovamente di scusarmi il mio comportamento. Ero talmente in ansia per lei, caro ragazzo..abbiamo intercettato il suo velivolo per mezzo dei radar. Se l’è vista davvero brutta questa volta, maledizione. Ci siamo resi conto troppo tardi del fatto che quel bastardo nazista fosse quasi sul punto di farla capitolare, stavo già dando disposizioni per inviarle prontamente dei rinforzi, e l’avrei fatto, cavolo se l’avrei fatto, eccome..se la situazione non si fosse risolta per il meglio. Questo non fa altro se non testimoniarmi ulteriormente la sua straordinaria ed assolutamente eccezionale capacità nel volo. Non ha idea di quanto io sia fiero di lei, Edward.''

Ed ora che ci stava riflettendo nuovamente, steso comodamente com’era sul proprio letto, era pienamente sicuro di essere arrossito violentemente al suono di quelle parole sincere, pronunciate schiettamente dal suo comandante. Collins non era mai stato una tipologia di uomo che si lasciasse andare a facili complimenti, non elogiava i suoi sottoposti per nessuna ragione al mondo e stentava a ricordare di fare anche solo dei semplici apprezzamenti quando si ritrovava di fronte soldati che dimostrassero insolite e particolari abilità; ragion per cui, il fatto che avesse mostrato apertamente ammirazione e soddisfacimento in virtù della vittoria riportata da un suo subalterno, doveva necessariamente essere considerato un avvenimento di portata atipica e, quantomeno, fuori dal comune.

''Comandante, io..ecco, a dire il vero, c’è una cosa che devo confessarle. Il crauto..mi scusi, volevo dire, il tedesco..lui..sfortunatamente non ha avuto l’occasione di schiantarsi con l’aeromobile nel distretto della Manica. Per una infelice coincidenza..è precipitato invece sul nostro suolo. C’è stato un momento, durante lo scontro, in cui ho temuto seriamente di essere sul punto di perdere il controllo del velivolo..e, allora, ho cercato di virare direzione e di allontanarmi, tentando di raggiungere il più in fretta possibile la terra..lui mi ha naturalmente seguito, ed alla fine è capitolato. Disgraziatamente non sono a conoscenza dell’esatta località in cui deve essersi sfasciato, ma posso fornire eventualmente delle indicazioni sommarie, nel caso in cui riteneste fosse opportuno andare a fare una perlustrazione..nell’ipotesi di disfarsi, poi, dei resti della macchina e..del corpo di colui che ospitava..''

Il giovane ebbe un leggero fremito e poco ci mancò che non si mettesse a sospirare sconsolato, quando si rese conto di stare alludendo, col suo discorso, al soldato tedesco presumibilmente deceduto solo poche ore prima. Ma per quale assurda ragione perdurava nel pensare, in maniera alquanto accanita ed ostinata, a lui?

Dall’inizio del conflitto si portava sulla coscienza le morti di innumerevoli piloti che appartenevano allo schieramento avversario; ricordava che, per la morte di alcuni di loro, aveva sperimentato addirittura brividi di eccitazione e contentezza. Era stato intimamente felice del fatto che la loro immonda presenza non potesse persistere nel contaminare il suolo europeo, aveva gioito assieme ai suoi compagni brindando come si faceva alle feste di una volta, in cui ci si congratulava reciprocamente per l’avverarsi di un evento ritenuto particolarmente fortuito e propiziatorio. Ed ora? Cosa c’era di diverso quella volta? Perché continuava a figurarsi, nella mente, l’immagine del suo velivolo che, perdendo visibilmente il proprio controllo, e non riuscendo più in alcun modo a stabilizzarsi per riprendere i comandi, precipitava in picchiata portandosi inesorabilmente appresso il suo conducente? Non sapeva nemmeno che volto avesse, quale fosse il colore dei suoi occhi, se avesse i capelli biondi o castani, quale fosse stato il suono della sua voce; aveva avuto un tono melodico e soave, o, al contrario, aspro e disarmonico? E, soprattutto, prima di morire, quali erano state le sue ultime riflessioni? L’idea di non aver avuto neanche l’occasione di poterlo incontrare, e, magari, di complimentarsi apertamente per la sua eccellente abilità nel volo, gli era assolutamente odiosa ed insostenibile.

Collins si disse d’accordo con quanto affermava.

''Ha perfettamente ragione, Jones. Manderò immediatamente una pattuglia sul luogo dello schianto. Nonostante si potrebbe asserire con piena certezza che il bastardo non ce l’abbia fatta a sopravvivere all’esplosione, è sempre meglio esserne totalmente sicuri, no? Piuttosto, adesso si concentri solo ed esclusivamente su di lei. E’ talmente pallido che spaventerebbe un fantasma in persona. Si ritiri con immediatezza negli alloggi e vada a riposarsi. Quando si sarà svegliato la manderò a chiamare, e allora discuteremo con maggior riguardo.''

Ed Edward, quel consiglio, l’aveva seguito alla lettera. Dopo essersi congedato adeguatamente dal proprio comandante, aveva provveduto a ritirarsi nei suoi alloggi con una tempestività abbastanza insolita, mai adoperata prima di quel momento, che aveva lasciato di stucco i commilitoni del reparto, che desideravano porgergli le proprie felicitazioni per la straordinaria battaglia aerea ingaggiata quella mattina; la notizia era riuscita a trapelare molto in fretta, si notava dal fatto che ne erano tutti oramai dettagliatamente a conoscenza, e quella sgradevole circostanza non poteva nulla se non incentivare ulteriormente la nervatura che già contribuiva ad attanagliargli la mente. Si era precipitato nella camera assegnatagli al suo arrivo con una smorfia di risentimento sulle labbra, urtato dal fatto che fosse scarsamente illuminata dalla luce solare, detestava il buio e l’umidità sin da quando era un semplice bambino, sdraiandosi sulla misera branda in preda ad un profondo contrasto interiore. Sentiva l’avvilimento e l’inquietudine penetrargli intensamente nell’animo, ed il solo pensiero di non essere in grado di comprendere cosa effettivamente gli provocasse quelle insopportabili e spiacevoli emozioni per poco non lo fece urlare dalla frustrazione. Si portò il cuscino alla testa e lo schiacciò sul capo con tutta la forza di cui era munito, magari in quella maniera sarebbe finalmente stato capace di non congetturare più alcunché, e si sforzò di addormentarsi anche solo per un istante, malgrado ogni tentativo non facendocela.

E fu in quello stato di dormiveglia che il compagno lo ritrovò mezz’ora più tardi. Edward giaceva mortalmente pallido sul miserabile lettino completamente avviluppato nelle coperte, con il lenzuolo poggiato in modo da coprirgli l’intero corpo, nascondendo totalmente il viso del giovane nella coltre biancastra. Albert ebbe un secondo di esitazione nell’osservare quella gracile figura posizionata, com’era, in quella assurda maniera, credette in un primo momento che l’amico non si sentisse bene, fece per avvicinarglisi con l’intento di prestargli soccorso, ma subito confutò l’ipotesi fatta nell’attimo in cui vide l’altro alzarsi dal suo disordinato giaciglio con le gote interamente arrossate, talmente tanto da far presupporre che il giovane si fosse appena riuscito a liberare da una violenta e spasmodica collutazione.

''Edward..'' cominciò piano Albert, tastando il terreno per considerare se fosse il caso di rivelargli quel che aveva da dirgli, per poi zittirsi istantaneamente quando lo vide portarsi l’indice alla labbra, facendo intendere che non anelava ad ascoltare niente di quel che gli si voleva annunciare.

''Ti prego, qualunque cosa tu abbia da dichiarare, di non farlo adesso. Ho un mal di testa di portata assolutamente eccezionale, mi sta scoppiando il cervello..sento che potrei svenire da un momento all’altro.'' Edward lo fissò con angoscia e gli sorrise debolmente; nel mentre si girò lentamente su sé stesso, camminando a rilento come se gli dolessero incredibilmente le gambe, per poi andarsi ad accasciare portandosi una mano alla fronte sulla sedia accanto alla loro scrivania.

''Amico, mi dispiace immensamente per le tue condizioni..non reputare che voglia arrecarti fastidio o altro..sono venuto soltanto ad informarti del fatto che..ecco, il tedesco che hai abbattuto questa mattina è..beh..è vivo, Edward. Già, proprio così. Lo stanno portando qui e..Collins mi ha detto di dirtelo. Vuole che tu lo veda per primo quando..quando giungerà.''

Avvenne in quella specifica occasione, che da allora in poi non ebbe più alcuna possibilità di ripresentarsi nel corso della sua esistenza, che Edward ritenne seriamente gli si fosse fermato il cuore nel petto. E se ciò non era realmente accaduto, era pur sempre certo di aver perso più di un battito. Avvertiva la sua coscienza intimargli di non accettare la veridicità di quell’affermazione, perché, se lo avesse fatto, la realtà effettiva gli si sarebbe parata d’innanzi con prorompenza tale da lasciarlo, se tutto fosse andato nel migliore dei modi, sconcertato e senza parole per esprimere il turbamento interiore che quella dichiarazione gli aveva provocato. Riapparirono con repentinità tutte le incresciose sensazioni sperimentate più e più volte nei giorni e nelle settimane precedenti; tremore incessante, sudorazione, palpitazione ossessiva, aumento della frequenza cardiaca coadiuvato alla convinzione che gli mancasse il respiro e fosse sul punto di morire soffocato. Si voltò con una maschera di puro orrore dipinta sul volto in direzione del compagno; Albert lo osservava ansioso, era sbiancato in viso quando aveva notato le reazioni compulsive manifestate dall’amico, ed ora stava visibilmente riflettendo se fosse opportuno continuare o meno.

''Edward, noi ora dovremmo andare..dovremmo davvero andare. Saranno arrivati e..conosci Collins, dà di matto se le persone arrivano in ritardo. Per favore, prendi la mia mano e..e vieni con me.'' Albert non poté che persistere qualche altro minuto nello scrutarlo attentamente in un silenzio tombale e, constatato con evidente prontezza quanto l’amico fosse concretamente agitato ed incerto, gli porse con dolcezza il braccio, che l’altro strinse saldamente non appena la paralisi dell’istante prima, quella che gli aveva letteralmente ghiacciato le membra intere, si svincolò dai suoi muscoli e dal tessuto corporeo, aggrappandosi risolutamente a quel pezzo di carne come se da esso dipendesse la sua stessa sopravvivenza. Albert rinsaldò ulteriormente la presa e gli disse di stare tranquillo. Uscirono assieme dalla minuscola camera che, come al solito, perdurava in uno stato di oscurità quasi globale, avviandosi a scendere le scale per raggiungere rapidamente l’atrio in cui ci si prefigurava sarebbe apparso il prigioniero tedesco in compagnia dei soldati inglesi che l’avevano celermente catturato. I due, man mano che accorciavano la distanza che li separava dal vestibolo principale, indugiavano nello stringersi con fervore le mani, nonostante le motivazioni fossero diametralmente differenti. Edward non aveva la forza di lasciarla per il dannato timore che, se fosse stato veramente in grado di farlo, sarebbe poi fuggito correndo a perdifiato come un codardo, pur di non incontrare l’occupante del velivolo distrutto all’alba di quella maledetta mattina. Albert, d’altro canto, giudicava di non aver mai realmente inteso, prima che si verificasse quell’evento, le impressioni ed i tormentosi dubbi che animavano con un tale impeto l’amico. Serrargli il palmo era un modo per tenerlo accanto a sé, per comunicargli serenità, pacatezza, tentando disperatamente di smorzare il nervosismo e l’inquietudine che lo attanagliavano; e lo faceva a dispetto del fatto che non riuscisse a comprendere totalmente cosa fosse davvero responsabile dello sgomento del compagno.

Quando arrivarono, e non si può affermare che ci impiegarono poi molto, la sala era letteralmente gremita di soldati, uno più concitato dell’altro. Edward si sorprese immensamente nel rivedere volti di cui a stento rimembrava le fattezze, c’erano suoi vecchi commilitoni che ora erano stati trasferiti in altri dipartimenti, reclute, addetti alla sicurezza, alla mensa, alle mansioni più disparate. Sembravano tutti terribilmente in ansia, e, allo stesso tempo, mostruosamente eccitati nell’ipotesi di incontrare, per alcuni sarebbe stata forse la prima volta, uno di quegli evanescenti fantasmi crauti, affrontati duramente ogni singolo giorno dallo scoppio del conflitto, e, tuttavia, mai realmente scorti o guardati negli occhi.

Albert diede uno spintone ad Edward per attirare la sua attenzione. Aveva notato più volte lo sguardo di Collins posarsi sulle loro sagome, e credeva fosse il caso di informare l’amico del fatto che avrebbero dovuto recarsi da lui.

''Edward, non per farti andare in agitazione, ma Collins ci sta fissando con insistenza e da parecchio, anche. Forse dovremmo andare da lui..magari ha qualcosa da dirci. Te la senti?''

Gli occhi dell’amico guizzarono fulminei da una parte all’altra dell’anticamera.

''Cosa diamine ci fa tutta questa gente qui..non hanno nient’altro da fare?''

''Dai, lasciali perdere, evidentemente sono curiosi quanto noi. Anche se, non me ne volere a male, Edward..a dire il vero, non credo proprio ci sia qualcuno, in questo momento, interessato tanto quanto te a questa sottospecie di bastardo tedesco; già non lo sopporto, vedi? E non lo conosco nemmeno! Guarda che sono tutto tranne che uno stupido, te lo assicuro. Ho notato prima il tremore delle tue mani, il sudore, la pallidezza che ti ha invaso improvvisamente il viso..mi vuoi dire una buona volta cosa c’è che ti tormenta? Sei in queste condizioni da..''

Albert non poté finire la frase in quanto venne interrotto dal timbro squillante ed iracondo del loro comandante che, visibilmente contrariato, stava dirigendosi nella loro direzione.

''Che state combinando, ragazzi? E’ da un quarto d’ora che vi osservo confabulare di nascosto. C’è forse qualcosa che dovrei sapere e della quale non sono evidentemente a conoscenza?''

I due si rivolsero un’occhiata spaesata, non sapendo in che modo rispondere.

''Assolutamente, comadante..si sbaglia. Non stavamo discutendo di nulla in particolare; presumibilmente siamo, come tutti, assai intrigati dell’arrivo del prigioniero abbattuto questa mattina. Non ne arrivavano da un po’, giusto?'' Albert si ritrovò ad inghiottire la saliva in preda al nervosismo quando si rese conto di aver detto una cosa completamente a sproposito. Collins lo esaminò con astio, volgendogli un’espressione sprezzante, per poi dirigere lo sguardo verso il suo compagno.

''Jones, per l’amor del cielo, cosa accidenti le prende in quest’ultimo periodo? L’ho lasciata che era bianco come uno spettro, e la ritrovo in condizioni oserei dire peggiori. E’ sicuro che non desideri riposarsi per qualche tempo? Se la sua aspirazione è ottenere un congedo di un paio di mesi, sono disposto ad accordarglielo, giovanotto..pur di non vederla ridotto in questo stato.''

Edward fece un sorrisetto malinconico a quelle parole.

''Non è necessario, glielo garantisco. Sto..stiamo semplicemente attraversando una serie di eventi complessi. A tutti può capitare, no?''

Collins aggrottò le sopracciglia.

''Beh, sì..non lo metto in dubbio. Ma se ne avesse l’esigenza, non esiti a farmelo sapere. Piuttosto, dove diavolo saranno finiti quei due imbecilli di Phillips e Carter? Sembrano passati secoli da quando li ho spediti ad ispezionare il luogo in cui è avvenuto lo schianto; fortuna che sulla via del ritorno ho ricevuto una loro comunicazione, altrimenti avrei dovuto inviare un’intera squadra a stanare quel maledetto crauto!''

Ma le ore continuavano a passare inesorabilmente senza far palesare neppure l’ombra dei due giovani soldati inglesi; le lancette percorrevano ininterrotte il proprio giro miriadi di volte, mentre il cielo stava lentamente provvedendo a scurirsi sempre più. Edward cominciò a sospirare di impazienza appoggiandosi con le spalle al muro, mentre Albert prese a sbadigliare con fervore e ci mancò poco che non chiudesse gli occhi dalla stanchezza. Collins invece, contrariamente alla maggior parte dei suoi sottoposti, che erano palesemente seccati ed annoiati dal dover aspettare in piedi un lasso di tempo a tal punto prolungato, camminava avanti e indietro per la stanza come un ossesso, verosimilmente turbato da pensieri più grandi di lui. Tutti stavano gradualmente iniziando a spazientirsi e a manifestare apertamente insofferenza ed irrequietezza; alcuni se ne andarono addirittura, lasciando una piccola minoranza corrucciata ed infastidita ammassata contro le pareti.

E poi, ad un tratto, si avvertì l’eco di un rumore. Un tonfo assordante penetrò nei meandri della sala zittitasi completamente per mezzo dell’improvviso spavento; si incominciarono ad udire all’esterno grida concitate ed il rombo di un motore che si spense di getto, come se avesse effettuato una frenata repentina. Edward ed Albert incrociarono gli occhi assumendo espressioni di sbigottimento e perplessità, mentre vedevano contemporaneamente Collins indicare con gesti bruschi della mano ai restanti commilitoni di smetterla di restarsene impalati ai tramezzi e di precipitarsi con quanta più immediatezza fosse possibile fuori. Edward avvertì i battiti accelerare; si impose di calmarsi e di non farsi prendere dal panico. Raggiunse velocemente l’amico ed insieme si diressero concitatamente verso il grande portone dell’edificio grigiastro, varcandolo con alterazione. Inizialmente, non avvistando particolari che non fossero consueti o nella norma, ruotarono il capo a destra e a sinistra insistentemente, alla ricerca della fonte che aveva presumibilmente provocato il fracasso di poco prima; e quando, finalmente, compresero le motivazioni che avevano indotto i loro due compagni ad urlare a squarciagola, non poterono credere a ciò che gli si stagliò di fronte.

A poco meno di qualche metro di distanza, infatti, si stava letteralmente scatenando il finimondo. Edward vide Thomas Carter e Carl Phillips stringere con violenza un giovane soldato dalla pelle con sfumature diafane, che aveva una chioma talmente tanto chiara dal tendere quasi al dorato, in preda allo strillare all’impazzata dimenandosi mortalmente, direzionando, come se avesse voluto e, soprattutto, potuto incenerirli, gli occhi color dell’oceano verso i due inesperti e timorosi uomini che serrandolo con tutta la forza di cui erano muniti tentavano di trattenerlo, riuscendoci a malapena.

''Si è svegliato..dateci una mano a bloccarlo, maledizione! Sbrigatevi!'' urlò Carter tirando brutalmente il braccio del crauto verso di sé per impedirgli di liberarsi. Edward sentì il cuore fermarglisi nel petto ed iniziò a sudare copiosamente, avvertendo il terrore invadergli con prepotenza le ossa. Albert, di rimando, non sapendo dove buttare le mani, provò ad avvicinarsi ai tre di qualche centimetro, solo ed esclusivamente per ritrovarsi poi, in seguito, con una costola fratturata, dovuta ad un rabbioso calcio sferratogli dal tedesco durante un frangente nel quale era stato capace di svincolarsi dalla stretta infernale dei due britannici.

''Ma perché devo fare sempre tutto io, branco di incapaci..per l’amor del cielo, basta!''

Edward vide Collins gettarsi precipitosamente in mezzo alla calca incuriosita che si era formata attorno al tedesco trattenuto a stento, estraendo dirimpetto la rivoltella per puntarla con risolutezza in direzione del soldato, che in quel momento persisteva nel lottare assiduamente con l’intenzione di liberarsi, mentre urlava a perdifiato in una lingua sino ad allora sconosciuta alla maggior parte di loro, ma dall’accento spietatamente marcato ed inconfondibile; le sue guance erano totalmente imporporate a causa della collera e della disperazione, tanto che molti dei commilitoni credettero che dall’angoscia non fosse più nelle forze per ragionare in maniera adeguata e confacente alla situazione.


''Si dia un contegno e la smetta di agitarsi come una gazzella braccata, o le assicuro che non esiterò un solo secondo a sfondarle il cranio con un proiettile della mia pistola.''

Fu allora che il crauto sembrò, almeno all’apparenza, calmarsi. Smettendo di stritolare le braccia di quanti lo trattenevano, trasse un respiro profondo e si afflosciò stancamente al terreno bagnato, forse finalmente consapevole del fatto che si trovasse in trappola e non potesse riuscire a scappare, nemmeno se avesse continuato a strillare all’infinito insulti blasfemi e volgari.

Collins lo fissò con visibile incertezza ma, nonostante gli evidenti timori che nutriva nei confronti di quel nazista sopravvissuto miracolosamente ad uno schianto inimmaginabile, fu comunque in grado di riporre nella custodia, con una certa dimestichezza, l’arma che aveva stretto fra le mani sino a quell’istante, abbassandosi di qualche centimetro per tentare di scrutare con più riguardo il volto biancastro del pilota.

''Bene..ora voglio che mi riferisca le sue credenziali. Nome, cognome ed anno di nascita. Che gradi possiede? E soprattutto, se non le dispiace, desidererei accertarmi del ruolo che ricopre attualmente nello stabilimento da cui proviene. Cos’è, lei? Un tenente, un maresciallo, o magari un colonnello?''

Friedrich strabuzzò le palpebre e per poco non scoppiò a ridere. Che omuncolo sempliciotto e credulone si trovava di fronte. Davvero pensava che l’insulsa minaccia di togliergli la vita potesse indurlo a parlare? A rivelare informazioni preziose e di quella portata? Non aveva la minima idea di chi gli si stagliava d’innanzi. Piuttosto che cedere a quelle insignificanti richieste avrebbe preferito di gran lunga farsi assassinare. Ricordò di sfuggita le prime raccomandazioni impartitegli il giorno in cui era giunto per la prima volta al plotone col fratello, una mattina torrida ed afosa situata in un punto imprecisato del tempo. Resistere, sempre e comunque. Non mostrarsi titubante, incerto, timoroso. Mantenere la testa alta e lo sguardo fisso. Rispondere adducendo provocazioni. Non farsi prendere dal panico. Persistere in uno stato di calma interiore.

Alzò lo sguardo verso il comandante britannico ed i suoi occhi incrociarono quelli dell’uomo in divisa. Erano di un azzurro limpido, scintillanti e cerulei esattamente come i suoi; rugosi e circondati per intero da un’infinità di occhiaie, che lasciavano intravedere alla perfezione quanto effettivamente fosse debilitato ed infiacchito quel povero fisico da vecchio.
Collins aggrottò le sopracciglia visibilmente contrariato, sporgendosi cautamente di qualche altro centimetro per azzerare la distanza che lo divideva dal soldato inginocchiato al suolo.

''Beh? Non mi ha sentito? Il gatto le ha forse mozzato la lingua? O magari si sta divertendo ad ignorarmi volontariamente, sottospecie di nazista bastardo?'' e detto questo strinse ferocemente i pugni, prendendo a muoversi fulmineamente nella sua direzione, accecato dalla collera e dal desiderio di assestargli un colpo violento in pieno viso.

''Un momento! Comandante, non lo faccia!'' urlò Edward dall’altro lato dello strano cerchio formatosi attorno alla preda catturata.

Collins si girò di scatto, scrutandolo con aria contrariata ed infastidita, e fissandolo contemporaneamente come avrebbe fatto con un insetto rinchiuso in un recipiente.

''Che diavolo le prende Jones, è per caso impazzito? Non lo vede che sono impegnato con questo dannato crauto? Vuole forse ricordarmi che a quest’ora solitamente prendo il tè?'' mugugnò seccato il maggiore, facendo ricadere istintivamente la mano lungo i fianchi.

Edward, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso, non poté fare a meno di arrossire violentemente. Si chiese più volte cosa accidenti gli fosse passato per la testa e per quale ragione si fosse dato la briga di intervenire in una faccenda che non lo riguardava minimamente. Collins, dopotutto, non stava commettendo nulla di sbagliato. Era un diritto riconosciuto dalla quasi totalità delle legislazioni militari quello di poter decidere autonomamente del trattamento riservato ad eventuali prigionieri di guerra; ed il suo comandante lo stava semplicemente esercitando, in piena regola e senza contravvenire ad alcuna norma in proposito.

''Io..penso che non capisca la nostra lingua. E ritengo anche che..prima di procedere con la sottoposizione ad un interrogatorio, sia assolutamente necessario condurlo in infermeria. Le condizioni della gamba mi sembrano critiche.'' spiegò nervosamente alla folla, contraddicendosi ripetutamente nel tentativo di non evitare lo sguardo stupefatto del comandante, che lo osservava attonito e sconcertato.

Collins si girò a più riprese per accertarsi di non essere stato l’unico a rimanere sbalordito dalla dichiarazione del suo sottoposto.

''Mi faccia capire..quindi, secondo il suo stimolante ragionamento, dovremmo stare qui a preoccuparci delle condizioni in cui versa un individuo maledetto e deplorevole, che meriterebbe, sempre se fossimo delle dannatissime persone serie, di essere spedito all’inferno in questo esatto momento nel modo più astruso possibile? Ma si può sapere lei da che parte sta? Dalla nostra, non credo affatto.''

Edward rimase silenzioso. Si era cacciato di sua spontanea volontà in un guaio dalle proporzioni gigantesche, che gli sarebbe potuto costare, oltre che una bella ramanzina, l’intera carriera rimastagli da fare nelle forze armate. E tutto perché non era riuscito a starsene zitto, non avendo saputo cedere all’impulso di non intromettersi.
Si rendeva conto di non doverlo fare, ma la tentazione era troppo forte; la curiosità lo stava letteralmente divorando, ed era conscio che se non lo avesse fatto in quel preciso istante, se ne sarebbe poi pentito per tutta la vita. Respingendo la voce della coscienza che gli intimava, quasi urlando, di fermarsi, girò la faccia in direzione del tedesco, andando ad incastrare deliberatamente i suoi occhi con quelli del giovane coscritto accasciato a terra. Non si accorse con immediatezza del madornale errore commesso. Il cuore ricominciò a battergli all’impazzata fintanto che osservava quel viso pallido e imbronciato, dalle guance rosee e leggermente arrossate per via degli sforzi compiuti un attimo prima; aveva l’iride più seducente che avesse mai visto da che aveva memoria, la pienezza tumultuosa dell’oceano contenuta in una minuscola pupilla. Era in assoluto l’essere umano più avvenente dignitoso che gli si fosse parato d’innanzi sino ad allora. E maggiore era la persistenza con la quale indugiava nello studiarlo, più percepiva l’attrazione provata istantaneamente nei suoi confronti aumentare indissolubilmente. Per un barlume di secondo gli era parso addirittura che l’avesse riconosciuto; aveva infatti assunto un’espressione titubante nel mentre che lo scrutava a sua volta, come se intimamente sapesse chi fosse ma non volesse confessarlo per nessuna ragione al mondo.

Fu il timbro marcato e sgradevole di Collins a riportarli alla triste realtà. Avvicinatosi di qualche passo alla giovane recluta, si prese qualche minuto per ispezionarlo a dovere, per poi inclinare bruscamente la testa di lato, ingiungendogli in maniera sgarbata di rispondere alla sua domanda.

Edward non poté fare a meno di tentennare senza avere la più misera idea di come controbattere.

''Io..''

''Le dico una cosa, Edward Jones. E spero vivamente che queste mie parole le rimangano impresse nell’animo fino alla fine dei suoi giorni. Lei deve essere consapevole della sua posizione di soldato qualunque, con delle mansioni qualunque ed una retribuzione mensile qualunque. Non si azzardi minimamente a figurarsi l’ipotesi di valere più degli altri, e non si permetta mai più di obiettare ad una mia iniziativa. L’esistenza di questo manigoldo spregevole è nelle mie mani adesso. Se improvvisamente mi viene voglia di aprirgli la testa in due non mi faccio problemi, e non devo assolutamente chiedere la sua autorizzazione per esercitare una facoltà che mi è dovuta. Pretendo che questo le sia intimamente chiaro. Lo è?''

Edward abbassò il capo con timidezza, segnalando in questo modo la sua completa sottomissione; percepiva indirettamente lo sguardo spaesato del tedesco posarsi ostinatamente su di lui, osservandolo con un’insistenza che lo metteva palesemente a disagio. Avrebbe voluto dirgli di smetterla di fissarlo in quella maniera, che comportandosi a quel modo non faceva altro se non metterlo profondamente a disagio; tentò di consolarsi pensando di aver fatto più del necessario per evitargli una sorte inesorabilmente segnata, che altro non gli era comunque consentito fare, e non perché non volesse, ma per la consapevolezza radicata del sapere perfettamente che da un’ulteriore protesta sarebbe dipesa la sua stessa vita.

''Sbattetelo nella cella peggiore di tutte! Dopotutto, gli ospiti vanno trattati con riguardo. O mi sbaglio?'' fece Collins sornione, e la cadenza stessa della frase ebbe lo sgradevole effetto di far presupporre un sarcasmo di fondo che Edward a stento riuscì a fingere di non aver colto; adocchiò fintanto che ebbe modo le tre figure massicce allontanarsi in direzione dell’edificio adibito alla detenzione dei prigionieri di guerra, e per tutta la durata di quel tragitto ricordò solamente di aver provato un’immensa tristezza.

Era ormai notte fonda quando il giovane tedesco dalla chioma dorata rinvenne dallo stato catatonico nel quale si era inconsapevolmente catapultato. Si era svegliato accasciato sulle piastrelle bianche del pavimento del bagno completamente sudato e con il cuore che gli batteva a mille, mentre di fianco giaceva una pozza maleodorante di vomito rappreso. Si toccò la fronte con delicatezza e constatò, con evidente fastidio, quanto fosse bollente. La febbre non aveva accennato a scendere neanche per un secondo, anzi, in certi momenti gli era parso addirittura che fosse salita oltre i limiti consentiti. Ricordava esclusivamente di essersi assopito profondamente qualche ora prima, per poi ridestarsi in preda ad una sgradevole sensazione di nausea persistente, grazie alla quale non aveva potuto fare a meno di precipitarsi a rigettare ogni singola cosa fosse riuscito ad ingurgitare in quella piovosa giornata.

Si alzò barcollando e tentò, per quanto fosse possibile, di muovere qualche passo in direzione del suo giaciglio. All’esterno non si percepivano rumori; l’edificio era totalmente silenzioso ed una coltre nebulosa di calma regnava apparentemente sovrana. Dove diavolo erano finiti tutti? Era estremamente inverosimile che fosse sera inoltrata, se ne sarebbe reso conto. Non poteva credere di avere dormito talmente a lungo da far trascorrere un’intera giornata.
Solo allora gli attraversò la mente, con la stessa irruenza che avrebbe avuto una scossa elettrica, il pensiero di suo fratello. Friedrich non era rientrato. A dargliene conferma fu il letto perfettamente intatto e nessun accenno della sua presenza in camera. Non dava neppure l’impressione di essere passato, eventualmente per sincerarsi delle sue condizioni e controllare come stesse. Dal momento in cui aveva varcato la soglia della loro porta, quella mattina, non aveva più fatto ritorno. Stefan sentì l’inquietudine penetrargli intensamente fin dentro le ossa, e l’urlo assordante generato da quel silenzio mortuario non ebbe altro effetto se non quello di terrorizzarlo a morte. Doveva necessariamente essere successo qualcosa di orribile, sentiva gradualmente la consapevolezza che lo stava letteralmente divorando dall’interno. Friedrich non lo avrebbe mai lasciato solo, ancor più sapendo lo stato nel quale riversava. Se, pur essendo assolutamente a conoscenza della sua situazione non aveva fatto ugualmente rientro, ciò era dovuto al fatto che gli fosse capitato qualcosa. Qualcosa di terribile.

Improvvisamente l’ingresso si aprì di getto, e Stefan fece appena in tempo a voltarsi, pallido come un fantasma per lo spavento, che si ritrovò la figura di Hans Bauer stagliata di fronte. Per una frazione di secondo sperimentò una profonda gioia nel vederlo, erano passate settimane intere da quando si erano scorti per l’ultima volta, e saperlo in quel momento presente lo confortò enormemente. Questo, fin quando non si accorse del modo in cui lo adocchiava il suo amico.

Hans non sorrideva, e non aveva neppure accennato la più misera
espressione di contentezza nell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. Ad essere sinceri, non dava affatto l’impressione di essere felice di trovarsi lì in quell’istante. Non proferiva parola; persisteva anzi nell’osservarlo silenziosamente, con un atteggiamento dai contorni misteriosi e indecifrabili.


''Hans, fratello..Cristo Santo, cosa ci fai qui? Erano mesi che non ci vedevamo!'' esclamò Stefan esultante, dirigendosi nella sua direzione a braccia aperte.

Ma poi Hans fece una cosa che riuscì a turbarlo molto più di quanto gli fosse mai capitato nella sua intera esistenza.

Continuando a studiare con accortezza i suoi movimenti, si lasciò scendere una lacrima lungo la guancia destra. All’inizio si contenne, ma poi, quando il flusso proruppe ininterrotto, decise di lasciarsi andare e scoppiò letteralmente a piangere, arrancando tristemente verso l’amico e buttandoglisi addosso.

''Stefan, mi dispiace..mi dispiace così tanto, dannazione!''

Ma l’amico si staccò con decisione da quel contatto consolatorio, guardandolo esterrefatto in faccia.

''Hans..Hans, per l’amor di Dio, cos’è successo? Dimmelo, ti prego.''

Gli occhi di Hans lo fissarono come mai avevano fatto prima. E, quando le labbra si mossero, ne uscì fuori una frase a tal punto sconvolgente che il ragazzo a stento si trattenne dallo svenire per lo sconcerto.

''Stefan..Stefan, tuo fratello è stato abbattuto.''

   
 
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